Anime & Manga > I cinque samurai
Segui la storia  |       
Autore: Kourin    28/02/2013    2 recensioni
La fiamma rossastra di una candela si accese, permettendo agli occhi di Seiji di esplorare la stanza. Intravide alcuni mobili, uno specchio, delle spade. La parete recava dipinta una battaglia dove si scontravano eserciti di uomini in armatura. I loro volti, deformati dalla collera, non li rendevano dissimili da un'orda di feroci oni.
Lui era seduto lì, le spalle coperte da un tetro haori, capelli ribelli, perfidi occhi di notte, il volto sfregiato da un antico taglio di spada.
“Anubis. Il tempo della nostra guerra è finito. Perché sei venuto da me?”

Questa storia si colloca in un momento imprecisato dopo Message. I personaggi sono Seiji e Anubis, con la partecipazione straordinaria di Ryō.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cale, Ryo Sanada, Sage Date
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lasciami passare
(Tōryanse)
 
3. Il calore della Fiamma


Seiji sistemò i capelli che gli erano ricaduti sul viso, poi aggiustò il kimono tenuto ben saldo al suo corpo da un obi chiaro percorso da una cordicella. Seguì con lo sguardo i motivi dorati che la attraversavano. Non era solo il freddo ad impedirgli di togliere quell’abito: era grazie a quei colori se il suo spirito era protetto dalla tristezza. Che assurda situazione: più tentava di dimenticare quel kimono ricacciandolo nei recessi della memoria, più il ricordo emergeva rivelandosi importante. Evidentemente i nonni che gli avevano imposto quella vetusta tradizione non erano stati guidati da ottusità o follia come in molti avrebbero potuto pensare.
Seiji iniziò a richiudere le porte rimaste spalancate. Eseguì l'operazione lentamente, perché lo scorrere del legno nelle guide sembrava liberare un fragore inaudito. Dopo un momento di esitazione, decise di lasciare aperta quella che si affacciava sul giardino, poiché la neve era l'unico elemento in grado di riflettere la scarsa luce presente. Rimise al loro posto le spade, raccolse i cocci degli oggetti che il vento aveva infranto. Il pavimento della casa scricchiolava appena sotto il suo peso, tenendogli compagnia in quella surreale attività di riordino. A pensarci, era strano che gli fosse possibile toccare tutte quelle cose. Egli dopotutto non faceva parte di quella... Realtà? Dimensione? Se mai fosse tornato indietro, avrebbe potuto chiedere a Tōma se conosceva un termine scientificamente appropriato per definire lo spazio che stava percorrendo in lungo e in largo, tuttavia sapeva che, una volta scoperto, non sarebbe stato di nessuna utilità. Il mondo delle armature non sempre seguiva i principi della logica umana e gli esseri umani del ventesimo secolo non credevano nell'esistenza del mondo delle armature. Seiji stesso sarebbe stato ben felice di catalogare l'esperienza che stava vivendo come sogno, riporla in un polveroso archivio e tornare a respirare l'aria cristallina di un'ordinaria giovinezza.
Quando ogni oggetto fu di nuovo al proprio posto, Seiji si inginocchiò accanto all'essere umano che aveva conosciuto come Anubis. Stando al racconto, quando era divenuto Generale Demone doveva essere stato ancora adolescente. Nel mondo degli yōja gli anni scorrevano come secoli: a rigor di logica avrebbe dovuto dimostrare all'incirca la sua stessa età, eppure appariva più vecchio. Se fosse vissuto nell'era Sengoku, probabilmente anche Seiji sarebbe invecchiato prima sia nel fisico che nell'animo. Durante la guerra contro Arago la forza per resistere al Male gli era stata donata dai compagni, ma era certo che se avesse agito in solitudine sarebbe stato facilmente corrotto dalla forza di Kōrin.
Quando le armature erano andate distrutte, i Samurai Troopers avevano provato gioia e sollievo. Perché mai invece questa creatura, liberata dalla schiavitù dell'armatura, aveva manifestato l'intenzione di combattere?
Seiji passò le braccia sotto le spalle di Anubis, lo sollevò in modo che la testa poggiasse sulle sue ginocchia e scostò i capelli che gli nascondevano la fronte. Accanto alla cicatrice pulsava flebile la luce di Kō. Seiji non vi avvertiva nulla di malvagio, perché quel cuore era stato purificato nel momento stesso in cui era passato al Bene. Eppure poco prima gli occhi si erano rivelati scuri, ancora ricolmi di un'ira protrattasi per secoli. C'era un'unica spiegazione plausibile: in quel cuore mancava la Luce. Probabilmente Anubis la stava disperatamente ricercando così come lui stesso in segreto ricercava la pace dell'Oscurità. A pensarci bene, non aveva mai potuto toccare la tenebra come stava facendo in quel momento, senza combatterla e senza provare inquietudine. Davvero non esisteva più ragione di temerla?
Il cuore sembrò rispondere a quei pensieri perché il chiarore leggero di Rei iniziò ad irradiare nella stanza. Kō rispose, aumentando d'intensità il suo alone rossastro.
Allora un tintinnio giunse alle orecchie di Seiji. Proveniva dall'esterno. Un animale bianco simile ad un lupo si stava facendo strada nel manto nevoso portando uno shakujō stretto tra le fauci. Con un balzo l'animale entrò nella stanza, posò l'oggetto ai piedi di Seiji, si scrollò di dosso la neve e si accucciò mansueto. Aveva occhi dorati, cangianti, come se dietro le iridi si estendesse il cielo di un altro mondo attraversato da impalpabili nubi. Stranamente si lasciava osservare, non aveva paura dello sguardo del samurai che così spesso incuteva timore negli esseri viventi. “Che cosa sei?” Chiese Seiji. “Un cane selvatico?” Quando tese la mano l'animale dapprima la annusò, poi iniziò a leccarla.
Fu in quel momento che sentì di nuovo quella voce. Era maschile, profonda, eterna. Era la voce di Kaosu.
Shikkoku fu forgiata insieme a Kōrin e fu distrutta insieme ad essa. Ricreata a partire dai ricordi di una tragedia, Kōrin è nuovamente apparsa nel mondo degli uomini. Ma così come la luce più intensa proietta l'ombra più scura, nel mondo degli uomini è riapparsa anche Shikkoku. Ora è solo oscurità incontrollata: non ha una forma né uno scopo. Sta a te donarle l'aspetto che mostrerà nel mondo degli uomini e riaffidarla al cuore che deciderà la causa per cui combattere.
Seiji scosse il capo. “Dovresti sapere che noi Samurai Troopers abbiamo finito per odiare le armature. Il destino delle armature è una condanna, perché proprio io dovrei continuare ad infliggerla?”
Arago impedì al Samurai di Shikkoku di portare a compimento il suo Destino. Non è forse un atto vicino a ciò che definisci 'condanna'?”
“Potrebbe cadere di nuovo in preda al Male.”
No, se lo guiderà la Luce.”
Seiji si alzò in piedi e affermò: “Il cuore che guida la Luce è fragile.”
La Luce non è sola.”
Lo shakujō iniziò ad illuminarsi, Seiji lo raccolse con cautela. “Non sono in grado di fare una cosa del genere,” disse rivolto alla propria immagine riflessa nel metallo.


