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Autore: bridgetx    06/03/2013    7 recensioni
Non crediate che Phoebe sia quel tipo di ragazza che si astiene dalle insicurezze solo perchè ha "occhi cenere e capelli sole". Piuttosto siate Phoebe, fondetevi in Phoebe, confrontatevi con Phoebe. Diventate Phoebe nelle gioie e nei dolori e soprattutto, credeteci come Phoebe. never say never right ?
Louis vi salverà, I promise
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il biscotto galleggiava sparso nella tazza, come tutte le mattine Phoebe aveva sbagliato i tempi.
Era così frustrante andare di corsa, con quel ritmo di vita frenetico tipico di ogni suo giorno; e quella colazione, fatta di biscotti integrali che tenuti poco nel latte erano duri come sassi, ma che se laciati affondare un po’ di più diventavano una misera pappa di cereali.
Era una di quelle tante occasioni in cui Phoebe si domandava perché le cose brutte dovevano sempre capitare alle persone buone. E una risposta ancora non l’aveva trovata.
 
La sveglia questa volta era suonata per giunta un quarto d’ora dopo ed era quasi impossibile raggiungere l’autobus in tempo.
Un paio di jeans al volo, di un celeste sbiadito e una maglietta rossa con un cardigan sopra, accuratamente abbinato ai pantaloni. Phoebe non era quel tipo di ragazza che si metteva “ un filo di trucco e via” prima di uscire di casa, anche per la più stupida occasione definiva un visibile rigo di matita sui suoi occhi. Le piaceva in quel modo, probabilmente appariva esagerato, ma non le importava.
Finalmente era arrivata a destinazione, così scese dall’autobus con quella ciocca di capelli biondi  lasciata al vento e confusa dalle linee del suo giacchetto. Si fermò ad aspettare Marie ed insieme si avviarono verso l’aula di geografia.
Alla seconda ora Phoebe avvertì un forte dolore alla pancia, quella era stata una nottata pesante. Dovette quindi farsi avanti e chiedere “ Professore, posso andare in bagno?” andava bene in quella materia, se lo aspettava un “ Certamente”molto educato come risposta.
Affrettata, Phoebe si diresse in fondo al corridoio. Poi girò a sinistra.
 
Sembrava chiedersi il perché di tutte quelle cose, sembrava domandarsi da quanto quella storia andasse avanti. Come mai doveva capitare sempre tutto a lei. Sapeva di “dipendere” dalla bulimia da un po’ di tempo, ma a quel “po’ di tempo” non sapeva collegarvi un inizio.
Ricordava di aver passato una buona parte della notte precedente vagando per il corridoio e aspettando che i suoi decidessero a dormire; suo padre rientrava quasi sempre verso le tre, senza una spiegazione, non che le importasse averla, ma ciò doveva sempre posticipare il suo intervento di “ripulitura”. E in tutto questo altri problemi si aggiungevano.
I dolori allo stomaco non la risparmiavano mai, vomitava anche senza averlo imposto lei al suo corpo, a volte mangiava anche la più piccola cosa e in modo naturale il suo corpo la rigettava. Lei aveva innescato quel processo e ora il suo organismo lo aveva reso proprio.
Quella mattina toccò alla poltiglia dei biscotti, ingurgitati appena due ore prima.
Il rituale prevedeva anche un po’ di disperazione, le scendevano delle lacrime anch’esse incontrollate che colavano senza far rumore, forse per ricordarle che tutto questo non poteva continuare. Ma perché infliggere dell’ulteriore dolore? Ne era consepevole della sua situazione e aveva tentato più volte di promettere a se stessa di smetterla, ma niente.
Anche quella mattina accadde così. Decise poi di bloccarsi, si sentiva stupida, così scacciò via il suo pianto che si andò a confondere con le fossette del suo sorriso, magicamente riapparso.
Fu così che stette dieci minuti buoni chiusa in bagno.
Una volta rientrata in classe un po’ meno affettivamente di prima il professore le domandò “Ah, allora è viva, pensavamo fosse morta, signorina Lithz”, Phoebe sorrise e si limitò ad un “Mi scusi, non ricapiterà mai più” dirigendosi al banco.
Nessuno sapeva che in realtà lei era già morta da un pezzo.
 
“Devi smetterla” fredde e dure parole da parte di Marie “Ascoltami, io non ce la faccio più con te. Ma lo vuoi capire che ti stai facendo del male da sola? Smettila, smettila, smettila Phè”che ben presto si trasformarono in un rigido rimprovero.
“Ma lo vuoi capire che non è così semplice? So che è sbagliato e se mi riuscisse smetterei, ma odio mangiare e far sì che tutto quel che butto giù si ammassi sulle mie cosce, sulla mia pancia e sul mio viso. Non lo voglio, occhei? Capiscimi qualche volta, dannazione”.
Era così brutto vederle discutere, con troppa incomprensione da parte di entrambe.

La campanella trillò, la mattinata era finita.
Phoebe doveva tornare a casa da sola, come ogni mercoledì.
Ancora una volta la tristezza si fece sentire, ma non si sapeva spiegare il perché dovesse evadere attraverso fiumi di lacrime.
“Non importa” si disse, aprendo la porta di casa.
Dopotutto era solo un altro dei suoi tanti giorni.
  
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