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Autore: MelodramaticFool_    16/02/2013    2 recensioni
Andrea e Viola.
Marco e Viola.
Andrea, Marco, Viola, Silvio, Giulia, Gabriele.
Sei Freaks!, una storia.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Viola non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte.
Non fece altro che rimuginare sulla sua lite con Gabriele, che nemmeno si poteva chiamare lite, visto che era stato lui ad esplodere così, quasi all'improvviso, come una bomba a mano.
La ragazza si sentiva dannatamente in colpa per la sua fuga, perché sì, era proprio una fuga, la sua.
Fuga premeditata, tra l'altro, visto che lo aveva sorpreso in quel corridoio, per puro caso, proprio mentre se ne stava andando.
Questo non la consolava affatto, e non alleviava quel peso che aveva sulla coscienza.
Se va davvero da Marta?
Non era del tutto convinta che stesse davvero andando da lei o meno, ma il dubbio c'era.
Quella Marta aveva a che fare con la VEX, era una persona pericolosa, e lui lo aveva certamente capito perché non era uno stupido, anzi. Era un ragazzo sveglio, lo aveva dimostrato più volte, con le sue osservazioni e il suo modo di agire, durante quella breve convivenza. Gabriele voleva sapere, era più che evidente, e aveva una sete di risposte tale da averlo portartato più di una volta, in quei giorni, in situazioni di pericolo, per salvare loro e per capire qualcosa di più di tutto quel garbuglio in cui erano andati a finire. Viola non comprendeva fino in fondo il ruolo del ragazzo in tutta quella faccenda, quindi non poteva individuare le ragioni che lo avevano spinto a rischiare tanto. Poteva capire quel suo desiderio di conoscenza, visto che lo provava anche lei.
Però le sfuggiva il significato delle sue ultime parole, pronunciate con quel tono tagliente e profondamente frustrato.
"E allora come cazzo fate a fidarvi di me? Come cazzo fate?! Ad essere.. gentili, a fidarvi! Io vi ho rovinato la vita, Viola, io vi ho rovinati!"
"..Io non me lo merito, Viola, io ho ucciso delle persone! Per colpa mia siete quasi morti, tutti, e vi ho rovinati con.. con questi poteri.."
Come faceva a dire che li aveva rovinati?
Come faceva a pensare che loro non si dovessero fidare di lui?
Viola era convinta che il ragazzo avesse un ruolo cardine, un ruolo da protagonista, in quell'avventura. La sua era una certezza, una delle poche che aveva, e il comportamento di Gabriele di quella sera aveva cementificato quell'impressione nella sua mente. Non capiva cosa intendesse con quel "vi ho rovinati"; non lo vedeva come uno dei carnefici, come uno dei complici che li avevano trascinati in quella situazione grottesca, surreale. Per Viola, Gabriele era una vittima. Eppure, non riusciva a non pensare allo sguardo amareggiato e colpevole del giovane mentre diceva quelle frasi così fuori luogo, così sconnesse.
Sulla faccenda del fidarsi, invece, era molto più filosofica. Gli altri diffidavano di quel ragazzo così strano, che era apparso a buffo nelle loro vite, dopo averli precedentemente ingannati e delusi con la storia di Giulia. Andrea, in particolare, all'inizio aveva dimostrato una certa antipatia nei suoi confronti, mettendo spesso in dubbio le sue affermazioni e le sue supposizioni, costringendo Gabriele ad esporre tutte le sue argomentazioni e a giustificare ogni sua singola parola. Marco e Silvio avevano fatto di tutto per celare la loro scarsa fiducia nel nuovo arrivato, cercando per lo meno di farlo sentire a suo agio, in modo che riuscisse ad aprirsi di più e a confidarsi, e Viola apprezzava i loro sforzi. Alla fine Gabriele sembrava aver guadagnato, se non la fiducia, almeno il rispetto di tutti loro. 
Per Viola invece era stato diverso, fin da subito. 
Superata l'iniziale diffidenza, la ragazza aveva avuto modo di studiare per bene quel giovane dall'aria così sicura di sé, determinata, e aveva scorto dietro quegli occhi azzurro cielo un ragazzo fragile, confuso quasi quanto loro, e triste, sconsolato. Si era risvegliato in lei uno strano istinto di protezione, quasi materno. Lo aveva aiutato nei momenti di bisogno, lo aveva appoggiato nelle sue decisioni, e, sotto il suo sottile esempio, anche Andrea aveva iniziato a trattarlo meglio. Gli aveva quasi voluto bene, a suo modo.