Quando era sceso alla stazione degli autobus di Sendai erano quasi le sei del mattino. Faceva molto freddo ed era ancora buio. Poiché non aveva chiuso occhio, Ryō si sentiva intontito e intirizzito. L'inverno non era decisamente la sua stagione preferita. Si coprì il viso con la sciarpa e si rifugiò subito nella stazione dei treni. Stava controllando di avere a disposizione qualche spicciolo per prendersi una bevanda calda, quando notò una mappa della città. Si affrettò a consultarla. Indicava tutti i luoghi di interesse turistico: il tempio Ōsaki Hachiman, il mausoleo Zuihoden, il castello Aoba... Anche se non era una metropoli, Sendai si estendeva su un territorio decisamente vasto.
“Da dove comincio?” Furono le parole che si lasciò sfuggire preso da un momentaneo sconforto.
“Sei un turista?” Chiese una voce alle sue spalle. Quando Ryō si voltò vide una donna delle pulizie piuttosto anziana. Aveva interrotto la sua attività e gli stava sorridendo.
“Beh... circa, sì.” Rispose tentando di ricambiare il sorriso.
“Tutti i turisti per prima cosa vanno a vedere il castello, ma a quest'ora non ci sono autobus, dovrai aspettare un po'.”
“Ma ci si può arrivare anche a piedi, no?”
“Sì, certo: dovresti proseguire dritto lungo la via Aoba, ma ci impiegheresti almeno quaranta minuti e dovresti fare un bel pezzo in salita. Non ne vale la pena.”
Ryō ringraziò e si diresse di corsa verso l'uscita.
La via Aoba era un largo viale percorso da una doppia fila di olmi giapponesi. I loro rami erano avvolti da luminarie e risplendevano in maniera incredibile. Era come trovarsi in mezzo alla via Lattea, sospesi dal mondo. Ryō, che non aveva mai visto niente del genere, si soffermò ad osservare la disposizione delle lampadine finché l'intreccio nei rami si perse nel cielo che iniziava ad albeggiare. Allora tutto si spense, all'improvviso, lasciandolo interdetto. Tuttavia quando tornò a guardare davanti a sé si accorse che le luminarie del settore successivo erano ancora accese. Riprese a correre nella neve mista a fango, raggiungendo ogni volta un gruppo di luci prima che si spegnesse, ignorando l'aria gelida che provava a rallentare la sua corsa trafiggendogli i polmoni.


