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Autore: sonsimo    15/09/2007    3 recensioni
Questa storia è stata scritta per il contest "Fairies and Witches" (link: http://writersarena.forumfree.net/?t=18857034), indetto sul forum Writers Arena.
Svegliato di soprassalto da un incubo, Cristiano decide di mettere per iscritto le sue memorie, in modo che un giorno la figlia possa conoscere la verità sulle proprie origini. Una storia d'amore, ma triste e dolorosa. Spero di riuscire a strapparvi qualche emozione.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap.2: Amarti

Cap.2: Amarti

La notte successiva tornai al fiume e attesi per diverse ore che le streghe ricomparissero, ma invano. Andai avanti in quel modo per una settimana. Ero spossato per la mancanza di sonno a cui costringevo il mio corpo e mi rendevo conto perfettamente di non poter andare avanti a quel modo. Così mi rivolsi all’unica guida che avessi mai avuto, la mia onnisciente nonnina. Non le raccontai ciò che avevo visto, nonostante l’immensa fiducia che provavo nei suoi confronti temevo si sarebbe spaventata e prodigata per tenermi chiuso in casa la notte, da quel momento in poi. Le chiesi semplicemente di raccontarmi le leggende sulle streghe che mi narrava quand’ero bambino, delle quali avevo solo ricordi vaghi.

Quello che mi disse mi sembrò solo un mucchio di sciocchezze. Le sue descrizioni di un popolo malvagio, spietato, crudele nulla avevano a che vedere con la grazia, l’eleganza, la bellezza che io avevo testimoniato quella notte. Non credetti ad una sola parola di ciò che mi disse e proprio quello, temo, fu il primo di una lunga sequela di errori, fino al completo precipitare degli eventi. Ma cercai di rincuorarmi al pensiero che quelle che lei mi raccontava, dopotutto, erano solo leggende tramandate di generazione in generazione, di cui in realtà non esisteva alcuna prova. La nonna mi raccontò di famiglie che vivevano lì, nella nostra stessa foresta, scomparse nel nulla senza lasciare alcuna traccia. Non potrei dire di più, perché mi sono rifiutato di memorizzare anche una sola di quelle storie terrificanti, nella mente un paio di magnifici occhi azzurri e nel cuore il desiderio di rivedere la bellissima Leanor. Di tutto ciò che mi disse mia nonna quel giorno, memorizzai soltanto due informazioni, le uniche che al momento erano di qualche interesse per me: che, secondo la leggenda, esisteva nel nostro paese anche una comunità di stregoni, e soprattutto, che alcuni abitanti della foresta, in passato, avevano dichiarato di aver assistito, durante una notte di luna piena, ad una cerimonia tenutasi sulle rive del fiume. Incapace di attendere oltre, interruppi mia nonna:

“E tu credi che la cerimonia avvenga sempre nello stesso modo? Voglio dire, nelle notti di luna piena?”.

Mia nonna mi fissò per qualche istante prima di rispondermi, con uno sguardo a metà tra lo stupito e lo spaventato.

“Non capisco che cosa tu voglia dire, Cristiano. Sono solo leggende, dopotutto”.

Improvvisamente capii che stavo rischiando. Per quanto mia nonna potesse essere buona, comprensiva e saggia, se avesse avuto sentore di quello che avevo visto, e soprattutto del fatto che avevo tutte le intenzioni di rivedere quelle creature, dal mio punto di vista, meravigliose, nonostante quella di nome Hana mi avesse intimorito, si sarebbe di certo impaurita e avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per dissuadermi. La guardai negli occhi e decisi che non le avrei raccontato nulla.

“Hai ragione, nonna, era solo così per dire… so che si tratta solo di leggende”.

Mi voltai e uscii di casa tirando in ballo la scusa della legna da raccogliere, senza voltarmi per assistere alla sua reazione. Avevo ottenuto quello che volevo, sapevo che adesso, per rivedere Leanor, avrei dovuto attendere il successivo plenilunio.

Trascorsi anni vivendo solo per le notti di luna piena. Al tramonto del sole inventavo una scusa qualsiasi, mi recavo in riva al fiume e attendevo impaziente l’arrivo di colei che ormai era parte della mia vita, pur non sapendo nulla della mia esistenza. Osservavo tutti i suoi movimenti sempre con lo stesso stupore per la sua grazia e la sua bellezza, lasciavo che ogni lieve sfumatura del suo sguardo si imprimesse a fuoco nella mia mente, per poter rivivere migliaia e migliaia di volte il ricordo di quei momenti, durante il periodo in cui non avrei potuto vederla. Ma non avevo il coraggio di uscire allo scoperto, consapevole del fatto che non avrei dovuto trovarmi lì, che avrei finito col rovinare tutto, che in qualche modo, se si fossero accorte di me, mi avrebbero impedito di rivederla. E la mia vita non avrebbe avuto più alcun senso.

