Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Patta97    03/03/2013    4 recensioni
- E tu chi e che cosa saresti? – chiese Sherlock, ostentando il suo tono più pragmatico.
- Io sono io, Sherlock – rispose la creatura, con una voce bassa e leggermente acuta, come se si trovasse a metri di distanza dal letto e non a un passo. – Sono lo Spirito del Natale Passato –

E se Sherlock ricevesse la visita di tre Spiriti natalizi?
Note: Johnlock, Post Reichenbach
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quel giorno se lo ricordarono in molti, e per molti anni a venire.
 
Sherlock Holmes uscì in Baker Street trafelato, col cappotto infilato sopra il pigiama grigio.
Si rese conto di non essere vestito in modo adeguato solamente quando il freddo gli penetrò nelle ossa attraverso gli abiti leggeri e gli allegri passanti lo evitarono con aria sconcertata.

Si chiuse nuovamente la porta del 221B alle spalle e si vestì come al solito.
Mentre stava scendendo i diciassette gradini, si scontrò con la signora Hudson, rientrata dalla sua vacanza con largo anticipo.

Nonostante il consulente investigativo fosse parecchio su di giri, gli bastò una sola occhiata al viso della padrona di casa per rendersi conto che era venuta a conoscenza dell'amante del suo adorato farmacista.

- Signora Hudson! - salutò, euforico. Poi rimase interdetto, come se non sapesse che dire, o come dirlo.

- Oh. Sherlock caro... Buon Natale - augurò lei, mogia.

Le labbra di Sherlock si contrassero in un involontario spasmo di orrore. Poi articolò con voce sconnessa parole che forse non aveva mai detto: - Buon Natale -.

Aspettò trepidante per un secondo.
Evidentemente riconobbe che le proprie facoltà intellettive non erano state compromesse da tale augurio e sorrise. - Tanta tanta felicità e un felice anno nuovo! -

- Cosa è successo, caro? Un triplice omicidio? - domandò ridacchiando. Poi mosse la testa di lato per guardare dietro il consulente investigativo. - Dov'è John? - chiese, preoccupata. - Non avrete mica litigato anche voi! -

Il debole sorriso di Sherlock si smorzò. - Litigheremo - puntualizzò. - Ma il gioco, signora Hudson, è iniziato e il premio davvero non posso cederlo ad altri. Buona giornata! - terminò euforico, scoccandole un bacio sulla testa.

Uscì definitivamente dalla porta in uno svolazzo di cappotto e capelli neri. 

La donna sorrise ed entrò dentro casa, lamentandosi appena della sua anca e del suo "insospettabile farmacista".


Molly Hooper viveva con i suoi tre gatti in un appartamento non lontano dal Bart's.

La sua famiglia - sua madre e un fratello e una sorella più grandi - vivevano a Bath. La sua maniacale ossessione verso la compagnia di gente morta era la dimostrazione di quanto stare sola non le importasse più di tanto.

Così la mattina di quel 25 dicembre, quando Sherlock bussò alla porta del suo appartamento, questi non si stupì di trovarla ancora assonnata e in pigiama.

Era tornata tardi dal paesino, dopo un'ora piena di guida e non si era premurata di alzarsi presto nonostante fosse la mattina di Natale.

La cosa che la stupì più di trovarsi Sherlock Holmes davanti la porta di casa, fu che lo stesso sociopatico iperattivo le depositò fra le braccia un enorme cestino pieno di regali profumati.

- Sherlock! - salutò, la voce smorzata per lo sforzo di reggere il pesante cesto. - Che ci fai qui? -

- Un regalo di Natale! Perché oggi è Natale e voglio farti gli auguri! - sorrise allegro Sherlock. - Meriteresti di più, Molly Hooper. Quindi ti dico che anche se mi dovessi comportare male come prima, tu ricorda che ti sono grato - terminò, impacciato ma sincero.

- Grazie - disse la ragazza, grata. Poi si ricordò di qualcosa. - Tu stai bene, allora! John era preoccupatissimo per te ieri se... -

Sherlock la zittì con un frettoloso abbraccio.

- Penserò a tutto! - dichiarò, scendendo frettoloso le scale.