Davanti a Seiji avvampò un'enorme fiamma che ardeva in un braciere di forma quadrata. Lingue di fuoco si intrecciavano a lingue di oscurità ed entrambe tendevano verso l'alto, liberando scintille che danzavano come petali in mezzo alla tempesta. L'ambiente in cui si trovava era delimitato da lunghi drappi di seta finemente decorati che ondeggiavano accarezzati dalle correnti generate dal calore. Su quelli più scuri si potevano scorgere animali e paesaggi, quelli più chiari erano attraversati da fiori di pruno. Dietro alle stoffe si potevano intravedere scorci di tenebre annunciate da gelidi spifferi. Ai piedi del braciere giacevano sparpagliati i frammenti di un'armatura, che Seiji riconobbe subito come quella dell'Oscurità. Anubis le giaceva accanto ancora privo di conoscenza, come se fosse anch'egli un oggetto da ricomporre.
Lo shakujō di Kaosu era ancora nelle mani di Seiji, che lo piantò in terra. Poi si avvicinò con decisione all'armatura. Ne aveva da poco scoperto il nome: Shikkoku. Aveva una foggia che ricordava quelle occidentali e consentiva una certa agilità nel combattimento. Chissà con quale intento o ricordo era stata plasmata. Era inutile chiedersi perché il compito di restaurarla fosse stato affidato proprio a lui: ad un Samurai Trooper non era mai permesso di dubitare del proprio cuore.
Con prudenza sfiorò l'elmo spezzato. Il rosario che cingeva il polso di Seiji tornò ad illuminarsi, poi una fluida colata cremisi si propagò lungo le fratture conferendo all'elmo un nuovo aspetto. La decorazione frontale era scomparsa, lasciando il posto a due elementi laterali che ricordavano appuntite orecchie canine, mentre il metallo bruno era stato sostituito da un materiale somigliante all'acciaio. Seiji proseguì con le parti successive. Rinsaldò bracciali e gambali, dove le crepe vennero colmate da decorazioni di colore nero e rosso cupo; in corrispondenza del bracciale destro si riformarono gli artigli. Dal pettorale e dai fianchi invece si ritrassero completamente le zanne. Le perle del rosario svanirono una dopo l'altra finché rimase solo il magatama, il ricordo più scuro, che corrispondeva alla spada. Dell'originale erano rimaste solo schegge. Seiji si bloccò, scosso da un brivido di repulsione. Aveva sperimentato sulla propria pelle la potenza di quell'arma. Non avrebbe mai dimenticato il dolore provocato dalla lama che squarciava la sua Luce. Istintivamente bloccò il respiro, cercò di ignorare le sue sensazioni e toccò i resti dell'impugnatura. Tutto l'ambiente sembrò collassare. La fiamma soffocò fino a scomparire all'interno del braciere, ma pochi istanti dopo riavvampò violentemente per avvolgere nel suo calore Seiji che, fermo in posizione di guardia, impugnava una spada lunga dalla lama integra e scura. Come un buco nero in grado ingoiare le stelle, l'arma assorbiva le scintille che volteggiavano caoticamente intorno. Il contatto scatenò una violenta sensazione di nausea nel corpo di Seiji, che si affrettò quindi a riporre la spada accanto all'armatura a cui apparteneva.
“Ho finito,” sentenziò asciugandosi il sudore che gli colava dalla fronte. Ogni parte era stata riforgiata: aveva portato a termine ciò che gli era stato richiesto.
Eppure c'era qualcosa che non lo convinceva.