A volte, riflettendo, temevo di essere vittima di un incantesimo. Era impossibile che la semplice immagine di una ragazza mi avesse ossessionato al punto tale da non riuscire a pensare a nient’altro. Ma poi mi bastava rivederla, illuminata da un raggio di luna, col suo diadema tra le mani e le gocce d’acqua che scivolavano leggere lungo la pelle pallida del suo collo, ed ogni dubbio scompariva senza lasciare traccia alcuna del suo passaggio. Non era possibile rimanere indifferenti di fronte ad uno spettacolo come quello, nessun uomo sarebbe riuscito a farlo, era questo che mi ripetevo durante le mie notti insonni, in attesa del successivo incontro, o meglio della successiva occasione che avrei avuto per spiarla. E’ innegabile, nonostante tutto ciò che accadde successivamente, in quel periodo la mia era una vera e propria ossessione. Un’ossessione malata, aggiungerei.

Poi un giorno accadde ciò che mai avrei ritenuto possibile. La svolta della mia vita, uno di quei momenti che sconvolgono completamente la tua esistenza, trasformando tutto di te, dal tuo modo di pensare alla tua percezione dì ciò che ti circonda. Ancora adesso non so dove ho trovato il coraggio per fare quello che ho fatto. E ancora una volta mi accorgo che mi sto dilungando inutilmente nel mio racconto, cercando di rimandare il momento in cui dovrò descrivere uno degli avvenimenti che più mi fa male ricordare. Ma devo farlo, non posso fermarmi adesso. Posso solo sollevare per un istante lo sguardo verso la luna che silenziosa e impassibile brilla nel cielo oltre la finestra della mia camera da letto, prima di riprendere a raccontare.

Una notte, alla fine del Rito, Leonor rimase indietro rispetto alle sue compagne. Si rivolse alla più alta delle tre, di cui ormai avevo pure imparato il nome, Merenwen, e le chiese di rimanere per un po’ da sola nella foresta, prima di fare ritorno presso il loro popolo. Venne accontentata, e non appena le altre due streghe scomparvero, si sedette in riva la fiume, un’espressione assorta sul suo volto. Non seppi resistere. Ero spaventato ed eccitato, ma lasciai vincere l’eccitazione e uscii dal mio nascondiglio ormai così ben collaudato.

Non dimenticherò mai il suo volto, la prima volta che mi vide. Balzò in piedi, evidentemente presa alla sprovvista dalla mia improvvisa apparizione, la confusione che alterava i suoi delicati lineamenti, ma si ricompose immediatamente. I suoi occhi divennero gelidi, la sua espressione impenetrabile, sembrava che nulla al mondo potesse scalfirla. La sua voce era estremamente calma, in completo contrasto con la battaglia che in quel momento si combatteva dentro di me.

“Chi sei?”.

Deglutii più volte, prima di riuscire a parlare. Con improvvisa audacia, stesi una mano nella sua direzione.

“Il mio nome è Cristiano. Abito qui vicino. Piacere”.

Leanor spostò lo sguardo dai miei occhi alla mia mano e la fissò a lungo, come se non riuscisse a capire bene che cosa avrebbe dovuto fare con quella mano che le veniva offerta. Quindi mi guardò di nuovo ed io sentii tremiti attraversarmi nel profondo, sottoposto al suo freddo scrutinio. Ma per niente al mondo, in quel momento, avrei voluto trovarmi da un’altra parte. Improvvisamente un lampo di consapevolezza attraversò i suoi occhi e Leanor sussurrò:

“Non sei uno stregone”.

Finalmente ritirai la mano, ancora stupidamente protesa in avanti, e cercai di utilizzare il mio tono di voce più spavaldo.

“No. Tu sei una strega, invece”.

L’ombra di un sorriso sul suo volto e il mio cuore balzò di gioia nel petto.

“Già, ma tu non dovresti saperlo”.

Leanor fece un passo verso di me, gli occhi scintillanti, un angolo della bocca piegato all’insù, la sua voce ben più sicura della mia, per quanto io potessi giudicare.

“Nessun essere umano può incontrare una strega e passarla liscia”.

C’era qualcosa di terribilmente minaccioso nel suo modo di pronunciare la parola “strega”. Non credo di essere capace di trasmettere a parole quello che quel semplice vocabolo poteva diventare, se veniva fuori dalle sue labbra. Provai l’improvvisa tentazione di fare un passo indietro ma mi costrinsi a rimanere fermo al mio posto. Ero un uomo, dannazione, e, poteri magici o no, non mi sarei tirato indietro come un vigliacco impaurito di fronte ad una ragazza! Il mio tono rimase piuttosto spavaldo.

“Non mi fai certo paura”.

A quel punto, per la prima volta, Leanor sembrò titubare.

“No?”.

“Niente affatto”. 

Mi parve molto strano che, tra tutte le emozioni che avrebbe potuto provare nel sapere che un comune, banalissimo essere umano non aveva paura dei suoi incredibili poteri, Leanor apparisse semplicemente sollevata. Rincuorata. Decisi immediatamente che si trattava di una cosa positiva e ripresi a parlare.

“Sono felice, anzi, di poter parlare con te. Erano anni che volevo farlo ma… ecco…”.

