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Autore: abercrombjes    24/02/2013    1 recensioni
«Non importa quante altre facce incontrerai, dovrai ricordarti sempre la mia, promesso?».
«Promesso». Riuscì a pronunciare quella parola con la stessa facilità delle lacrime che cominciarono a rigarle il viso.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Justin, mi metti paura» annunciò improvvisamente.
Mi ritirai subito, senza nemmeno accorgermene. Stavo padroneggiando troppo quel ragazzo. «Scusa, ma devo contattarla immediatamente».
«Che vuoi fare ora?» domandò.
«Torno alla stazione» dico, aggiustandomi addosso il cappotto.
«Ma sei matto? Non puoi farti vedere».
«Infatti, non lo farò» replicai. Mi diressi verso il tavolino dove era ancora posata la maschera bianca. La presi e me la rigirai tra le mani, con aria schifata. Ogni volta che afferravo quell'oggetto, sentivo un impulso irrefrenabile di distruggerla. Me la infilai senza esitare ancora, mi posizionai di fronte allo specchio del bagno e mi osservai attraverso quei piccoli fori che mi permettevano di guardare. Quella cosa aveva il potere di cambiarmi, di rendermi un'altra persona. Tornai davanti agli occhi di Stefan. «Si fa alla vecchia maniera».


Sfondai la porta dell'appartamento, senza preoccuparmi se Stefan fosse dietro di me. Scesi le scale con una gran corsa e ripercorsi la strada che portava alla stazione. Mi sentivo gli occhi di tutti addosso, ma riuscii anche a notare che ovunque mi trovavo e chiunque incontravo, sentivo persone ritirarsi e nascondersi. Altri esclamarono e urlarono di paura, alcuni allontanarono i propri bambini, e altri ancora si chiusero nelle proprie macchine e scapparono via.
Arrivato alla stazione centrale, mi fermai. Non c'era stata una persona che avessi incontrato durante il tragitto, che non si fosse permesso di fermarmi o chiamare la polizia. Sapevano che sarebbero finiti in guai peggiori se l'avessero fatto.
Sentii una mano posarsi sulla mia spalla e d'istinto l'afferrai, gettando a terra l'intero corpo insieme ad essa.
Quando guardai la mia vittima in faccia mi accorsi che era Stefan.
«Cazzo, Justin» si lamentò, mettendosi in piedi e massaggiandosi ogni parte del corpo.
«Arrivi sempre nei momenti meno opportuni» gli risposi, con noncuranza.
Nel frattempo mi accorsi di aver dato un teatrino di fronte a centinaia di persone, nascoste dietro delle colonne o banconi della biglietteria.
«Ho paura che si stia mettendo male» sussurrò Stefan.
Entrambi ci trovavamo al centro di un cerchio composto da persone terrorizzate, che aspettavano una nostra mossa.
«Non mi importa, non scamperà nessuno» risposi, a tono basso.
Fissai ognuno dritto negli occhi, ruotando su me stesso lentamente. Cercai di mettere a fuoco i volti di ognuno, senza riuscire ad immaginare chi potesse essere la fonte di quella foto.
Decisi di sbottare di fronte a tutti. «Chi è stato?» urlai.
Stefan si morse il labbro inferiore, preoccupato. Era consapevole di essere coinvolto adesso.
«Qualcuno di voi quì dentro ha fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare» continuai. «E quella persona è una donna».
Tutte le signore cominciarono a spaventarsi e strabuzzare gli occhi. Impaurite.
«Precisamente: una ragazza» scandii lentamente quell'ultima parola, per far sì che tutti ascoltassero bene. «Voglio che tutte le ragazze quì presenti si facciano avanti».
Nessuno si mosse, così provai a ripetere il comando: «Subito» scandii meglio.
A passi lenti, tutte le ragazze uscirono fuori dal cerchio, distinguendosi dalle donne, ma senza avvicinarsi troppo a noi. Mantennero una distanza adeguata per far sì che in caso di allerta, sarebbero potute scappare via. Si disposero in una fila ordinata.
Le guardai tutte negli occhi, una ad una, camminando di fronte a loro. Le squadrai dalla testa ai piedi, facendogli tremare le gambe sottili. Poi mi fermai.
«Allora? Chi è stata?» domandai di nuovo, a voce calma.
Si guardarono tra di loro, con espressioni interrogative sui volti. Alzarono le spalle, senza capire di cosa stessi parlando. La cosa mi diede alquanto sui nervi, costringendomi a tornare cattivo.
«Chiunque di voi sia stata, parli, cazzo!». Cominciai ad agitarmi. Con un gesto veloce, cacciai dalla tasca una mini Revolver, che le fece saltare tutte in piedi.
«Se la colpevole non parlerà tra meno di cinque secondi, faccio saltare tutti in aria, chiaro?!» urlai, in preda al nervosismo.
Le bocche delle ragazze rimasero serrate. Nessuna sembrava essere la colpevole. O magari proprio quest'ultima non si era presentata all'appello.
«Uno.. due.. tre..». Il mio sguardo passava a quello di ogni ragazza, andando avanti con i numeri. «Quattro».
Feci spuntare un leggero sorriso sulle labbra nel vederle tutto sull'astrico, in bilico tra la morte e la speranza.
«Mi dispiace tesoro mio, avresti potuto salvarli tutti. Sei proprio cattiva» commentai facendomi scappare una risatina divertita. «Ma evidentemente sei peggio di me».
Feci per alzare il braccio e pronunciare la parola: «Cinque» giusto prima di premere il grilletto e far sputare via l'esplosivo all'interno.
Sentii Stefan correre a più non posso e io fui costretto a far cadere l'arma dalle mie mani, perchè qualcosa mi tirò giù il cappuccio, impedendomi di vedere e schiacciandomi la maschera in faccia. Senza togliere le mani dagli indumenti, l'aggressore mi tirò indietro correndo veloce e ad un certo punto sentii il vuoto sotto i piedi. Mi aveva afferrato alle spalle, quindi ebbe la forza di farmi saltare.
Riuscii a sentire l'esplosione all'interno della stazione e migliaia di persone urlare dalla paura.
Non ci stavo capendo più nulla. Percepivo solo l'aria fredda dell'esterno e i miei piedi che erano tornati a toccare il suolo.
Riuscii a tirare una gomitata allo stomaco dell'aggressore, cercando di allontanare la sua forte presa. Mi tirai indietro il cappuccio e guardai in faccia chi fosse.
Credevo fosse Stefan che mi fosse riuscito a portare via. Mi stupii, anzi, quasi mi spaventai quando mi accorsi che era una ragazza. Aveva capelli lunghi e castani, un fisico agile e un viso che a malapena riuscivo a inquadrare; era piegata in due dal dolore allo stomaco. Piangeva dalla sofferenza.
«Merda» sibilai.