Era appena giunto ai piedi del colle, quando ruzzolò a terra dopo essere scivolato su una spessa lastra di ghiaccio. Ryō approfittò della caduta per riprendere fiato prima di affrontare la strada che saliva a tornanti nel bosco. Si trattava del parco che circondava il castello: volendo avrebbe potuto attraversarlo evitando così l'asfalto gelato. Stava cercando l'eventuale presenza di un sentiero quando scorse un movimento in mezzo ai ciliegi dormienti. Aguzzò lo sguardo e disse piano: “Ehi.” Allora da un tronco fece capolino il muso di un animale. Pareva un cane, ma la sua figura era insolita. Aveva strani occhi dorati che fissavano intensamente Ryō, quasi aspettasse di essere interpellato.
Allora Ryō chiese: “Sto cercando un mio amico, si chiama Seiji, sai dove si trova?”
In risposta ricevette un guaito.
“Per favore, portami da lui.”
L'animale iniziò a trotterellare nel sottobosco ancora coperto dalla neve vergine, poi si voltò. Ryō non ci pensò su due volte e lo seguì. “Grazie!” Esclamò.
Il percorso si rivelò più lungo del previsto. Si erano inoltrati in un bosco che cresceva al limitare di una grande città, eppure sembrava di stare percorrendo la vastità di una foresta. Il labirinto di tronchi, sempre più fitto, faceva perdere senso dell'orientamento. Di tanto in tanto si imbattevano in gruppi di rocce dalla forma strana che pareva sempre di avere già visto. Con la coda dell'occhio Ryō scorse altri cani dalla pelliccia grigia e fulva che li seguivano da lontano: più che ostili sembravano intimoriti, e si facevano sempre più numerosi. Forse si trattava di un intero branco, forse erano lupi.
“Seiji, perdonami se ti sto facendo aspettare,” mormorò Ryō mentre affrettava il passo per raggiungere la sua guida. Pareva intenzionata ad attraversare un torrente: dove diavolo lo stava portando?


Seiji ricompose Shikkoku sullo scranno e si soffermò ad osservarla per capire se il suo lavoro presentasse delle imprecisioni. Le componenti si incastravano alla perfezione, le parti destra e sinistra erano simmetriche, le proporzioni complessive risultavano corrette: l'armatura era da ritenersi terminata senza alcuna ombra di dubbio.
Cercò di immaginarla indosso ad Anubis poiché era indiscutibile, anche se difficile da accettare, che il samurai e la propria armatura dovessero in qualche modo assomigliarsi.
Ripensò all'abilità con cui sapeva utilizzare la spada, all'atteggiamento che, nonostante la corruzione, lasciava trasparire il senso dell'onore e infine alla sua storia segnata dal tradimento. Si sorprese di scorgere in lui una certa bellezza, la stessa che nasce dall'inquietudine degli uomini quando brancolano nell'Oscurità. Era forse questa bellezza che mancava per completare Shikkoku. Serviva ancora un ricordo, l'ultimo. L'unico a disposizione era quello che Seiji stava indossando.
'La Luce non è sola', aveva detto Kaosu.
Seiji fissò il fuoco. La sua presenza non era un'illusione, ne poteva percepire il calore sul volto e sulle mani. Sarebbe stato quel calore a permettergli di sopravvivere se si fosse spogliato del kimono. Tentò di slacciare la cordicella dorata, ma non ci riuscì. Provò a togliere ugualmente l'obi, ma anche quest'ultimo rimase tenacemente stretto al suo corpo. Allora Seiji appoggiò la mano sulla fronte di Anubis. “Svegliati,” disse facendo appello al cuore, così come aveva imparato a fare con i suoi compagni Samurai Troopers. Si sentiva un folle nel cercare la collaborazione di quell'uomo, ma non c'era davvero altra via.