Ora che era scappato, Viola non riusciva a nascondere la sua preoccupazione.
Non aveva la minima più pallida idea di cosa si nascondesse dietro il suo passato, perché tutti loro, per un tacito accordo, non parlavano quasi mai del loro mondo prima dei poteri. 
Era chiaro però che nessuno di loro aveva avuto una vita rose e fiori. 
Andrea, per quanto si nascondesse dietro il suo fare sfacciato e fastaiolo, aveva alle spalle una famiglia sgretolata da qualcosa di molto più grande di lui, Viola lo aveva intuito dai contatti sporadici tra il giovane e suo fratello, a cui sembrava essere molto affezionato e allo stesso modo distante. Marco, con la sua sindrome del fratello sfigato e la sua esasperante timidezza, non doveva avere avuto una gran vita sociale e sentimentale, sembrava il tipico ragazzo portato alla melodrammatica sofferenza del perenne innamorato. Lei stessa, con quel maledettissimo Simone che gli aveva controllato l'esistenza fino a pochi giorni prima, aveva vissuto all'inferno per quasi quattro anni, e persino Silvio, con la sua stronzaggine e il suo egocentrismo tipici del figlio viziato e coccolato, aveva di che pensare, per quel problema sconosciuto che affliggeva sua madre (non era stupida, aveva capito che quel ragazzone massiccio come un armadio era follemente preoccupato). Di Gabriele, invece, sapeva solo che era stato rinchiuso per chissà quanto in un laboratorio, preda inerme di un mucchio di scienziati pazzi, come lui stesso aveva rivelato loro.
A Viola sembrava tanto un bambino vulnerabile, costretto a crescere in fretta per colpa di qualcosa di molto più grande di lui, qualcosa di crudele che lui stesso non riusciva a comprendere fino in fondo. 
Viola aveva paura per quel bambino, perché un bambino spaventato, confuso e infelice, aveva molte più probabilità di finire nei guai.
 
Era talmente presa dai suoi pensieri che non si accorse della figura che fece il suo ingresso, silenziosamente, nella piccola cucina dell'appartamento. Lo sguardo perso nello squarcio di paesaggio cittadino che le offriva la portafinestra, le mani accostate alle labbra nel gesto nervoso di mangiarsi le unghie, la giovane era seduta presso il 'tavolo delle grandi riunioni', come lo aveva soprannominato scherzosamente Silvio, e dava le spalle alla porta.
Sobbalzò quando qualcuno la prese alle spalle, afferrandole delicatamente i polsi e allontanandoli dalla sua portata.
Un odore, un profumo indecifrabile le arrivò al naso, un profumo indefinibile che poteva attribuire solo ad una persona sulla faccia della terra.
Scongiurato il pericolo delle unghie, Andrea la abbracciò, da dietro, avvolgendole la vita in una stretta delicata e affondando il viso tra i suoi capelli. Viola inarcò la schiena, con un mezzo sorriso sorpreso che le aleggiava sulle labbra, lasciandosi inondare dalla meravigliosa sensazione che provava nel contatto con la pelle chiara del giovane, che sapeva ancora di sonno. Il ragazzo le lasciò un bacio leggero sul collo e si sedette accanto a lei, guardandola con gli occhi che gli brillavano. Lei finse di non accorgersi di quel luccicore sfrontato.
-Mi hai fatto prendere un colpo.-
-Era il mio obbiettivo.- rispose l'altro, incurvando le labbra di rimando. Accavallò le gambe e iniziò a picchiettare con le dita sulla superficie bianco latte del tavolo.
Rimasero per un bel po' in silenzio. Il sorriso di Viola si spense rapidamente, insieme alla botta di buonumore che le aveva donato l'apparizione del ragazzo. La consapevolezza degli eventi di quella notte si fece di nuovo largo nella sua mente, con prepotenza, nonostante lei cercasse in ogni modo di relegarla in un angolino recondito e buio del suo cervello, perché, più pensava a Gabriele, più si sentiva confusa e in colpa.
