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Autore: AliceInHeartland    07/03/2013    4 recensioni
Dopo la vita, vi sono i ricordi.
E grazie ai ricordi, si può tornare a vivere.
Posso tornare con la mente a quando eri con me...
Lo ricordo ancora benissimo, quel giorno, la mia promessa che tu, forse per tenermi contenta, o forse anche per gioco, accettasti.
...
"Ah, Hikaru, sei stata bravissima. Hai raccolto tutti questi fiori" . La mamma mi sorrise,sedendosi elegantemente vicino il tavolino della stanza in cui ricevevamo gli ospiti.
"Che ne dici se li mettiamo nel portafiori?"
"No!" . La mia risposta fu decisa. E con eguale determinazione, mi voltai verso di te, porgendoti il mazzetto profumato di margherite e lavande.
"Voglio darli a Sou-nii! Perchè... Perchè io diventerò la tua sposa!"
Genere: Azione, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Salve a tutte e tutti!
Ed eccomi giunta con la seconda parte del capitolo scorso!
Sono molto felice di essere arrivata fin qui. In realtà questa è stata la scena che praticamente ha fatto nascere questa fan fiction.
In realtà quando ho iniziato a pensare a questa storia, questa scena era nata nella mia mente ancor prima della vera e propria trama, quindi… si può dire che questa è la scena-madre della fiction XD
Indubbiamente una delle scene e dei momenti più importanti non soltanto dal punti di vista della relazione Hikaru-Souji, ma anche della storia, perché da qui iniziano le vere e proprie “avventure” della giovane nella base degli Shinsengumi.
Purtroppo l’unica cosa che mi lascia un po’ perplessa di questo capitolo è il mio Souji: eh sì, in realtà ho paura di averlo reso un po’ OOC. Ho cercato di correggere alcune parti che da Souji non ci si aspetterebbe mai e poi mai e che praticamente dal punto di vista di lettori esperti dell’anime susciterebbe la domanda: “E questo chi diamine è? Mica Souji Okita di Hakuouki, vero?”. Ahahahah, ho cercato davvero di evitare di arrivare a questo XD
Tuttavia ci terrei a precisare una cosa: questa fan fiction è vero che si basa sull’anime di Hakuouki, ma dal punto di vista della storia fa riferimento anche molto alla realtà.
Nella realtà (e in verità se ne ha traccia anche in poche scene della serie Reimeiroku) Souji Okita aveva un comportamento decisamente più “afettuoso” e “affabile” con la sua famiglia e, da adulto, con i bambini (soprattutto i bambini), oltre che con le persone (e questo punto si rileva anche dalla semplice serie Shinsengumi Kitan) a lui molto vicine e per lui particolarmente importanti come, ad esempio, Koundou-san.
Quindi vorrei solo tenere presente ai lettori questo dato di fatto: nella mia storia Souji Okita fa di queste “disparità” e questi “trattamenti di favore”, anche se nel corso della storia questo punto verrà esaminato decisamente… come dire?... dal vivo, ecco XD

Detto questo, spero di non avervi annoiato.
Vi auguro buona lettura e spero che il capitolo possa piacervi!

Alice <3

 

***

 


Lavorai fino a tardi, quella sera.
Come avevo anticipato a Chizuru-san, dato che fuori faceva effettivamente troppo freddo per restare a lavare le stoviglie lì, mi preoccupai di riempire le bacinelle dal pozzo e lavarle dentro la cucina.
Preferii aspettare che gli altri, te compreso, finissero la cena prima di mettermi a lavorare, in modo da evitare in tutti i modi d’incontrarti.
Mentre lavavo le scodelle utilizzate quella stessa mattina ragionai molto su quest’ultimo dato di fatto: ancora non me la sentivo di vederti.
Sarei stata un’ipocrita a pensare che avrei preferito lavorare, piuttosto che cenare con tutti gli altri, ma per me era davvero impossibile starti accanto senza riservarti del rancore.
Magari agli occhi degli altri poteva sembrare egoistico, infantile e chissà cos’altro, ma solo io potevo sapere quanto in realtà mi avesse ferita tutto quello che avevi detto e fatto in questi ultimi due giorni. A partire da quando avevi detto di essere rimasto deluso da me e a finire con la colazione di stamani.
Amarezze su amarezze, non ero riuscita ad ingoiare il boccone e mi era rimasto di traverso in gola. Non accennava a scendere, nonostante un po’ tutti quelli attorno a me ed io stessa cercassi di buttarci acqua sopra, per aiutarmi a superare il tutto.
Già: era come se una lisca di pesce mi fosse rimasta incastrata in gola ed ogni qual volta ingoiassi per cercare di farla scendere, mi graffiasse dall’interno con le sue mille spine.
Fatto stava che finii il mio lavoro pressoché  verso le undici e mezza di sera.
Uscii dalla cucina, un po’ affaticata e assonnata. Avevo bisogno di dormire e volevo risposarmi, d’altronde. Ma oltre che fisicamente, ero stanca anche moralmente. Troppe gioie e troppi dolori si erano accavallati l’un l’altro, sfinendomi letteralmente.
Tuttavia Chizuru-san mi aveva raccomandato di andare ad avvisarlo una volta finito, quindi mi accinsi ad attraversare il corridoio generale che dava sul cortile per arrivare sino alla stanza del ragazzo.
Camminavo lenta e a contatto con l’aria notturna mi venne istintivamente da sbadigliare e sgranchirmi le ossa. Senza contare che avevo dovuto cambiarmi le bende ai piedi per circa altre dieci volte, in tutto il corso della giornata. Quelle maledette ferite non accennavano a guarire! E mi facevano anche male! Ragion per cui zoppicavo leggermente.
Che stanchezza…
Pensai, istintivamente.
Non vedo l’ora di entrare nel mio futon e farmi una bella dormi…
“Hai fatto tardi, Hikaru-chan” sentii esordire da una voce che mi colse di sprovvista. “Devi essere molto stanca”.
C’era qualcuno lì? Perché non me n’ero accorta?
La risposta era più semplice di quel che pensassi: ero stanca e non avevo fatto attenzione a ciò che mi circondava, inoltre non so come ma non riuscii a riconoscere quella voce.
Dovetti voltarmi alla mia destra per riuscire a capire di chi si trattasse ed ebbi un sussulto quando constatai che si trattava proprio di te.
Eri seduto per terra, sul patio in legno, con la spalla appoggiata ad una delle colonne dello stesso materiale, le gambe incrociate e le mani nascoste nelle larghe e calde maniche del tuo haori. Nell’incavo del gomito – quello destro – reggevi una katana di cui il manico aderiva perfettamente alla tua spalla. Mi guardavi con aria divertita e tranquilla. La tua solita espressione, insomma, mentre io ti guardavo rimanendo in silenzio e non sapendo cos’altro fare.
Rimasi incredula di fronte al fatto che non avevo riconosciuto la tua voce. Com’era possibile? Ero riuscita a riconoscerla sempre e comunque. Avrei saputo distinguerla in mezzo a miliardi e miliardi di voci! Come avevo potuto non riconoscerla?
Per un attimo ebbi come la sensazione di sentirti lontano, lontanissimo. Quasi come se fossi su un altro pianeta, completamente diverso dal mio. E la cosa mi spaventava. Anzi, no… Non era di semplice paura che si trattava.
In realtà, ero terrorizzata all’idea che tra di noi si stesse creando questo solco invalicabile. Ma sfortunatamente non ero abbastanza brava da riuscire a riparare al danno. O almeno non ero mentalmente pronta a farlo.
I miei occhi incrociarono nuovamente i tuoi in un miscuglio tra cielo e natura, fin quando non voltai il capo da un’altra parte, senza rispondere alle tue parole. Ciò nonostante non scappai. Non so ancora chi mi diede quella forza, ma non scappai.
Probabilmente era perché sapevo che se l’avessi fatto, avresti pensato che ero infantile e che non ero neanche in grado di licenziarti in maniera matura. Cosa che – e ne ero convinta –avrei fatto quasi sicuramente in seguito.
“Oooh…? Fai l’offesa?” mi domandasti, chiaramente in seguito al mio gesto. “Non per far polemica, ma qui l’unico offeso dovrei essere io. Sono rimasto a digiuno fino stasera a causa del tuo scherzetto, lo sai questo?”.
Ancora silenzio. E non accennavo neanche a guardarti.
“Heeh… Non vuoi neanche guardarmi, eh?”
Nuovamente silenzio.
Sentii provenire un sospiro da parte tua. “Hikaru-chan, perché non ti siedi qui?” .
Più per istinto, che per reale interesse nell’ascoltarti, mi voltai verso di te che mi stavi facendo segno di sedermi accanto a te.
Allora, contrariata, distolsi nuovamente lo sguardo, voltando il busto in avanti, come a segnalare che non solo non ne avevo alcuna intenzione, ma non me ne importava neanche.
“Mi spiace, ma adesso ho altre cose da fare”.
“Non è vero” rispondesti, secco. “Hai appena finito di lavare le scodelle e tutto il resto. E sei visibilmente troppo stanca per poterti permettere di fare altro”.
Aveva un senso. Troppo senso perché potessi accettare di farmi fare l’appunto da te, arrabbiata com’ero.
