Cap.2:
Amarti
La notte successiva tornai al fiume e attesi per
diverse ore che le streghe ricomparissero, ma invano. Andai avanti in quel modo
per una settimana. Ero spossato per la mancanza di sonno a cui costringevo il
mio corpo e mi rendevo conto perfettamente di non poter andare avanti a quel
modo. Così mi rivolsi all’unica guida che avessi mai avuto, la mia onnisciente
nonnina. Non le raccontai ciò che avevo visto, nonostante l’immensa fiducia che
provavo nei suoi confronti temevo si sarebbe spaventata e prodigata per tenermi
chiuso in casa la notte, da quel momento in poi. Le chiesi semplicemente di
raccontarmi le leggende sulle streghe che mi narrava quand’ero bambino, delle
quali avevo solo ricordi vaghi.
Quello che mi disse mi sembrò solo un mucchio di
sciocchezze. Le sue descrizioni di un popolo malvagio, spietato, crudele nulla
avevano a che vedere con la grazia, l’eleganza, la bellezza che io avevo
testimoniato quella notte. Non credetti ad una sola parola di ciò che mi disse
e proprio quello, temo, fu il primo di una lunga sequela di errori, fino al
completo precipitare degli eventi. Ma cercai di rincuorarmi al pensiero che
quelle che lei mi raccontava, dopotutto, erano solo leggende tramandate di
generazione in generazione, di cui in realtà non esisteva alcuna prova. La
nonna mi raccontò di famiglie che vivevano lì, nella nostra stessa foresta,
scomparse nel nulla senza lasciare alcuna traccia. Non potrei dire di più,
perché mi sono rifiutato di memorizzare anche una sola di quelle storie
terrificanti, nella mente un paio di magnifici occhi azzurri e nel cuore il
desiderio di rivedere la bellissima Leanor. Di tutto ciò che mi disse mia nonna
quel giorno, memorizzai soltanto due informazioni, le uniche che al momento
erano di qualche interesse per me: che, secondo la leggenda, esisteva nel
nostro paese anche una comunità di stregoni, e soprattutto, che alcuni abitanti
della foresta, in passato, avevano dichiarato di aver assistito, durante una
notte di luna piena, ad una cerimonia tenutasi sulle rive del fiume. Incapace
di attendere oltre, interruppi mia nonna:
“E tu credi che la cerimonia avvenga sempre nello
stesso modo? Voglio dire, nelle notti di luna piena?”.
Mia nonna mi fissò per qualche istante prima di
rispondermi, con uno sguardo a metà tra lo stupito e lo spaventato.
“Non capisco che cosa tu voglia dire, Cristiano.
Sono solo leggende, dopotutto”.
Improvvisamente capii che stavo rischiando. Per
quanto mia nonna potesse essere buona, comprensiva e saggia, se avesse avuto
sentore di quello che avevo visto, e soprattutto del fatto che avevo tutte le
intenzioni di rivedere quelle creature, dal mio punto di vista, meravigliose,
nonostante quella di nome Hana mi avesse intimorito, si sarebbe di certo
impaurita e avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per dissuadermi. La
guardai negli occhi e decisi che non le avrei raccontato nulla.
“Hai ragione, nonna, era solo così per dire… so che
si tratta solo di leggende”.
Mi voltai e uscii di casa tirando in ballo la scusa
della legna da raccogliere, senza voltarmi per assistere alla sua reazione.
Avevo ottenuto quello che volevo, sapevo che adesso, per rivedere Leanor, avrei
dovuto attendere il successivo plenilunio.
Trascorsi anni vivendo solo per le notti di luna
piena. Al tramonto del sole inventavo una scusa qualsiasi, mi recavo in riva al
fiume e attendevo impaziente l’arrivo di colei che ormai era parte della mia
vita, pur non sapendo nulla della mia esistenza. Osservavo tutti i suoi
movimenti sempre con lo stesso stupore per la sua grazia e la sua bellezza,
lasciavo che ogni lieve sfumatura del suo sguardo si imprimesse a fuoco nella
mia mente, per poter rivivere migliaia e migliaia di volte il ricordo di quei
momenti, durante il periodo in cui non avrei potuto vederla. Ma non avevo il
coraggio di uscire allo scoperto, consapevole del fatto che non avrei dovuto
trovarmi lì, che avrei finito col rovinare tutto, che in qualche modo, se si
fossero accorte di me, mi avrebbero impedito di rivederla. E la mia vita non
avrebbe avuto più alcun senso.
A volte, riflettendo, temevo di essere vittima di un
incantesimo. Era impossibile che la semplice immagine di una ragazza mi avesse
ossessionato al punto tale da non riuscire a pensare a nient’altro. Ma poi mi
bastava rivederla, illuminata da un raggio di luna, col suo diadema tra le mani
e le gocce d’acqua che scivolavano leggere lungo la pelle pallida del suo
collo, ed ogni dubbio scompariva senza lasciare traccia alcuna del suo
passaggio. Non era possibile rimanere indifferenti di fronte ad uno spettacolo
come quello, nessun uomo sarebbe riuscito a farlo, era questo che mi ripetevo
durante le mie notti insonni, in attesa del successivo incontro, o meglio della
successiva occasione che avrei avuto per spiarla. E’ innegabile, nonostante
tutto ciò che accadde successivamente, in quel periodo la mia era una vera e
propria ossessione. Un’ossessione malata, aggiungerei.