E l'anatomopatologa si rintanò nuovamente nel suo appartamento, barcollando sotto il peso del suo voluminoso regalo.

Chiudendosi la porta alle spalle, Molly sorrise a quella mattina di Natale.
 

- Sherlock! Finalmente sei arrivato! - Lestrade sospirò di sollievo. 

Sherlock si compose sul viso la sua solita maschera di sufficienza e si avvicinò all'ispettore.

- Un omicidio - spiegò Greg.

L'espressione di stizza di Sherlock fu reale a quell'ovvio commento. 

Osservò il corpo riverso sul marciapiede e si chinò per dedurre al meglio.

La soluzione giunse spontanea dopo cinque minuti e ventinove secondi.

Solitamente avrebbe sbocconcellato con aria di sufficienza la soluzione del caso, ma i suoi piani erano altri quel 25 dicembre.

- Sally, parlavamo del diavolo e spunta la coda - commentò una vocetta acida alle spalle di Sherlock.

- Spuntano le corna, Anderson... al solito la tua conoscenza anche delle cose più basilari come i modi di dire si rivela... - il consulente investigativo si interruppe e si voltò verso il viso disgustato di Anderson e quello furente di Sally. Prese un bel respiro e continuò: - ...pienamente soddisfacente - concluse, maledicendo John Watson e ciò che gli toccava fare a causa sua.

- Soddisfacente?! - ripeté l'altro, come se non avesse capito bene.

Sherlock avrebbe voluto ucciderlo per la sua lentezza. - Pienamente - ribadì invece, con la smorfia più simile a un sorriso che riuscisse a fare.

Lestrade tossicchiò. - Sai dirmi qualcosa, allora? -

Sherlock voleva rispondere che sì, avrebbe potuto dirgli tutto, ma si trattenne. Alzò le spalle e scosse la testa, dispiaciuto.

- Casi come questi li cataloghi come quattro o cinque di solito ("questo è appena un tre, Lestrade, per la Regina!" pensò Sherlock). Sei davvero sicuro di non riuscire a capire nulla? -

Sherlock annuì, contrito.

Lestrade alzò gli occhi al cielo nel vedere quell'espressione così simile a quella di Mycroft quando gli nascondeva qualcosa, e si chiese cosa mai stesse architettando il consulente investigativo nella sua pazza testa.

- D'accordo! Oggi niente pacchia, Sherlock "non capisce" il caso. Lavorate! - disse l'ispettore ad alta voce per farsi sentire da tutti, fra la delusione generale per il lavoro extra il giorno di Natale. 

Sherlock approfittò della confusione per posizionare la prova in bella vista, confidando nel fatto che Sally non fosse arrivata fin lì solo per il suo bel faccino.

Fece per allontanarsi, ma si bloccò dopo pochi istanti con un sorriso.

- Ispettore! Venga a vedere cosa ho trovato al collo della vittima! - chiamò infatti il sergente Donovan con una nota dall'allegria nella voce, stonata col corpo di quella donna ucciso sul marciapiede.
 
Sally alzò trionfante la propria mano destra avvolta nel guanto di lattice, stretta ferrea attorni ad una sottile catenina d'argento.

Il gruppo di agenti si strinse attorno alla prova di Sally e anche il consulente investigativo si avvicinò per sentire l'intuizione della donna.

Questa aprì il ciondolo che pendeva dalla catenina, trovandovi dentro una ciocca di capelli e un bigliettino. Sally lo spiegò e lesse ad alta voce: "dalla tua adorata figlia, per la mia mamma. Spero che lì ti servirà a ricordarti di me".

La suspense generale si spense ed alcuni si allontanarono, disinteressati. 

- Mi spiace, Sally - intervenne Lestrade. - Non credo sia la pista giusta da...-

Ma Sherlock lo interruppe. Sperava che il sergente avesse solamente bisogno di una spintarella, perché quella catenina era davvero la pista giusta; lui stesso, un attimo prima, aveva slacciato il piccolo gancio della collana e l'aveva posizionata in bella vista.

- Non vi sembra strano? – disse a voce alta.

- Strano cosa? – chiese Sally, pronta ad un insulto.

- La collana è nuova – constatò Sherlock.