“Invece sì che devo fare altro. Devo andare da Chizuru-san!” affermai con aria decisa, per darmi un certo tono e far sentire le mie ragioni. “Ed ora, se vuoi scusarmi, Chizuru-san mi sta aspettando. E non voglio farlo attendere oltre”. Detto ciò, m’inchinai formalmente verso di te, trattandoti come avrei fatto con un qualsiasi estraneo, e corsi lungo il corridoio il più in fretta possibile, non guardandoti in volto neanche una volta. Non saprei dire, dunque, che espressione avevi assunto, ma avevo come il presentimento che non fosse cambiata molto da quella che ti avevo visto poco prima: sempre tranquilla e alquanto sfacciata. Un’espressione che non tradiva nessun’altro tipo di emozione.
Mi affrettai, in questo modo, a raggiungere la stanza di Chizuru-san che, fortunatamente, non era molto distante dalla mia e, quindi, non avevo necessità di ripercorrere quel maledettissimo corridoio – che sfortunatamente per me era uno di quelli principali – in cui avesti l’infelice idea di andare a piazzarti per fare Kami-sama sa solo cosa!
Giunta finalmente dietro il fusuma della sua stanza, bussai un paio di volte, annunciando: “Chizuru-san, sono io, Hikaru. Ho finito di lavare tutto e sono venuta ad avvisarti come mi hai chiesto di fare”.
“Oh, sì! Arrivo! Solo un attimo!” mi avvertì. Dal suo trafficare nella camera, compresi che era indaffarato in qualcosa.
“Se sei occupato, non c’è bisogno che vieni ad aprirmi. Volevi solo che ti avvertissi, no? Non prenderti disturbo…”
“No, no, nessun disturbo!” mi assicurò, aprendo di colpo il fusuma e sorridendomi. “Eccomi qua”. Lo vidi leggermente sudato. Che stesse facendo, o avesse fatto qualcosa?
“Chizuru-san, sicuro che vada tutto bene?”.
“Eh? Sì, certo. Mi spiace di averti fatta aspettare”
“Non fartene alcun problema. Anzi, se stavi facendo qualcosa, non dovevi prenderti la briga di aprirmi”.
“No, non stavo facendo nulla d’importante!” . Detto ciò mi squadrò sin dai capelli in giù, con molta attenzione. “Hai lavorato fino a tardi. Devi essere davvero molto stanca”.
Quella frase mi seppe di deja vu.
“Oh… Beh, sì” ammisi, sorridendogli, per non farlo preoccupare oltre. “Ma giusto un po’”.
Il ragazzo ricambiò il mio sorriso e mi portò davanti agli occhi un sacchetto. “Ecco a te, Hikaru-chan. Come ricompensa per il tuo impegno. Otsukaresama deshita”.
Un po’ perplessa, nonché stupita, presi il sacchetto tra le mani, guardandolo da fuori quasi come se dentro potesse contenere qualcosa di strano. “Cosa c’è dentro?”
Dango!” esclamò lui, entusiasta e sorridente. “Ah! Spero ti piacciano! Li ho presi sapendo che piacciono solitamente a tutti, quindi pensavo di andare sul sicuro, ma non so con esattezza se ho riscontrato i tuoi gusti…”
Scossi la testa, sorridendogli comprensivamente. “Io adoro i dango. Mi piacciono sin da piccola. Quando li vedo, esco letteralmente pazza ed insisto per ore ed ore finché non convinco mia madre a comprarmene qualcuno”. Ecco cosa stava facendo nella stanza! Stava cercando questi dango da darmi!
“Sono contenta di averti fatto piacere. Inoltre devi essere affamata, dato che non hai mangiato alcunché a cena e hai persino lavorato. Vedi di mangiarne qualcuno prima di andare a letto” mi raccomandò, accarezzandomi la testa. “Almeno la fame non ti spezzerà il sonno”.
Annuii e m’inchinai per esprimere la mia gratitudine. “Non so davvero come ringraziarti, Chizuru-san. Farò come hai detto tu”.
“Bene. Allora, buona notte e buon appetito, Hikaru-chan”.
M’inchinai nuovamente, tutta sorridente. “Buona notte, Chizuru-san. E grazie ancora”.
Detto ciò, mi voltai, con il sacchetto di dango tra le mani e feci per andarmene, quando ad un tratto mi fermasti, esordendo: “Ah, Hikaru-chan, aspetta un secondo”
“Mh?” feci, perplessa, voltandomi parzialmente verso di lui. “Cosa c’è?”.
“C’è una cosa che volevo dirti”
“Una cosa?”
Annuì. “Sin da questa mattina”.
Sin da stamani? Oh! Che si tratti ancora dell’argomento “colazione”?
Ero quasi pronta a rispondergli che non volevo più pensarci e roba varia, quando lui affermò: “Ricordi quando mi hai ringraziato per averti cambiato le bende?”
“Eh? Sì. E te ne sono ancora una volta grata…”
“No, aspetta” m’interruppe. “E’ vero che ti ho cambiato le bende la notte scorsa, ma… l’ho fatto solo un paio di volte. Verso mezzanotte, essendo parecchio stanca, sono andata a dormire anch’io”.
“Cosa?” esclamai io, alquanto sorpresa, nonché spaesata.
“E’ la verità” asserì, coinciso. “Non mi andava che credessi a qualcosa che non corrispondesse al vero. Mi sentivo, come dire, in colpa. Non sono stata tutta la notte con te, come credevi tu. Mi spiace”.
“Ma com’è possibile? Quando mi sono svegliata le bende erano di nuovo pulite. E di fianco al mio futon, vicino la bacinella d’acqua, piena di sangue, vi erano una montagna di bende usate e fradice anch’esse di sangue. Quindi significa che mi sono state cambiate tutta la notte”.
“Sì, le ho viste anch’io” concordò, pensandoci su. “Ma ero convinta che fossi stata tu a cambiartele. Ti avevo lasciato le bende vicino al letto a posta per questo”.
“No, non sono stata io” chiarii, con aria mista tra la preoccupazione e la perplessità. Stavo cominciando a prendere seriamente in considerazione l’eventualità di essere sonnambula, ma dopo averci riflettuto su con lucidità mi risposi che era decisamente impossibile.
Ero stanca persino per aprire gli occhi, figurarsi se mi mettevo a trafficare con le bende in piena notte e nelle mie condizioni!
“Ma, se non sei stato tu…” iniziai a dedurre. “… e non sono stata io, allora chi è stato?”.
Sgranai, dunque, gli occhi al ricordo di quelle parole che subito tornarono ad affollarmi la mente, quelle parole che prima non avevo compreso, fraintendendo tutto. Quelle parole che forse erano la chiave di tutto.
Non mi curai neanche di salutare Chizuru-san: mi voltai di scatto e incominciai a scappare con tutto il sacchetto di dango in mano, lungo la strada.
“Che ti è successo, Souji? Di solito sei così mattiniero…”
Non è possibile…
“Beh, diciamo solo che non ho dormito molto ieri sera”.
Kami-sama, dimmi che non è vero, ti prego!
“Davvero insolito da parte tua…”.
Velocizzai il passo tanto che quasi iniziò a mancarmi il respiro per la troppa rapidità con cui stavo correndo.
“Forse dipende dalla cara Hikaru-chan?”
Ti prego, fa’ che sia solo una coincidenza!
“In un certo qual senso… E’ tutta colpa sua. Mi ha fatto passare una nottataccia”.
Ti scongiuro!



Li sentii su di me, quegli occhi verde come la terra donataci da Dio, che nell’oscurità della notte e col solo candore della luna risplendevano come smeraldi.
Sorridevi, mentre ero praticamente davanti a te, in piedi, che ti fissavo ansimante e cercando di riprendermi celermente da quella folle corsa che avevo intrapreso per raggiungerti il prima possibile. Il sacchetto di dango stretto al petto, era come se potesse accogliere, da un momento all’altro, anche il mio cuore che quasi stava balzando fuori sia per la fatica, sia per le emozioni che stavo provando.
“Oh! Hikaru-chan” esordisti, con tono di pura constatazione. “Sei tornata. Pensavo avessi da fare con Chizuru-chan”.
Mi mancava ancora troppa aria nei polmoni perché potessi permettermi di risponderti, quindi rimasi ancora un po’ silenzio, mentre ti vidi proseguire: “Ci hai ripensato? Vuoi sederti qui con m…”.
“Questa notte mi sei stato tutto il tempo vicino, vero?” ti domandai, quasi interrompendoti, ignorando totalmente la tua precedente richiesta. “E sei stato tu a cambiarmi per tutto il tempo le bende ai piedi, non è forse così?”.
Per la prima volta il mio cuore era diviso in due; da una parte speravo che fosse così, perché desideravo più di ogni altra cosa che tu ci tenessi a me a tal punto da fare anche una cosa del genere; ma, dall’altra parte, speravo con tutto il cuore di sbagliarmi, perché, se così fosse stato, ti avrei praticamente giocato quel brutto tiro, pur avendo tu fatto quell’enorme sacrificio per me. E mi sarei sentita immancabilmente in colpa per l’accaduto.
Tu, da parte tua, mi guardasti serio per un po’. Eri rigido e non sorridevi più. Tanto che, ad un certo punto, mi chiesi anche se avevo sbagliato a chiedertelo.
Dopodiché, passati alcuni secondi, sospirasti e un nuovo sorriso tornò a disegnarsi sulle tue labbra. “Ah! Sono stato scoperto!”.