Erano trascorsi quattro secoli da quando Kujūrō era stato risvegliato per l'ultima volta da un richiamo gentile. Durante la vita mortale, in primavera, era stato accarezzato dai raggi mattutini filtrati attraverso giovani foglie. Tutti sapevano che Luce non si poteva toccare, eppure era certo di averne percepito il tocco fisico. Un contatto speciale, riservato a lui solo, che in fondo non era altro che un figlio della povera gente di Ōu.
Quando aprì gli occhi vide la chioma dorata di Kōrin risplendere come un'aura. I capelli ricaduti in avanti celavano solo parzialmente un volto femmineo da cui si spalancavano occhi dalla limpidezza inscalfibile. Uno strano riverbero rossastro cercava insistentemente di penetrarli, e quando Kujūrō si voltò per identificare l'autore di quell'affronto vide il fuoco che ardeva vigoroso alle spalle di un'imponente armatura nera: Shikkoku, impossibile non riconoscerla. Sembrava un lupo solitario, scuro come la notte e accucciato in attesa di qualcosa. Kujūrō fece per alzarsi, ma la mano del samurai lo fermò. “Non è ancora terminata, a quanto pare manca un ricordo. È quello che indosso. Aiutami a toglierlo.”
Kujūrō indugiò nell'osservare il kimono verde che proteggeva il corpo mortale di Kōrin. “Moriresti senza quel vestito. Questo non è un luogo in cui i vivi possano resistere a lungo.”
“Ti preoccupi per me?” Dal tono del samurai non si capiva se si trattasse di sarcasmo o curiosità.
Kujūrō rise. In ogni caso quel ragazzo non sapeva come fossero fatti i sentimenti umani corrosi dal Male. Disse: “Ho fatto crollare le tue certezze per vedere la disperazione nei tuoi occhi, ho colpito i tuoi punti deboli per sentirti urlare di dolore. Tu diventavi più forte e riuscivi a battermi, io godevo al pensiero di sfidarti ancora per dimostrare che non avevi raggiunto un bel niente. Non ti ho voluto morto allora, non lo voglio neppure adesso. Tu mi sei necessario così come io sono necessario a te.”
Lo sguardo di Kōrin assunse l'aspetto minaccioso di una lama. “Il Fuoco mi proteggerà. Tu dovrai solo riportarmi indietro, se lo vorrai, ma sappi che non ti supplicherò mai di farlo.”
Kujūrō non disse nulla. Si sollevò a sedere e osservò l'armatura in attesa che quello sguardo tornasse a placarsi. La domanda che lo raggiunse alle spalle lo prese però alla sprovvista.
“Perché tra tutti i ricordi hai scelto proprio questo kimono?”
Kujūrō lasciò scorrere per un po' il silenzio. Non esisteva alcun motivo dettato dalla ragione. Infine si voltò affermando: “Era bello.”
Kōrin accennò un sorriso. Quindi si alzò in piedi e allargò appena le braccia invitando tacitamente Kujūrō a procedere. Com'era strano quel movimento, non indicava né sottomissione né amicizia. Kujūrō si avvicinò con curiosità: non aveva idea di cosa significasse affrontare Kōrin senza impugnare una spada. Lui non aveva altra possibilità se non quella di fidarsi di chi in passato lo aveva tormentato: il gesto era il risultato della mera accettazione del Destino, eppure per descriverlo non esisteva parola più adatta di 'Cortesia'.
Iniziò a sciogliere il nodo che fermava la cordicella, poi sfilò l'obi giallo oro che ricadde in terra con la leggerezza di un nastro. Sciolse anche i nodi delle altre fasce che tenevano saldo il kimono intorno al busto. Scivolarono via una dopo l'altra, finché l'abito non rimase aperto sul davanti. Allora le mani di Kujūrō si fecero strada lungo i fianchi di Kōrin e tolsero l'ultima fascia.
Kujūrō cercò gli occhi del samurai, sorprendendosi di dover alzare lo sguardo perché il ragazzo ormai lo aveva superato in altezza. Li trovò chiusi, come quelli di un buddha, ornati da lunghe ciglia da bambola occidentale.
Si portò alle sue spalle, gli passò le braccia poco sotto il collo e sfilò gli abiti, lasciando che scendessero lentamente lungo la schiena nuda, rivelando un corpo dalla pelle chiara, privo di cicatrici nonostante appartenesse ad un guerriero. Il calore del fuoco lo ricoprì subito, vestendolo di un leggero yukata rosso.
Kōrin si voltò e fece un cenno col capo in segno di ringraziamento. Si chinò per raccogliere il ricordo e lo pose sull'armatura, dove avvampò assumendo gradualmente la forma di un ampio mantello nero che riprendeva i motivi della stoffa. I disegni dell'obi impressero il fodero della spada, una cordicella dorata si annodò all'impugnatura, Shikkoku risuonò con una nuova voce.
Kōrin arretrò di alcuni passi. Kujūrō alzò il braccio destro aprendo il palmo verso l'alto e urlò: “Vestizione!”
Un vento secco e tagliente spense il fuoco, strappò i drappi di seta e li avvolse sul suo corpo prima che l'armatura, parte dopo parte, tornasse a vestirlo. Il metallo che si saldava agli arti generava una sensazione nuova, quasi dolorosa, ma non avrebbe saputo dire se la causa del cambiamento risiedesse nell'armatura oppure nel cuore.
Una volta terminata la vestizione, il rinato Samurai dell'Oscurità sentì il bisogno di liberarsi subito della fastidiosa presenza della maschera. Quindi sguainò la spada, la puntò senza esitazione alla gola di Kōrin e fissandolo a volto aperto gli disse: “Seguimi. Ti riporto indietro.”


