Fatica
Mezz’ora
dopo Jason stava litigando con un Bearne piuttosto arrabbiato, Laura era stata
spedita con un’ambulanza in ospedale e Rea era dai medici della polizia a farsi
fasciare il braccio con Fabio accanto a sé.
“Che fatica” si lamentò lei, stringendo un panno
sul buco che la pistola le aveva lasciato sulla spalla.
“Certo che tu un po’ più di attenzione non potevi farla?”
“Io non avevo capito che tua sorella era la cattiva, sai?”
lo freddò. L’infermiere iniziò a stringerle delle fasciature intorno al
braccio, facendola lamentare.
“Lo so, stavo solo cercando di smorzare un po’ l’aria. C’è
Bearne laggiù che tra poco ammazza tuo padre” le spiegò, indicando i due
uomini che si stavano urlando contro. Rea fece spallucce.
“Se lo merita” disse. Fabio la guardò male.
“Se lui non avesse continuato a cercarti chissà come sarebbe
andata a finire”
“Nel modo migliore possibile! C’era Antonio ad aiutarmi”
rispose. Lo sguardo pungente del ragazzo la fece arrossire.
“Ok, va bene, ti posso anche dare ragione, ma io sono
arrabbiata con lui!” esclamò.
Le fu legato
il braccio intorno al collo.
“Tenga ferma
la spalla, signorina Simon, per un mese e ogni tre giorni si faccia cambiare la
fasciatura” le ordinò il medico. Lei mosse un po’ la spalla poi gli sorrise.
“Grazie”
Fabio si
sedette sul camioncino vicino a lei e le piantò addosso i suoi occhi
indagatori, mettendola in soggezione.
“Te ne prego, risolvete questa faida. È stato disperato per
tutto il tempo in cui non sapeva dov’eri. Io non so che è successo tra di voi,
non me ne hai mai voluto parlare e non ti chiederò di dirmelo ora, però fai un
passo verso di lui” la implorò. Rea scosse la testa.
“Non ancora” rispose.
Il ragazzo
sospirò e si appoggiò con la testa alla parete del furgoncino, guardando in
alto.
“Che è successo in quella casa?” domandò per cambiare
discorso. Lei rise amaramente.
“Antonio ci ha liberate. Io sono stata tramortita da
Samantha a casa tua e mi ha portata qui, prendendo anche il mio computer e non
so cos’altro: le prove che avevo all’attivo erano troppe, nonostante pensassi
che fosse tutta colpa di Antonio avevo già capito che i ragazzi erano stati
drogati. Quando mi sono risvegliata tua sorella mi ha parlato tramite una
specie di apertura sulla parete o qualcosa di simile e mi ha raccontato che era
stata rapita; io ho ricollegato i tempi a poco dopo la serata con te in
discoteca, ti ricordi? Quando è stata rapita Mary e io ho sparato su quella
macchina che ha provato a investirmi” raccontò.
“Sì, come dimenticare il nostro primo appuntamento romantico”
rispose lui sarcastico. Rea rise divertita.
“Sono una che lascia il segno, che vuoi farci? Comunque,
probabilmente era Samantha a guidare quella macchina e mi ha riconosciuta, per
cui con un po’ di trucco e un po’ di tinta per capelli si è finta Laura. Tutto
sommato non le deve essere risultato difficile, sono molto simili fisicamente e
al giorno d’oggi la paraffina fa miracoli. Alla fine tutto questo era per
spiarmi e fare in modo che io non capissi che in realtà il traffico di droga si
svolgeva a scuola sotto l’occhio attento del nostro amatissimo preside”
spiegò.
“Ma perché fare una cosa simile?”
“Per soldi. L’istituto sta attraversando un periodo
piuttosto buio e i fondi mancano: le famiglie preferiscono non investire nella
scuola perché la crisi ha colpito un po’ tutti e i soldi vengono messi da
parte. Comunque Samantha, venuta a conoscenza di questi problemi, ha proposto
al preside di testare sui ragazzi una nuova droga sintetica che risulta
introvabile alle normali analisi di routine sui cadaveri e lui, messo alle
strette, si è messo in gioco. All’inizio andava tutto bene, anche se la droga
diventava quasi subito una dipendenza per gli studenti, e i soldi hanno
iniziato ad arrivare, poi ci sono stati i primi cedimenti e i primi morti. Da
uno a sedici in poco tempo. Il preside si è fatto prendere dal panico e voleva
finirla con lo spaccio ma Samantha ha preferito fare di testa sua e ha rapito i
ragazzi che mostravano segni di dipendenza troppo avanzata, quelli che, cioè,
dopo poco si sarebbero sentiti male. Diciamo che la situazione è degenerata e
che il preside non è riuscito a fermare la donna che ormai si era presa il
diritto di usare i ragazzi come più le pareva e Antonio ha scoperto tutto.
Quando mi ha rapita, Samantha era sicura di togliersi di torno tutti i suoi
problemi ma alla fine le è andata peggio che mai perché noi siamo riusciti a
prenderla di sorpresa uscendo dalla cantina. Inoltre, il preside ha deciso di
non reagire: non voleva più essere in quelle condizioni, si sentiva in colpa e
non voleva più che i ragazzi morissero, quindi Samantha è stata fregata”
concluse.
