Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |       
Autore: sonsimo    10/09/2007    4 recensioni
Questa storia è stata scritta per il contest "Fairies and Witches" (link: http://writersarena.forumfree.net/?t=18857034), indetto sul forum Writers Arena.
Svegliato di soprassalto da un incubo, Cristiano decide di mettere per iscritto le sue memorie, in modo che un giorno la figlia possa conoscere la verità sulle proprie origini. Una storia d'amore, ma triste e dolorosa. Spero di riuscire a strapparvi qualche emozione.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Prologo + Cap.1 (Figlia della luna)

Prologo

Questa notte ho avuto un incubo. Mi sono svegliato di soprassalto, ricoperto di sudore, ho temuto persino di avere urlato. La scena che ho sognato mi ha spinto ad alzarmi, nel cuore della notte, a recuperare carta e inchiostro e a sedermi qui alla scrivania, al chiaro di luna, per mettere per iscritto tutto quanto. Tutto quello che finché sarò in vita non avrò il coraggio di confessare, ma che in un modo o nell’altro va detto, va raccontato. Nella speranza che colei a cui ho taciuto la verità per tutti questi anni un giorno ritrovi queste carte scritte nel cuore di una notte di luna piena, con la preghiera che lo sconvolgimento a cui il suo animo sarà sottoposto nel leggere queste mie parole non sia ancora più potente dell’affetto che prova per me, per questo misero uomo patetico che ha paura della verità. Perché se così fosse verrò odiato dalla persona che più ho amato nella mia vita, mia figlia. La bambina che in questo momento dorme tranquilla nella camera accanto alla mia e che prende il suo nome proprio dall’astro che adesso mi fornisce la luce per mettere per iscritto questo racconto. La mia piccola si chiama Luna.

Proprio Luna è stata protagonista del mio incubo di questa notte. La mia bambina ha adesso sette anni, ma nel mio sogno era più grande, già una ragazza. Ma con quella certezza che è possibile solo nei sogni so che si trattava di lei, pur se la somiglianza non era poi così evidente. Pur se non so, in realtà, come sarà mia figlia tra qualche anno, posso solo immaginarmela. Nel sogno, la mia bambina fissava la propria immagine riflessa nelle acque del fiume dietro la nostra modesta casetta, una piccola abitazione in legno immersa nel fitto verde di un bosco, poco lontano da un villaggio che conta non più di tremila abitanti. Non ci sarebbe niente di strano, se non fosse che mia figlia stava sorvolando il fiume a cavallo di una scopa. I suoi capelli castani fluttuavano nel vento, la sua espressione era piuttosto concentrata, il volo sembrava più che naturale, come se la mia piccola salisse a cavalcioni su una scopa tutti i giorni.

Chiunque mi direbbe che si tratta di qualcosa di stupido, un sogno a cui non ha senso dare importanza. Anche mia figlia, pur se a soli sette anni, credo sarebbe dello stesso avviso. E’ una bambina piuttosto scettica! A volte ho la netta sensazione che non dia alcun credito alle favolette che le racconto la sera per farla addormentare. A scuola le hanno insegnato che la magia non esiste, che le favole sono state inventate da uomini del tutto normali, e mia figlia è molto brava a scuola.

Ma io so che sarebbe un errore fingere che il mio incubo di questa notte non abbia alcun significato. Io conosco benissimo il perché del mio sogno, so che la sua importanza non è da trascurare e soprattutto so che si tratta di un monito. Non devo dimenticare la verità, per se essa è così scomoda che il rimuginarci sopra mi terrebbe sveglio la notte.

Quando un giorno la mia bambina metterà le mani su queste pagine, poserà gli occhi sulle parole che adesso sto scrivendo, rimarrà già abbastanza sconvolta per quello che scoprirà. Non voglio quindi confonderla ulteriormente con informazioni a metà o poco chiare, preferisco raccontarle la storia nei dettagli, partendo dal principio e senza trascurare il minimo particolare.

Cap.1: Guardarti

Ho sempre vissuto in questa casa e in questo bosco, almeno dacché ho memoria. Credo che Luna lo sappia, anche se non ricordo esattamente il momento in cui glielo ho detto. Ho frequentato la sua stessa scuola, nel villaggio poco lontano da qui, ho imparato a conoscere ed amare ogni singolo albero di questi boschi come un fratello, ho amato la brezza che nelle notti d’estate scuote le fronde e i cespugli, ho amato la neve che ricopre e addormenta tutto nel suo candore. Pur se figlio unico come la mia bambina, da giovane non ho mai sofferto la solitudine, perché ogni scoiattolo, ogni uccellino sui rami degli alberi era mio amico.