Andrea percepì l'ombra di preoccupazione che la avvolgeva. Si risvegliò in lui il desiderio di prendere a calci quell'idiota, desiderio che aveva allontanato quando Gabriele si era imposto nella casa. Non capiva proprio come avesse fatto, con la sua aura di gelo e la sua riservatezza, a conquistarsi la simpatia della ragazza. Misteri dell'universo femminile.
-Non hai dormito.- quella di Andrea non era una domanda, era un'affermazione.
-Si nota così tanto?- chiese Viola, sospirando.
-Non ti ho sentita agitarti nel sonno.- le spiegò l'altro -Tra l'altro neppure io ho chiuso occhio. Penso che nessuno di noi ce sia riuscito.- mormorò, guardandola intensamente.
Effettivamente il ragazzo aveva gli occhi leggermente gonfi e incisi dalle borse e dalle occhiaie purpuree, sintomi precisi di una notte insonne.
-Non ci vuole niente a capì' che quella messa peggio sei tu, però.- continuò, in risposta al suo silenzio opprimente.
La giovane si limitò a sbuffare stancamente, con un lieve e amaro sorriso sulle labbra.
L'altro le sorrise di rimando, cogliendone l'ironia.
Le prese una mano, con dolcezza, quasi temesse un rifiuto da parte della ragazza.
Vedendo che lei non scostava la mano e che, anzi, si limitava a tenere lo sguardo verso il basso, le disse:
-Viola, non è colpa tua.-
Lei rimase sorpresa delle sue parole. 
I suoi sentimenti erano così evidenti?
Erano così facilmente leggibili per quello strambo ragazzo?
Probabile. Già la sua insonnia era un sintomo del suo forte senso di colpa, in più, aggiungendoci in suo aspetto triste e poco ciarliero di quella mattina, la cosa si faceva più che evidente.
-..Andre, lasciamo stare.- mormorò la giovane, continuando a tenere gli occhi bassi, -Sul serio, non voglio parlarne.-
-Come vuoi tu.- fece Andrea, sorridendo debolmente e carezzandole la mano, per poi lasciarla con un bacio a fior di labbra sul dorso.
Viola decise di cambiare argomento.
-Ieri.. Ieri mi hai detto che oggi volevi andare a trovare i tuoi..-
-Sì.- rispose l'altro.
La ragazza avrebbe gradito insistere in qualche modo: la famiglia di Andrea costituiva un'ombra triste sul suo passato, e lei voleva capirne i motivi.
Ma la voce piatta con cui il ragazzo pronunciò quel monosillabo le fece intendere che non era saggio continuare.
-Anche Silvio va a trovare i suoi, a quanto ho capito.- proseguì, riacquistando un po' di sicurezza nella voce.
-Sì.. Te che fai?-
-Io? Starò un po' in giro, non so.. Marco?-
-Ha detto che va a trovare una sua amica, Ilaria, mi sembra..- disse piano il giovane, soppesando le sue parole e scrutando la ragazza per osservare la sua reazione.
Reazione che non tardò a mostrarsi: Viola lo guardò confusa, e anche un po' sbigottita.
Perché Viola sapeva bene chi era Ilaria, sapeva che lei e Marco avevano avuto una mini relazione, e questo la faceva stare male.
Significava che, dopo tutto, non aveva ancora deciso chi scegliere tra i due, tra lui e Marco.
Questo fu l'ennesimo pugno nello stomaco per il ragazzo.
Viola si alzò, senza proferir parola, e iniziò a preparare il caffé.
Dentro Andrea, intanto, la rabbia cresceva, sempre di più..
 
Quella notte era stata curiosamente fredda, per i parametri delle estati romane.
Di solito l'aria serale era densa, calda, ti avvolgeva come una campana di vetro.
Gabriele in realtà era sempre stato un tipo abbastanza freddoloso, che tendeva a coprirsi sempre più del dovuto.
Aveva persino smesso di stupirsene.
Stavolta, però, era sicuro che tutto quel freddo non poteva semplicemente avere origine in qualche bizzarria atmosferica.
Era come se tutti i suoi pensieri, nel loro vorticare senza controllo all'interno della sua mente, avessero generato un vento gelido che avvolgeva la sua persona e che gli faceva venire i brividi.
