Salve a tutte e tutti!
Ed eccomi giunta con la seconda parte del capitolo scorso!
Sono molto felice di essere arrivata fin qui. In realtà questa è stata la scena
che praticamente ha fatto nascere questa fan fiction.
In realtà quando ho iniziato a pensare a questa storia, questa scena era nata
nella mia mente ancor prima della vera e propria trama, quindi… si può dire che
questa è la scena-madre della fiction XD
Indubbiamente una delle scene e dei momenti più importanti non soltanto dal
punti di vista della relazione Hikaru-Souji, ma anche della storia, perché da
qui iniziano le vere e proprie “avventure” della giovane nella base degli
Shinsengumi.
Purtroppo l’unica cosa che mi lascia un po’ perplessa di questo capitolo è il
mio Souji: eh sì, in realtà ho paura di averlo reso un po’ OOC. Ho cercato di
correggere alcune parti che da Souji non ci si aspetterebbe mai e poi mai e che
praticamente dal punto di vista di lettori esperti dell’anime susciterebbe la
domanda: “E questo chi diamine è? Mica Souji Okita di Hakuouki, vero?”.
Ahahahah, ho cercato davvero di evitare di arrivare a questo XD
Tuttavia ci terrei a precisare una
cosa: questa fan fiction è vero che si basa sull’anime di Hakuouki, ma dal
punto di vista della storia fa riferimento anche molto alla realtà.
Nella realtà (e in verità se ne ha traccia anche in poche scene della serie Reimeiroku)
Souji Okita aveva un comportamento decisamente più “afettuoso” e “affabile” con
la sua famiglia e, da adulto, con i bambini (soprattutto i bambini), oltre che
con le persone (e questo punto si rileva anche dalla semplice serie Shinsengumi
Kitan) a lui molto vicine e per lui particolarmente importanti come, ad
esempio, Koundou-san.
Quindi vorrei solo tenere presente ai lettori questo dato di fatto: nella mia
storia Souji Okita fa di queste “disparità” e questi “trattamenti di favore”,
anche se nel corso della storia questo punto verrà esaminato decisamente… come
dire?... dal vivo, ecco XD
Detto questo, spero di non avervi annoiato.
Vi auguro buona lettura e spero che il capitolo possa piacervi!
Alice <3
***
Lavorai fino a tardi, quella sera.
Come avevo anticipato a Chizuru-san, dato che fuori faceva effettivamente
troppo freddo per restare a lavare le stoviglie lì, mi preoccupai di riempire
le bacinelle dal pozzo e lavarle dentro la cucina.
Preferii aspettare che gli altri, te compreso, finissero la cena prima di
mettermi a lavorare, in modo da evitare in tutti i modi d’incontrarti.
Mentre lavavo le scodelle utilizzate quella stessa mattina ragionai molto su
quest’ultimo dato di fatto: ancora non me la sentivo di vederti.
Sarei stata un’ipocrita a pensare che avrei preferito lavorare, piuttosto che
cenare con tutti gli altri, ma per me era davvero impossibile starti accanto
senza riservarti del rancore.
Magari agli occhi degli altri poteva sembrare egoistico, infantile e chissà
cos’altro, ma solo io potevo sapere quanto in realtà mi avesse ferita tutto
quello che avevi detto e fatto in questi ultimi due giorni. A partire da quando
avevi detto di essere rimasto deluso da me e a finire con la colazione di
stamani.
Amarezze su amarezze, non ero riuscita ad ingoiare il boccone e mi era rimasto
di traverso in gola. Non accennava a scendere, nonostante un po’ tutti quelli
attorno a me ed io stessa cercassi di buttarci acqua sopra, per aiutarmi a
superare il tutto.
Già: era come se una lisca di pesce mi fosse rimasta incastrata in gola ed ogni
qual volta ingoiassi per cercare di farla scendere, mi graffiasse dall’interno
con le sue mille spine.
Fatto stava che finii il mio lavoro pressoché
verso le undici e mezza di sera.