“Anni?” la voce di Leanor era adesso leggermente aspra, sospettosa. Ma ormai era inutile tirarsi indietro, non avrei potuto comunque continuare a nascondermi, non dopo aver avuto la possibilità di parlare con Leanor, faccia a faccia, di essere così vicino a lei da sentire i suoi respiri e vedere ancora più chiaramente i suoi occhi meravigliosi. No, non sarei più riuscito ad accontentarmi di osservarla in silenzio, mai più.

“Sì. Da quando ho visto per la prima volta la vostra… cerimonia… sono ritornato qui al fiume durante ogni plenilunio…”.

Con un coraggio che non mi apparteneva del tutto, aggiunsi: “Per rivederti”.

A quel punto, i suoi occhi si allargarono leggermente, stupiti. E con mio sommo orgoglio, fu lei a fare un passo indietro, poteri magici o no.

“E perché volevi… rivedermi, umano?”.

Imperterrito, feci un passo verso di lei.

“Chiamami Cristiano. Volevo rivederti perché… perché…”.

Decisi di chiudere la bocca prima di rovinare tutto iniziando a balbettare. Leanor mi tirò fuori d’impaccio, sorridendo, questa volta apertamente.

Credo fu in quel momento che ogni possibilità, seppur remota, di tornare indietro ed evitare ciò che accadde successivamente, scomparve del tutto, distrutta, ridotta a brandelli da quel sorriso. Le sorrisi di rimando e la guardai mentre si sedeva nuovamente sulla riva del fiume, nella stessa posizione in cui si trovava prima che le comparissi davanti, e stupito vidi il gesto col quale mi invitava a sedermi accanto a lei. Ovviamente non persi tempo, obbedii immediatamente e più che volentieri. Trascorremmo quella prima notte quasi completamente in silenzio, fatta eccezione per qualche mio stupido commento sulla bellezza della luna e delle stelle, seduti immobili l’uno accanto all’altra, le mani di Leanor che giocherellavano con i fili d’erba ed io che osservavo rapito ogni suo gesto. Poco prima che il sole facesse capolino all’orizzonte mi disse che era ora di andare ed in un attimo era scomparsa.

Ma quella volta tornai a casa molto più soddisfatto rispetto alle precedenti notti di luna piena ed ancor più eccitato nell’attesa del prossimo incontro. Certo, non mi aveva detto nulla, non aveva accennato alla possibilità di trascorrere un altro po’ di tempo insieme dopo il successivo Rito, ma la cosa non mi preoccupava. Ero assolutamente sicuro che sarebbe rimasta di nuovo, il suo sorriso mi aveva detto tutto quello che dovevo sapere.

Ed avevo perfettamente ragione. Da quel momento, ad ogni plenilunio, Leanor riusciva a rimanere indietro rispetto alle sue compagne al termine del Rito e trascorrevamo delle splendide ore seduti sulla riva del fiume, dimentichi del mondo esterno. A poco a poco riuscimmo a superare l’iniziale barriera della timidezza e a parlare sempre di più, di qualunque cosa ci passasse per la testa. Io le raccontavo della mia vita, del modo in cui trascorrevo le mie giornate, e lei mi parlava del suo popolo, della loro cultura, del suo ruolo all’interno di quella comunità. Venni a sapere che lei, Hana e Marenwen avevano il ruolo di sacerdotesse, che quel Rito durante le notti di luna piena aveva lo scopo di garantire alla comunità di streghe il favore della luna, loro protettrice e, a detta di Leanor, fonte dei loro poteri. Ad essere sincero, quando si addentrava in descrizioni troppo dettagliate sulla natura dei loro poteri capivo ben poco di quello che mi diceva. In gran parte rimaneva un grande, arcano mistero per me.

Una sera in particolare osservai con attenzione il diadema che Leanor portava sulla fronte e le chiesi che cosa significasse. Lei si avvicinò per permettermi di guardarlo meglio ed io vidi che in esso era raffigurata una falce di luna bianca su fondo nero. Non furono necessarie ulteriori spiegazioni perché ormai mi era chiaro che le streghe consideravano la luna fonte dei loro poteri. I miei occhi resistettero solo qualche secondo prima di abbandonare il diadema e concentrarsi su quelli di Leanor, già fissi nei miei. Quella fu la prima volta che posai le mie labbra sulle sue.

Durante il Rito successivo accadde qualcosa di strano. Prima che Merenwen e Hana se ne andassero, quest’ultima si voltò nella direzione del mio nascondiglio, gli occhi ridotti a due fessure sospettose. Per un attimo temetti che si fosse accorta della mia presenza, ma poi si voltò e se ne andò, così mi concentrai solo sulla mia bellissima strega e dimenticai completamente l’accaduto.

Nota dell'autrice: Aggiornamento anticipato! Grazie di cuore a Martyx, Yami e Dark Ailbhe per aver recensito, mi avete fatto un immenso piacere e spero che, andando avanti, la storia sia all'altezza delle vostre aspettative. Al prossimo aggiornamento, che con ogni probabilità avverrà nel prossimo fine settimana!



  
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