Aveva camminato a lungo per le vie deserte della capitale, senza meta, senza qualsiasi cosa che determinasse una destinazione nel suo vagabondare insensato.
Riflettè a lungo sugli eventi di quegli ultimi giorni.
Coinvolgere gli altri quattro ragazzi era stata un'immensa cazzata. Tutta quella situazione era qualcosa di molto più grande di tutti loro, qualcosa fuori dal loro controllo e assolutamente inconcepibile. Aveva stabilito un contatto con loro in un momento di disperazione e desolazione e non aveva fatto altro che metterli in pericolo, in maniera più o meno consapevole, mentendo loro su certi punti fondamentali della vicenda.
Ora come ora, tutte quelle bugie che gli aveva propinato lo disgustavano nel profondo.
Li aveva usati, li aveva usati con il semplice scopo di fare più chiarezza su un passato che non li riguardava, su una vita che non li riguardava.
Non era stato sincero sulla ragione della sua fuga dalla VEX.
Non aveva improvvisamente incontrato Giulia, infatti era rimasto molto sorpreso del fatto che fosse riuscita a fuggire. Lei non lo aveva morso, quel segno che aveva sul collo era solo l'ennesimo risultato dei suoi incubi e del suo potere. Gabriele sorrise amaramente, tra sè e sè, pensandoci: quella era di sicuro la pecca più insolita di quella sua strana caratteristica. Era capace di fare grandi, grandi cose, con quel suo potere. Poteva immaginare di guarire tutti gli ammalati dal cancro, e quelli si sarebbero svegliati un giorno, sani come pesci e con tutti i capelli al loro posto. Poteva immaginare un'esplosione nucleare di proporzioni catastrofiche, macchiandosi la coscienza di migliaia di morti. E, invece, la notte sognava di venir azzannato da una bestia invisibile e sconosciuta, ritrovandosi, al risveglio, con innumerevoli ferite. Ci aveva messo un po' a fare il collegamento, e questa consapevolezza lo spaventava. Finché avesse continuato a fare incubi solo su se stesso, era più o meno innocuo, almeno per gli altri. Ecco, sul suo potere era stato totalmente sincero con i quattro ragazzi. Non se ne era pentito; certo, all'inizio lo avevano guardato quasi con indifferenza, con soggezione, ma avevano finito per accettarlo, così come avevano accettato i propri. Probabilmente non avevano pensato a quanto il ragazzo potesse nuocere loro, e forse erano stati un po' ingenui, da questo punto di vista, ma Gabriele non gliene voleva per questo. L'unico che sembrava averne intuito la potenza distruttiva era Marco, l'unico ad averlo visto in una situazione di perdita di controllo. Il ragazzo non era stupido quanto sembrava, e lo stesso Gabriele aveva temuto di non riuscire a trattenere la propria immaginazione, così distruttiva, e di uccidere Marta in un battito di ciglia, la sera precedente. Il ragazzo avvertì una fitta di colpevolezza nel pensare a come aveva trattato Marco dopo che questi gli aveva letteralmente salvato il culo, perché senza di lui probabilmente avrebbe affrontato Marta sul posto, con conseguenze catastrofiche. Era grazie a Marco che erano riusciti a tornare a casa illesi, e Gabriele si pentì di non averlo ringraziato a dovere. Non era colpa dello shock, in realtà; è che si era sentito vulnerabile al pensiero che quel ragazzo così normale lo avesse visto in una situazione di totale perdita di controllo. Fortunatamente, era riuscito a riprendersi in tempo.
Il potere di Gabriele era incredibile e struggente, al tempo stesso, poiché tutti noi abbiamo il potere di immaginare, di sognare, crogiolandoci nella certezza fisica che le nostre seghe mentali assurde non vedranno mai la luce del sole. Provate a pensare a cosa succederebbe se tutti gli omicidi che prima o poi ognuno di noi fantastica di compiere si realizzassero davvero: una strage. Con la nostra mente noi siamo liberi di immaginare qualsiasi cosa, perché l'immaginazione è libera, pura, lontana dai limiti della realtà. Gabriele non aveva la nostra stessa fortuna. Gabriele doveva svuotare la propria mente, per evitare di far del male agli altri e, nell'alternativa, a se stesso. Nessuno di noi può avere una minima più pallida idea di quanto questo debba essere terribile. 