“Perché?” chiesi con foga, che apparentemente poteva sembrare quassi rabbia. “Perché lo hai fatto?”.
“Come sarebbe a dire ‘perché’? Non posso curare la mia nipotina ferita?”.
“No che non puoi!” ribattei scontrosa, arrabbiata. Non sapevo neanche io con esattezza come mi sentissi veramente. “Non dopo esserti comportato in quel modo con me!”.
Ti vidi chiaramente sorpreso dalle mie parole o, – più che altro – dal modo in cui te le stavo rivolgendo.
“Che senso ha prendersela tanto con la sottoscritta, trattarmi freddamente e far di tutto per mandarmi via, se poi passi tutta la notte sveglio per accudirmi?”. Ero talmente arrabbiata che, oltre alla corsa, era anche per il nervosismo che stava continuando a venirmi meno l’aria. “Perché non mi hai detto niente, stamani? Perché hai fatto l’indifferente? Perché non sei stato chiaro sin dal principio? Che senso ha prendersi cura di me, se poi fingi di non averlo fatto? Cosa credi che sia, stupida? O, semplicemente, ti vuoi prendere gioco di me?”.  L’affanno cominciò pian piano a divenire un singhiozzo frenetico, che m’impediva di parlare in maniera scorrevole. “Prima mi rimproveri, mi ferisci con le tue parole, non fai altro che denigrarmi e dopo ti prendi la briga di rimanere sveglio tutta la notte per aiutarmi? Per poi, la mattina successiva, fare cosa? Fingere che non sia successo nulla? Magari tornare a fare la parte di quello ancora arrabbiato? Cosa fai, tiri la pietra e nascondi la mano?”. Le lacrime incominciarono a rigarmi il volto, mentre cercavo con tutta me stessa di farmi forza e trattenermi dal mettermi a frignare come una mocciosa qualsiasi. “Io non ti capisco, Sou-nii…” m’interruppe un singhiozzo. “Io proprio non riesco a capire quello che ti passa per la testa”.
Silenzio.
Per un po’ non vi fu altro da parte di entrambi.
Per qualche minuto non udimmo altro che il verso di qualche insetto minuscolo e i miei singhiozzi sommessi.
“Hikaru-chan” mi sentii chiamare. E fu così che con gli occhi ancora annebbiati di lacrime distinsi il tuo sorriso.
Perché… Perché stavi sorridendo?
Non capivo… Proprio non capivo!
“Siediti” m’invitasti, facendomi nuovamente cenno con la mano di accomodarmi sulle tegole di legno del patio esterno, accanto a te.
A differenza di prima, però, decisi di assecondare la tua richiesta e così con passo lento mi avvicinai a te e, una volta piegatami sulle ginocchia, mi sedetti compostamente. Tra noi due passavano almeno dieci centimetri di distanza, ma a me sembrava quasi si trattasse di millimetri. Intanto guardavo di fronte a me il giardino zen del cortile e notavo come il riflesso della luna fosse vivido nell’acqua del piccolo stagno.
Trascorsero non so quanti minuti dall’ultima volta che avevi aperto bocca, quindi mi voltai leggermente per guardarti e capacitarmi del tuo silenzio. Notai, allora, che tu mi stavi fissando con sguardo intenso e non riuscivo ben a distinguere l’espressione che avevi in volto, vuoi per colpa del buio, vuoi per una mia coerente incapacità di interpretarla.
Arrossii per l’imbarazzo e voltai quasi immediatamente il volto, ricanalizzando l’attenzione sul terreno del cortile. Dopodiché notando ancora il più assoluto silenzio da parte tua, timidamente tornai a cercare la tua sagoma con la coda nell’occhio, al che ti sentii affermare: “Tu dici di non riuscire a capirmi, Hikaru-chan” . Il tuo tono era pacato, sereno. Tutto sommato, decisamente tranquillo. “Ma anch’io, sai, non riesco a capirti per niente”.
“Eh?”
“Non riesco proprio a capire perché ti sei accanita tanto nel restare qui. Non riesco a capire cos’è che vuoi ottenere, scappando di casa e restando qui”. Ti sentii sospirare, per poi voltarti leggermente verso di me, per cercare una qualche conferma. “Cos’è, una forma di ribellione nei confronti dei tuoi genitori?”.
“Cosa?!” esclamai, voltandomi di scatto verso di te, con aria stupita. “No!”. Come potevi pensare questo?
“Lo spero per te, perché io non ho alcuna voglia, né intenzione, di essere sfruttato per una ragione del genere”.
“Ti ho già detto che non è quella la ragione!” insistetti con tono decisamente irritato. “Credi che sia così sconsiderata da fare qualcosa del genere?”.
“Beh, se vogliamo dirla proprio tutta, l’hai già fatto” constatasti chinando leggermente il capo di lato, tanto da poggiarlo alla trave di legno che si ergeva per mantenere il soffitto del tempio.“E se aspetti ancora la risposta alla tua domanda, sì, credo tu sia stata fin troppo sconsiderata a fare qualcosa del genere. Soprattutto dato che ti eri riappacificata con tua madre, saresti benissimo potuta tornartene a casa con lei e Kin-onee-chan”.
Dato il tuo comportamento e le tue parole, mi zittii completamente. Sapevo che avevi ragione, ma ignorando totalmente il motivo per cui mi stavi facendo quel discorso, non riuscii a capacitarmi del tuo buon proposito.
“Quindi, per farla breve, non mi vuoi qui, giusto?” assodai, col capo chino, stringendo quel sacchetto di dango ancora più contro il mio petto.
“Finalmente ci sei arrivata” dichiarasti in tono ironico, come al tuo solito. “E’ da ieri che cerco di fartelo capire, ma con te è come parlare al muro”.
Sussultai, sentendo la tua conferma e richiamai tutto il coraggio che avevo per trattenere le lacrime. Per i singhiozzi e il leggero tremolio che il mio sforzo comportava, però, era ormai troppo tardi.
“Perché…?” sussurrai, con un filo di voce. “Perché non mi vuoi qui?”
“Sono stanco di dover rispondere sempre alla stessa domanda, Hikaru-chan” mi chiaristi, rivolgendomi uno sguardo severo, nonostante sul tuo volto aleggiasse un bel sorriso.
“E’ forse perché mi ritieni troppo piccola? Pensi che non possa cavarmela perché non sono una vera e propria donna? O perché non vuoi assumerti la responsabilità nell’eventualità mi succedesse qualcosa? Oppure, ancora, sei arrabbiato perché sono scappata di casa, mi sono rifugiata qui, ti ho mentito e, infine, ti ho rivolto tutte quelle parole?”. Il petto si alzava e abbassava a ritmo sempre più accelerato. I singhiozzi si fecero insistenti e quasi costanti. Le lacrime presero a rigarmi le guance, quando pensai all’ultima eventualità che ti spingeva a parlare comportarti così nei miei confronti. “Oppure perché ti ho deluso?”. Feci una pausa, mentre il mio sguardo azzurro come il cielo incontrava il tuo verde-foglia. “E’ così, vero? Dato il mio comportamento, ti ho deluso, e adesso mi odi!”. Iniziai propriamente a piangere tanto che mi portai entrambe le mani agli occhi, per asciugarmi man mano che usciva la cascata di lacrime. “Devi proprio odiarmi, vero? Ti capisco, sai, dopo tutti i piagnistei, tutti i miei capricci e i guai che ho combinato, è il minimo che ti abbia deluso. E, come se non bastasse, ti ho dato del bugiardo e ti ho fatto anche quello scherzo stamani…Ma…!”. Nonostante il tremolio che percorreva il mio intero corpo, cercai di farmi forza e di farmi ragione almeno per ciò in cui realmente credevo. “Ma, devi credermi, Sou-nii, non l’ho fatto con cattivi propositi! Il mio intento non era quello di darti fastidio. Non volevo coinvolgere né te, né tutti gli altri della Shinsengumi. E’ vero che sono scappata di casa e ho fatto preoccupare mia madre, mia zia; ho fatto scomodare tutti gli uomini di Fujiwara-san, compreso mio padre, ma… Dopo aver capito il mio errore ed essermi riappacificata con oka-san, non c’era davvero niente che non andasse” . M’interruppi nuovamente, per riprendere fiato. Quindi proseguii: “La ragione per cui ho deciso di restare qui e mi sono impuntata a tal punto per farlo non è perché volevo ribellarmi ai miei parenti, né perché volevo provare nuove emozioni. Sarò stata sconsiderata – è vero – nel scappare in quel modo di casa ed aver avuto quell’atteggiamento assurdamente infantile, ma non sono così incosciente da prendere un capriccio simile solo per fare esperienze di vita”. Mi feci più vicina a te, portando entrambe le mani sulla larga manica del tuo haori e stringendo più che potevo, lasciando così cadere sul mio grembo il sacchetto che avevo tenuto con me fino a quel momento. “L’unica ragione per la quale sono rimasta qui è perché volevo realmente stare con te, Sou-nii. Devi assolutamente  credermi! Fin da quando oka-san aveva parlato di venire qui a Kyoto, non ho pensato ad altro se non a rivederti. Non appena abbiamo calpestato il suolo di questa città, non facevo che voltarmi tra la moltitudine di persone, per cercare di scorgere la tua figura. Perché volevo assolutamente rivederti!” . E così, oltre che il corpo, avvicinai notevolmente anche il mio volto al tuo, che leggermente sorpreso ascoltavi le mie parole in silenzio. “Perdonami se ti ho rivolto tutte quelle parole ieri mattina e mi spiace di averti giocato quello scherzo stamani, ma la verità è che mi sono sentita ferita! Da quando sei venuto a casa mia sei anni fa, sei diventato una figura davvero, davvero molto importante per me, Sou-nii. E constatando che tu non mi volevi al tuo fianco e che ti avevo deluso, è stato come se mi avessero pugnalato dieci, cento, mille volte di seguito in tutte le parti del corpo”. Avevo il volto arrossato, sia per colpa della valanga di lacrime, sia per il fatto che stavo mettendo parte dei miei sentimenti per te a nudo. Completamente a nudo e proprio di fronte a te, che eri il diretto interessato. “Non ho mai pensato neanche una volta di infastidirti, o di non farti piacere. Volevo soltanto stare con te. Solo questo”.