Uscii dalla cucina, un po’ affaticata e assonnata. Avevo bisogno di dormire e
volevo risposarmi, d’altronde. Ma oltre che fisicamente, ero stanca anche
moralmente. Troppe gioie e troppi dolori si erano accavallati l’un l’altro,
sfinendomi letteralmente.
Tuttavia Chizuru-san mi aveva raccomandato di andare ad avvisarlo una volta
finito, quindi mi accinsi ad attraversare il corridoio generale che dava sul
cortile per arrivare sino alla stanza del ragazzo.
Camminavo lenta e a contatto con l’aria notturna mi venne istintivamente da
sbadigliare e sgranchirmi le ossa. Senza contare che avevo dovuto cambiarmi le
bende ai piedi per circa altre dieci volte, in tutto il corso della giornata.
Quelle maledette ferite non accennavano a guarire! E mi facevano anche male!
Ragion per cui zoppicavo leggermente.
Che stanchezza…
Pensai, istintivamente.
Non vedo l’ora di entrare nel mio futon e
farmi una bella dormi…
“Hai fatto tardi, Hikaru-chan” sentii esordire da una voce che mi colse di
sprovvista. “Devi essere molto stanca”.
C’era qualcuno lì? Perché non me n’ero accorta?
La risposta era più semplice di quel che pensassi: ero stanca e non avevo fatto
attenzione a ciò che mi circondava, inoltre non so come ma non riuscii a
riconoscere quella voce.
Dovetti voltarmi alla mia destra per riuscire a capire di chi si trattasse ed
ebbi un sussulto quando constatai che si trattava proprio di te.
Eri seduto per terra, sul patio in legno, con la spalla appoggiata ad una delle
colonne dello stesso materiale, le gambe incrociate e le mani nascoste nelle
larghe e calde maniche del tuo haori.
Nell’incavo del gomito – quello destro – reggevi una katana di cui il manico
aderiva perfettamente alla tua spalla. Mi guardavi con aria divertita e
tranquilla. La tua solita espressione, insomma, mentre io ti guardavo rimanendo
in silenzio e non sapendo cos’altro fare.
Rimasi incredula di fronte al fatto che non avevo riconosciuto la tua voce.
Com’era possibile? Ero riuscita a riconoscerla sempre e comunque. Avrei saputo
distinguerla in mezzo a miliardi e miliardi di voci! Come avevo potuto non
riconoscerla?
Per un attimo ebbi come la sensazione di sentirti lontano, lontanissimo. Quasi
come se fossi su un altro pianeta, completamente diverso dal mio. E la cosa mi
spaventava. Anzi, no… Non era di semplice paura che si trattava.
In realtà, ero terrorizzata all’idea che tra di noi si stesse creando questo
solco invalicabile. Ma sfortunatamente non ero abbastanza brava da riuscire a
riparare al danno. O almeno non ero mentalmente pronta a farlo.
I miei occhi incrociarono nuovamente i tuoi in un miscuglio tra cielo e natura,
fin quando non voltai il capo da un’altra parte, senza rispondere alle tue
parole. Ciò nonostante non scappai. Non so ancora chi mi diede quella forza, ma
non scappai.
Probabilmente era perché sapevo che se l’avessi fatto, avresti pensato che ero
infantile e che non ero neanche in grado di licenziarti in maniera matura. Cosa
che – e ne ero convinta –avrei fatto quasi sicuramente in seguito.
“Oooh…? Fai l’offesa?” mi domandasti,
chiaramente in seguito al mio gesto. “Non per far polemica, ma qui l’unico
offeso dovrei essere io. Sono rimasto a digiuno fino stasera a causa del tuo
scherzetto, lo sai questo?”.
Ancora silenzio. E non accennavo neanche a guardarti.
“Heeh… Non vuoi neanche guardarmi, eh?”
Nuovamente silenzio.
Sentii provenire un sospiro da parte tua. “Hikaru-chan, perché non ti siedi
qui?” .
Più per istinto, che per reale interesse nell’ascoltarti, mi voltai verso di te
che mi stavi facendo segno di sedermi accanto a te.
