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Autore: thembra    01/03/2013    4 recensioni
...Quella corolla era l’amore che c’era stato e che tutt’ora esisteva fra la donna più insolente e indifferente che lui avesse mai conosciuto e suo padre...
Sia lui che Inuyasha non avrebbero mai più potuto dimenticare le ultime parole esalate dalle labbra del loro fiero padre morente.
Tre, e tutte uguali.
Rin…Rin…rin
Genere: Erotico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Rin, Sesshoumaru
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Lei aveva usato violenza.
Aveva usato il suo potere per provocare dolore ad un’anima già in pena.
Era una sacerdotessa corrotta.
 
 
Mordendosi l’unghia del pollice Kagome strinse con forza la mano che sulla nuca le stropicciava i capelli indifferente all’acuto dolore provocatole dallo sforzo della presa su alcune ciocche; i punti dietro le orecchie e al limitar del collo erano quelli più sensibili.
Avvolta da un aura di commiserazione e vergogna nascose la testa fra le ginocchia sbilanciando la spalla verso la ringhiera di legno che separava la prima rampa di gradini dal boschetto che cresceva ai lati del tempio. In fondo alla ripida e lunghissima gradinata le auto sfrecciavano ignare della sua inquietudine. 
Il ruvido e gelido graffiare delle pietre dei gradini le rigava la pelle attraversando la spessa stoffa dei pantaloni della sua tunica, un sospiro grave sovrastò la quiete che la circondava.
 
Aveva rivissuto quegli istanti decine e decine di volte, analizzano ogni loro parole, ogni sua risposta ogni loro movimento e ogni sua relativa reazione….
 
E aveva concluso che non solo i due fratelli non avevano avuto intenti malvagi nei suoi confronti ma avevano in tutti i modi cercato il dialogo con lei, pregandola di ascoltarli e di andar loro incontro.
Lei, forte di quella loro debolezza invece aveva infierito minacciandoli di rovinare il buon nome della loro famiglia e di quel loro padre che Rin aveva tanto amato e ancora si affannava a piangere; li aveva derisi calpestando il loro proposito e quando Sesshomaru l’aveva toccata in lei era scattato un interruttore inconscio che aveva rilasciato in un istante tutta la frustrazione la rabbia e il desiderio di vendetta che albergavano in lei riversandoli in un incantesimo d’empatia che aveva scagliato sul demone senza quasi rendersene conto.
Una volta fatto però, anziché annullare l’effetto dell’incanto aveva tratto maggior forza dall’espressione stupita e sofferente di lui e ancora aveva infierito; sentiva dentro una sensazione d’appagamento ogni qualvolta le palpebre di lui scattavano di dolore reagendo alle sue accuse, aveva riso internamente del potere che la stava vedendo prevalere su due auree demoniache che…non stavano facendo proprio niente per difendersi dal suo attacco.
Quel lampo di coscienza fu sufficiente a riportarla alla realtà e sebbene non avesse avuto il coraggio di accertarsi delle condizioni del maggiore dei fratelli né di annullare gli effetti posteriori all’incantesimo aveva digiunato la cena della sera e i pasti del giorno seguente dedicandosi alla preghiera e alla meditazione per fare ammenda del suo peccato.
 
Peccato che niente stesse funzionando; e aveva pure una gran fame.
Sbuffando un miagolio di frustrazione serrò occhi e denti tanto che l’unghia del pollice che ancora teneva fra i denti si crepò.
 
“Sei persa nel tuo oblio da che sei rientrata ieri sera Kagome, perché il tuo spirito è in tumulto?”
“Kikyo …”
 
Piagnucolando quel nome batté la testa contro la ringhiera un paio di volte sembrando una bambina capricciosa in preda ad una crisi di nervi per un lecca-lecca negato.
 
