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Autore: Leopoldo    03/03/2013    2 recensioni
Due vite più differenti e distanti sono difficili da immaginare.
Un soldato dello US Army che ha lasciato la sua città natale senza tornare per anni ed una giovane supplente di Letteratura possono intrecciare i loro destini e rimanere legati l’uno all’altro?
-Au, Quick centric, accenni possibili di altre coppie-
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kurt Hummel, Noah Puckerman/Puck, Nuovo personaggio, Quinn Fabray | Coppie: Puck/Quinn
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1. McKinley High School.

 

Su una scala di valutazione crescente da uno a dieci, Quinn porrebbe le sue prime due settimane da insegnante del liceo McKinley sulla tacca dell’otto, ovvero molto più vicino a quanto mai avrebbe sperato di sognare che a quanto si sarebbe aspettata.

 

Molto di questo fortunato inizio dipende dal fatto che la professoressa di cui ha preso momentaneamente il posto si occupa di insegnare Letteratura solo ai freshman (primo anno) e ai sophomore (secondo anno), i quali, se paragonati ai terribili junior e senior che si vedono ciondolare nei corridoi con l’aria di chi ce l’ha con il mondo, sono le creature più docili del mondo.

 

Dopo le prime fasi di studio reciproco, la giovane insegnante ha potuto iniziare tranquillamente il programma lasciatole dalla titolare della cattedra, riscontrando tra i suoi allievi non solo un inaspettato silenzio, quanto un notevole livello di attenzione.  

 

 

“… e questi sono gli autori di cui parleremo nei prossimi mesi” conclude, appoggiando il pennarello sulla cattedra e sorridendo genuinamente notando come tutti stiano copiando dalla lavagna ancora prima che possa dir loro di farlo. “Sappiate che la prima valutazione dell’anno verterà su una ricerca su uno di questi, quindi se volete già iniziare a cercare qualcosa per conto vostro siete liberi di farlo”

 

Una mano si alza di scatto. È di una ragazza mora con la frangetta che Quinn ha già identificato come ‘quella che pensa solo ai voti’. È brutto schematizzare gli studenti secondo modelli di comportamento predefiniti ma è una tecnica che spesso si rivela azzeccata.

“Dimmi pure, Mary”

 

“Volevo sapere se dovremo fare tutti la ricerca sullo stesso autore o se ognuno può scegliere quello che preferisce” squittisce con l’aria più seria di quanto i suoi sedici anni al massimo le consentano.

 

“Sarete liberissimi di scegliere l’autore che vi piacerà di più” sorride alla classe, facendo scattare di nuovo la corsa all’appunto. “E saranno ricerche individuali, così avrò modo di farmi una bella idea su ciascuno di voi e lavorerete tutti allo stesso modo. O almeno si spera” aggiunge, ottenendo qualche risatina e qualche timido ‘Cavolo’ dal fondo della classe.

 

“Altre domande?” chiede, attendendo pazientemente che tutti facciano no con la testa. “Direi che ormai …”

 Con precisione assolutamente non voluta ma comunque chirurgica la campanella di fine ora suona esattamente in questo momento.

“… la lezione è finita. Ci vediamo dopodomani”

 

Afferra dalla cattedra il cancellino e inizia a pulire la lavagna. Non ha più lezioni oggi ma in questo modo si porta avanti per il giorno seguente, visto che, come ha potuto constatare, i bidelli devono avere qualche problema al collo che impedisce loro di alzare la testa. Non si spiega altrimenti il fatto che si limitino a pulire i pavimenti, lasciando così com’è tutto ciò che si trova più in alto di cinque centimetri.

 

“Posso parlare un secondo, professoressa Fabray?”

 

Scatta come una molla, voltandosi talmente in fretta da rischiare uno strappo alla schiena. Non è una reazione esagerata, no, figuratevi. È che attende la prima domanda dopo una sua lezione da così tanto tempo –insegna da un anno e due settiamanei, eh– che è quasi tentata dal mettersi a piangere.

“Sì?” sussurra, sull’orlo della commozione, alla ragazza con chioma bionda raccolta in una coda e la divisa rossa e bianca delle Cheerios, le cheerleader della scuola, ferma davanti alla cattedra. “Hai una domanda, Stacey?” chiede tornando calma, facendo sfoggio della sua notevole memoria.

 

“Volevo chiederle se … ecco, sarebbe disposta a dare la sua disponibilità per la creazione di un club del libro come attività extrascolastica”

 

Quinn aggrotta le sopracciglia, spiazzata, appoggiando una mano sulla cattedra. “Beh, non saprei come aiutarti” ammette sinceramente.

 

“Deve solo …” farfuglia la giovane, tirando fuori un foglio dal quaderno firmato ‘Cheerios’ che tiene premuto al petto “… mettere la firma qui. Abbiamo solo bisogno di un prof. che faccia da responsabile”

 

Come potrebbe dire di no ad una richiesta del genere? Proprio lei, poi.

Prende il foglio dalle mani della cheerleader ed inizia a leggerlo attentamente, sperando di non fare la figura dell’incapace visto che è la prima volta che si trova in una situazione del genere.

“In cosa consiste il ruolo di responsabile, esattamente?”

 

“Deve solo mettere la firma e portare la richiesta al preside Figgins” risponde Stacey in tono particolarmente entusiasta. “Non deve venire a scuola delle ore in più, non deve correggere compiti o scrivere verbali sui nostri incontri. Nulla, ci basta solo la sua firma”

 

“Sembra una cosa alla mia portata” scherza, facendo sorridere la ragazza. “L’unico problema potrebbe derivare dal fatto che sono una semplice sostituta. Dovrei parlare con il preside”

 

“Io e le altre gliene saremmo eternamente grate!” esclama addirittura con un piccolo saltello di gioia.