Lo shakujō di Kaosu era scomparso. Ogni cosa era stata annientata dalle tenebre. Seiji era in grado di seguire Anubis unicamente grazie alle percezioni. Percorsero uno stretto tunnel scavato nella roccia, uscirono in un ambiente aperto che doveva essere un bosco dove, oltre al rumore del foglie morte calpestate dai loro piedi, si potevano avvertire il respiro di alcuni animali e il grattare delle loro unghie sulla terra gelata. Attraversarono un ponte di legno che li condusse su una strada lastricata, da dove Seiji poté finalmente individuare una fonte di luce. Si trattava di un torii solitario affiancato da due lanterne. Per raggiungerlo bisognava percorrere una ripida scalinata vegliata due file di cani selvatici immobili come statue.
Anubis fermò i suoi passi e si inginocchiò davanti a Seiji, la mano destra poggiata sul cuore.
Seiji disse soltanto: “Per favore, lasciami passare.”
Anubis si fece da parte. Seiji proseguì senza mai voltarsi indietro.
Attraversare il torii fu come compiere un balzo nel vuoto. Seiji fu colto da un'intensa vertigine. Provò a riprendersi, ma gli occhi furono trafitti dal suo stesso elemento. Cercò di non lasciarsi prendere dal panico, tese le mani in avanti, incontrò pareti viscide. Sporco di muschio e fango, tastò i vestiti che indossava: erano occidentali e invernali, erano i suoi. Si trovava in un ambiente umido e stretto e l'unica uscita si apriva in alto, da dove scendevano i raggi luminosi. Era in grado di affermare con certezza che quello era il fondo di un pozzo, che era mattina e che si trovava nel mondo degli esseri umani.
Nel contempo sfinito e sollevato, crollò sulle ginocchia, le braccia abbandonate lungo il corpo, la testa reclinata all'indietro, gli occhi ancora chiusi. Rimase immobile in quella posizione finché, in lontananza, sentì una voce familiare chiamare con insistenza il suo nome. Sospirò. Che bisogno c'era di urlare tanto? Riaprì gli occhi e consegnò all'alba il messaggio: 'Sono qui'.
Poco dopo la figura di un ragazzo fece capolino dai bordi del pozzo. “Seiji! Grazie al cielo ti ho trovato! Stai bene?”
Seiji sorrise e rispose: “Sì non preoccuparti. Grazie di essere venuto, Ryō.”
Tese la mano verso l'alto e tornò nella Luce.




Note

Che emozione, sono riuscita a scrivere una fanfiction sui Samurai Troopers! E su Anubis per giunta. L'ho sempre amato e ci tenevo a dedicargli un po' della mia attenzione. I Generali Demone di solito non vengono considerati molto dai fan, ho voluto rimediare un po'.
Un grazie che risplende di Cortesia a tutti i lettori!

Kourin



 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > I cinque samurai / Vai alla pagina dell'autore: Kourin