Allora, contrariata, distolsi nuovamente lo sguardo, voltando il busto in
avanti, come a segnalare che non solo non ne avevo alcuna intenzione, ma non me
ne importava neanche.
“Mi spiace, ma adesso ho altre cose da fare”.
“Non è vero” rispondesti, secco. “Hai appena finito di lavare le scodelle e
tutto il resto. E sei visibilmente troppo stanca per poterti permettere di fare
altro”.
Aveva un senso. Troppo senso perché potessi accettare di farmi fare l’appunto
da te, arrabbiata com’ero.
“Invece sì che devo fare altro. Devo andare da Chizuru-san!” affermai con aria
decisa, per darmi un certo tono e far sentire le mie ragioni. “Ed ora, se vuoi
scusarmi, Chizuru-san mi sta aspettando. E non voglio farlo attendere oltre”.
Detto ciò, m’inchinai formalmente verso di te, trattandoti come avrei fatto con
un qualsiasi estraneo, e corsi lungo il corridoio il più in fretta possibile,
non guardandoti in volto neanche una volta. Non saprei dire, dunque, che
espressione avevi assunto, ma avevo come il presentimento che non fosse
cambiata molto da quella che ti avevo visto poco prima: sempre tranquilla e
alquanto sfacciata. Un’espressione che non tradiva nessun’altro tipo di
emozione.
Mi affrettai, in questo modo, a raggiungere la stanza di Chizuru-san che,
fortunatamente, non era molto distante dalla mia e, quindi, non avevo necessità
di ripercorrere quel maledettissimo corridoio – che sfortunatamente per me era
uno di quelli principali – in cui avesti l’infelice idea di andare a piazzarti
per fare Kami-sama sa solo cosa!
Giunta finalmente dietro il fusuma della
sua stanza, bussai un paio di volte, annunciando: “Chizuru-san, sono io,
Hikaru. Ho finito di lavare tutto e sono venuta ad avvisarti come mi hai
chiesto di fare”.
“Oh, sì! Arrivo! Solo un attimo!” mi avvertì. Dal suo trafficare nella camera,
compresi che era indaffarato in qualcosa.
“Se sei occupato, non c’è bisogno che vieni ad aprirmi. Volevi solo che ti
avvertissi, no? Non prenderti disturbo…”
“No, no, nessun disturbo!” mi assicurò, aprendo di colpo il fusuma e sorridendomi. “Eccomi qua”. Lo
vidi leggermente sudato. Che stesse facendo, o avesse fatto qualcosa?
“Chizuru-san, sicuro che vada tutto bene?”.
“Eh? Sì, certo. Mi spiace di averti fatta aspettare”
“Non fartene alcun problema. Anzi, se stavi facendo qualcosa, non dovevi
prenderti la briga di aprirmi”.
“No, non stavo facendo nulla d’importante!” . Detto ciò mi squadrò sin dai
capelli in giù, con molta attenzione. “Hai lavorato fino a tardi. Devi essere
davvero molto stanca”.
Quella frase mi seppe di deja vu.
“Oh… Beh, sì” ammisi, sorridendogli, per non farlo preoccupare oltre. “Ma
giusto un po’”.
Il ragazzo ricambiò il mio sorriso e mi portò davanti agli occhi un sacchetto.
“Ecco a te, Hikaru-chan. Come ricompensa per il tuo impegno. Otsukaresama deshita”.
Un po’ perplessa, nonché stupita, presi il sacchetto tra le mani, guardandolo
da fuori quasi come se dentro potesse contenere qualcosa di strano. “Cosa c’è
dentro?”
“Dango!” esclamò lui, entusiasta e
sorridente. “Ah! Spero ti piacciano! Li ho presi sapendo che piacciono
solitamente a tutti, quindi pensavo di andare sul sicuro, ma non so con
esattezza se ho riscontrato i tuoi gusti…”
Scossi la testa, sorridendogli comprensivamente. “Io adoro i dango. Mi piacciono sin da piccola. Quando
li vedo, esco letteralmente pazza ed insisto per ore ed ore finché non convinco
mia madre a comprarmene qualcuno”. Ecco
cosa stava facendo nella stanza! Stava cercando questi dango da darmi!