 

“Che entusiasmo”

 

Stacey abbassa lo sguardo mentre le guancie le si imporporano appena di rosso. “È che … sì, insomma, ci abbiamo provato tutto l’anno scorso a convincere la professoressa May e lei ha sempre detto no”

 

“Come mai? Insomma, non mi sembra una richiesta così esagerata” chiede, incuriosita dalla faccenda.

 

La ragazza si guarda intorno per vedere che non ci sia nessuno, si avvicina alla professoressa e bisbiglia “Discriminazione sociale”

 

“Discriminazione … sociale?”

Il suo famoso sopracciglio sinistro si solleva in automatico. È dotato di vita propria, non può farci nulla.

 

“Il fatto è che molte delle ragazze che vogliono partecipare sono Cheerios … cioè cheerleader …” spiega un po’ avvilita “… e secondo la May useremmo la classe che la scuola metterebbe a disposizione solo per fare le nostre ‘cose da oche giulive’” dice virgolettando con la mano libera l’ultima parte del discorso.

 

“Oche giulive sa molto di professoressa May, in effetti” mormora assorta Quinn, ripensando ai brevi ma intensi dialoghi avuti con la donna, mentre Stacey annuisce grata.

 

“La verità è che molte di noi vorrebbero andare al college e studiare liberal arts” riprende la ragazza, sempre più avvilita. “Solo che … ecco, ci hanno detto che in molti istituti guardano la provenienza dei crediti liceali e così ci servono tante attività extrascolastiche in campo umanistico”

 

“Giornalino scolastico, dibattito, club del libro, questo genere di cose in pratica” elenca la professoressa facendola annuire ancora. “E tu cosa vorresti studiare al college?”

 

“Giornalismo”

 

C’è qualcosa in Quinn di diverso da buona parte delle altre donne venticinquenni, un’anima profondamente materna e sensibile che non riesce davvero a resistere ad un luccichio ed un sorriso così appassionato.

“In teoria ora dovrei andare a casa. Però … beh, al momento a casa non devo fare nulla quindi direi che posso approfittarne per andare a parlare dal preside Figgins”

 

“Davvero lo farebbe?”

 

“Certo. Da professoressa di letteratura, seppur temporanea, non posso che incentivare la diffusione della lettura tra i miei studenti” sorride per quella che sarà la centesima volta negli ultimi dieci minuti. “Solo a condizione di poter partecipare anche io, di tanto in tanto, se e quando avrò dei pomeriggi liberi”

 

“Certo!”

 

“Bene” sorride –sembra che non possa fare altro, ma è solo l’effetto della prima volta in cui un suo studente le chiede qualcosa. Guarda poi l’orologio, accorgendosi di quanto sia effettivamente tardi. “Non vorrei fare la maestrina, ma non credi di essere in ritardo mostruoso per la prossima ora?”

 

Stacey vola via alla velocità della luce, lasciandosi dietro una scia di “Accidenti!” misti a “Grazie mille!”

 

Per un attimo Quinn è stata tentata dal temporeggiare e chiedere a qualcuno dei suoi colleghi un’opinione in merito alla faccenda prima di parlare con il preside perché, nonostante l’innocenza e la purezza di questa ragazza, se un’insegnante che lavora qui da anni come la May sospetta qualcosa sarebbe da incoscienti ignorarla.

 

Però ora, dopo il colpo di genio del ‘partecipare di tanto in tanto’, è piuttosto sicura di poter tenere la faccenda sotto controllo.

Inoltre anche lei è stata cheerleader ai tempi, anzi capo-cheerleader, e la cosa della discriminazione sociale è vera. Per ciò che ha potuto provare sulla sua pelle, se indossi una divisa e dici di voler studiare per diventare professoressa la maggior parte delle volte ti becchi occhiate scettiche e, nel resto dei casi, delle risatine ironiche.

Perché le persone, soprattutto al liceo, non guardano chi c’è dentro alla divisa, la loro attenzione è attirata solo dall’armatura. E se hai i pompon allora sei di certo stupida.

 

Infila le cose nella tracolla di cuoio che le ha regalato la madre il giorno della laurea, tenendo il foglio di Stacey tra le mani, e si mette in marcia verso l’ufficio del preside.

 

Arrivata sulla soglia rimane un attimo imbambolata, guardando alternativamente alla sua destra e alla sua sinistra.

La sua memoria su nomi, volti e caratteri delle persone sarà pure eccezionale, ma il suo senso dell’orientamento non lo è nemmeno per sogno.

 

Alla fine opta per andare a sinistra, anche perché è piuttosto sicura che a destra ci sia la sala insegnanti, ed approfitta del vuoto nel corridoio per leggere di nuovo la lista delle persone che parteciperanno al club del libro.

Sorride scorgendo il nome Stacey Evans sotto alla dicitura ‘Presidente/Presidentessa’. È decisamente furba, la signorina.

 

Sta per scorrere la lista dei nomi dei partecipanti –a quanto può leggere, ne servono almeno cinque per aprire il club– per vedere se effettivamente siano tutte femmine, quando un rumore di passi diverso da quello dei suoi scarponcini le fa alzare lo sguardo dal foglio.

 

Ed i suoi occhi, un particolare miscuglio di marrone chiaro e verde, incrociano un uomo, anzi un marcantonio con tanto di cresta da ultimo dei Moicani in testa, intento a sistemarsi un cartellino sulla giacca di pelle.

 

Non appena il lui si accorge di essere osservato sposta istantaneamente la sua attenzione sulla giovane professoressa, sorridendo in una maniera così maliziosa che non può essere fraintesa.