Poi un giorno accadde ciò che mai avrei ritenuto
possibile. La svolta della mia vita, uno di quei momenti che sconvolgono
completamente la tua esistenza, trasformando tutto di te, dal tuo modo di
pensare alla tua percezione dì ciò che ti circonda. Ancora adesso non so dove
ho trovato il coraggio per fare quello che ho fatto. E ancora una volta mi
accorgo che mi sto dilungando inutilmente nel mio racconto, cercando di
rimandare il momento in cui dovrò descrivere uno degli avvenimenti che più mi
fa male ricordare. Ma devo farlo, non posso fermarmi adesso. Posso solo
sollevare per un istante lo sguardo verso la luna che silenziosa e impassibile
brilla nel cielo oltre la finestra della mia camera da letto, prima di
riprendere a raccontare.
Una notte, alla fine del Rito, Leonor rimase
indietro rispetto alle sue compagne. Si rivolse alla più alta delle tre, di cui
ormai avevo pure imparato il nome, Merenwen, e le chiese di rimanere per un po’
da sola nella foresta, prima di fare ritorno presso il loro popolo. Venne
accontentata, e non appena le altre due streghe scomparvero, si sedette in riva
la fiume, un’espressione assorta sul suo volto. Non seppi resistere. Ero
spaventato ed eccitato, ma lasciai vincere l’eccitazione e uscii dal mio
nascondiglio ormai così ben collaudato.
Non dimenticherò mai il suo volto, la prima volta
che mi vide. Balzò in piedi, evidentemente presa alla sprovvista dalla mia
improvvisa apparizione, la confusione che alterava i suoi delicati lineamenti,
ma si ricompose immediatamente. I suoi occhi divennero gelidi, la sua
espressione impenetrabile, sembrava che nulla al mondo potesse scalfirla. La
sua voce era estremamente calma, in completo contrasto con la battaglia che in
quel momento si combatteva dentro di me.
“Chi sei?”.
Deglutii più volte, prima di riuscire a parlare. Con
improvvisa audacia, stesi una mano nella sua direzione.
“Il mio nome è Cristiano. Abito qui vicino.
Piacere”.
Leanor spostò lo sguardo dai miei occhi alla mia
mano e la fissò a lungo, come se non riuscisse a capire bene che cosa avrebbe
dovuto fare con quella mano che le veniva offerta. Quindi mi guardò di nuovo ed
io sentii tremiti attraversarmi nel profondo, sottoposto al suo freddo
scrutinio. Ma per niente al mondo, in quel momento, avrei voluto trovarmi da
un’altra parte. Improvvisamente un lampo di consapevolezza attraversò i suoi
occhi e Leanor sussurrò:
“Non sei uno stregone”.
Finalmente ritirai la mano, ancora stupidamente
protesa in avanti, e cercai di utilizzare il mio tono di voce più spavaldo.
“No. Tu sei una strega, invece”.
L’ombra di un sorriso sul suo volto e il mio cuore
balzò di gioia nel petto.
“Già, ma tu non dovresti saperlo”.
Leanor fece un passo verso di me, gli occhi
scintillanti, un angolo della bocca piegato all’insù, la sua voce ben più
sicura della mia, per quanto io potessi giudicare.
“Nessun essere umano può incontrare una strega e
passarla liscia”.
C’era qualcosa di terribilmente minaccioso nel suo
modo di pronunciare la parola “strega”. Non credo di essere capace di
trasmettere a parole quello che quel semplice vocabolo poteva diventare, se
veniva fuori dalle sue labbra. Provai l’improvvisa tentazione di fare un passo
indietro ma mi costrinsi a rimanere fermo al mio posto. Ero un uomo,
dannazione, e, poteri magici o no, non mi sarei tirato indietro come un
vigliacco impaurito di fronte ad una ragazza!
Il mio tono rimase piuttosto spavaldo.
“Non mi fai certo paura”.
A quel punto, per la prima volta, Leanor sembrò
titubare.
“No?”.
“Niente affatto”.
Mi parve molto strano che, tra tutte le emozioni che
avrebbe potuto provare nel sapere che un comune, banalissimo essere umano non
aveva paura dei suoi incredibili poteri, Leanor apparisse semplicemente
sollevata. Rincuorata. Decisi immediatamente che si trattava di una cosa
positiva e ripresi a parlare.
“Sono felice, anzi, di poter parlare con te. Erano
anni che volevo farlo ma… ecco…”.