 Con il mio discorso, finì anche il pianto. O, meglio dire, si calmò notevolmente anche quello. I singhiozzi permanevano, ma di quelli ormai non m’importava. Continuavo a stringere, tremante, la tua manica, mentre abbassavo il capo, incapace di guardarti, oramai, negli occhi.
La mia non era una vera e propria dichiarazione, ragion per cui non ero preoccupata tanto per quello, quanto per il fatto di essermi resa il più vulnerabile possibile ai tuoi occhi. In sostanza, ti avevo rivelato di essere una persona fondamentale per me, quindi ogni tua piccola richiesta, ogni tua piccola pressione e mi avresti potuta spezzare come un ramoscello di legno. Probabilmente, se avessi insistito nel farmi tornare a casa, nel giro di due giorni (non di più) ti avrei obbedito e avrei fatto ritorno ad Edo. Certo, col cuore spezzato, ma l’avrei fatto.
Ora che lo sa, mi farà sicuramente tornare a casa.
Pensai, maledicendo la mia imprudenza nel rivelarti ogni cosa.
Non esiterà un attimo a farmi fare quel che vuole. Ormai lo sa che, con le giuste parole e i giusti gesti, può distruggermi nel giro di poco e convincermi ad obbedirgli senza farsi poi tanti problemi.
Ne ero convinta. Sapevo che, infondo, ero stata irragionevole e la cosa migliore era far ritorna a casa di mia madre. E, cosa fondamentale, sapevo che tu, di questo, eri certo.
La sorpresa più grande, invece, fu quella di sentire qualcosa di morbido sulla mia testa. Era qualcosa di confortevole ed emanava un leggero tepore che, però, era in grado di mandarmi a fuoco l’intera nuca. Era la tua mano che incominciò a carezzarmi dolcemente i capelli, scompigliandomeli leggermente. Sussultai quando sentii quel tocco così delicato su di me e dischiusi leggermente le labbra per lo stupore.
Da quanto non sentivo le tue carezze su di me? E quanto le avevo desiderate per tutto questo tempo? Non lo ricordavo quasi più. L’unica cosa che contava, in quel momento, era il tuo calore e, soprattutto, la gentilezza che quella carezza esprimeva.
“Ti credo, Hikaru-chan” esordisti con tono sereno. “Come posso non credere alle tue parole?”
Istintivamente mi voltai a guardarti, rincuorata. “Sou-nii…”.
Una volta ritirata la mano dalla mia testa, la riportasti nella manica opposta dell’haori. Sospirasti lievemente e ti voltasti a guardare la luna splendente nel cielo. “Hikaru-chan, tu non hai la minima idea del perché mi sia comportato in quel modo, vero?”.
“Eh?”.
No, non ne avevo la più pallida idea. E a pensarci ora mi avevi fatto una domanda davvero inutile: se l’avessi saputo, non mi sarei comportata di conseguenza, no?
Tuttavia ebbi il buonsenso di restarmene in silenzio e limitarmi a guardarti con aria perplessa.
“Quando ti ho ritrovata l’altra notte, insieme a Chizuru-chan, non sai quanto mi sia sentito felice ed allo stesso tempo spaventato. Puoi immaginare, vedendoti in quello stato, quanto mi fossi preoccupato? In primo luogo non avevo capito come avevi fatto a raggiungere Kyoto e mi pareva davvero strano trovarti da sola, per di più in quelle condizioni. Non sapevo davvero cosa pensare. Hai idea di quante ipotesi si siano accalcate nella mia mente, mentre ti portavo qui alla base, per assicurarti momentaneamente un posto sicuro in cui stare?”.
Mentre parlavi il tuo sorriso era quasi impercettibile, ma la tua espressione era abbastanza seria. Non accennavi neanche a voltarti verso di me, ma intenta ad ascoltarti, non ci feci caso più di tanto.
“Felice? Certo che lo ero. Come potevo non esserlo, rivedendo parte della mia famiglia? Tuttavia, devi capire, la preoccupazione del non sapere cosa ti fosse accaduto superava di gran lunga la felicità in quel momento. Così, dopo averti portata qui alla base, ti ho affidata alle cure di Chizuru-chan, e mi sono diretto nuovamente fuori, in cerca di un qualche chiarimento”.  Ti schiaristi la voce, per poi proseguire: “Quella storia mi pareva davvero strana. Che ci facevi a Kyoto? E per di più da sola? Non riuscivo a spiegarmelo, così mentre vagavo per le strade della città, ho notato parecchio movimento. Ho visto uomini correre da una parte all’altra, senza sosta, e setacciare ogni centimetro quadrato della strada. Notai addirittura che una squadra di quest’ultimi stava incominciando a fare irruzioni nelle case della gente. In un primo momento non ero riuscito ad identificare chi essi fossero ed il numero era troppo ingente perché si trattasse solo di lestofanti. Solo dopo aver notato il simbolo che avevano tutti sull’haori, riuscii a capire che si trattava degli uomini di Fujiwara”. Fece una nuova pausa, si massaggiò lentamente le tempie e tornò a raccontare: “Ricordai, così, che tuo padre era al suo servizio. Dunque mi sono affrettato ad avvicinarmi ad uno di codesti uomini per chieder loro in cosa fossero intenti. Ed egli mi ha rivelato di essere alla ricerca della figlia di Okita-dono. Pertanto non persi neanche un attimo e andai alla ricerca di tuo padre. Ma, prima di trovare lui, sai chi ho incontrato?” mi chiese, azzardando un sorriso di sfida e incrociando, ora, i miei occhi. “Non lo immagini proprio?”.
Non ebbi il coraggio di sostenere quello sguardo, quindi distolsi il mio. “No…”.
“Tua madre” non tardasti a rivelarmi, senza ulteriori esitazioni.
A quel nome, sobbalzai e tornai a fissarti, mentre tu rivolgesti nuovamente la tua attenzione al cielo stellato. “Mitsu-nee-san girava senza sosta da una parte all’altra, chiamando il tuo nome, Dio solo sa quante volte. Sul volto aveva un’aria terrorizzata e, anche se a notevole distanza da lei, ero riuscito a scorgere le lacrime che le solcavano il viso. Aveva un aspetto orribile e girava come una dannata in tua ricerca, sperando di ritrovarti a tutti i costi. Hikaru-chan, puoi anche solo immaginare come mi si è stretto il cuore all’immagine di mia sorella in quelle condizioni?”.
Certo. Certo che potevo immaginarlo. Praticamente da quando ne avevo memoria, sei sempre stato chiaramente affezionato alla mamma. Eri dolce con un po’ tutte noi: me, la mamma e la zia. E, nonostante anche zia Kin fosse tua sorella, era facile notare come per mia madre tu avessi un riguardo tutto speciale.
La stessa zia, un po’ con l’amaro in bocca, mi aveva rivelato che quand’eri piccolo correvi sempre dietro oka-san, preferivi la sua presenza addirittura a quella di una madre e non facevi altro che compiacerla, per farti benvolere da lei. Mi aveva addirittura raccontato che, una volta, quando mia madre venne corteggiata da un giovane mercante, ti adirasti a tal punto da rifiutarti di parlarle fin quando non lo avesse rifiutato categoricamente. E lei, e per puro disinteresse nei confronti del povero ragazzo, e per tornare a farti sorridere, decise di declinare la sua gentile proposta.
Insomma, da quanto ne avevo capito, avevi una sorta di complesso della sorella maggiore, che riuscisti a superare più o meno una volta lasciata casa.
E pensavo tra me e me che quel complesso, nonostante lo scorrere del tempo, non era scomparso ancora del tutto.
Eppure, vedendoti ora, ormai adulto, ormai giovane uomo, era praticamente impossibile per me immaginarti a quei livelli. Ciò non toglie che avevo capito sin dal principio che eri molto legato alla tua famiglia d’origine. E specialmente ad oka-san, cosa che, in un primo momento (dopo il racconto della zia), mi aveva fatta ardere di gelosia.
“Beh, semplicemente non ho potuto farci niente. Le sono andato incontro e le ho rivelato che ti avevo trovata. Fortunatamente Mitsu-nee-san mi ha dato ascolto e si è rilassata quel tanto che le è bastato per non avere un infarto. Insieme siamo andati ad avvertire Rintaro-dono e Kin-onee-chan, impegnati a loro volta nelle ricerche. E con a seguito praticamente tutti gli uomini di Fujiwara siamo tornati qui”.