Vivevo da solo con la nonna, la madre di mia madre, essendo rimasto orfano a soli cinque anni. Certo, ho sofferto molto per la perdita dei miei genitori, ma non ringrazierò mai abbastanza il cielo per aver conosciuto nella mia vita una persona straordinaria come la mia nonna. Una donna forte, volitiva, severa, ma al tempo stesso buona e affettuosa. Non ha mai frequentato nessuna scuola, non sapeva nemmeno scrivere, ma è stata la persona più colta, in un certo senso, che io abbia mai conosciuto. I boschi non avevano segreti per lei, non c’era infuso d’erbe che non sapesse preparare, non esisteva al mondo pianta di cui lei non conoscesse nome, proprietà, capacità curative. Ho imparato da lei ben più di quanto qualsiasi professore potesse insegnarmi e mi sto sforzando, ogni giorno, di trasmettere i suoi insegnamenti a Luna, di lasciarle questa piccola eredità, perché il ricordo di una donna straordinaria non venga perduto per sempre con la morte di questo mio corpo.

L’immenso affetto che ho provato nei suoi confronti, però, non mi ha affatto impedito di rendere, in taluni momenti, la vita della mia cara nonna un vero e proprio inferno. Ero un bambino molto vivace, proprio come è Luna adesso. Non ho idea di quante volte le ho sentito pronunciare la frase: “Cristiano, tu sarai la mia morte!”, né di quante volte, ridendo, ho lasciato che mi inseguisse per i prati, senza pietà per i suoi muscoli ben più vecchi dei miei.

Una donna speciale, senza alcun dubbio, così come speciale poteva essere per un ragazzino la vita nel fitto di un bosco.

Non passava giorno in cui la natura non mi svelasse uno dei suoi molteplici segreti, stimolando la mia curiosità e spingendomi a cercare sempre qualcosa di nuovo, di ancor più incredibile e stupefacente. Non c’era mistero che per me rimanesse tale per più di qualche ora, perché spendevo ogni mia energia per venire a capo di qualunque dilemma e avere una piena consapevolezza di ciò che mi circondava.

Quest’ultima affermazione può essere considerata sincera solo per il periodo precedente ai miei quindici anni, perché a quell’età ho assistito a qualcosa di cui sono riuscito a carpire parte del significato solo diversi anni dopo. Posso affermare con certezza che mai, per quanto possa essere ancora lunga la mia vita, riuscirò a comprendere fino in fondo ciò che è accaduto.

Spero che Luna, in un modo o nell’altro, possa riuscire là dove io ho fallito. So che ha buone possibilità di farcela, perché dentro di lei vive parte di quel mistero, pur se lei non ne sa nulla e questa parte del suo animo è attualmente assopita profondamente, come è giusto che sia, come era volere di colei che ha fatto parte, anzi che è stata la protagonista, di quel mistero.

Sto cercando di procrastinare l’inevitabile, me ne rendo conto. Non ho ancora nemmeno iniziato a narrare ciò che devo, come se stessi in tutti i modi provando a ritardare quel momento. Ma spero che quando Luna avrà finito di leggere questo mio scritto, possa comprendere quanto sia difficile per me trovare le parole adatte, che a mio parere forse non esistono nemmeno, per dirle quello che ha il diritto di sapere e per descrivere alcuni momenti della mia vita che, se non fosse proprio per la presenza di mia figlia, per il suo corpo così reale nella mia casa, crederei solo frutto della mia immaginazione.

Non passa giorno in cui io non mi chieda se non ho solo immaginato tutto quanto. Solo per pochi secondi, il tempo necessario per posare gli occhi su un oggetto che mi ricordi la presenza di una bambina di sette anni in questa casa, prova vivente che non si è trattato solo di un sogno. Che ho vissuto tutto per davvero.

Che  quella notte, a quindici anni, ho davvero assistito, per la prima volta nella mia vita, al Rito.

Era una fresca notte di primavera. La nonna dormiva già da un po’, ma io proprio non riuscivo a prendere sonno, così avevo deciso di affacciarmi dalla finestra sul retro della casa, quella che dà sul fiume, per prendere una boccata d’aria.