Sally avvicinò il gioiello al viso e vide che la catenina era pulita, lucida come se fosse appena uscita dal negozio.

- Sì. In effetti lo è – concordò la donna, stranita dal comportamento paziente del consulente investigativo. – Quindi? –

- Quindi direi che qualcuno che non sia la vittima… – Sherlock lasciò in sospeso la frase, guardando poi Sally con un messaggio ben visibile negli occhi: usa l’immaginazione.
 
Lestrade guardò sconcertato l’amico.
 
- L’assassina ha messo la collana al collo del cadavere – disse Donovan, con un debole sorriso.
 
- Cosa ti fa dire che sia una lei? – chiese Sherlock.
 
- Io non lo so… - sbuffò Sally, ma si ricompose sotto lo sguardo del consulente investigativo. – La figlia di questa donna voleva vendicarsi, l’ha uccisa e le ha messo al collo quella collana nuova con una ciocca dei propri capelli e quel biglietto. “Spero che lì…” – rilesse dal bigliettino, concentrata. – Suona più come una minaccia -.
 
- Brava. Adesso posso? – quasi supplicò Sherlock, che non ce la faceva più a trattenersi. Sally gli rivolse un cenno affermativo.
 
- Questa donna è sulla quarantina ed è in gran forma, dubito abbia avuto figli dopo i vent’anni. Deve essere rimasta incinta giovanissima e avrà abbandonato la neonata in gran segreto. Questa ragazza sarà cresciuta in orfanotrofio con una personalità instabile e iraconda, si vede da come traccia le ‘s’ e le ‘t’. Non deve essere stato facile rintracciare la madre, ma è evidentemente una ragazza sveglia. Dopo averla trovata tutto si è svolto come Sally ha detto – terminò tutto d’un fiato, rilassandosi.
 
Sally si aprì in un mezzo sorriso, un po’ orgoglioso un po’ esasperato.
 
- Come troviamo questa ragazza? – chiese Lestrade, spiccio.
 
- Abbiamo il suo DNA a portata di mano – disse una voce e tutti si voltarono sconcertati verso Anderson.
 
- Be’? – sbottò, risentito. – Non sono poi così stupido –
 
- No, certo che no – disse Lestrade, alzando un sopracciglio. – Coraggio! Voi della scientifica esaminate quei capelli… - continuò a dare istruzioni e il gruppo di agenti si disperse di nuovo, indaffarato.
 
– Dubito che tu non avessi capito tutto immediatamente, geniaccio. Allora perché tutto questo teatrino? – domandò Sally.
 
Anderson, rimasto accanto a lei, aveva dipinta sul volto la stessa espressione sospettosa.
 
- So che hai faticato – spiegò Sherlock. – Per arrivare fin qui, intendo. Ho dei dubbi su Anderson, ma… vi meritat… visiete guadagnati il vostro posto -.
 
- Be’, grazie – disse Sally, burbera.
 
Sherlock non si aspettò nessun ringraziamento da parte di Anderson, infatti non ci fu, ma l’uomo si limitò a guardarlo meno male del solito.
 
Prima di andare a sbrigare le ultime cose, Sherlock decise di fare un ultimo intervento gentile, in modo da non essere più cortese per i prossimi dieci o undici anni.
 
- Anderson, andiamo. Di’ a Donovan quello che devi, muori dalla voglia di farlo. Aspettare che siate da soli a pranzo non ti farà guadagnare più punti stanotte – dichiarò, andando via a passi veloci.
 
Sally si girò verso Anderson con aria carica di aspettativa e l’altro annuì solamente, con un piccolo sorriso. La donna gli saltò addosso e lo baciò, felice.
 
Sherlock, giratosi per un attimo ad osservare la scena, rettificò la propria opinione: Anderson è un idiota, ma dovrei imparare da lui.
 
 
Quando Sherlock arrivò di fronte al cancello, prese un respiro profondo.
 
Quello che stava per fare era più irritante di dar ragione ad Anderson, più scomodo di cercare un regalo a Molly, più difficile di augurare buon Natale alla signora Hudson.
 
Le mani gli prudevano per la voglia di inviare un sms e togliersi il pensiero, ma ancora una volta, quel giorno, il pensiero del viso ferito ed colpevole del John del futuro lo spinse ad andare fino in fondo.
 
