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Autore: Mushj    06/03/2013    3 recensioni
Protagonista di questo intrigante giallo è Nicholas Jonas in una veste in cui non lo avete mai visto, e soprattutto in cui è davvero difficile immaginarlo!
Dall'altro lato della medaglia intricata in intrighi e misteri di pagine ingiallite è Lyla studentessa di Teatro Elisabettiano che fa di quei libri la sua vita e si imbatte in vicende curiose e pericolose al tempo stesso!
Spero che questo lavoro vi piaccia e soprattutto che possa rendere quell'idea di suspance and thriller, ma sopra ogni altra cosa spero di portarlo a termine!(:
Genere: Drammatico, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II
 

Erano tre giorni che Lyla era in ospedale, reparto terapia intensiva, e non aveva ancora aperto gli occhi.
Dell’uomo non si era saputo nulla, nessuno aveva visto niente o testimoniato contro di lui.
Prima di essere portata in ospedale Lyla era stata trovata sul marciapiede appena fuori da quella stradina. La polizia aveva classificato il caso come “rapina con aggressione a mano armata”, perché dalla sua borsa, precedentemente messa di nuovo in ordine, mancava solo il portafogli.

 
*

 

La stanza era buia, illuminata solo dalla flebile luce di una candela. Le poche cose in quella stanza minuta erano distribuite con il massimo ordine. Tutto era al suo posto, o almeno quello che doveva occupare secondo la mente di Nicholas.
Nicholas era seduto con la schiena ricurva su una vecchia cigolante sedia di legno scuro. Non riusciva a stare fermo e respirava affannosamente. Le sue mani stringevano e allentavano la presa con un ritmo irregolare sulle sue ginocchia, era impaziente. La sua impazienza divenne tangibile quando, ogni dieci secondi precisi, alzava ritmicamente la testa per fissare l’orologio appeso alla parete. Erano le venti meno dieci. Avrebbe dovuto aspettare solo dieci minuti.
All’improvviso, con uno scatto, si alzò dalla sedia e si diresse verso il piccolo bagno, e dopo essersi sciacquato il viso con dell’acqua fredda fissò la sua immagine riflessa nello specchio. Era un uomo ormai, o almeno così sembrava. I grandi e scuri occhi marroni dominavano sulla sua carnagione chiara perfettamente levigata eccezion fatta per una cicatrice sotto la tempia destra. Dalle ciglia lunghe e folte cadevano ancora piccole gocce d’acqua che lasciavano sottili scie sulle gote leggermente arrossate finendo sulle carnose labbra rosa, perfettamente disegnate e leggermente screpolate. Si asciugò il viso con un vecchio asciugamano logoro e tornò a fissare l’orologio. Non erano passati nemmeno cinque minuti e la sua impazienza lo spinse a camminare avanti e indietro senza sosta per la piccola stanza.
Nessuno sapeva che era lì. Erano anni ormai che viveva, studiava e dormiva indisturbato in quel nascondiglio.  C’era troppa gente ovunque, tranne che nel suo piccolo angolo di paradiso, come amava chiamarlo, anche perché tutto poteva sembrare meno che il paradiso. Quel posto era così angusto, scuro, tetro e freddo, niente che potesse ricordare un posto paradisiaco, e soprattutto che potesse essere una casa.
Mentre camminava ansiosamente sentì dei passi felpati venire nella direzione del suo rifugio. Spense velocemente la luce della candela con i polpastrelli bagnati di saliva per evitare il fumo. Si nascose dietro la pesante tenda di velluto che copriva una sorta di armadio e attese pazientemente. I passi sembravano sempre più vicini, dal suono delle scricchiolanti assi di legno del pavimento si sarebbe potuto dire che era una donna, dal passo molto lento.
Nel buio e silenzio della stanza i secondi erano scanditi dal ticchettio delle lancette del vecchio orologio. Passarono quindici, forse venti secondi e i passi della donna non si sentivano più. Questo silenzio calmò il ragazzo; ma lui non aveva nulla di cui preoccuparsi, il suo piccolo paradiso era separato e nascosto dal resto del mondo da una finta porta-parete che dava sul corridoio, nessuno vi si sarebbe mai potuto imbattere per caso.
I passi rincominciarono, la donna pareva essere proprio dietro la parete. I secondi sembravano scappare in una corsa indomabile. Quando all’improvviso più nulla, solo un lontanissimo vago suono di passi faceva da eco nel lunghissimo corridoio di là dalla parete.
Erano ormai le venti e Nicholas decise di uscire da dietro alla pesante e polverosa tenda. Indugiò qualche secondo e si sedette sulla vecchia sedia.
Non sapeva se era pronto. All’inizio non credeva che nessuno avrebbe risposto, ma lo avevano fatto. Sì, gli avevano risposto. Era curioso, e soprattutto stanco di aspettare ancora che qualcuno lo trovasse, o meglio li trovasse.
Si alzò. Prese l’ultimo libro che attendeva di essere riportato indietro e lo nascose sotto la giacca. Spinse piano la pesante porta di mattoni e, cercando di spostare meno polvere possibile dalle assi del pavimento, la richiuse. Ripercorse i suoi passi per non lasciare altre tracce e si ritrovò direttamente nella biblioteca. Violare la sicurezza di quel posto era ormai cosa facile, considerando anche il fatto che non fossero conservate chissà quali importanti prime edizioni e le telecamere non erano realmente azionate. Senza attendere oltre si diresse nella sezione “Drammaturgia” lettera “S” e lasciò l’ultimo libro che aveva legalmente preso in prestito dalla biblioteca. Per segnalare al sistema la sua restituzione accese il computer della bibliotecaria e inserendo la sua, ovvia, password ripristinò i resi. Senza lasciare alcuna traccia.  Sebbene fosse indeciso tra molti altri testi, stabilì di non prendere nulla per quella notte, sperando di ricevere una risposta.  
Con la stessa velocità con cui era entrato uscì rimettendo tutto in assoluto ordine senza lasciare alcun segno evidente del suo passaggio.
 

*

 

Era notte ormai, quasi le due e tutti nell’ospedale, a parte gli inservienti e le infermiere, dormivano. Anche la madre di Lyla ormai diventata parte integrante del mobilio si era addormentata, quando all’improvviso Lyla strinse forte con entrambe le mani i lembi del ruvido lenzuolo dal quale era coperta e alzò il busto di scatto quasi spinta da qualcosa sotto di lei. Si guardò intorno terrorizzata, non capiva come mai si trovasse in un letto di ospedale, tutto vicino a lei era offuscato e confuso. Riconobbe sua madre, non aveva perso totalmente la memoria. Era in preda al panico, non riusciva a respirare, i battiti del suo cuore accelerarono esponenzialmente. Arrivarono le infermiere che cercarono di placarla, mentre tentavano di bloccarla e prima che riuscissero a somministrarle un calmante endovena Lyla riuscì a strillare: “Devo prendere il Giulio Cesare!”

  
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