Il dolce tocco del palmo della donna contro il dorso della sua mano la convinsero a levare in alto la fronte, dinnanzi a lei il dolce viso dell’unica donna, oltre sua madre e Rin, che adorava alla follia.
Quante volte gli occhi decisi di Kikyo, così forti e taglienti, l’avevano aiutata a superare le difficili prove cui il suo essere sacerdotessa la sottoponeva in continuazione, quante volte la sua voce era stata melodica ninna nanna quando piangeva se non riusciva a compiere un esorcismo fra i più comuni, quante volte i suoi tocchi, i suoi abbracci e i suoi sorrisi l’avevano aiutata a crescere e migliorarsi come persona, quante cose le aveva insegnato quell’anima leggendaria.
Negli anni era diventata il suo esempio e così com’era stato per lei, Kagome aveva deciso di diventare forte e indipendente e di essere per qualche ragazza sola e sperduta un punto di riferimento, un inizio…un’amica.
 
Il giorno stesso in cui quest’idea le si era formata in mente Kikyo le aveva regalato un rosario mistico conferendole di fatto il grado di sacerdotessa.
Lei non aveva capito, Kikyo le aveva risposto che invece si, aveva capito.
 
Il desiderio di essere presente per qualcuno in necessità di sostegno era vocazione, era devozione ed era forza spirituale; se prima di quel pomeriggio pur avendo superato le prove più importanti nel cammino di una apprendista non era riuscita ad ottenere il supporto spirituale necessario ad eseguire per esempio un esorcismo di livello base era semplicemente perché ancora non aveva capito, mentre quel giorno si, aveva infine compreso ed era riuscita a spalancare le immense porte che tenevano sigillato il suo potere mistico.
 
Aveva conosciuto Rin quella sera stessa e seppur spaventata dall’oscurità dentro la quale la ragazzina era precipitata non si era scoraggiata e pian piano l’aveva aiutata a rimettere insieme i mille frammenti della sua vita devastata; c’erano state delle ricadute, oh se ce ne erano state ma per fortuna Kikyo le era stata accanto e poi era arrivato Shippo e ora finalmente, dopo due anni per Rin la vita stava ricominciando da capo, se solo …
 
 
“Cosa c’è Hoshi?”
 
Hoshi. Stella. Come la chiamava sempre da che aveva imparato a ricordare le parole.
 
“Ho ceduto Kikyo.”
“Hai ceduto?”
“Al mio potere … ho lasciato che mi controllasse, ho infierito sull’aura di uno spet- di due spettri…”
 
Il delicato ma netto sopracciglio che la donna aveva levato scettica nel sentirla confessare d’aver perso il controllo si alzò ulteriormente non una, ma due volte nell’udire l’aggettivo venir trasformato al plurale.
Aveva infierito su due spettri?
 
“Kagome?”
“hush …i fartelli No Taisho, te ne avevo parlato tempo fa…”
“I figli del Presidente della Taisho corporation?”
“Si, si sono fatti vivi per, beh, vogliono riallacciare i rapporti con Rin ma lei non è pronta, li ho intercettati in tempo e fermati l’altra sera al galà di beneficenza, ho commesso la leggerezza di presentarmi e mi hanno rintracciata e convocata cercando di chiarire le loro buone intenzioni ma io non li ho creduti e …”
“Kami sama non li avrai…?”
“No! No di certo!! Non sono così forte e poi ero terrorizzata, ho agito d’impulso, il mio potere spirituale ha avuto il sopravvento e ho lanciato un incantesimo d’empatia sul più anziano mentre al giovane…”
“Al giovane?”
“…”
 
Kikyo notò in quel momento che Kagome, guardandosi intorno nervosamente, aveva preso a stringere fra le mani un invisibile collana … un momento, al collo di solito portava il rosario magico che le aveva donato lei…no, non poteva essere…
 
“Mpfh…”
“Non Ridere!!!”
 
Troppo tardi.
La forte e cristallina risata della donna echeggiò soave disperdendosi al vento leggero che s’era levato in quel momento. Gli usignoli che suo nonno teneva nella gabbia dorata accanto al chiosco dei talismani e dei souvenir iniziarono a cantare accompagnandola, deliziati dalla voce della ridente.
 