Suonò il campanello del videocitofono e il cancello si aprì automaticamente.
 
Sorpassò velocemente il piccolo giardino quadrato e curato al millimetro e si fermò davanti alla porta dell’enorme eppure discreta casa.
 
Un ultimo respiro ed entrò in solitario: Mycroft non mandava mai il maggiordomo quando il fratello minore veniva a fargli visita, sapeva quanto la cosa lo infastidisse.
 
Sherlock trovò Mycroft nel salotto, intento a sorseggiare il suo tè mattutino.
 
Non si stupì di trovarlo in compagnia di Lestrade, impacciato sulla lussuosa poltrona di pelle.
 
- Buongiorno, fratello – salutò il maggiore degli Holmes, tranquillamente avvolto nella sua vestaglia di velluto rosso.
 
- Mycroft. Lestrade, buongiorno di nuovo – disse Sherlock in maniera eccessivamente educata.
 
Lestrade gli rivolse un cenno col capo e rigirò il proprio tè col cucchiaino, come sempre imbarazzato al cospetto di entrambi gli incredibilmente svegli – e insopportabili – Holmes.
 
- Immagino tu non voglia sederti – constatò Mycroft, nonostante non si dimostrasse sorpreso dalla visita; evidentemente Lestrade gli aveva già riferito il suo comportamento insolito sulla scena del crimine. – È successo qualcosa? – chiese poi, curioso, troppo pigro al mattino per dedurre alcunché.
 
- Volevo solo portare il giornale – disse Sherlock, sforzandosi di essere impeccabile e di suonare il meno falso possibile, sfilandosi il giornale caldo di stampa da sotto il braccio. – E i muffin – allungò il braccio posando un sacchetto fumante sul tavolino da tè.
 
Mycroft inspirò pensoso il profumo zuccherino – e leggermente nauseabondo, a parere di Sherlock – che proveniva dal sacchetto e lo aprì.
 
Sorrise e scosse lievemente il capo.
 
- Come hai fatto? – chiese solamente.
 
- Il vecchio Benjamin mi doveva un favore – rispose Sherlock.
 
- Ovviamente – sorrise ancora Mycroft, socchiudendo gli occhi.*
 
Lestrade fece volare lo sguardo stanco da uno all’altro fratello, per poi rassegnarsi a farsi spiegare tutto da Mycroft, quando sarebbero rimasti soli.
 
- Devo… - iniziò Sherlock.
 
- Lo so. Hai cose da sbrigare, immagino – lo precedette l’altro.
 
- Precisamente – sorrise in modo esagerato e a labbra serrate. – Fratello, Lestrade. Buona colazione – augurò, come se quell’attività da esseri umani lo facesse quasi commuovere.
 
 
Così Sherlock si ritrovò per la seconda volta davanti alla casa azzurra, nuovamente nel salotto giallo e verde, seduto sul divano che odorava di legno.
 
In quel modo, sotto lo sguardo bonario e divertito e severo di Harriet Watson e Mary Morstan, si sentiva come uno scolaretto del liceo che aspettava la ragazzina brufolosa per andare al ballo, controllato in ogni mossa dai due iperprotettivi genitori di lei.
 
John si fece attendere per dieci minuti buoni, al termine dei quali Sherlock sentì il rumore inconfondibile di due piedi e un bastone, attutiti dallo moquette delle scale.
 
Non appena vide il viso tirato ed insonne di John, Sherlock avvertì un tremito nel petto e tutta la buona volontà che lo aveva accompagnato quel giorno si affievolì paurosamente.
 
Il medico rivolse alla sorella uno sguardo eloquente, ma quella evidentemente non volle capire, perché per tutta risposta si sedette sul divanetto di fronte, ignorando la tacita disapprovazione di Mary accanto a lei.
 
John, rassegnato, restò sulla porta a squadrare il coinquilino, nonostante avesse una voglia matta di dire che la sua arrabbiatura era praticamente passata e che sarebbe subito tornato a casa con lui.
 
- Ebbene? – disse invece, dopo essersi schiarito la voce.
 