“Anni?” la voce di Leanor era adesso leggermente
aspra, sospettosa. Ma ormai era inutile tirarsi indietro, non avrei potuto
comunque continuare a nascondermi, non dopo aver avuto la possibilità di
parlare con Leanor, faccia a faccia, di essere così vicino a lei da sentire i
suoi respiri e vedere ancora più chiaramente i suoi occhi meravigliosi. No, non
sarei più riuscito ad accontentarmi di osservarla in silenzio, mai più.
“Sì. Da quando ho visto per la prima volta la
vostra… cerimonia… sono ritornato qui al fiume durante ogni plenilunio…”.
Con un coraggio che non mi apparteneva del tutto,
aggiunsi: “Per rivederti”.
A quel punto, i suoi occhi si allargarono
leggermente, stupiti. E con mio sommo orgoglio, fu lei a fare un passo
indietro, poteri magici o no.
“E perché volevi… rivedermi, umano?”.
Imperterrito, feci un passo verso di lei.
“Chiamami Cristiano. Volevo rivederti perché…
perché…”.
Decisi di chiudere la bocca prima di rovinare tutto
iniziando a balbettare. Leanor mi tirò fuori d’impaccio, sorridendo, questa
volta apertamente.
Credo fu in quel momento che ogni possibilità,
seppur remota, di tornare indietro ed evitare ciò che accadde successivamente,
scomparve del tutto, distrutta, ridotta a brandelli da quel sorriso. Le sorrisi
di rimando e la guardai mentre si sedeva nuovamente sulla riva del fiume, nella
stessa posizione in cui si trovava prima che le comparissi davanti, e stupito
vidi il gesto col quale mi invitava a sedermi accanto a lei. Ovviamente non persi
tempo, obbedii immediatamente e più che volentieri. Trascorremmo quella prima
notte quasi completamente in silenzio, fatta eccezione per qualche mio stupido
commento sulla bellezza della luna e delle stelle, seduti immobili l’uno
accanto all’altra, le mani di Leanor che giocherellavano con i fili d’erba ed
io che osservavo rapito ogni suo gesto. Poco prima che il sole facesse capolino
all’orizzonte mi disse che era ora di andare ed in un attimo era scomparsa.
Ma quella volta tornai a casa molto più soddisfatto
rispetto alle precedenti notti di luna piena ed ancor più eccitato nell’attesa
del prossimo incontro. Certo, non mi aveva detto nulla, non aveva accennato
alla possibilità di trascorrere un altro po’ di tempo insieme dopo il
successivo Rito, ma la cosa non mi preoccupava. Ero assolutamente sicuro che
sarebbe rimasta di nuovo, il suo sorriso mi aveva detto tutto quello che dovevo
sapere.
Ed avevo perfettamente ragione. Da quel momento, ad
ogni plenilunio, Leanor riusciva a rimanere indietro rispetto alle sue compagne
al termine del Rito e trascorrevamo delle splendide ore seduti sulla riva del
fiume, dimentichi del mondo esterno. A poco a poco riuscimmo a superare
l’iniziale barriera della timidezza e a parlare sempre di più, di qualunque
cosa ci passasse per la testa. Io le raccontavo della mia vita, del modo in cui
trascorrevo le mie giornate, e lei mi parlava del suo popolo, della loro
cultura, del suo ruolo all’interno di quella comunità. Venni a sapere che lei,
Hana e Marenwen avevano il ruolo di sacerdotesse, che quel Rito durante le
notti di luna piena aveva lo scopo di garantire alla comunità di streghe il
favore della luna, loro protettrice e, a detta di Leanor, fonte dei loro
poteri. Ad essere sincero, quando si addentrava in descrizioni troppo
dettagliate sulla natura dei loro poteri capivo ben poco di quello che mi
diceva. In gran parte rimaneva un grande, arcano mistero per me.
Una sera in particolare osservai con attenzione il diadema che Leanor portava sulla fronte e le chiesi che cosa significasse. Lei si avvicinò per permettermi di guardarlo meglio ed io vidi che in esso era raffigurata una falce di luna bianca su fondo nero. Non furono necessarie ulteriori spiegazioni perché ormai mi era chiaro che le streghe consideravano la luna fonte dei loro poteri. I miei occhi resistettero solo qualche secondo prima di abbandonare il diadema e concentrarsi su quelli di Leanor, già fissi nei miei. Quella fu la prima volta che posai le mie labbra sulle sue.
Durante il Rito successivo accadde qualcosa di strano. Prima che Merenwen e Hana se ne andassero, quest’ultima si voltò nella direzione del mio nascondiglio, gli occhi ridotti a due fessure sospettose. Per un attimo temetti che si fosse accorta della mia presenza, ma poi si voltò e se ne andò, così mi concentrai solo sulla mia bellissima strega e dimenticai completamente l’accaduto.
Nota dell'autrice:
Aggiornamento anticipato! Grazie di cuore a Martyx, Yami e Dark Ailbhe
per aver recensito, mi avete fatto un immenso piacere e spero che,
andando avanti, la storia sia all'altezza delle vostre aspettative. Al
prossimo aggiornamento, che con ogni probabilità avverrà
nel prossimo fine settimana!