La prima cosa che ho notato, in quella notte intrisa di magia, è stato lo splendore della luna. C’era una bellissima luna piena, che fulgida irradiava un chiarore tale da far invidia alla luce del sole di mezzogiorno. Ricordo di essere rimasto immobile, con la leggera brezza notturna a scompigliarmi i capelli, per diversi minuti, a rimirare in silenzio la lucentezza del nostro satellite. E’ stato quasi naturale, un atto dovuto, seguire la scia luminosa tracciata da quella luce nel buio cielo della notte fino al fiume poco lontano da casa mia, nelle cui acque quella luce si specchiava dando origine ad uno spettacolo meraviglioso.

E allora ho visto ciò che avrebbe completamente cambiato la mia vita, pur se in quel momento si trattava solo di ombre sfocate che non riuscivo a identificare. Tre figure, ammantate di nero, avanzavano verso il fiume nel cono di luce lunare. Pur da quella distanza sono rimasto incantato dalla grazia del loro incedere, dalla poesia irradiata dal leggero ondeggiare dei loro mantelli alla brezza notturna.

Quale ragazzo di quindici anni avrebbe saputo resistere all’impellente curiosità, di fronte ad uno spettacolo del genere? Non di certo io, Cristiano, giovane cresciuto nel fitto di quei boschi, innamorato di quella natura meravigliosa.

In un attimo ero sull’uscio di casa e mi avviavo il più silenziosamente possibile verso il fiume perché, qualunque cosa fossero quelle creature che avevo scorto da lontano, non volevo disturbarle.

Da giovane ero molto meno scettico della mia Luna. Al contrario, credevo fermamente nei diversi miti e nelle leggende che la nonna mi raccontava quando ero più piccolo, per farmi addormentare. Adoravo quei racconti, amavo credere che nella nostra foresta ci fosse qualcosa di magico.

Da questo punto di vista Luna è molto diversa da me, per colpa mia, devo aggiungere. Non ho mai messo, nel raccontare le fiabe, lo stesso entusiasmo, la stessa cieca fede che era tipica di mia nonna. Non saprei dire se, inconsapevolmente, l’ho fatto di proposito. Per ritardare l’inevitabile.

A pochi metri di distanza dal fiume, mi sono accucciato sul terreno e ho proseguito a quattro zampe, per non farmi notare, approfittando del valido nascondiglio offerto dai cespugli. Quando ero ormai abbastanza vicino da vedere chiaramente le tre figure mi sono fermato, sempre al riparo dietro un cespuglio.

Si trattava di tre donne. Giunte presso la riva del fiume avevano abbassato i loro cappucci, permettendomi di studiare con cura la loro fisionomia. Uno strano diadema ornava le loro fronti, qualcosa di chiaramente simbolico, che però, complice l’oscurità comunque piuttosto fitta nonostante il chiaro di luna, non riuscivo a distinguere perfettamente. A turno, ho concentrato la mia attenzione su ciascuna di loro.

La più lontana da me aveva lunghissimi capelli neri, ondulati e piuttosto disordinati, che le ricoprivano in parte pure il volto, caratterizzato da lineamenti molto duri e marcati, per quel poco che mi era concesso di vedere. Gli occhi erano due profondi pozzi bui. Era piuttosto esile di corporatura, non molto alta, ma nonostante ciò so di non sbagliare nell’affermare che solo una parola poteva descrivere perfettamente il suo aspetto: terrificante. Per un attimo, fissando non visto quegli occhi scuri, ricordo di aver provato l’irresistibile tentazione di voltarmi e correre via, tornarmene al sicuro nella mia casetta, lontano da quella presenza minacciosa. Invece, mi costrinsi a distogliere semplicemente lo sguardo e a fissare la seconda figura.

Quest’ultima, al centro tra le altre due, aveva i capelli più corti e più ordinati, castani e lisci, e l’aspetto complessivo era decisamente meno minaccioso. Eppure, a modo suo, pur non incutendo timore nel senso più stretto del termine, pareva avvolta da un inspiegabile alone di eleganza, di grazia. Pretendeva rispetto. Era la più alta delle tre e il suo viso era certamente il più imperscrutabile.