Facesti per appoggiare nuovamente la testa alla trave in legno e socchiudesti per un attimo gli occhi. Un nuovo sorriso sulle tue labbra, quello che praticamente aleggia un po’ sempre sul tuo volto. Quello da cui non ti separi quasi mai. Quello che nasconde ogni emozione, sentimento o verità.
“Beh, il resto lo sai, no?” concluse. “Non c’è bisogno che continui a raccontarti gli avvenimenti che sono susseguiti”.
Rimasi in silenzio per un po’, prima di rispondere a capo chino: “Sì”.
Dopodiché tornò nuovamente il silenzio. Non sapevo cosa dire, né cosa pensare. Non riuscivo a capire perché mi stessi raccontando quelle cose. Era per farmi sentire in colpa? Se era così, mi sentivo già fin troppo mortificata per ciò che era successo, dunque perché infierire?
Il fatto che non arrivasse risposta alla mia ipotesi e alle mie domande mi faceva sentire così insicura…
“Hikaru-chan” mi sentii nuovamente richiamare, così alzai il capo e mi voltai verso di te. “Non hai ancora compreso il perché delle parole che ti ho rivolto ieri mattina?”.
Con aria palesemente dispiaciuta, mi limitai a scuotere la testa.
Non sospirasti, come pensavo avresti fatto, ma ti accontentasti di fare una breve pausa per poi proseguire: “Non sono arrabbiato con te. Non lo sono mai stato. E, anche se ti ho rivolto quelle parole così dure, non sono affatto rimasto deluso da te. Beh, sì, il tuo atteggiamento apparentemente infantile, inizialmente mi aveva dato sui nervi” ammettesti, assumendo l’aria di chi ci stava riflettendo su. “Non riuscivo a spiegarmi perché ti ostinassi a voler restare qui e, onestamente parlando, forse sì… inizialmente mi sono sentito deluso e scontento del tuo comportamento, ma dopo aver udito la tua risposta così tenace, così aggressiva, sono rimasto letteralmente basito”.
Sgranai leggermente gli occhi, mentre ti vidi sorridere a questo dato di fatto e quasi mi si strinse il cuore per la contentezza.
“Hikaru-chan, riesco a capire facilmente se le persone che mi sono davanti mentono, o meno, e dopo che mi hai rivelato le tue intenzioni e i tuoi sentimenti, non posso assolutamente non crederti. Dunque non sono arrabbiato per niente. Non lo sono ora, né lo ero prima. E, dato che tu sei stata sincera con me, io lo sarò altrettanto con te”. Il tuo tono era sottomesso, da qui capii che non dovevi essere molto bravo nell’ammettere di aver sbagliato, ma ero così felice di quelle parole che quasi non vi feci caso. “Hikaru-chan…”.
Dopo aver pronunciato il mio nome, cadde nuovamente il silenzio per un buon minuto.
“Hikaru-chan,” ripetesti. “se ti dovesse succedere qualcosa, con che faccia credi che potrei guardare Mitsu-nee-san?”.
Sussultai a quella domanda.
I tuoi occhi erano fissi su di me e ciò stava facilmente a significare che pretendevi davvero una risposta, ma non sapendola neanche immaginare, mi limitai a rimanere in silenzio, cercando di distogliere lo sguardo dal tuo.
“Hikaru-chan, tu sei la cosa più preziosa per mia sorella. Mitsu-nee-san non ha al suo fianco nessuno: la nostra famiglia si è del tutto estinta, Rintaro-san è sempre lontano, per non parlare di me, che sono sempre qui a Kyoto e non faccio ritorno ad Edo da quei famosi sei anni… Chi le resta, se non Kin-onee-chan e te?”. Altra pausa, per poi riprendere: “Per quanto forti possano essere i tuoi sentimenti, o per quanto valide siano le tue ragioni, pensi davvero che possano bastare da garanzia, nel caso ti succedesse qualcosa? Tu sei l’unica figlia di Mitsu-nee-san e Rintaro-san, per non parlare del fatto che sei la mia unica nipote… Questo è un luogo pericoloso, dove tu non puoi davvero restare… E se lo dico… No, se tutti te l’abbiamo detto e continuiamo a ripeterlo, non è perché non ti voglia qui, non tenga a te, o perché tu mi abbia deluso. Se voglio mandarti via, Hikaru-chan, è solo per il tuo bene, per proteggere un prezioso membro della mia famiglia” dichiarasti infine con un sincero sorriso sulle labbra.
Sussultai nuovamente. Non ricordavo nemmeno che tu potessi sorridere in quel modo, in quel modo così onesto e puro. Pensavo che mi avresti tenuto nascosto nuovamente tutto, ma al contrario di ciò che mi aspettavo, ti eri aperto con me e mi avevi rivelato i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti.
Allora è per questo che non mi vuole qui?
Pensai, rincuorata, quasi con le lacrime agli occhi.
Istintivamente, allora, mi avvicinai lentamente a te e mi buttai frettolosamente e un po’ goffamente tra le tue braccia.
Ovviamente non dovevi aspettarti quella reazione alle tue parole, perché ti trovai inizialmente disorientato.
“Hikaru-chan?” mi chiamasti, con aria spaesata.
“Io… so di essere egoista…” premisi, con il volto sprofondato nel tuo haori, al punto tale da poter sentire il tuo buonissimo profumo. Non riuscivo ad identificare che tipo di profumo fosse, ma era davvero buono e tranquillizzante. “So di essere egoista, avventata, certe volte superficiale e infantile, ma… ti prego, Sou-nii, permettimi di stare qui alla base”.
Avevo compreso le tue parole ed anche cosa stessi cercando di trasmettermi: avendomi parlato in quel modo chiaro, non avevo dubbi sul fatto che l’unica ragione per cui ti eri comportato in modo ‘crudele’ con me era perché volessi a tutti i costi farmi tornare a casa. Ed ero anche cosciente del fatto che lo avessi fatto, in primo luogo per la mia sicurezza, ed in secondo luogo per non far soffrire mia madre. Mia madre che per te era così importante. Tuttavia i miei sentimenti per te sembravano crescere a dismisura, ogni secondo che passavo con te, per essere contenuti semplicemente nel mio corpo e avevano necessità di traboccare.
Anche se mi vedevi come nient’altro che la tua nipotina, figlia della tua adorata sorella… anche se non ero altro che parte della tua famiglia, per il momento il fatto che eri stato così dolce con me era la cosa che contava più di ogni altra.
E, sapendo tutto ciò, credevi davvero che sarei tornata a casa, lasciandoti alle mie spalle, senza fare altro?
Evidentemente ancora non mi conoscevi bene.
“Sono cosciente del fatto che questo sia un luogo pericoloso. Ed anche quando non sapevo con esattezza che si trattava della base degli Shinsengumi, ne ebbi sentore già da prima. Ho capito quello che stai cercando di dirmi: le difficoltà non mancheranno ed i pericoli tantomeno, ma… Non devo temere niente, se ci sei tu a difendermi, no, Sou-nii?” ti chiesi, sorridente, incrociando il tuo sguardo.
Dal tuo sguardo vagamente smarrito, compresi che non dovevi esserti aspettato nemmeno quella risposta. Ma giusto il tempo di fare mente locale della cosa e, con aria leggermente contrariata, esordisti: “Senti, tu… Mi sembra di parlare ancora con una bambina di otto anni…” . Altro sospiro. “Come devo fartelo capire che, per quanto possa difenderti, resta pur sempre rischioso rimanere qui, per una ragazzina come te? Insomma…devo legarti come un salame e affidarti ad un corriere per farti tornare a casa?”.
“Probabilmente sì, perché io non mi muoverò di qui” ribattei, ostinata.
“Hikaru-chan…!” facesti per riprendermi e cercare nuovamente di convincermi, quando io t’interruppi: “Ti prego, Sou-nii… Fammi restare qui. Almeno fin quando le cose non si faranno realmente pericolose. Almeno fino ad allora, permettimi di restare”. Con gli occhi cerulei languidi, non esitai ad incrociare nuovamente il tuo sguardo. Rimanesti immobile, constatando la profondità e la purezza della mia preghiera. “Ti prometto che, se e quando la situazione qui si farà impossibile per me da reggere, tornerò a casa di mia spontanea volontà”.
Non stavo mentendo. La mia promessa non era affatto una bugia. E, nel profondo del cuore, ero convinta che anche tu lo avessi capito. Perché, quando usavo la parola “promettere” in una proposizione, quelle parole diventavano sacre e, dunque, non avrei mai osato contraddirle o sottrarmi alle condizioni a cui esse mi ponevano.
Restammo in quella posizione (io, stretta a te, a guardarti supplicante e tu a fissarmi indifferentemente, forse perché in fase di riflessione) per non so esattamente quanto tempo, ma doveva essere stato abbastanza, perché le ginocchia incominciarono ad intorpidirsi e quasi non me le sentivo più. Stavo per cambiare posizione quando udii nuovamente la tua voce sonora affermare: “Se osi venir meno alla promessa, t’impacchetto davvero come un salame e ti spedisco a casa tramite corriere”.
Non potevo vedermi, dato che non vi era alcun modo di farlo, ma ero quasi del tutto certa che sul mio viso fosse comparsa un’espressione di sorpresa mista a felicità.
“E ti assicuro” aggiungesti, tornando a sorridere nel tuo solito modo. “che non è un viaggio piacevole”.