 

Quinn distoglie lo sguardo arrossendo vistosamente, aumentando il passo e passandogli accanto più veloce che può, profondamente a disagio per la certezza che lui la stia ancora fissando.

 

Non smette di camminare speditamente nemmeno voltato l’angolo, finendo per ritrovarsi in maniera del tutto casuale davanti alla presidenza.

Solo a questo punto si volta all’indietro, trovando il corridoio ovviamente deserto. Si porta una mano sulla guancia ancora calda, cercando di capire chi diavolo potesse essere quel tizio.

 

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Lima è praticamente la stessa di com’era quando se n’era andato in Georgia.

Ecco, forse è meno trafficata e un po’ più abbandonata a sé stessa di un tempo, ma per una cittadina con poche attività ad alto impiego la crisi potrebbe essere stata un motivo sufficiente di spopolamento.

 

Il clima, se possibile, è persino peggiorato. È a Lima da una settimana e, nonostante sia appena la prima metà di Settembre, non ha ancora beccato un singolo giorno di sole. Niente, nemmeno dieci minuti di cielo sereno. Nuvole o pioggia, ecco cos’ha da offrire questo buco di città per il suo grande ritorno.

 

Ritorno, poi … può essere chiamato ritorno alloggiare una settimana in un motel uscendo dalla propria camera solo per mangiare?

 

La verità è che arrivare in Ohio e nella sua città natale è stato semplice, farsi vedere dalla ‘sua famiglia’ non così tanto.

Troppe cose sono in ballo, molte dei quali lo spaventano da morire.

Primo fra tutti, come potrebbe reagire sua sorella minore, l’unica con cui ha sempre cercato di rimanere in contatto con ogni mezzo possibile?

È spiegare il vero motivo per cui abbia finalmente deciso di tornare la parte che più lo terrorizza.

 

Dalla paura è passato poi ad avere attacchi di ansia e panico, uno dei quali così grave da costringerlo a chiamare il Dottor Menkins.

 

 

Ora, però, è pronto. O meglio, è abbastanza sicuro di esserlo. Almeno per quanto riguarda sua sorella. Gli altri invece … loro non è per niente intenzionato a vederli, non ancora.

 

Per questo ha deciso di incontrarla nell’unico posto in cui nessuno di loro potrebbe interromperli. Il McKinley, il suo vecchio e caro liceo.

Se solo i suoi muri potessero parlare …

 

Attraversa il parcheggio con calma, godendosi appieno quel senso di nostalgia che lo assale incontrollato. Ah, quante sveltine, quante risse e quanti secchioni gettati nell’immondizia!

 

Ecco, il liceo è una di quelle poche cose di Lima di cui è felice non sia cambiato nulla.

 

Sale i gradini che portano all’ingresso, sfiorando con le dita il freddo metallo del poggia-mano.

È addirittura costretto ad aggiustarsi gli occhiali da vista che gli ha prescritto l’altro medico per cercare un modo di trattenere la commozione mentre varca l’ingresso.

 

A sinistra ci sono le aule per i club e i laboratori di scienze e chimica; lungo il corridoio centrale ci sono le aule ‘normali’ e, sul fondo, la strada per gli spogliatoi, la palestra e l’accesso al campo da football; a destra gli uffici amministrativi, la mensa e la sala insegnanti.

“Non è cambiato nulla” mormora sorridente, gustandosi il piacere di quell’odore simile a varichina con un pizzico di plastica bruciata che si alza dai pavimenti e il mormorio degli studenti e dei professori che esce dalle classi.

 

“Posso aiutarti?”

 

Effettivamente non è proprio tutto uguale. “Una volta la segreteria non era vicino alla presidenza?” chiede avvicinandosi alla specie di sportello con vetro antiproiettile delle banche da cui proviene la voce che l’ha richiamato sull’attenti. “Che mi venga un accidenti! Becky Jackson!” esclama sorpreso, riconoscendo nella ragazza la giovane affetta da sindrome di Down da cui copiava i compiti di matematica.

 

“Se non sei uno studente, un insegnante o un membro del personale non puoi stare qui” ribatte lei, smorzandogli l’entusiasmo, ligia al dovere già quando era più piccola.

 

D’accordo, d’accordo, ho capito l’antifona” sbuffa prendendo il portafogli dalla tasca posteriori dei jeans e porgendole la patente. “Sono Noah Puckerman, un ex studente che tra l’altro conosci benissimo. Sono venuto qui per parlare con mia sorella”

 

Becky analizza attentamente il documento, poi confronta la foto con il volto di Puck e, per finire, inizia a pigiare tasti sulla tastiera del computer che ha al suo fianco.

“Risulta un Noah Wayne Puckerman tra gli ex studenti. Sei tu?”

 

“Esattamente”

Con notevole presenza di spirito si trattiene dal commentare o fare le sue solite battute cafone perché sa bene che gli costerebbero automaticamente la possibilità di entrare.

 

“Allora devi metterti questo …” gli fa porgendogli la patente e un cartellino con scritto ‘Visitor’ “… e devi tenerlo sempre in bella vista”

 

“Agli ordini, generale Jackson

Rimette la patente nel portafoglio e questi nella tasca, cercando anche un posto non troppo fastidioso dove appendere il cartellino.

 

“Tua sorella sta facendo algebra in questo momento. L’aula si trova-”

 

“L’ultima aula prima degli spogliatoi” la interrompe, facendo tintinnare il metallo del cartellino tra le dita. “Non ci sono stato spesso ma lo ricordo lo stesso”

 

“Puckerman?” lo richiama quando ormai lui si è già voltato.

 

“Eh?”

 

“Sei diventato un bel pezzo di manzo” gli fa Becky con un occhiolino.