Era come una magia fuori controllo, lasciata nelle mani di un semplice ragazzo.
Gabriele si accese una sigaretta, pensando a quello che era riuscito a scoprire, o per lo meno ad intuire, del suo ruolo nella VEX. Con la semplice forza della sua immaginazione poteva creare mondi paralleli in cui far abitare le cavie dell'organizzazione, per scopi che ancora non era riuscito a comprendere fino in fondo. Qualche giorno prima era riuscito a fermare l'uomo senza volto nella sua opera di omicidio di quei ragazzi innocenti, e aveva richiuso il portale con il mondo parallelo. Quindi, era fuggito. Ai ragazzi aveva mentito perché, semplicemente, non gli avrebbero creduto; era una cosa strana ed incomprensibile perfino per lui che ne era il motore e il partecipe, quindi figuriamoci quanto sarebbe parsa assurda agli altri.
Si era chiesto più e più volte per quale motivo si fosse reso disponibile ad una simile barbarie, perché aveva accettato di collaborare con quei macellai della VEX, ma non riusciva proprio a ricordarne la ragione. Era come se qualcuno lo avesse manipolato per lungo tempo, cancellando continuamente la sua memoria e i suoi ricordi. Anzi, non li aveva cancellati, li aveva semplicemente affogati un mare ipotetico della sua mente, lasciandoli andare così a fondo da impedirgli di raggiungerli, ma non di riaffiorare, prima o poi. E senza quella forza sconosciuta che li tratteneva lontano, alcuni di questi ricordi si erano finalmente fatti vivi, e gli avevano donato nuove consapevolezze ed innumerevoli dubbi.
Ricordava di avere avuto una madre, ma non ricordava il suo volto.
Ricordava distintamente che fosse morta, ma non riusciva a capire come.
Aveva una cicatrice a croce sul dorso della mano che non ricordava di essersi fatto.
Aveva una fidanzata, ma non ricordava come si erano conosciuti e non ricordava di averla mai amata.
Ricordava Giulia, aveva una vaga idea di cosa lei gli avesse fatto, ma riusciva appena a ritrovare i tratti del suo viso.
Questo a riassumere il casino prorompente in cui si trovava il suo dannato cervello.
L'interrogativo più grande gli era derivato da quell'uomo senza volto che lo perseguitava, negli incubi e, com'era logico per una persona dotata del suo potere, nella vita reale.
Da dove era nato? Che cosa rappresentava?
Gabriele non ne aveva la minima più pallida idea.
Camminava, senza meta, per le vie di quella Roma alle prime luci dell'alba, in preda a mille emozioni.
Era talmente preso da questi suoi pensieri che quasi non notò la figura che gli si parò davanti, improvvisamente.
Si fermò, in mezzo al marciapiedi.
Lei.
Esattamente come l'aveva sognata quelle innumerevoli volte.
I lunghi capelli biondi e ricci le ricadevano vaporosi sulle spalle, ricoperte da un lungo cappotto nero.
Giulia si avvicinò, con fare deciso e allo stesso tempo circospetto, quasi fosse un animale in avanscoperta.
Era decisamente più bassa, ma lui era alto, quindi non se ne stupì.
La ragazza portò la mano all'altezza del suo collo, accarezzando lievemente il punto in cui lo aveva morso.
Per Gabriele era arrivato il momento di affrontare uno dei suoi incubi peggiori.

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CIAO, ECCOMI, VI PREGO NON MI LINCIATE.
Ecco a voi la seconda parte del capitolo sette, miei cari.
Un'altro capitolo di stallo, molto introspettivo e senza azione.
Da qui in poi, la storia si rilega a quella originale, o più o meno.
Dopo questo prevedo al massimo uno o due capitoli, e poi il tanto agognato epilogo.
Vi chiedo perdono per l'immenso ritardo nella pubblicazione, ma ultimamente ho avuto ben'altro per la testa. Volevo pubblicarlo prima del Secret Show ma ero talmente fomentata che non sono riuscita a scrivere niente di senso compiuto per tutta la settimana precedente.
Spero che abbiate compreso più o meno quello che ho scritto, gn.
A presto,
MelodramaticFool_
  
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