“Sì, va bene! Andrà benissimo!” mi affrettai a rassicurarlo, stringendomi nuovamente a lui, con tutto l’impeto che avevo nel corpo e nelle mie esili braccia, ignorando totalmente le ginocchia che reclamavano sosta e libertà.
Andava bene. Andava bene veramente. Nonostante ti avessi fatto quella promessa, passare del tempo con te per me era più che sufficiente.
Ne avrei fatto tesoro, di quei momenti passati al tuo fianco e avrei fatto tutto ciò che era in mio potere, per prolungare quei momenti il più lontano possibile.
Volevo solo starti accanto e passare con l’uomo che amavo il tempo che avevo sognato di trascorrere sempre con te. Tutto qui.
“Però, fin quando rimarrò qui, proteggimi sempre, va bene, Sou-nii?” ti chiesi, relativamente, mentre ora mi alzavo più verso te e ti abbracciavo ancora di più, affondando il viso tra i tuoi capelli castani, tendenti vagamente al rossiccio.
Anche i tuoi capelli avevano lo stesso odore dei tuoi vestiti. Era buono e riusciva a tranquillizzarmi come solo il profumo di mia madre riusciva a fare. No… forse anche più di quello di oka-san.
Era un profumo che avevo sentito tante volte, ma che in quel frangente di tempo non riuscivo a rimembrare.
Cos’era quel dolce profumo, a me tanto familiare?
Mi sentii avvolgere la vita dalle tue braccia che mi stringevano a te. “Farò del mio meglio, ma non ti garantisco niente” obiettasti con quel tuo solito tono e sorriso sardonico.
Tutto questo… forse mi sbaglierò, ma mi sembra di averlo già vissuto…
Ebbi la sensazione, dentro di me.
“Ehhh?!” finsi di lagnarmi. “Come sarebbe a dire? Sou-nii, sei impossibile!”.
Non trattenesti, dunque, una risata di cuore a cui io cedetti per poi seguirti nello stesso gesto. Ridemmo per qualche secondo senza tregua finché, ancora stretti in quell’abbraccio che mi aveva resa tanto felice, ma che tu sicuramente vedevi come nient’altro che un gesto affettuoso nei confronti di una qualsiasi persona a te cara, non appoggiasti il mento sulla mia spalla sinistra, restando in silenzio e immobile per un po’.
“Sou-nii…?” . Quel gesto fu così inaspettato che non potetti far altro che irrigidirmi e rimanere, a mia volta, immobile. Arrossii appena per quel contatto così intimo e mi chiedevo se ti saresti comportato così anche con la mamma, o con la zia. In cuor mio, però, speravo davvero di no.
“Ti sei sentita presa in giro per tutti questi anni, non è vero?” esordisti all'improvviso, tanto che sobbalzai a quelle parole, sgranando leggermente gli occhi. “Non era mia intenzione illuderti, né prenderti in giro. Se avessi potuto davvero seguire l’istinto, sarei tornato a casa, a trovare te e Mitsu-nee-san il prima possibile, ma non è stato fattibile. Inoltre ho solo pensato che, essendo così piccola, ti saresti subito scordata di me. Avevi tante altre persone al tuo fianco, che ti erano molto più vicine di quanto ti sarei mai potuto essere io, quindi non ho pensato neanche per un attimo che tu potessi nutrire questo affetto nei miei confronti per tutti questi anni. A dire il vero, non pensavo neanche ti ricordassi il mio nome”.
“Ma è assurdo!” ribattei, contrariata al pensiero che tu potessi anche solo aver ipotizzato un’eventualità simile. “Come potrei, come avrei potuto, scordarmi di te? E’impossibile. Impossibile ed assurdo. Nel modo più assoluto!”.
Non trattenesti un ulteriore risata per poi stringermi nuovamente a te. Fui costretta ad alzare il capo, data la nostra vicinanza e non nego il fatto che quella posizione era anche piuttosto scomoda, ma solo il fatto di poterti essere così vicino faceva perdere rilevanza ad ogni altra cosa.
“A quanto pare è così… Ma io che potevo saperne? Eri sveglia come ragazzina, ma non avrei mai pensato che la tua ostinazione e la tua memoria potessero arrivare a tanto” ammettesti. “Inoltre sei anche cresciuta. Sei diventata grande, Hikaru-chan. Sono felice di averti visto di nuovo e che ti sia ricordata di me”.
Non avrei potuto scordarti, anche se avessi voluto.
Non potetti che pensare, trattenendo le lacrime, mentre stringevo le maniche del tuo haori, per farmi forza.
Eri insito nella mia mente, ancor prima che potessi pensare di cancellarti da essa. La tua immagine non lasciava la mia memoria, anzi la riempiva. La riempiva a tal punto da spingerla, in alcuni casi, a traboccare, proprio come il mio desiderio di rivederti e di restarti accanto.
“A dir il vero, Sou-nii, ero preoccupata. Ero davvero preoccupata. Dal mio punto di vista, che ero solo una bambina, nonostante la nostra promessa, tu non stavi tornando. Nonostante passasse il tempo, tu non accennavi a far ritorno ad Edo.
Lo trovo strano anche io, sai? In fondo, avevo soltanto otto anni, eppure quella promessa e quel nostro incontro mi era rimasto fisso nella memoria come una pietra miliare. Tuttavia passavano i giorni, i mesi e gli anni e tu ancora non tornavi. Stavo davvero incominciando a preoccuparmi…” ti confessai, aprendoti il mio cuore. “Il tuo ricordo era sempre più vago, nonostante non facessi altro che riportare alla mente quel pomeriggio di primavera. Temevo di scordare il tuo volto o le tue parole… Più passava il tempo e più mi sentivo insicura. Il problema era sostanzialmente che, dato che eri diventato un punto fisso per tutti quegli anni, se avessi perso i ricordi di te, sentivo che avrei perso parte di me stessa, la parte che ti aveva rincorso per tutto quel tempo”.
Feci una breve pausa, in cui l’unico suono nel più profondo silenzio era il cinguettio di qualche uccello notturno. Forse un gufo, forse una civetta, non ne avevo la minima idea, né m’importava.
“Sì, sono cresciuta, Sou-nii. E con me sono cresciuti quei sentimenti che mi porto dietro da ormai sei anni. Dunque non avrei mai potuto dimenticarti. E come non ho dimenticato te, non ho dimenticato neppure la nostra promessa”. Lo dichiarai con tono solenne, che non mi apparteneva. Ma era sostanzialmente qualcosa di troppo importante, perché potessi scherzarci su, com’ero solita fare per sdrammatizzare su qualcosa.
Fu così che ti distaccasti lentamente da me e che riuscii ad incontrare nuovamente i tuoi occhi color verde-foglia. L’intensità di quel colore e di quello sguardo talmente serio mi fece sentire febbricitante, ma lo sostenni fino all’ultimo momento.
Ah… Ora ricordo… Cos’è questo odore…
“La ricordi?” insistetti. “La promessa che facemmo quel pomeriggio?”
E’ il profumo di quel fiore meraviglioso… quello che condividevamo io e te…
Il silenzio regnò sovrano ancora per quel frangente d’attimo, mentre non facevamo che guardarci.
“Ti piacciono ancora le lavande, Sou-nii?”.
Una folata di vento arrivò verso di noi, avvolgendoci nella sua freddezza autunnale, messaggera d’inverno, ma nessuno dei due se ne curò.
L’uno sosteneva lo sguardo dell’altra, senza riuscire a far altro.
Dopo qualche altro minuto di mera quiete, ti vidi perdere quell’espressione tanto seria e sorridere con quella tua solita aria beffarda. “Naturalmente mi piacciono ancora”. Piccola pausa. “Però no, mi spiace, quella promessa non la ricordo proprio”. Lo dicesti con tono così noncurante che in un primo momento pensai di svenire.
Cosa?
“Non… la ricordi…?” chiesi io, rivolgendogli uno sguardo più che altro spaesato. “Davvero… non la ricordi?”
Facesti per pensarci su, ponendoti il dito sul mento, ma dopo poco scotesti vivamente il capo. “No, non mi viene davvero niente in mente. Di che si trattava?”.
Non la ricorda… L’ha rimossa totalmente…
Allora… valeva così poco quella promessa?
Rimasi in silenzio per un po’, dopodiché, stringendo i pugni e digrignando i denti, cercando di trattenere il pianto, esclamai: “Non te lo dico!”. Il tono della voce era aumentato notevolmente, tanto che avrebbe potuto facilmente svegliare qualcuno. “Non te lo dirò mai!”
“Hikaru-chan?” mi chiamasti, un po’ sorpreso dalla mia reazione. “Avanti, non fare così…”.
“Non te lo dirò… Non voglio!”.
Con gli occhi tremuli, arrossati e stanchi per il troppo lavoro, non riuscivo vedere bene il tuo volto, ma quel che bastava per notare che avevi assunto un’aria leggermente perplessa, per poi sorridere nuovamente e prendere ad asciugarmi con la manica del tuo haori sia gli occhi che il naso, diventato un pomodoro perché esposto troppo al freddo.
“Ah, Hikaru-chan, ma che mi combini?! Una signorina non dovrebbe farsi vedere in queste condizioni, lo sai?”. Ti sentii sospirare e poi: “Mi dispiace, se non ricordo questa promessa di cui parli. Doveva essere davvero importante, vero?”.
Non riuscii a fare altro che annuire.