 

“Lo sono sempre stato” ribatte sornione, alzando poi la mano per salutarla prima di infilarsi nel corridoio centrale.

 

Sembrano passati secoli da quando era un semplice spaccone della squadra di football con la fama del duro e dello sciupa femmine sempre ad un passo dalla sospensione. Invece sono solo nove anni, mese più mese meno.

 

È tanto, a conti fatti un terzo esatto della sua vita, eppure nella sua testa il periodo di servizio sotto le armi è stato mille volte più lungo e spossante del resto, molto più di quanto avesse mai potuto immaginare.

 

Anche se, in quanto a cose stancanti, il cartellino che gli ha dato Becky si candida ad un posto sul podio nella sua personale classifica all time.

Quei maledetti dentini di metallo potrebbero rovinare la sua preziosa giacca di pelle, l’unico indumento del suo armadio a cui tiene davvero.

Potrebbe appenderlo al colletto della polo che porta sotto ma, dopo aver provato ed essersi graffiato il mento, si rende conto dell’idiozia del tentativo.

 

In pratica, un veterano dell’esercito perfettamente addestrato sta lottando con un cartellino di plastica e non sta affatto vincendo. Anzi, non sta nemmeno pareggiando.

 

È sul punto di rinunciare e costringersi ad attaccare quello strumento di tortura sotto mentite spoglie alla giacca quando un rumore di passi gli fa attivare i suoi famosi sensi da Puckzilla.

Quelli che ad un orecchio inesperto risulterebbero comunissimi tacchi bassi, ad un vero marpione come Noah Puckerman si rivelano per quello che sono in realtà, ovvero scarponcini da donna, pratici ma al tempo stesso eleganti.

 

La cosa migliore della faccenda, comunque, è la donna a cui appartengono.

Non riesce a trattenersi dal sorride maliziosamente mentre i suoi occhietti da predatore scrutano la bionda che cammina verso di lui e che lo stava fissando –eh già, beccata!

 

Ha pochi secondi di visuale pulita prima che questa, una professoressa a giudicare dal modo di vestire, dalla borsa di cuoio e dal viso molto più da donna che da adolescente, lo superi quasi di corsa.

 

Eppure sono decisamente più che sufficienti per fargli esclamare tra sé e sé un convintissimo “Con professoresse del genere non avrei mai marinato la scuola”

 

Una bella donna, non ha davvero nulla da dire a riguardo. Certo non ha potuto esaminare tutto tutto –compreso il retro, ha preferito non girarsi per non sembrare un cafone–, ma basta quel viso rasente la perfezione perché il voto finale della sconosciuta risulti nettamente più alto della media delle donne di Lima. O almeno delle donne che c’erano a Lima quando era ancora un liceale.

 

A quanto pare, tornare non è stata un’idea così pessima. Imposizione dettata dalla mancanza di opzioni più che idea, tra l’altro, neanche avesse potuto decidere in piena e totale autonomia tra due alternative.

 

Prima che possa rendersene pienamente conto, il momento della verità è arrivato.

Il cartellino è appeso sul bordo della sua giacca, in bella vista, e la porta dell’aula ‘Algebra’ è proprio di fronte al suo faccione.

 

Prende un respiro, poi un altro e un altro ancora. Ce la può fare, si tratta solo di bussare ad una porta. Bussare e farsi vedere dalla propria sorella minore, da cui non si fa vedere il carne ed ossa da quando è partito e a cui ha sempre raccontato un decimo di quella che è stata la sua esperienza nello US Army. Facile.

 

Una ventina di respiri profondi e tentennamenti vari dopo, decide di rompere gli indugi. Due colpi decisi con le nocche e via.

 

Non si aspetta di certo che la porta si spalanchi subito e una delle sue vecchie professoresse faccia capolino dalla classe in tutta la sua possente bassezza.

“Tu non sei il bidello che ho mandato a chiamare venti minuti fa per i miei pennarelli”

 

“Professoressa Hagberg …” sorride furbescamente, accarezzandosi la testa e la cresta per fargliela notare “… non si ricorda di me?”

 

L’anziana donna solleva gli occhiali da vista appesi al collo e li sostituisce a quelli che ha già indosso, squadrandolo dal basso in alto un paio di volte.

“Non credo riuscirei a dimenticarmi di te nemmeno tra cent’anni, dannato somaro!” ridacchia la donna dandogli una pacca nemmeno troppo amichevole sul braccio. “Cosa ci fai qui? Non vorrai mica iniziare a frequentare le mie lezioni dopo il diploma, vero?”

 

“In realtà no, anche se sono molto felice di vedere che si mantiene ancora bene”

 

La professoressa si liscia i corti capelli castani tagliati a caschetto, lusingata, facendo pure l’occhiolino al suo ex alunno.

“Mi avevano detto che ti eri arruolato”

 

“Oh, sì” mormora cercando di distogliere lo sguardo dalle rughe che le adornano il viso e la pappagorgia piuttosto evidente, cose che già erano presenti anni fa e che il tempo ha solo aggravato. “Sono in congedo e sono venuto per passare a salutare mia sorella”

 

“Te la vado a chiamare subito” risponde sorridente, comprendendo al volo la fretta che lo anima. “Deborah, puoi uscire un secondo? Ho bisogno di parlare con te!” urla, con la sua voce gracchiante, sporgendo la testa all’interno della classe e sovrastando il brusio che la sua assenza ha provocato.

 

“Grazie, professoressa Hagberg”

 

La donna gli fa cenno con la mano che non fa niente prima di sorridergli fiera.

“Ha ottimi voti, non disturba e frequenta tutte le lezioni, non sembra nemmeno tua sorella. Cerca di non corromperla, d’accordo?”