“Sei diabolica Kikyo! È una cosa seria, io ho usato violenza ho…”
“Hai seguito solo il tuo istinto Hoshi, non darti pena non hai fatto loro alcun male.”
 
Si guardarono per un istante.
 
“Ok, forse allo sventurato che ha il rosario qualcosa hai fatto ma…heh hih non, mpfh preoccupar-tihhih…”
 
Portandosi una mano allo stomaco e una alle labbra la più grande delle due incominciò un altro giro di sghignazzate che altro non fecero che alterare la giovane, che indignata si mise in piedi con una fluida mossa.
 
“Mi hai scocciata, vado dentro!”
“Buon pomeriggio stella! E mangia qualcosa che il tuo stomaco brontola più di te!!!”
 
Era strano ma, si sentiva molto meglio.
Voltandosi appena poté scorgere la figura della donna intenta a vegliare la sua ritirata, sbottando una risata levò in aria la mano distendendo pollice e indice, Kikyo fece lo stesso prima di voltarsi e scendere le infinite scale che dalla quiete del tempio portavano al caos della vita.
 
 
………
 
 
 Stava passeggiando lungo il ponte pedonale che univa il parco al tempietto situato in cima alla collina dei ciliegi e degli aceri. Le macchie rosee e color amarena dei due tipi d’albero, in contrasto col verde tenue dell’erba creavano incanto e lei si stava rilassando solamente ammirando quella meraviglia.
Il cupo e denso colore dello stagno circondava come una cornice quel quadro e le ninfee che galleggiavano sulla superficie sembravano lentiggini fiorite dentro un viso argentato.
 
C’era stato un tempo dove sulla panchina di marmo che stava a lato del tempio protetta dal gazebo di legno ricoperto dal glicine celeste, aveva aspettato fra i sospiri di rivedere il suo amore.
 
°°°
 
Le pallide mani che si ostinava a fissare ormai da più di dieci minuti avevano incominciato a tremarle in grembo ora che il tempo dell’incontro si stava avvicinando.
Era arrivata con 40 minuti di anticipo!
Se glielo avesse detto lui le avrebbe certamente dato della sciocca, della bambina.
Arrossendo sciolse l’incastro di dita e si portò le mani al viso celandolo completamente.
Quello era il suo primo, il loro primo vero appuntamento e per l’emozione la notte precedente non aveva chiuso occhio perdendo tutta la sera a decidere che abito indossare cercando di apparire spontanea ed elegante; e il trucco, mamma mia, aveva perso il conto di quante volte s’era messa e poi tolta ogni tonalità da palpebre e labbra per paura di sembrare troppo sguaiata e provocante. Alla fine aveva scelto una tenue tonalità color pesca per ravvivare le guance  solitamente pallide e un velo di lucidalabbra sulla bocca per renderla glassata e idratata semmai avesse voluto…
Di nuovo avvampò mentre dentro sentiva il sangue liquefarsi e fluirle rovente al centro del petto mentre mille brividi le incorniciavano la schiena.
Inu no Taisho era un gentiluomo, non l’avrebbe mai baciata al primo appuntamento e poi ora, non era nemmeno più così sicura che di trattasse di un appuntamento, lui l’aveva solo pregata di aspettarlo in quel luogo perché aveva una cosa importante da dirle.
 
Così com’era avvampata di colpo sbiancò ricordandosi che un paio di giorni prima al telefono lei gli aveva accennato d’essere alla ricerca di un impiego part-time dal momento che aveva perso il lavoro per via di alcuni tagli al personale che la ditta per cui lavorava era stata costretta a fare, oh probabilmente era quello il motivo, Taisho era un uomo di buon cuore e…
 
“Perdona il mio ritardo, una riunione improvvisa mi ha rubato tutta la pausa pranzo e-”
 
…e sicuramente le aveva trovato qualcosa da fare all’interno della sua azienda e…
 
“-on potevo presentarmi a mani vuote quindi mi sono fermato alla fiorer-”
 
…e lei si era vestita in quella maniera stupida pensando chissà cosa mentre lui le voleva solamente comunicare che forse le aveva trovato un lavoro e…
 
“- ltando? ”
 
…e che faccia avrebbe fatto nel vederla conciata così? Che cosa avrebbe pensato di lei una volta capito che lei credeva che quello fosse un appuntamento?
 