Indi sorridesti nuovamente. “Gomen
In quel momento mi sentii davvero combattuta: mi chiedevo che cosa ci trovassi da sorridere e il fatto stesso che lo stessi facendo mi mandava in bestia, ma dall’altro lato ero così felice che fossi così dolce con me.
“Non ti perdono, Sou-nii! Questa era davvero una cosa troppo importante per essere dimenticata! E tu l’hai fatto lo stesso! Non ti perdono!”.
Vedendomi così infervorata, non trattenesti una risata. “Già, sono stato davvero un cattivo ragazzo, non trovi?”.
“Non trattarmi come una bambina! Sono davvero arrabbiata, sai?!” . Non mi stavi prendendo sul serio e la cosa mi faceva ribollire il sangue nelle vene. Tuttavia perché non riuscivo davvero ad aggredirti, nonostante la mia rabbia? Non me lo sapevo spiegare.
Ridesti nuovamente, asciugandomi le ultime lacrime rimaste dal viso imbronciato. “Sì, sì, lo so. Sono pentito, d’accordo? Allora? Mi vuoi dire o no qual era questa promessa?”
“No!” ribattei io, voltando di scatto la testa, con aria contrariata. “Non te lo dirò! Non dirò niente in proposito a questa promessa, finché non te la ricorderai da solo!”.
“Heeeh… Davvero?” mi chiedesti con tono di constatazione, quasi come se te lo aspettassi.
“Davvero!” dissi, ancora voltata di lato. Volevo dare a vedere come ero rimasta offesa dalla tua risposta e dal tuo atteggiamento. Ma, per qualche motivo, non riuscivo seriamente ad essere arrabbiata con te.
“Potrebbero volerci giorni”.
“Non importa”
“O addirittura mesi”
“Non importa”.
“E se c’impiegassi degli anni?”.
Rimasi in silenzio per un po’, finché non insistetti: “Non m’importerebbe comunque. Ho aspettato sei anni. Posso aspettarne come minimo altrettanti”.
In un primo momento rimanesti meravigliato, per poi tornare a sorridermi, complice. “Non demordi, eh?”.
“Non lo farei per nessuna ragione al mondo!” dichiarai, voltandomi verso di te che ora eri concentrato su di me, con tutta la tua attenzione.
Arrossi, mentre vedevo che la tua mano si era posata nuovamente sulla mia testa, per poi scompigliarmi vistosamente i capelli. “Brava bambina. Così si fa”. E cadesti in una nuova, rigorosa e fragrante risata.
Rimasi leggermente scossa, inizialmente, ma poi constatai che anche sul mio viso vi era un bel sorriso. Stavo ridendo anche io.
Com’era possibile? Eppure mi avevi detto di non ricordare quella promessa, la nostra promessa. Era una cosa tanto importante per me, la cosa fondamentale, la base dei miei sogni. Constatando che l’avevi dimenticata, mi ero semplicemente limitata a lagnarmi e a piangere per qualche minuto e poi… basta. Conoscendomi, ci sarei dovuta restare così male che non avrei più voluto vederti per il resto della mia vita, ma il fatto…
Il fatto era che in parte,avevo accettato dentro di me il fatto che quella fosse stata una semplice promessa che avevi fatto ad una bambina, un po’ per gioco, un po’ per assecondarmi; in parte speravo che in realtà non l’avessi realmente dimenticata o rimossa, ma che fosse solamente una goccia nascosta da qualche parte, in profondità, dentro quel mare immenso che sono i ricordi.
E, allora, mi ero imposta semplicemente di riportare a galla quella goccia, ma non con la forza. No… Non volevo che ricordassi perché ti ci avevo costretto io. Volevo che, da promessa importante qual’era stata, dovesse tornarti in mente perché effettivamente quel caldo pomeriggio primaverile era nato qualcosa d’importante tra noi due. Non aveva alcun senso che fossi io a ricordartelo. Dovevi per forza essere tu a farlo.
E non aveva neanche senso piangerci sopra, o rimanerci male. Non avrei fatto altro che comportarmi da ragazzina immatura, quale ancora ero e dimostravo di essere. In quell’attimo sentii di voler imparare a crescere e di voler riparare agli errori e a tutto ciò che non andava come volevo.
Non avevi ricordato quella promessa? Pazienza. Ti avrei aiutato a farlo quanto prima possibile. A cosa mi sarebbe servito gettare la spugna, dopo averti rincontrato?
Pensavi di mettermi fuori gioco così, Sou-nii? Mi spiace, ma il mio amore non era così superficiale da poter essere scalfito da qualcosa del genere.
Ci ero rimasta male e sarei continuata a restarci male finché non ti fossi ricordato di tutto, ma ero pronta a trasformare il mio dolore in una corazza che mi avrebbe resa ancora più forte.
“Ah, Sou-nii! Basta! Non sono più una bambina! Smettila di trattarmi così!” mi lamentai, cercando di farlo smettere di scompigliarmi i capelli, che ormai non avevano più un vero e proprio ordine.
“Ah, davvero? E invece sei proprio una bambina!” proseguì lui, smettendo di disordinarmi i capelli. “Perché solo una bambina poteva giocarmi uno scherzo tanto infantile stamani”.
“Ah, mi spiace… In realtà sono davvero dispiaciuta dell’accaduto”.
Avrei voluto dirglielo e lo pensavo realmente, ma trasportata dalla situazione incrociai le braccia al petto e assunsi un’aria soddisfatta. “Ti sta bene! E’ stata la mia rivincita per avermi fatta arrabbiare. Così impari a prenderti gioco di me e a scordarti le promesse che fai!”.
“Senti, tu…” . Con aria sorridente, ma palesemente infastidita non tardasti a tirarmi un pizzico alla guancia, così forte che pensavo me l’avresti strappata via. “A causa tua sono dovuto stare praticamente tutto il giorno digiuno. E a cena, per ordine di Hijikata-san, per poter compensare con quello che hanno mangiato stamane, ci è toccata appena qualche sardina arrostita!”. E come non notare il tuo favoloso sopracciglio danzante? Il nervosismo non doveva mancarti. “In poche parole, sto morendo di fame. E tutto per il tuo insulso scherzetto!”.
“Ahi, ahi, ahi! Shou-nii, mi sciai fascendo malhe!” riuscii solo a dire, in quella maniera ridicola, con le lacrime agli occhi per il dolore alla guancia.
Deve fare male! Questa invece è la mia rivincita!”
“D’accordo, d’accordo. Mi discpiasce! Mi discpiasce sul scerio!” mi decisi a dichiarare. “Mi sciono comporthata in modho ivfantile e sciono davverho discpiasciuta… Perhò adesscio, pe favohe, lasciamhi!”.
Dopo quella confessione, sembravi sentirti molto più soddisfatto e, dunque, lasciasti in pace la mia guancia che finalmente trovò il suo sollievo. “Sou-nii, mi hai fatto davvero male, sai?”.
“E’ la tua punizione. Non pensare che ci andrò leggero con te, solo perché sei la mia nipotina. Ne avrai di lavoro da fare!” . E non trattenesti una risata.
“Uffa… Sei impossibile!”
“Non è questo che vorrei sentirmi dire”.
“Eh?” chiesi io, voltandomi verso di te, con aria perplessa.
Tu, allora mi guardasti, e sistemandoti un ciuffo della frangia che, evidentemente, ti stava dando fastidio, spiegasti: “Sono stato impegnato tutta la notte a cambiarti le bende, tanto da non riuscire a dormire. E’colpa tua se ho perso il sonno, sai?”.
“Oh…” constatai io, abbassando il capo, cercando di nascondere il rossore che m’invase le gote.
“E allora? Cosa devi dire al tuo onii-chan?” chiedesti, poggiando il mento sul dorso della mano e guardandomi con aria pretenziosa e beffarda.
“Ehm… Ecco… Io…” borbottai, in preda al panico più totale, scatenato dall’imbarazzo. Non riuscivo a guardarti negli occhi: eri decisamente troppo carino per poterti guardare senza arrossire. I miei sentimenti erano incontrollabili, ma cercai ugualmente di farmi forza.
“Allora? Sto aspettando…” insistesti, sempre con quel tono scherzoso e quel sorriso sulle labbra.
E fu così che, rossa come un papavero, in contrasto con gli occhi azzurri, sollevai leggermente lo sguardo verso di te e sussurrai: “G… Gr… Grazie mille, per esserti preso cura di me questa notte, Sou-nii”.
Tu, del canto tuo, con espressione soddisfatta sul volto, mi sorridesti e annuisti. “Mhh… Sei decisamente più carina quando fai l’obbediente e l’educata”.
Arrossii ancora di più e per cercare di veicolare la felicità, ribattei: “Co… Come sarebbe a dire? Quindi se non sono obbediente ed educata non sono carina?!”.
“Ho detto che lo sei di più quando ti comporti bene. Decisamente meglio!”
“Sou-nii, sei cattivo!” mi lagnai, facendo il broncio.
Tu ridesti. “Sei davvero suscettibile, sai? Dovresti fare qualcosa per questo tuo caratterino”.
“Se tu evitassi di farmi arrabbiare, allora vedresti quanto sarei meno suscettibile!” chiarii, per poi sospirare. Indi il mio sguardo si posò su di quello… e così mi venne una grandissima idea.
Proprio quando mi ero allontanata da te, sporgendomi verso il lato opposto al tuo, sentii che ti stavi alzando e che, oramai, eri in piedi. “Ah… Si è fatto davvero tardi” constatasti. “E’ ora di andare a dormire, Hikaru-ch…”
“Aspetta, Sou-nii!” ti fermai, tirandoti per la manica dell’haori, con sguardo supplichevole.