E subito accanto, la più vicina alla mia postazione, c’era lei. Non credo ci sia modo per descrivere ciò che ho provato la prima volta che ho visto quei profondissimi occhi azzurri, brillanti di luce propria in quella notte di luna piena, i riflessi della stessa luna che giocavano con i suoi capelli neri e lucenti, creando mille riverberi di luce scintillante. Sono certo di essere rimasto a fissarla a bocca aperta per ben più tempo di quanto non ne abbia concesso alle altre due donne, che pure mi avevano incuriosito e non poco. Ma in lei, in quegli occhi dalle mille sfumature del mare, in quella figura esile ma eretta, vi era qualcosa di etereo, di stupendo, di irraggiungibile nella sua grazia che andava ben al di là del mondo umano. Incantato, fissavo il suo volto, i suoi lineamenti così fini e delicati, le labbra sottili e rosee, la pelle di un candore che non avevo mai visto prima, quei ciuffi neri ad incorniciare quel viso dall’espressione così dolce.

La differenza di età tra la ragazza più vicina a me e le altre due era evidente. Le prime erano già delle donne adulte, mentre la terza era una ragazzina, a prima vista non le avrei attribuito più dei miei anni.

Le tre donne sollevarono sulle ginocchia le vesti nere ed immersero i piedi nel fiume. Per evitare di essere scorto cercai di farmi ancora più piccolo. L’attrazione verso il mistero che aleggiava tutto attorno a loro era molta, ma al tempo stesso avevo davvero paura di essere scoperto, completamente consapevole che non avrei dovuto essere lì, che rischiavo di violare con la mia mera presenza qualcosa di sacro.

La donna al centro fu la prima ad iniziare a cantare. La sua voce era ferma e dolce al tempo stesso, il suo canto echeggiava nel silenzio della notte mischiandosi e sovrapponendosi ai rumori provocati dallo scorrere del fiume e dal vento che agitava le fronde degli alberi. Ricordo perfettamente la sensazione che ho provato, il rizzarsi dei capelli sulla mia nuca, l’accelerazione dei battiti del mio cuore, la confusione dovuta al fatto che quelle sensazioni non avevano alcun senso per me, dal momento che non riuscivo a comprendere una sola parola di quel canto. Si trattava di una lingua sconosciuta, dolce alle mie orecchie, sibilante e delicata. Il canto durò diversi minuti, quindi la donna dai capelli castani portò le mani alla fronte e si sfilò il diadema, che in quel momento riuscii a vedere più chiaramente. Una sottile catena formata da due fili d’oro e d’argento reggeva un medaglione di forma rotonda, ma ancora non riuscivo a distinguere che cosa fosse rappresentato in esso. La donna immerse il medaglione in acqua, nel punto in cui essa rifletteva la luce lunare, per tirarlo fuori dopo qualche secondo e lasciarlo ondeggiare alto sulla propria testa. Reclinò il volto all’indietro e lasciò che l’acqua scorresse dal ciondolo fin sul suo volto, il suo collo, e quindi il suo petto, inzuppando leggermente la parte superiore del suo vestito. Quindi, con lo sguardo fisso sulla luna, risistemò il diadema sulla fronte e fece un passo indietro, lasciando spazio alle proprie compagne.

Adesso era il turno della più terrificante delle tre, che prese a cantare facendo ondeggiare i lunghi capelli neri da una parte e dall’altra, con voce roca, ma non per questo fastidiosa. La sensazione di disagio che già provavo divenne però ancora più forte nell’udire il suo canto. La donna ripetè esattamente le stesse operazioni della compagna e quindi fece anche lei un passo indietro, lasciando la fanciulla dagli occhi azzurri da sola.

Me lo aspettavo già che la sua voce sarebbe stata la più incantevole. Il sussurro del vento, il cinguettio degli uccelli in primavera, il crepitio  e lo scoppiettare delle fiamme, il ticchettare della gocce d’acqua, era come se i suoni della natura fossero tutti concentrati nella sua voce meravigliosa. Quando smise di cantare avrei voluto uscire allo scoperto per chiederle di continuare, di non smettere mai di allietare il mio spirito con i suoi suoni soavi, che sembravano accompagnare la mia mente nell’oblio ed innalzarla verso il cielo, oltre le nuvole, fin sulla luna…

Incantato, fissavo i suoi movimenti perfetti, i suoi gesti armoniosi nell’immergere il diadema in acqua, portarlo in alto e lasciarsi bagnare da esso e rimetterlo al suo posto. Anche lei, quando ebbe terminato, fece un passo indietro, posizionandosi accanto alle compagne. Rimasero in silenzio per qualche minuto, quindi la più alta delle altre parlò, questa volta nella mia stessa lingua:

“Adesso l’ultima parte del Rito, sorelle. Verifichiamo se la luna ha accettato le nostre richieste”.