 

Noah ride di gusto, facendole semplicemente ok con il pollice.

 

“Ora, se vuoi scusarmi, vado a prendere il mio pennarello nero” dichiara con estrema serietà, scostando il ragazzone con un braccio. O, almeno, provandoci. “Per la cronaca, per far uscire tua sorella da scuola anticipatamente devi passare dal Preside per avere il permesso”

 

“Ah” farfuglia in imbarazzo, passandosi una mano sulla collottola. “G-grazie. Di nuovo”

 

“Prof, di cosa voleva parl … io non … oh

 

Ritrovarsi davanti una persona cara dopo quasi nove anni –chiamate telefoniche e Skype non valgono– è sicuramente una delle esperienze più emozionanti che si possano mai avere.

 

Deborah, la sua adorata sorellina, la bambina che ha praticamente cresciuto al posto di sua madre, che dormiva con lui dopo gli incubi e che in qualche occasione l’ha pure aiutato a rimorchiare, è già diventata una donna.

La divisa da Cheerios le dona moltissimo, così come la coda in cui sono raccolti i suoi lunghi capelli bruni, scuri come i suoi. Gli occhio nocciola, spalancati per la sorpresa, lo stanno fissando e l’unica cosa che vorrebbe fare è fare un passo ed abbracciarla. A volte, però, le emozioni tradiscono e Noah rimane fermo, pietrificato, senza riuscire a dire nulla.

 

Anche la ragazza è immobile, quasi voglia imitare il fratello come faceva quando era piccola, un’espressione indecifrabile dipinta sul volto.

 

Quello che Noah non può sapere è che è la paura il sentimento che emerge in maniera più prepotente tra tutti quelli che le animano il petto.

La paura irrazionale che si tratti di uno dei suoi sogni che fa ogni notte la paralizza e il terrore che se provasse ad allungarsi per stringere il suo adorato fratellone questo scomparirebbe facendola risvegliare sola nel letto, come sempre, le impedisce di essere contenta.

 

“S-sei tu? Sei tornato?”

 

“Sono in congedo permanente …” mormora, riscuotendosi appena dalla catalessi “… quindi credo di sì … principessa

 

Sentendosi chiamare in quel modo, con quel nomignolo tanto banale per il mondo quanto speciale per lei, qualcosa le si rompe dentro.

 

Un singhiozzo, poi un altro. Si ritrova a piangere come una fontana e a tuffarsi tra le braccia di Noah prima che suo fratello riesca a fare un passo verso di lei.

 

Il ragazzone reagisce in automatico alla sua vicinanza, stringendola più forte che può in modo da trasmetterle tutto il calore che sente.

Le appoggia poi la testa sul petto, vista la differenza di altezza, per farle sentire il ritmo del suo cuore impazzito. Ha atteso questo momento da sempre, l’ha sognato –esattamente come la sorella– e ad un certo punto ha temuto che potesse non succedere mai. Non così, non con lui in piedi e lei piangente di gioia.

 

Le lascia un dolce bacio tra i capelli, sentendola tremare vistosamente al contatto, e inizia poi ad accarezzarle piano la schiena.

“N-non … non sarei dovuto stare via così tanto” farfuglia, commosso, mentre le lenti degli occhiali da vista si inumidiscono rapidamente.

 

Noah Puckerman è una di quelle persone che commette parecchi errori e si trova spesso nei guai, anche se la maggior parte delle volte non per colpe sue.

Quando però Deborah si stacca dal suo abbraccio, si pulisce il volto con le mani e gli sorride, dicendogli “Mi senti mancato da morire”, molte delle paure che lo accompagnano da diversi anno a questa parte svaniscono.

Forse ha fatto bene a tornare, anche solo per un momento come questo.

 

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Ottenere il permesso da Figgins non è stato poi così difficile.

Infatti il preside, un ometto sulla sessantina di origine probabilmente pakistana o indiana –comunque sud est asiatico– si è dimostrato ben disposto nei confronti dell’iniziativa, assicurandole che il suo ruolo di semplice supplente non avrebbe costituito un problema e lodando al tempo stesso lo spirito con cui si è fatta carico della richiesta delle sue alunne.

 

A Quinn è sembrata una cosa esagerata ma, quando Figgins le ha promesso di farle avere a disposizione tutti i libri della biblioteca della scuola oltre alla classe in cui far riunire il club, non ha trovato nulla da ridire.

Con il tempo, poi, avrà modi capire che quell’uomo non fa mai niente per niente. Ma questa è un’altra storia.

 

Appena uscita dalla presidenza, piuttosto soddisfatta e trionfante, si dirige in sala insegnanti, desiderosa di prendersi una tazza di caffè bollente prima di tornare a casa e affrontare le solite faccende spezza schiena. Bucato, pulizia, pranzo. Uno strazio, insomma.

 

Una volta arrivata, però, rimane un attimo spiazzata nel vedere un ragazzo piuttosto elegante intento ad armeggiare con la macchinetta del caffè. Non si aspettava di trovare nessun professore, figurarsi uno studente.

“Mi dispiace, non puoi stare in sala insegnanti. Se hai bisogno di parlare con un tuo docente devi fermarlo in classe” 

 

Il ‘ragazzo’ ride in maniera piuttosto sguaiata, girandosi verso Quinn.

“Non so se essere onorato o offeso per essere stato scambiato con un adolescente” ridacchia, spostandosi da un lato il ciuffo castano. “Kurt Hummel, professore di francese”

 

“I-io … sono mortificata, davvero! S-scusami” farfuglia, divampando per l’imbarazzo.

Effettivamente non è nuova a figuracce del genere, però scambiare un insegnante per uno studente è davvero da guinness.