“Rin?”
 
Una mano le si posò sull’avambraccio costringendola ad uscire da quel suo confuso mondo di assurde congetture.
 
“Bu-buon giorno Si-gnor n-no Taisho…”
 
Trovarsi riflessa in quelle due polle di rovente sole la mandò nel caos più totale che sommato al delirio che già l’aveva scombussolata provocò al suo sistema nervoso un cortocircuito da manuale.
La presa che le usava al braccio si strinse debolmente mentre rispondeva al suo sconnesso saluto.
 
“Buon giorno a te Rin, ti trovo in forma…”
“G-gra-zie mmmil-le signoo-r nno Tais-sho…”
 
Di nuovo lui sorrise e lei dentro si sciolse perché tutto il suo essere oramai era pazzo di lui e non bramava altro che…
 
“Passeggiamo?”
“O-ok!”
 
Con lenta delicatezza, cercando di attenuare il tremore che la stava scuotendo, aveva accettato la sua mano tesa lasciando che lui poi la trascinasse al suo avambraccio sinistro piegato dove la depositò appoggiandoci sopra il suo palmo destro.
Aveva abbassato lo sguardo lasciando che i capelli e la frangetta le nascondessero il viso perché  era certa che la sua pelle fosse diventata del medesimo colore delle foglie d’acero giapponese.
E aveva pure smesso di tenere il conto di tutte le volte che distratta dalla sua agitazione aveva rischiato di inciampare e cadere a terra come una cretina.
 
-Respira Rin resp-
 
“Tu che ne pensi?”
“…ira…”
“? Ira? ”
“Nh? Ah co-cosa?”
 
Aveva piantato a terra i piedi costringendolo a fare lo stesso. Che disastro! Voleva sparire voleva che la terra sotto ai suoi piedi si aprisse e la ingoiasse risparmiandole quella patetica figura da povera sciocca.
 
“Sei sicura di star bene Rin?”
“N-nm! È so-solo che…”
“Tutto questo ti imbarazza?”
“Eh?”
“Sto correndo troppo?”
“Eeh?!”
“Ti danno fastidio le mie attenzioni?”
“Eeeeeeeeeeeeh?”
 
Cosa diavolo… allora aveva visto giusto? La stava corteggiando sul serio? Inu no Taisho stava facendo la corte a lei? Sul serio?
 
L’eco della sua roca risata bloccò tutto e il suo viso scattò in alto, guardandolo.
Lui piegò in alto le labbra in un veloce sorriso prima di pararsi di fronte a lei e abbassarsi quel tanto che gli bastava per arrivarle al livello degli occhi.
 
“È così Rin ti sto corteggiando, fattene una ragione perché ”
 
TOMP
 
Era svenuta.
 
Gli era svenuta contro concludendo quella perfetta uscita perdendo i sensi proprio sul più bello addosso all’uomo dei suoi sogni nonché presidente della multinazionale che dava lavoro praticamente a mezza Tokyo per non parlare dell’indotto economico e delle industrie satellite che…ma qui si stava dilagando un po’ troppo, doveva concentrarsi sul rinvenire ora, sul riprendere i sensi perché il limbo della semi incoscienza nel quale era scivolata dopo svenuta non era affatto divertente. Uffa, ma perché il suo cervello non la smetteva mai di rimuginare? Pensava e ipotizzava, ricordava e analizzata tutto in continuazione frullando idee e pensieri fuori da qualsiasi  umana (e sana) concezione.
 