Stese una mano in avanti, verso un largo sasso sulla riva del fiume e pronunciò qualche incomprensibile parola a voce bassa, come se stesse parlando tra sé e sé.

Per me, in quel momento, il tempo si fermò. Infine, avevo la conferma di stare assistendo a qualcosa che andava oltre la realtà, qualcosa che non avrei mai dovuto vedere. Una scia bianca scaturì dalla sua mano protesa, viaggiò a tutta velocità verso il sasso indifeso e lo distrusse. Letteralmente, ne rimasero solo frammenti che scomparvero inghiottiti dal fiume.

Mi accorsi che stavo tremando ed ebbi paura di fare troppo rumore e di venire scoperto. La strega dai lunghi capelli neri arruffati allungò improvvisamente una mano verso un pipistrello che stava volando pigramente sopra le nostre teste ed una scia nera proveniente dalla sua mano perforò una delle sue ali, facendolo crollare a terra in evidente agonia. Non dimenticherò mai l’agghiacciante risata di quella strega. Sì, a quel punto lo avevo capito, che si trattava proprio di questo. Streghe, creature dall’aspetto umano ma dotate di poteri che di umano non avevano proprio nulla. Non ebbi però troppo tempo per affannarmi nella mia paura, perché la terza strega intervenne immediatamente, protendendo una mano verso il pipistrello ferito. Una luce azzurrognola avvolse il povero animale per qualche secondo, quindi il pipistrello, completamente guarito, si sollevò nuovamente in volo e scomparve dalla mia vista.

La strega che lo aveva ferito si rivolse quindi alla fanciulla dagli occhi azzurri con voce intrisa di scherno: “Ti faceva pena, non è vero, Leanor? Non sopporti di vedere soffrire nemmeno le più patetiche creature della Terra”.

Leanor, finalmente conoscevo il suo nome, si voltò verso di lei e le rispose con un tono glaciale, che nulla aveva a che vedere con la dolcezza del canto che poco prima era venuto fuori da quelle stesse labbra: “Stavo solo testando il Potere, Hana, solo che diversamente da te ho scelto di farlo in un modo che desse qualche vantaggio”.

“Quale vantaggio possiamo trarre dalla sopravvivenza di un essere inutile come quello?”.

“Non parlavo di un vantaggio per la nostra stirpe, Hana”.

Hana stava per replicare, probabilmente in maniera aspra, ma venne zittita dall’intervento della strega dai capelli castani, che sembrava essere quella dotata di maggiore autorità.

“Basta così, sorelle. Ciascuna di noi ha il diritto di provare il Potere come meglio crede. Adesso torniamo indietro, non manca molto all’alba, le altre ci attendono per la Celebrazione”. Detto questo, la strega allungò una mano verso le sue sorelle e sparirono tutte e tre in un turbinio di mantelli neri e fruscianti lasciandomi lì, solo, impaurito e tremante.

Non so quanto tempo mi ci volle, ma alla fine riuscii a raccogliere il coraggio necessario per rimettermi in piedi e tornare a casa. Ma di certo quella notte non riuscii a chiudere occhio. Ciò che avevo visto mi aveva profondamente sconvolto, com’era ovvio che fosse. Magia… ancora non riuscivo a crederci. Ero così eccitato e spaventato al tempo stesso, ma soprattutto curioso, desideroso di indagare, di saperne di più, di assistere ancora una volta a quella scena, di vedere di nuovo gli splendidi occhi azzurri di Leanor.

Il semplice suono di quel nome era incantevole alle mie orecchie. Credo di aver passato tutta la notte a ripeterlo a bassa voce, come una formula magica. Del resto, qualcosa di magico c’era davvero in quel nome. Il nome di una strega. Una bellissima, incantevole strega.

Nota dell'autrice: La storia si compone in totale di tre capitoli, più il prologo e l'epilogo. E' già completa sul mio pc, tuttavia la prossima settimana non potrò aggiornare perché non avrò la possibilità di utilizzare Internet. Aggiornerò quindi il 21 Settembre con il secondo capitolo. Detto questo, spero che la storia sia di vostro gradimento, dato che è la prima volta che pubblico un racconto originale su efp. Spero mi farete sapere che ve ne pare. A presto e grazie a chi ha letto e ancor più a chi vorrà recensire! Sonsimo

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: sonsimo