La presi in braccio, portandomela sulle spalle, con la poca forza che mi aveva lasciato per colpa della presa che mi aveva indolenzito per un po' i muscoli. Corsi via con la ragazza sulla spalla, riportandomi il cappuccio in testa.
Tornai di corsa all'appartamento e per aprire la porta mezza rotta, dovetti lasciarla per terra di fronte all'ingresso.
Scassinai un po' la serratura malandata e con un calcio riuscii ad aprirla meglio. Poi mi rivolsi alla ragazza e la rimisi in spalla, chiudendo con il piede la porta dietro di me.
La guidai in camera da letto e la lasciai lì distesa, ancora piegata in due, mentre si premeva lo stomaco.
Quando chiusi la porta della stanza, ritrovai a mia sorpresa Stefan di fronte a me.
«Che cazzo hai combinato?» disse quasi sgridandomi.
«Mi ha tirato fuori dalla stazione e le ho tirato una gomitata allo stomaco, rilassati» risposi, allontanandomi in salotto.
«Ma sei pazzo?!».
Mi voltai per un secondo verso di lui, intravedendolo da dietro la mia spalla, meravigliato da quella domanda dopo tutto ciò che gli avevo raccontato su di me e dopo la scena nella stazione. «Davvero, Stefan?». Inarcai un sopracciglio.
Lui scosse la testa, quasi incredulo della sua stessa domanda idiota. «Spiegami».
«Appena ho lasciato partire l'esplosivo ero già nella sua presa, mi ha afferrato e mi ha portato fuori, come se volesse salvarmi. Pensava davvero che non me la sarei cavata da solo. E' lei la pazza, non io».
Quella scena riuscì quasi a divertirmi al ricordo.
Stefan sospirò, ormai per nulla sorpreso da ogni cosa che gli raccontavo. «Per favore, ti togli quella cosa?» disse, riferito alla maschera.
Me n'ero quasi scordato; ogni volta che la indossavo, non mi rendevo conto di nulla: del tempo, di ciò che facevo, di come mi comportavo e di cosa pensavo. Mi trasformava. Non di molto, ma diventavo diverso.
Tirai la molla dietro la testa e la tolsi, sentendomi nuovo.
La posai sul tavolino quando Stefan mi consigliò di rimetterla nel borsone, in caso fosse entrato qualcuno a controllare.
«Cosa hai intenzione di fartene con lei?» mi domandò.
Scossi la testa. «Non ne ho idea. Avevo bisogno di difendermi e l'ho fatto. Vedrò cosa farmene».
Stefan annuì.
«Tu piuttosto, sei riuscito a scappare via subito, ah?» dissi sorpreso.
«Sono veloce e me la sono già cavata in precedenza».
«Quindi sei una specie di superman?».
«Nah, è solo che so come pararmi il culo» rispose ridendo.
Risi insieme a lui e gli diedi una pacca sulla spalla, alquanto forte, ma lui non diede segni di dolore.
«Va beh, io vado. Ti lascio con "La Bella Crepata Sul Letto"» fece per aprire la porta e sparire, dopo avermi dato una specie di cazzotto sulla spalla.
Respirai a fondo e tornai a controllare la tipa. Dormiva. "Meglio così" pensai.
Improvvisamente il telefono suonò e andai a controllare il messaggio ricevuto: era Chuck.
Sentii un brivido lungo la schiena, ma lessi lo stesso.

Chuck: "Credevo non ti saresti più fatto vivo, abbiamo bisogno di tornare a farci una bevuta, figlio di puttana ;)".
Un sorrisetto accattivante spuntò sul mio viso.

 

  

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