Fabio
trattenne una risata e poi la guardò.
“Sei un tipo per niente noioso, sai?” le disse. Rea si
stupì.
“Oh, beh, se volevi una noiosa bastava che ne scegliessi
una a caso in mezzo a tutte quelle oche liceali” ribatté.
“Potrei farci un pensierino” la sfidò lui. La ragazza
gli sorrise.
“Provaci, tesoro” lo invitò.
Lui scosse
la testa e la baciò lievemente.
“Mi basti tu” le assicurò. Lei si posò con la testa
sulla sua spalla.
“Meno male, non mi piacciono le liceali, sono tutte
frivole e superficiali” confessò sollevata.
“Tu no”
“Non sono una liceale, lo sai. Da domani probabilmente
smetterò di venire a scuola, ormai io ho finito” lo informò. Fabio
rimase in silenzio, poi si spostò per guardarla.
“Non… non vieni più?” le domandò. Rea scosse la testa.
“Figurati. Ho fatto il mio percorso da studentessa e
adesso basta così. Mi sono divertita, tutto sommato le superiori non sono così
male, ma sono felice della mia scelta di studiare a casa, non sarei riuscita a
star dietro a ritmi come questi, sono odiosi” rispose.
“Ma mi lasci solo?” la accusò il ragazzo. Lei rise.
“Ma figurati, fossi scema! Semplicemente ci vediamo fuori
dalle mura scolastiche da ora in poi” spiegò.
“E con la scuola di polizia?”
La ragazza
sospirò tristemente.
“Sono fuori tempo massimo, devo aspettare un anno prima di
poter fare di nuovo la domanda, purtroppo. Questo significa stare di nuovo
ferma a non fare niente, il che mi fa venire l’ansia” ammise.
“Non prendi più le pillole, vero?”
Rea arrossì.
“Ogni tanto sì, non posso farne a meno, che ci vuoi fare?
Il respiro mi si mozza in gola e penso di morire, senza quelle soffocherei”
rispose. Fabio la guardò male.
“Smettila, lo sai che quegli attacchi sono solo colpa tua”
la sgridò.
“Ma…”
“Senti, ti sei mai chiesta perché tuo padre ti abbia sempre
tenuta sotto una bolla di vetro e abbia cercato di non farti entrare in
polizia?” le chiese. Lei rimase zitta.
“Secondo me l’ha fatto perché sa che tu hai paura. Tu hai
sempre paura, tutto sommato: sei una ragazza forte e indipendente, certo, ma al
minimo ostacolo un po’ più grande ti tiri indietro e non sai come affrontarlo,
così ti vengono gli attacchi d’ansia. In una situazione come quella che Jason
ha affrontato, dove sua figlia era stata rapita da dei malviventi, tu
probabilmente non avresti saputo cosa fare” le spiegò. Rea storse la
bocca.
“Qualsiasi cosa sia a farti entrare il panico in corpo, tu
evita quelle pillole” le consigliò.
La ragazza
annuì.
“Va bene, ma smettila con la paternale” accettò.
Fabio le baciò la testa e poi la strinse un po’.
“Sai che ho capito una cosa stasera?” la informò.
“Cosa?” chiese Rea, appoggiandosi al suo petto. Le
dava la stessa tranquillità che provava quando era suo padre ad abbracciarla.
“Ho capito che ti amo” confessò alla fine.
Nel
camioncino scese il silenzio e lui si sentì un perfetto idiota nell’averle
detto quelle cose. La ragazza sorrise.
“Fabio Daniels, sei un tipo
strano” rispose.
“Co…?”
“Queste sono cose da dire con una certa atmosfera, in un
posto romantico e lontano dal mondo, dove non esistono preoccupazioni”
lo informò. Poi lo guardò felice.
“Però anche io ti amo” ammise, baciandolo. Lui
sospirò sollevato.
“Ti giuro che stavo per rimangiarmelo” le disse. Rea
rise.
“Perché?”
“Hai idea di quanto abbia sofferto negli ultimi due minuti?”
le chiese.
“Ne è valsa la pena?” domandò lei. Il ragazzo
sbuffò contrariato.
“Direi di sì” rispose.
“Allora l’attesa non conta”
Rea si stese
su di lui, stanca. Era sfinita, aveva faticato più in quei giorni che in
vent’anni di vita e voleva dormire un po’.
Prima di
chiudere gli occhi vide suo padre che si sedeva da solo su una di quelle sedie
portatili e si sentì triste e sola. Le mancava, le mancava in modo terribile e
ora quella mancanza pesava.
Ora,
abbandonata tra le braccia del ragazzo che amava e che la ricambiava, avrebbe
voluto essere con suo padre, lì a vedere il suo sguardo orgoglioso e a sentirsi
dire “Brava piccola, sono fiero di te”. E
invece no, erano entrambi soli.
Era così
sbagliato avercela con lui perché usciva con Emma? Tutto sommato, se si
piacevano e volevano stare insieme, erano tutti e due grandi e vaccinati,
avevano la capacità di decidere.
Si
addormentò con un sospiro e dormì fino al giorno dopo.