-…Uffa…-
 
Tu-tum tu-tum tu-tum
 
“Nhm”
 
Aveva aperto gli occhi ritrovandosi stretta contro il suo petto.
Erano tornati al punto d’incontro e si trovava in braccio a lui,  l’orecchio appoggiato al suo sterno, il suo braccio a circondarle le spalle e le sue ginocchia sotto… la mano che inconsciamente gli aveva appoggiato al petto strinse la celeste stoffa della sua elegante camicia in uno spasmo di spavento.
 
“Va tutto bene Rin…”
 
E lei si era calmata e lo aveva guardato con due occhi che, come le aveva confessato lui, erano liquidi di desiderio e passione e…per lui era stato impossibile trattenersi dal fare ciò che aveva fatto in seguito.
 
Ovvero baciarla.
Lentamente, con leggeri tocchi di labbra e piccoli indugi contro il contorno inferiore mentre la sua grande e tiepida mano le alzava il mento incastrandole le dita fra i capelli e il pollice le scivolava lungo il mento per schiuderle le labbra delle quali lui si nutrì.
 
Inu no Taisho era un vero gentiluomo che al contrario di tutti gli altri gentiluomini se ne fregava altamente del galateo e se voleva baciare la ragazza a cui stava facendo la corte al loro primo appuntamento inculo a tutti, la baciava e basta per venti interminabili minuti.
Poi le aveva regalato un mughetto che per tutto il tempo aveva tenuto fra le mani senza che lei lo notasse.
 
 
 
°°°
 
Sfiorò con la punta delle dita il gelido marmo della panca sorridendo malinconica a quel ricordo.
Nei giorni e nelle settimane successive s’erano visti in ogni attimo libero di lui; al chiosco dove comperava gli hot - dog che gli piacevano da impazzire quando aveva poco tempo per pranzare o al di fuori della succursale dove di li a breve avrebbe dovuto prendere parte ad una noiosa riunione che il 90% delle volte skippava o, quando aveva molto tempo fra un appuntamento e l’altro, in quello stesso luogo, lontani da occhi indiscreti e protetti dal flagrante profumo di quella pergola di petali blu dove parlavano e ridevano e si conoscevano aprendosi l’anima l’un l’altro, innamorandosi ogni secondo sempre di più fin oltre l’inverosimile, fino a scoppiare d’amore e ridere e piangere di gioia e dolore.
 
Avevano fatto l’amore per la prima volta sei mesi dopo a casa di lui, o meglio nell’appartamento in cui passava la maggior parte del suo tempo libero quando gli impegni di lavoro lo vedevano costretto a rimanere in città per lunghi periodi.
 
Era una casa enorme e lineare dove ogni cosa al suo interno gridava il suo nome. Era tutto forte ed elegante, intenso e rassicurante e non appena alle sue spalle la porta che la separava dalla realtà s’era chiusa spinta casualmente dal tallone di lui si era lasciata andare completamente.
 
Avevano finito di bere la bottiglia di vino bianco che lui teneva fra le dita, guardandosi nell’anima, scambiandosi casti baci e leggere carezze sul viso.
Poi ad un certo punto si erano trovati di fronte e lui non l’aveva più lasciata andare e ghermendola per la vita l’aveva schiacciata a sé scendendo a baciarle il viso, il collo, il lobo dell’orecchio che era la parte più sensibile al solletico di lei e poi le labbra, ingoiandole il respiro, annegando dentro di lei mentre i gemiti della sua nuova vita gli riempivano l’universo ed il cuore facendogli oltrepassare il limite che per mesi s’era imposto di non superare con lei.
 
“Ngh”
 
Il netto rumore di uno strappo le rubò un gemito, lui parve tornare in sé e con uno scatto l’allontanò.
 