 

“Tranquilla, ho deciso di sentirmi lusingato” sorride prima di indicare la brocca piena di liquido scuro che tiene in mano. “Posso offrirtene una tazza?”

 

“C-certo” balbetta, arrossendo di nuovo. “Comunque io sono Quinn Fabray, supplente di Letteratura. Piacere di conoscerti”

 

“Il piacere è tutto mio, soprattutto considerando il notevole gusto che dimostri nel vestirti. Il cardigan a mezze maniche è veramente un tocco di classe”

 

La donna alza un sopracciglio, gettando un’occhiata scettica prima al proprio capo d’abbigliamento, poi all’uomo –fatica parecchio a non scambiarlo ancora per un ragazzino, forse per il viso così giovanile o forse per la voce.

“… grazie?”

 

“Ti sembrerò un maniaco o qualcosa del genere” le sorride, sistemando le due tazze in cui ha versato il caffè su un tavolino e facendole segno di sedersi. “Il fatto è che sono decisamente un … patito della moda, anche se mi piacerebbe pensare di essere un vero esperto …” spiega, armeggiando con lo zucchero “… e un’insegnante che indossa qualcosa di diverso da maglioni di lana o flanella grossi due dita è una piacevole novità”

 

“… grazie?” ripete, piuttosto smossa dall’ambiguità della discussione, sbattendo gli occhi un paio di volte. 

 

“Ti sto mettendo in difficoltà, vero?” borbotta, storcendo appena il naso.

 

“Oh, no, no, no” si affretta a dire, agitando le mani. “È che … sono abituata a professori che ci provano, uno che mi fa i complimenti per come sono vestita è …”

 

“Strano?”

 

“Una piacevole novità” sorride, riprendendo le parole che l’altro ha usato poco prima. “Comunque questo modello l’ha fatto una mia vecchia amica del liceo che ogni tanto mi manda qualcosa di suo” spiega, cercando si sbrogliare la matassa di imbarazzo che aleggia su di loro.

 

“Effettivamente stavo per chiederti di che marca fosse” ribatte lui, di nuovo sorridente. “La tua amica è famosa?” chiede, prendendo un lungo sorso di caffè.

 

“Non quanto vorrebbe” fa Quinn con una smorfia, pensando all’amica Santana in una delle sue migliaia di telefonate mirate esclusivamente al lamentarsi del suo capo. “Non ancora, almeno. È solo agli inizi, però è già arrivata a Vogue. Il problema è che a lei non basta, lei vuole tutto e subito”

 

Gli occhi azzurri di Kurt scintillano e, per un secondo, Quinn è convinta che si stia per sputargli addosso. Poi riacquista un briciolo di controllo, trovando dentro di sé la forza necessaria a non esplodere e deglutire.

Vogue. Tu hai appena detto quella parola”

 

“S-sì … lavora lì, anche se secondo lei è solo un trampolino di lancio per la sua carriera. È parecchio … ambiziosa”

 

“Non prenderla nel verso sbagliato, ma io … credo di amarti” dichiara con serietà impressionante, facendola impallidire dal terrore. “Stai pur certa che se non giocassi per l’altra squadra ti avrei già chiesto la mano”

 

“Questa è senza ombra di dubbio la discussione più sconclusionata e bizzarra di tutta la mia vita” ridacchia Quinn, dopo qualche secondo di apnea, sorprendendosi di sentirsi a suo agio con il suo interlocutore. Ed è strano, per una diffidente e solitaria come lei, chiacchierare in tutta tranquillità con uno sconosciuto, per lo più piuttosto stravagante.

 

“Dal mio punto di vista la cosa è decisamente positiva” mormora con una certa sfumatura di tristezza nella voce. “Come ben presto imparerai, visto che è decisamente scontato che tu non sia di qui, Lima è il posto più monotono del mondo”

 

“Come fai a sapere che non sono di qui?” sorride, incuriosita.

 

“Perché le persone di questa città sono tutte uguali. È questo posto …” borbotta indicando intorno a sé con le mani “… che ti ingrigisce, ti deprime e … ti rende uguale a tutti gli altri”

 

“Tu non sembri così”

Certo, lo conosce da quanto? Cinque, dieci minuti? Però c’è qualcosa in questo Kurt Hummel, una specie di luce, che è impossibile non notare. 

 

“Lo nascondo bene” ammette sforzandosi palesemente di sorridere. “Ma non parliamo di queste cose tristi. Dimmi, cosa hai fatto di male per essere spedita al McKinley?”

 

“Ho chiesto un posto in una piccola città per fare esperienza, visto che la mia prima prova in un liceo l’ho avuta a Chicago ed stata … traumatica, se così posso dire” spiega, armeggiando con la tazza di caffè.

 

“Quindi sei dell’Illinois?”

 

“No, in realtà sono nata ad Ames, Iowa” precisa immediatamente. “Quando avevo otto anni i miei si sono trasferiti a Chicago per lavoro e lì ho frequentato tutte le scuole, college compreso”

 

“Capisco che se l’esperienza là sia stata difficile tu abbia sentito la necessità di cambiare, però … senza offesa, perché proprio l’Ohio?”

 

“Ho chiesto un posto tranquillo, uno qualsiasi, e mi hanno chiesto se ero disponibile a venire qui. Ho accettato soprattutto per il fatto che Lima è piccola, circa come Ames, forse un pelo più grande, e a dirla tutta mi mancava vivere in un posto del genere. Le metropoli non fanno proprio per me”

 

“Capisco” commenta semplicemente Kurt, lasciando cadere la conversazione in un silenzio che però non è per nulla imbarazzato.