“Mh? Cosa c’è, adesso?”. Avevi in volto un’aria perplessa.
“Ecco… Io…” farneticai, inizialmente, per poi prendere coraggio e mostrarti la busta che avevo raccolto da terra, che avevo stretto a me fin quando non mi ero rintanata tra le tue braccia e che tanto mi aveva dato coraggio prima, mentre lo stringevo al petto. “Questi… Questi sono dei dango che Chizuru-san mi ha dato per compensare il fatto che non avessi cenato e per ricompensarmi del lavoro fatto” spiegai con sguardo basso e vacillante, ancora rossa sulle gote. “Ecco… Non sono molti, ma… Vorresti… Vorresti mangiarli con me?”.
Non sentii altro che silenzio per qualche secondo.
“Ehh… Dei dango? Magnifico. Ne avevo proprio voglia ultimamente, ma non sono mai riuscito a procurarmene un po’”. Indi ti vidi sederti nuovamente vicino me, per poi rivolgermi uno dei tuoi soliti sorrisi sardonici. “Cos’è, vuoi farti perdonare per lo scherzetto di stamane?”.
Be’ sì, il motivo era anche quello, ma fondamentalmente il punto era che volevo rimanere ancora un po’ con te.
Diventai paonazza, mentre annuivo leggermente per poi sentirmi successivamente accarezzare la testa con affettuosità. Il modo in cui lo facevi assomigliava in modo impressionante a quello in cui si sarebbe accarezzato un cucciolo. “Brava bimba, brava bimba” commentasti, ridendo nuovamente.
Il suono della tua risata era meraviglioso, ed era per questo che non ne avevo mai abbastanza.
E fu così che in breve ci trovammo uno accanto all’altro, di fronte alla luna e al cielo stellato a mangiare dango.
“Sono davvero squisiti!” esclamai io, che li stavo divorando avidamente uno dietro l’altro, senza tregua, tanto li stavo trovando gustosi.
“Hikaru-chan, se mangi così velocemente, li finirai in men che non si dica” mi avvertisti, addentando un altro dango. “E io non ho alcuna intenzione di cederti anche la mia parte”.
“Che antipatico… Eppure sono stata io che te li ho offerti!”.
“Beh, era il minimo, dopo avermi lasciato senza colazione e quasi senza cena”.
“D’accordo, ma ora mi sono sdebitata. Basta farmi sentire in colpa, no?” cercai di farmi ragione, cercando di masticare piano il dolciume, in modo da assaporarlo meglio e farlo durare più di quanto avrei fatto normalmente.
“Eh no! Devi sentirti in colpa. Almeno finché non mi avrai preparato nuovamente la colazione!” . Diamine se eri ostinato! Continuavi a fissarti su quella stupida colazione… Ma davvero un semplice pasto contava così tanto per te?
“Ma insomma, Sou-nii! Mi sono scusata e ti ho anche dato questi dango squisiti… E tu pensi ancora alla colazione?” ribattei, anche un po’ contrariata.
“Beh, certamente. Per quanto squisiti siano questi dango e per quante scuse tu mi possa fare, il pasto che hai preparato con tanta cura non tornerà e io non potrò assaggiarlo”.
Eh?
Ti guardai con aria perplessa e alquanto meravigliata.
“Co… Cosa…?”.
“Come stavo dicendo…” riprendesti, voltandoti verso di me e mandandomi uno di quelli sguardi maliziosi e nel contempo, a mio avviso, talmente suadenti, da non riuscire a resisterti. “Hanno avuto tutti l’onore di assaggiare la tua cucina, meno che io. Non ti basterà qualche dolcetto e mezza scusa per riparare a questo guaio. Solo domattina, quando mi sarà servita una colazione decente cucinata da te, potrò ritenermi soddisfatto”.
Rimasi con le labbra leggermente dischiuse, mentre ti guardavo impietrita. Gli occhi erano sgranati, finché non li portai verso il pavimento in legno, per non incontrare i tuoi.
Il rossore m’invase in breve tempo tutte le gote e parte della fronte e delle orecchie.
In pratica… In pratica sta dicendo che vuole assaggiare la mia cucina?
Ipotizzai, nella mia mente.
Sorrisi istintivamente a quel pensiero e addentai un altro dango per veicolare in qualche modo la mia gioia e la mia euforia.
“Va… Va bene! Allora cucinerò per te, domattina. Ti farò una colazione coi fiocchi!”.
Tu annuisti e mi sorridesti. “Arigatou”.
E divenni nuovamente paonazza.
Non sapevo se il tuo essere così gentile e dolce, ora che avevi capito l’importanza che avevi per me, fosse solo un metodo per ricavarne qualcosa, ma ne ero quasi del tutto certa. Solo uno sciocco non avrebbe potuto capirlo.
Insomma, non facevi altro che compiacermi per potermi manipolare come più ti compiaceva. E ti riusciva anche piuttosto bene.
Sfortuna voleva che me ne rendevo conto solo dopo che eri riuscito ad ottenere ciò che volevi da me, e mai prima o nello stesso istante in cui eri intento a farmi fare ciò che avevi in mente.
Così, per cambiare argomento, esordii: “Ad ogni modo, Chizuru-san è stato davvero molto gentile. E’ una persona davvero fantastica!”.
“Tu trovi?” mi domandasti, mentre eri intento a tirare un morso ad uno dei dolcetti color salmone. “Beh, in effetti”.
“Oh, come puoi essere così vago? E’ davvero una persona meravigliosa! Si preoccupa sempre per tutti ed è stato gentile anche con me, che per lui, ero un’estranea e poi…”. Fu così che mi tornò in mente tutto il ragionamento di quel pomeriggio. “A proposito, Sou-nii… Posso farti una domanda?” .
A quella richiesta, ti voltasti verso di me, con sguardo leggermente perplesso. “Mh? Cosa vuoi sapere?”.
“Ecco… E’ da un po’ che me lo stavo chiedendo e ci ho ragionato anche un po’ su… So che è una domanda un po’ strana e forse potrebbe risultare anche indiscreta, ma…”.
“Taglia corto” m’interrompesti tu. “Non vorrai mica andare avanti così per tutta la notte, vero? Avanti, sputa il rospo, Hikaru-chan: che vuoi sapere?”. Il tuo solito sorriso non aveva lasciato le tue labbra.
“Ecco, in verità, io… Ecco…” . Non riuscivo a trovare bene le parole per comporre in modo decente quella domanda. Dopodiché dopo vari tentativi riuscii a domandare, avvicinandomi al tuo orecchio e sussurrandoti appena: “Può essere che Chizuru-san e Hijikata-san abbiano una relazione, anche se sono entrambi uomini?”.
Un attimo di silenzio.
Mi guardasti con uno sguardo talmente stupito che pensavo di aver detto qualcosa di sbagliato. Tanto era vero che avevi smesso per un attimo di mangiare dango e quello che avevi ingoiato in quel momento quasi stava per farti affogare, se non fosse che incominciasti a batterti sul torace per far scendere il boccone.
“Oh! Sou-nii! Sou-nii, fa attenzione!” ti raccomandai, preoccupata. E solo una volta che fosti fuori pericolo, sospirai di sollievo. “Ma insomma… Che combini?”.
E così assistetti ad una fragorosa risata che ti portò a stenderti per terra, a pancia in su. Fosti così rumoroso che temetti avresti svegliato tutta la squadra al completo, con tanto di Hijikata-san infuriato e pronto a fare una ramanzina ad entrambi sul comportamento da tenere la sera tardi e sul fatto che stavamo spettegolando su di lui.
“Ahahahah! Hijikata-san e Chizuru-chan insieme! Due uomini! Ahahah! Questa… Questa è fantastica! Dovrò raccontarla ad Hijikata-san prima o poi!”. E continuasti a riderci su, senza alcun ritegno.
Io, alquanto contrariata e smarrita dal tuo atteggiamento, ribattei infastidita: “Sou-nii, non è bello ridermi in faccia a quel modo! Vorresti spiegarmi che ti è preso?”.
“Non credo sia possibile” ti limitasti a rispondermi tra le risa alla domanda che aveva fatto scoppiare quel “tumulto”
“E perché? Non credo sia tanto impossibile! Queste cose capitano quando si rimane tra soli maschi per tanto tempo, sai? E poi che c’è di male? Se ce di mezzo l’amore il fatto che siano entrambi uomini non conta, no?”.
Ma tu ignorasti il mio filosofeggiare e continuasti a sbellicarti dalle risa, finché, dopo esserti vagamente calmato, ti asciugasti le lacrime che avevi agli occhi per il troppo ridere e mi facesti cenno di avvicinarmi. Una volta che ti fui accanto, mi avvicinasti le labbra all’orecchio e mi sussurrasti: “Non credo sia possibile perché, vedi, Hikaru-chan, Chizuru-chan in realtà…”. Facesti una breve pausa, poi mi sorridesti e concludesti: “Chizuru-chan in realtà è una ragazza”.



Non seppi che successe in quel momento. Questo perché molto probabilmente persi il senso della ragione per qualche attimo.
Kami-sama solo sa come non svenni, ammesso e non concesso che non sia successo.



“Cooooooooooooooooooooooosa?!”.

  
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