 “Scu-sami…”
“Nmno…continua ti prego…”
 
Con gli occhi chiusi e le labbra dischiuse in un sorriso enigmatico gli si spalmò contro piantandogli le unghie al petto, graffiandolo scendendo verso l’addome rapita in una sensazione della quale non conosceva bene la natura ma era l’istinto a guidarla e la passione a spingerla ad osare e…
 
E quando lui le cinse i polsi portandoseli dietro la schiena attirandola a sé mentre insinuava una gamba fra quelle tremanti di lei fu solo il paradiso.
Quando il deserto degli occhi di lui catturò l’oasi notturna delle iridi di lei una fiamma divampò dentro entrambi, avviluppando i loro corpi e bruciando le loro anime che tanto a lungo s’erano cercate, corteggiate e rincorse, trovandosi finalmente ad ardere della stessa fiamma.
 
Fu la sua prima volta e lui fu gentile, fu un maestro passionale e attento che seppe toccare dov’era giusto toccare e sfiorare appena dov’era giusto carezzare.
Le parole che le aveva sussurrato poi erano state in grado di intensificare ogni emozione provata risvegliandone di nuove.
Le aveva chiesto di muoversi in una certa maniera, di sottomettersi a lui con fiducia e devozione e l’aveva posseduta con ardore divorando ogni singola porzione di pelle.
Le aveva mostrato come compiacerlo compiacendola a sua volta e quando a notte fonda stremata era franata nel mondo dei sogni l’aveva stretta a sé vegliandola fin quando anche i suoi occhi avevano ceduto alla stanchezza e al mattino successivo lei aveva riaperto gli occhi per prima scoprendolo per la prima volta in una luce totalmente diversa da come lo vedeva di solito.
 
Quando i suoi occhi erano chiusi i lineamenti decisi del suo volto assumevano forse anche grazie all’inclinazione del viso, un non so che di fanciullesco, di etereo e mistico.
I fili di luna che erano i suoi capelli poi gli rigavano sottili il viso sfuggiti al debole nodo scioltosi nel furore della notte appena trascorsa e persino le sue labbra sembravano delicate e pareva quasi impossibile pensare che dietro a quei morbidi contorni si celassero due bianchissime file di denti di demone, le stesse che l’avevano riempita di morsi e segni praticamente ovunque.
Un brivido le percorse la schiena al preciso ricordo di quando per la prima volta i suoi canini le erano affondati nella carne di un seno e lei catturata dall’ipnotico sguardo di lui aveva emesso un gemito nasale rimanendo senza fiato nel provare quella nuova e proibita sensazione.
Stava per portarsi le dita al seno ferito per percorrere la traccia formatasi quando un contatto improvviso proprio in quel punto le bloccò il movimento; un umido calore la stava accarezzando proprio lì.
Istintivamente gli strinse le mani dietro alla nuca inarcando la schiena per dargli maggior accesso mentre lui avidamente le leccava il capezzolo tracciandone il bronzeo contorno con la pressione della punta della lingua.
Chiuse gli occhi prendendo a respirare spasmodicamente regalandogli ogni tanto in miagolio d’approvazione godendo al contatto che ora le sue ruvide mani gli donavano alla schiena, salendo e ridiscendendo fino alla giuntura delle gambe e poi in mezzo, dentro e ancora dentro finchè le venne da gemere forte e urlare e piangere dalla felicità al culmine del suo ennesimo orgasmo.
 
 
“Sposami Rin”
 
Quelle parole proibite che da bambina tanto aveva sognato erano state l’inizio del suo incubo.
 
 
 
 
…………….
 
 
 
 
 
 
“Sposami Rin”
 
Col respiro impazzito ed il viso madido di sudore si ritrovò sveglio a fissare il soffitto; a pochi centimetri da dove era concentrata la sua attenzione lampeggiava il timer riflesso della sveglia informandolo dell’ora tarda.
 
Il pigiama di seta che indossava nel suo dimenarsi s’era sbottonato fino a poco sopra l’ombelico e le coperte gli erano scese sotto a vita ingarbugliandosi fra le sue gambe.
Ne scosse una cercando di uscirne ma tutto ciò che guadagnò fu un gemito di eccitazione.
 