“Sono contenta di averti fatto piacere. Inoltre devi essere affamata, dato che
non hai mangiato alcunché a cena e hai persino lavorato. Vedi di mangiarne
qualcuno prima di andare a letto” mi raccomandò, accarezzandomi la testa.
“Almeno la fame non ti spezzerà il sonno”.
Annuii e m’inchinai per esprimere la mia gratitudine. “Non so davvero come
ringraziarti, Chizuru-san. Farò come hai detto tu”.
“Bene. Allora, buona notte e buon appetito, Hikaru-chan”.
M’inchinai nuovamente, tutta sorridente. “Buona notte, Chizuru-san. E grazie
ancora”.
Detto ciò, mi voltai, con il sacchetto di dango
tra le mani e feci per andarmene, quando ad un tratto mi fermasti,
esordendo: “Ah, Hikaru-chan, aspetta un secondo”
“Mh?” feci, perplessa, voltandomi parzialmente verso di lui. “Cosa c’è?”.
“C’è una cosa che volevo dirti”
“Una cosa?”
Annuì. “Sin da questa mattina”.
Sin da stamani? Oh! Che si tratti ancora
dell’argomento “colazione”?
Ero quasi pronta a rispondergli che non volevo più pensarci e roba varia,
quando lui affermò: “Ricordi quando mi hai ringraziato per averti cambiato le
bende?”
“Eh? Sì. E te ne sono ancora una volta grata…”
“No, aspetta” m’interruppe. “E’ vero che ti ho cambiato le bende la notte
scorsa, ma… l’ho fatto solo un paio di volte. Verso mezzanotte, essendo
parecchio stanca, sono andata a dormire anch’io”.
“Cosa?” esclamai io, alquanto sorpresa, nonché spaesata.
“E’ la verità” asserì, coinciso. “Non mi andava che credessi a qualcosa che non
corrispondesse al vero. Mi sentivo, come dire, in colpa. Non sono stata tutta
la notte con te, come credevi tu. Mi spiace”.
“Ma com’è possibile? Quando mi sono svegliata le bende erano di nuovo pulite. E
di fianco al mio futon, vicino la bacinella d’acqua, piena di sangue, vi erano
una montagna di bende usate e fradice anch’esse di sangue. Quindi significa che
mi sono state cambiate tutta la notte”.
“Sì, le ho viste anch’io” concordò, pensandoci su. “Ma ero convinta che fossi
stata tu a cambiartele. Ti avevo lasciato le bende vicino al letto a posta per
questo”.
“No, non sono stata io” chiarii, con aria mista tra la preoccupazione e la
perplessità. Stavo cominciando a prendere seriamente in considerazione
l’eventualità di essere sonnambula, ma dopo averci riflettuto su con lucidità
mi risposi che era decisamente impossibile.
Ero stanca persino per aprire gli occhi,
figurarsi se mi mettevo a trafficare con le bende in piena notte e nelle mie
condizioni!
“Ma, se non sei stato tu…” iniziai a dedurre. “… e non sono stata io,
allora chi è stato?”.
Sgranai, dunque, gli occhi al ricordo di quelle parole che subito tornarono ad
affollarmi la mente, quelle parole che prima non avevo compreso, fraintendendo
tutto. Quelle parole che forse erano la chiave di tutto.
Non mi curai neanche di salutare Chizuru-san: mi voltai di scatto e incominciai
a scappare con tutto il sacchetto di dango
in mano, lungo la strada.
“Che ti è successo, Souji? Di solito sei
così mattiniero…”
Non è possibile…
“Beh, diciamo solo che non ho
dormito molto ieri sera”.
Kami-sama, dimmi che non è vero, ti
prego!
“Davvero insolito da parte tua…”.
Velocizzai il passo tanto che quasi iniziò a mancarmi il respiro per la troppa
rapidità con cui stavo correndo.