- Ho detto ‘buon Natale’, stamattina. Ho fatto un regalo. Ho fatto sembrare Sally ed Anderson intelligenti. Ho portato i muffin a mio fratello – spiegò Sherlock, alzandosi dal divano e focalizzandosi sulla sola presenza di John.
 
Questi, stranito, lo guardò con aria interrogativa.
 
- Sono stati i tre Spiriti, John – tentò allora Sherlock. – Mi hanno fatto ricordare, vedere e capire a cosa vado in contro, il mio futuro. E il mio futuro non mi piace, John. Non mi piace come mi ridurrò, perché sarà senza le uniche persone che mi sopportano. Perderei te e ne morirei. Torna a casa, John, ti prego – supplicò.
 
- Tre cosa?! – chiese solo l’altro, dopo un attimo di trepidante silenzio.
 
- È l’unica cosa che il tuo stupido cervello riesce a capire? – s’innervosì Sherlock. – Ti ho chiesto di tornare con me a casa, non importa come io sia arrivato a questo, no? -.
 
- Voglio qualcosa di concreto – disse John, incrociando le braccia, senza rendersi conto di stare in piedi senza il supporto del bastone.
 
- ‘Ti amo’ è qualcosa di abbastanza concreto? – chiese Sherlock, tutto stirato verso John.
 
Si sentì trattenere rumorosamente il fiato e il rumore secco di una gomitata e John si rese conto di stare tenendo quella conversazione davanti a sua sorella e alla compagna di lei.
 
- Veramente mi aspettavo qualcosa come ‘laverò i piatti’ o ‘andrò a fare la spesa’ – ammise il medico, sconcertato e col battito irregolare.
 
- Ah – realizzò Sherlock, colpito. – Okay. Laverò i piatti ed andrò a fare la spesa. Per una settimana. Per due mesi. Per sempre, se servirà -.
 
- Aspetta un secondo, non ho detto che… l’altra cosa non mi sembrasse abbastanza concreta – disse John, impacciato.
 
Sherlock ci rifletté un po’. – Vuoi dire che… anche tu? –
 
- Oh, Dio, – sussurrò l’altro, gli occhi incatenati ai suoi.
 
Si fissarono per un infinito istante e l’avrebbero continuato a fare in eterno se Harry e Mary non avessero improvvisato un coro di “Bacio! Bacio! Bacio!”.
 
E quindi John Watson, che non amava farsi dire le cose due volte, si alzò in punta di piedi e premette le proprie labbra contro quelle di Sherlock.
 
Quando si separarono, intontiti e instupiditi, quasi non sentirono il commento rassegnato di Harry: “povero papà… neanche un figlio etero”.
 
 
Quindi, come dicevo, quel giorno lo ricordarono in molti, e per molti anni a venire.
 
Un Natale come pochi, dove perfino il cuore di Sherlock Holmes seppe sciogliersi e ridere.
 
Non ebbe più nessun rapporto con gli Spiriti, ma cercò di vivere nel modo più accomodante possibile; e di lui si disse sempre che se c’era un uomo che sapesse osservare bene il Natale, quell’uomo era lui.
 
Nel limite, è ovvio.
 
Tutte scemenze.
 

__________________________
Anche quell'anno lo ricordarono in molti, come quello in cui Natale fu prolungato fino al 2 di Marzo!
Vi chiedo immensamente scusa, ma c'è stato il mio compleanno, le ultime interrogazioni e un'improvviso calo di autostima e quindi di ispirazione.
L'importante è che finalmente è finita e, anche se un po' mi dispiace, posso dirmi soddisfatta di questo "the end".
Ringrazio tutti, uno per uno. Le mie adorabili recensitrici, i lettori silenziosi, chi ha inserito la storia fra le seguite, le ricordate e *tanti cuoricini* le preferite!
Un grazie in particolare va alla mia adorata Lauur, la mia conduttrice di luce insicura delle proprie - ottime - capacità.
Un grande grande abbraccio,
Chiara 
 
PS Ditemi se ho sforato nell'OOC con Sherlock, qui alla fine, così lo aggiungo negli avvertimenti! :)


*Sono i muffin che comparavano da bambini da un fornaio che è ormai chiuso da anni. Avrei una one shot in testa, a tal proposito.
  
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