“Ngh!”
 
Premendo sui gomiti si alzò quel poco che gli bastava per vedere oltre il proprio petto, che fra l’altro era fradicio, notando un rigonfiamento anomalo e particolarmente sensibile.
 
Sbuffando una protesta si lasciò cadere nuovamente affondando la nuca nel cuscino coprendosi gli occhi col dorso dell’avambraccio.
 
Si sentiva un liceale in piena crisi ormonale, no davvero, da quand’è che non gli veniva un’erezione del genere?
 
“Dannazione papà…smettila di tormentarmi…”
 
Sbuffando quelle parole scattò fuori dal letto dirigendosi in bagno mentre lasciava a terra pezzi del suo pigiama intriso di sudore nella parte superiore misto a qualcos’altro in quella inferiore.
Un liceale in piena crisi ormonale sarebbe resistito di più, robe da non credere.
 
Mentre l’acqua gelida gli rigava la schiena spezzandogli quasi il respiro appoggiò la fronte contro le fredde mattonelle di porcellana celeste che rivestivano la doccia.
A sprazzi, dietro le sue palpebre chiuse per lo sforzo di resistere al freddo, si proiettavano in continuazione immagini di lei che sorrideva, mentre camminava per le vie illuminate dalle decine di lanterne del festival di fine estate reggendo fra le mani un’enorme stecco di zucchero filato…ricordava quell’episodio, era successo quattro anni prima durante un delle loro prime uscite da fidanzati ufficiali e l’aveva sognata per l’ennesima volta la settimana prima.
 
“Nhm…”
 
La scena di lei nuda e tremante sotto di lui sostituì quella casta del festival e nonostante il congelamento prossimo delle sue parti basse una nuova ondata di bollente eccitazione riportò in piedi il suo amico dei piani bassi.
 
“Perché?”
 
Strinse la mano contro al muro e le dita, scivolando contro l’umida piastrella gli si chiusero a pugno poco sopra alla tempia.
Le palpebre da tanto erano chiuse gli causarono un lampo di luce.
E lei gli apparve sopra mentre lentamente lo cavalcava ondeggiando soavemente contro il suo bacino, una mano gli stringeva un ginocchio, l’altra era bloccata dal momento che la punta dell’indice si trovava fra i suoi denti.
La calma surreale nascosta dietro il velo di liquido piacere degli occhi di lei gli incatenò lo sguardo, ipnotizzandolo. Dentro al cuore gli si aprì un foro.
 
“Nghrrr! PERCHE’!!?”
 
Batté un colpo secco di nocche colpendo il  bordo del pomello di regolazione dell’acqua col sensibile osso, il dolore sembrò accentuare l’immenso piacere del quale era succube e per un attimo le ginocchia gli cedettero.
 
Gemette un sibilo di rabbia quando l’ennesima visione gli illuminò la memoria.
E questa fu la peggiore di tutte.
 
“…non ce la faccio più…sigh io non ce la faccio più! È…finita!”
 
Era la voce spezzata dal pianto di lei e gli occhi irrorati di sale e la bocca sformata dal pianto e le guance rosse come se avesse avuto la febbre a quaranta e il corpo era scosso da mille singulti e il suo bel vestito era lacerato e rovinato e…
 
Ricordava quel giorno, lui ed Inuyasha avevano dato il peggio di loro per rovinarle la festa, e si che si era tanto impegnata per far si che tutto fosse perfetto per la cerimonia di premiazione di suo padre come miglior filantropo dell’anno mentre loro alle sue spalle avevano disdetto l’ordine dei fiori, del catering e sostituito la band musicale con uno stupido spettacolo di clown per bambini e, ah si, l’avevano spinta nel roseto del giardino del Grand Hotel ferendola e strappando il semplice ma bellissimo vestito color crema che lei aveva tanto faticato per comperarsi.
 