“Forse dipende dalla cara Hikaru-chan?”
Ti prego, fa’ che sia solo una
coincidenza!
“In un certo qual senso… E’ tutta
colpa sua. Mi ha fatto passare una nottataccia”.
Ti scongiuro!
…
Li sentii su di me, quegli occhi verde come la terra donataci da Dio, che
nell’oscurità della notte e col solo candore della luna risplendevano come
smeraldi.
Sorridevi, mentre ero praticamente davanti a te, in piedi, che ti fissavo
ansimante e cercando di riprendermi celermente da quella folle corsa che avevo
intrapreso per raggiungerti il prima possibile. Il sacchetto di dango stretto al petto, era come se
potesse accogliere, da un momento all’altro, anche il mio cuore che quasi stava
balzando fuori sia per la fatica, sia per le emozioni che stavo provando.
“Oh! Hikaru-chan” esordisti, con tono di pura constatazione. “Sei tornata.
Pensavo avessi da fare con Chizuru-chan”.
Mi mancava ancora troppa aria nei polmoni perché potessi permettermi di
risponderti, quindi rimasi ancora un po’ silenzio, mentre ti vidi proseguire:
“Ci hai ripensato? Vuoi sederti qui con m…”.
“Questa notte mi sei stato tutto il tempo vicino, vero?” ti domandai, quasi
interrompendoti, ignorando totalmente la tua precedente richiesta. “E sei stato
tu a cambiarmi per tutto il tempo le bende ai piedi, non è forse così?”.
Per la prima volta il mio cuore era diviso in due; da una parte speravo che
fosse così, perché desideravo più di ogni altra cosa che tu ci tenessi a me a
tal punto da fare anche una cosa del genere; ma, dall’altra parte, speravo con
tutto il cuore di sbagliarmi, perché, se così fosse stato, ti avrei
praticamente giocato quel brutto tiro, pur avendo tu fatto quell’enorme
sacrificio per me. E mi sarei sentita immancabilmente in colpa per l’accaduto.
Tu, da parte tua, mi guardasti serio per un po’. Eri rigido e non sorridevi
più. Tanto che, ad un certo punto, mi chiesi anche se avevo sbagliato a
chiedertelo.
Dopodiché, passati alcuni secondi, sospirasti e un nuovo sorriso tornò a
disegnarsi sulle tue labbra. “Ah! Sono stato scoperto!”.
“Perché?” chiesi con foga, che apparentemente poteva sembrare quassi rabbia.
“Perché lo hai fatto?”.
“Come sarebbe a dire ‘perché’? Non
posso curare la mia nipotina ferita?”.
“No che non puoi!” ribattei scontrosa, arrabbiata. Non sapevo neanche io con
esattezza come mi sentissi veramente. “Non dopo esserti comportato in quel modo
con me!”.
Ti vidi chiaramente sorpreso dalle mie parole o, – più che altro – dal modo in
cui te le stavo rivolgendo.
“Che senso ha prendersela tanto con la sottoscritta, trattarmi freddamente e
far di tutto per mandarmi via, se poi passi tutta la notte sveglio per accudirmi?”.
Ero talmente arrabbiata che, oltre alla corsa, era anche per il nervosismo che
stava continuando a venirmi meno l’aria. “Perché non mi hai detto niente,
stamani? Perché hai fatto l’indifferente? Perché non sei stato chiaro sin dal
principio? Che senso ha prendersi cura di me, se poi fingi di non averlo fatto?
Cosa credi che sia, stupida? O, semplicemente, ti vuoi prendere gioco di
me?”. L’affanno cominciò pian piano a
divenire un singhiozzo frenetico, che m’impediva di parlare in maniera
scorrevole. “Prima mi rimproveri, mi ferisci con le tue parole, non fai altro
che denigrarmi e dopo ti prendi la briga di rimanere sveglio tutta la notte per
aiutarmi? Per poi, la mattina successiva, fare cosa? Fingere che non sia
successo nulla? Magari tornare a fare la parte di quello ancora arrabbiato?