 

“Sai …” fa la donna dopo aver mandato giù il caffè “… fino a ieri ero un po’ preoccupata dal fatto che l’età media del corpo docenti sfondi abbondantemente i cinquanta. Sono davvero contenta di aver conosciuto qualcuno di giovane come te”

 

“Direi che ho avuto un’intuizione felice scegliendo di venire in sala insegnanti proprio in questo momento” concorda Kurt, agitando la tazza a mo’ di brindisi. “Sono tornato qui da un anno e mezzo e tu sei la prima persona con cui riesco a parlare senza beccarmi un’occhiataccia”

 

“Sarà perché ho gusto nel vestire” scherza, senza però ottenendo una reazione positiva dall’altro che abbassa mestamente lo sguardo.

 

“Penso dipenda più dal fatto che sei la prima persona a Lima a cui dico di essere gay che non fa nemmeno una smorfia. È per questo che ho capito subito che non sei di qui”

 

Un “Oh” sorpreso le sfugge dalle labbra, ed è l’unica reazione che si sente di avere. Preferisce rimanere in silenzio ed evitare commenti di alcun tipo anche se, nella sua mente, è ben chiaro cosa farebbe Santana se fosse al suo posto. Un massacro.

 

“Tranquilla, farà anche schifo ma ci sono abituato. Non crucciarti per questo” le sorride gentilmente notandola momentaneamente distratta.

 

Quinn, sentendosi in colpa, opta immediatamente per cambiare discorso. E, con sua somma sorpresa, scopre come parlare con Kurt sia destramente facile e la chiacchierata non finisca mai in un momento di ristagno in cui nessuno dei due sa cosa dire.

 

Il tempo passa così in fretta che, quando la campanella suona, entrambi si trovano a guardare l’ora, sorpresi.

 

“È già passata un’ora?” borbotta Kurt, con una nuova smorfia, alzandosi dal suo posto evidentemente contrariato. “Incredibile, di solito il tempo in questo posso non passa mai”

 

“Se ti va possiamo prendere un caffè anche domani” mormora Quinn. “Sono a Lima da un mese ormai ed ho davvero bisogno di un amico” dichiara, facendo ridere Kurt.

 

“Accetto con piacere” le risponde il ragazzo, sorridente molto più sinceramente di quanto abbia fatto finora.

 

Anche Quinn è altrettanto sorridente. È riuscita ad aprirsi di più in un’ora scarso con lui che con tutte le persone che ha conosciuto dal college in poi. Lima, dopotutto, non offre solo vecchi bavosi e appiccicosi.

 

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Come in uno di quei filmetti da due soldi in cui quando al protagonista succede una cosa brutta piove e quando invece gliene capita una buona c’è il sole, Lima sembra aver apprezzato lo sforzo di Noah.

Difatti la pioggia ha deciso finalmente di concedere una tregua e i due fratelli ne hanno approfittato subito.

Visto che il preside Figgins non gli ha concesso di portare via la sorella per una mera questione burocratica –a quanto pare se il nome non è tra quelli indicati dai genitori nessuno può accompagnare un minorenne fuori dall’istituto, nemmeno se si tratta di un fratello, robe dell’altro mondo–, quale posto migliore se non il vecchio spazio verde dove passavano le loro giornate quando erano piccoli per raccontarsi come hanno trascorso questi anni di dolorosa separazione?

 

 

“… non so che altro aggiungere. Il resto, come si dice, è storia. Ho passato gli ultimi sei mesi in terapia fino ad una settimana fa quando il dottore mi ha dichiarato pronto e … eccomi qui”

 

Deborah, a braccetto con il fratellone, si mordicchia il labbro, pensierosa. “Avresti dovuto dirmelo anziché mandarmi quelle mail criptiche che non mi facevano capire nulla”

 

“Era quello il loro scopo: non farti capire” sorride, appoggiando la mano libera sulla cuffietta bianca che adorna il capo della sorella. “Se non fossi riuscito a riprendermi ti avrei fatta chiamare”

 

La ragazza trattiene uno sbuffo e si limita a gettargli un’occhiata scettica, scuotendo appena il capo, senza nascondere però un bel sorriso. Come potrebbe mettere il broncio in una situazione del genere? Come potrebbe arrabbiarsi quando il suo fratello è tornato praticamente solo per lei?

 

“Ora tocca a te” decreta Noah dopo qualche secondo, interrompendo come sua consuetudine il silenzio.

 

“Beh, non c’è molto” farfuglia con un’alzata di spalla. “Ho una media della A meno, sono una Cheerios, ho un ragazzo, faccio da baby sitter ma anche da dog sitter perché ho visto che ci sono più cani che bambini a Lima” butta lì velocemente, sperando in questo modo di non fargli capire quella parte del discorso. “Credo sia tutto”

 

“Sono molto fiero di te per la media scolastica” le sorride Noah, comprendendo finalmente il motivo del sorriso della Hagberg. “E quanto ti frutta al mese?”

 

“Parecchio. Quasi trecento quando va male, quasi quattrocento quando va bene”

 

Oh” mormora, sinceramente ammirato. “Potrei entrare anche io nel giro, ho una certa esperienza nel far rigare dritto i mocciosi”

 

Deborah scoppia a ridere, aggrappandosi al braccio del fratello per non cadere a terra.

 

“Che ho detto di così divertente?”

 

La ragazza si tira su in piedi, passandosi una mano sulla faccia per tentare di smettere di ghignare.

Prende un respiro gigante, balbettando poi un “Immagina la scena” che rimane incompleto perché non riesce a resistere oltre e scoppia di nuovo a ridere.

 

“A me sembra che tu stia esagerando” sospira Noah, fermandosi in mezzo al sentiero che taglia a metà il parco per consentirle di riprendersi.