Poi erano rimasti per godere della sua faccia mortificata nel vedersi arrivare il pagliaccio con tanto di valigetta rattoppata e palloncini da gonfiare in mano, l’avevano osservata rialzarsi mentre non vista andava a sistemarsi nel retro cercando in tutte le maniere di non piangere. Per un istante i loro sguardi s’erano incontrati e se il suo era stato glaciale e indifferente quello di lei era puro fuoco e angoscia.
Sembrava chiedergli perché?
 
Le sue labbra sillabarono una muta risposta che tuttavia lei capì benissimo.
 
Un colpo alla schiena lo mandò a vacillare in avanti.
Suo padre doveva essere arrivato, in anticipo come sempre quando li sapeva in compagnia di lei, ed era corso in suo soccorso, urtandolo nella fretta senza degnarsi nemmeno di salutare lui o Inuyasha.
 
In silenzio lo aveva seguito accompagnato dal fratello ed avevano udito le magiche parole che aspettavano di udire da sei anni ormai.
 
“…non ce la faccio più…sigh io non ce la faccio più! È…finita!”
 
E suo padre aveva cercato di farle cambiare idea, l’aveva stretta e consolata e abbracciata e rassicurata ma lei non ne aveva voluto più sapere nulla.
Se tutte le precedenti volte lei li aveva glissati ridendoci su o evitando all’ultimo i loro scherzi questa volta era capitolata e se la sghignazzavano loro mentre lei dentro singhiozzava e si cambiava indossando una semplice e sciatta tuta da ginnastica uscendo di corsa da li senza nemmeno accorgersi di loro due.
Inu no Taisho rimase dentro ed entrambi saltarono colti alla sprovvista quando il rombo di un colpo nel muro fece cadere calcinacci e schegge di cemento proprio nel punto dove stavano nascosti loro. Il grido di disumana rabbia che lanciò Taisho li convinse a dileguarsi alla svelta.
 
Quando uscirono di lei non c’era più traccia ed anche la sua piccola macchina verde era sparita dal piazzale, il pagliaccio venne loro incontro chiedendo indicazioni su come raggiungere l’orfanotrofio Sacred Heart dato che dal momento che il suo ingaggio li era saltato la gentile ragazza gli aveva chiesto di andare a rallegrare i piccoli ospiti di quella struttura.
Non avevano avuto il cuore di dargli le indicazioni sbagliate.
 
Inu no Taisho da quel giorno smise anche di guardarli e la sera stessa di quel funesto giorno fece trasferire le sue cose dalla villa all’appartamento.
Non videro più Rin né lui.
Due mesi dopo in uno stupido incidente stradale Inu no Taisho morì.
 
Dieci mesi più tardi incominciarono i sogni.
Alcuni giorni dopo Inuyasha venne a bussare alla sua porta ubriaco perso e in lacrime dicendo che non ce la faceva più, che di notte veniva perseguitato da immagini di lei, dalla sua voce dai suoi sorrisi da com’era veramente e che il senso di colpa lo stava divorando.
Si limitò ad annuire al fratello dicendo che per lui era lo stesso guardandosi bene dall’informarlo che lui la immaginava in estasi sotto di lui mentre la possedeva più e più volte.
Decisero quindi di trovarla e chiederle scusa notando che se si affannavano a cercarla i sogni sparivano ma le loro ricerche non diedero alcun frutto.
Desistettero ed i sogni tornarono.
 
 
La loro punizione sarebbe stata eterna.
 
 
 
 
 
“Sposami Rin”
“Nhm…si!”
 
….
 
“…non ce la faccio più…sigh io non ce la faccio più! È…finita!”
 
….
 
“Urwaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaargh!!!”
 
 
 
L’urlo di rabbia e mortificazione che cacciò Sesshomaru sovrastò il tonfo del suo ennesimo pugno mentre sul piatto della doccia la gelida acqua si tinse di rosso.
 
 
 
 
 
 
 
TH
 
 
 
 
 
 
 
  
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