 

Le ci vogliono un paio di minuti abbondanti per acquistare una parvenza di serietà e dire “Ok, ok, ora ci sono. Immagina la scena …” tossisce, prima di tentare di imitare la voce bassa e roca del fratello “… salve signora, sono Noah Puckerman, ex soldato dell’esercito. Sono qui per accudire i vostri pargoli

 

“Non fa ridere” decreta lui, lapidario.

 

“A me sì, molto” sbuffa invece lei, offesa dal modo di fare del fratello. “Se continuavo ancora un po’ finivo con il farmela addosso”

 

“Era una tattica per evitare l’argomento ragazzo, ti conosco come le mie tasche” la gela, obbligandola a mordersi un labbro per l’imbarazzo di essere stata miseramente beccata. “Tranquilla, stavo solo pensando al modo più carino per chiederti nome e cognome di costui” aggiunge guardandola dritta negli occhi con fare tremendamente serioso. “Lo sa che hai un fratello in grado di ammazzarlo a mani nude, vero?”

 

“Non fare il fratello gelosone che non ti si addice per niente” borbotta, riprendendogli il braccio per incoraggiarlo a camminare di nuovo. “Devon è un bravo ragazzo, mi piace molto e mi tratta benissimo”

 

“Dunque si chiama Devon, ho già ridotto il campo di ricerca” sorride Noah, schivando a stento uno scappellotto della sorella.

“Da quanto state insieme?”

 

“Un anno e un mese” mormora palesemente in imbarazzo, combattuta tra la difficoltà nel parlare di queste cose al fratello e dalla voglia estrema di renderlo partecipe delle sua vita.

 

“Ha già osato … ha già osato?”

 

“Non sono tenuta a rispondere” decreta, avvampando dalla punta dei piedi a quella dei capelli.

 

Cazzo! Questo Devon è già morto” ringhia come un animale feroce, stringendo i pugni. “Anzi no … è un uomo morto che cammina”

 

“Io almeno ho aspettato di essere sicura di essere innamorata … e ho diciassette anni! Tu quanti anni avevi, fratellone?”

 

“Non è la stessa cosa” borbotta a denti stretti.

 

“Perché sono una ragazza?”

 

“Perché sei mia sorella!” sbotta agitandosi molto più di quanto sarebbe lecito attendersi da uno con il suo … ma sì, chiamiamolo curriculum sessuale. “T-ti … ti tenevo in braccio fino all’altro ieri! Mi ricordo ancora quando correvi in camera mia perché avevi gli incubi! Sei troppo piccola per fare … quello

 

Invece che continuare a protestare o fargli notare come non avrebbe mai pensato che Puckzilla sarebbe finito con il trasformarsi in un puritano, Deborah lo tira per la giacca di pelle per farlo fermare e l’abbraccia con più forza che può.

“Non andare via mai più”

 

“O-ok” farfuglia sorpreso, ricambiando la stretta. “Promesso”

 

Potrà anche essere una quasi donna, potrà anche avere un ragazzo con cui ha fatto sesso e potrà anche essere ad un solo anno e mezzo –forse qualcosa in più– dal diploma ma certe fragilità le porta ancora con sé e, molto probabilmente, le conserverà per sempre.

 

“Se mi prometti anche che non gli farai del male fisico …” gli fa lei senza allentare la presa sul fratello “… potrei presentarti Devon”

 

“Al massimo ti concedo la clausola ‘non lo ucciderò appena entrerà nel mio campo visivo’”

 

“Dagli una possibilità, è un bravo ragazzo” piagnucola, giocandosi la carta segreta in dote ad ogni sorellina minore. L’aria da cucciolo.

 

“Affare fatto” le concede, ovviamente, con un sospiro, cedendo a quegli occhioni grandi e a quel broncio che le ricorda quello di una bambina di otto anni di sua conoscenza che si divertiva a rubare i biscotti e a mangiarli prima di cena, dando a lui la colpa.

 

A conti fatti, la cosa più bella per Noah non è aver ritrovato Deborah e un rapporto paradossalmente ancora più solido di quanto avesse una volta. Non è nemmeno il fatto che lei voglia riprenderlo con sé e nella sua vita ad ogni costo.

È il fatto che lo capisca nonostante gli anni passati distanti, motivo per cui non gli ha chiesto come mai sia venuto da lei senza avvertire sua madre. Lei sa, lei lo conosce.

 

 

 

 

 

Note dell’autore.

 

Avevo detto giovedì, però non ho resistito. Era già lì, pronto, mi sembrava brutto non metterlo.

Questo capitolo è abbastanza importante, ho lasciato qualche indizio e ho introdotto diversi personaggi fondamentali.

Andiamo con ordine.

-Stacey Evans, la Cheerios bionda, non è un personaggio inventato. O meglio, compare in Glee ma come bambina. Io l’ho semplicemente … fatta crescere. Sarà importante.

-Deborah Puckerman, la sorellina di Noah. Anche per lei vale lo stesso di Stacey, solo che in Glee non ha nome e perciò gliel’ho dovuto mettere io.

-Kurt. Cosa ci fa a Lima? Perché insegna francese a McKinley? Domande a cui risponderò più avanti, ovviamente. L’amicizia con Quinn l’ho messa perché mi sono piaciuti in quelle due/tre interazioni che hanno fatto fare loro durante la prima stagione e, ovviamente, mi serve ai fini del proseguimento della trama.

 

Grazie a chi ha letto il primo, pochi ma buoni :), e a chi leggerà questo.

E come al solito, chiunque abbia consigli o correzioni o insulti o qualsiasi altra cosa può anche mandarmi un messaggio privato.

Alla prossima settimana, dire.

Pace.

  
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