Cosa fai, tiri la pietra e nascondi la mano?”. Le lacrime incominciarono a
rigarmi il volto, mentre cercavo con tutta me stessa di farmi forza e
trattenermi dal mettermi a frignare come una mocciosa qualsiasi. “Io non ti
capisco, Sou-nii…” m’interruppe un singhiozzo. “Io proprio non riesco a capire
quello che ti passa per la testa”.
Silenzio.
Per un po’ non vi fu altro da parte di entrambi.
Per qualche minuto non udimmo altro che il verso di qualche insetto minuscolo e
i miei singhiozzi sommessi.
“Hikaru-chan” mi sentii chiamare. E fu così che con gli occhi ancora annebbiati
di lacrime distinsi il tuo sorriso.
Perché… Perché stavi sorridendo?
Non capivo… Proprio non capivo!
“Siediti” m’invitasti, facendomi nuovamente cenno con la mano di accomodarmi
sulle tegole di legno del patio esterno, accanto a te.
A differenza di prima, però, decisi di assecondare la tua richiesta e così con
passo lento mi avvicinai a te e, una volta piegatami sulle ginocchia, mi
sedetti compostamente. Tra noi due passavano almeno dieci centimetri di
distanza, ma a me sembrava quasi si trattasse di millimetri. Intanto guardavo
di fronte a me il giardino zen del cortile e notavo come il riflesso della luna
fosse vivido nell’acqua del piccolo stagno.
Trascorsero non so quanti minuti dall’ultima volta che avevi aperto bocca,
quindi mi voltai leggermente per guardarti e capacitarmi del tuo silenzio.
Notai, allora, che tu mi stavi fissando con sguardo intenso e non riuscivo ben
a distinguere l’espressione che avevi in volto, vuoi per colpa del buio, vuoi
per una mia coerente incapacità di interpretarla.
Arrossii per l’imbarazzo e voltai quasi immediatamente il volto, ricanalizzando
l’attenzione sul terreno del cortile. Dopodiché notando ancora il più assoluto
silenzio da parte tua, timidamente tornai a cercare la tua sagoma con la coda
nell’occhio, al che ti sentii affermare: “Tu dici di non riuscire a capirmi,
Hikaru-chan” . Il tuo tono era pacato, sereno. Tutto sommato, decisamente
tranquillo. “Ma anch’io, sai, non riesco a capirti per niente”.
“Eh?”
“Non riesco proprio a capire perché ti sei accanita tanto nel restare qui. Non
riesco a capire cos’è che vuoi ottenere, scappando di casa e restando qui”. Ti
sentii sospirare, per poi voltarti leggermente verso di me, per cercare una
qualche conferma. “Cos’è, una forma di ribellione nei confronti dei tuoi
genitori?”.
“Cosa?!” esclamai, voltandomi di scatto verso di te, con aria stupita. “No!”.
Come potevi pensare questo?
“Lo spero per te, perché io non ho alcuna voglia, né intenzione, di essere
sfruttato per una ragione del genere”.
“Ti ho già detto che non è quella la ragione!” insistetti con tono decisamente
irritato. “Credi che sia così sconsiderata da fare qualcosa del genere?”.
“Beh, se vogliamo dirla proprio tutta, l’hai già fatto” constatasti chinando
leggermente il capo di lato, tanto da poggiarlo alla trave di legno che si
ergeva per mantenere il soffitto del tempio.“E se aspetti ancora la risposta
alla tua domanda, sì, credo tu sia stata fin troppo sconsiderata a fare
qualcosa del genere. Soprattutto dato che ti eri riappacificata con tua madre,
saresti benissimo potuta tornartene a casa con lei e Kin-onee-chan”.
Dato il tuo comportamento e le tue parole, mi zittii completamente. Sapevo che
avevi ragione, ma ignorando totalmente il motivo per cui mi stavi facendo quel
discorso, non riuscii a capacitarmi del tuo buon proposito.
“Quindi, per farla breve, non mi vuoi qui, giusto?” assodai, col capo chino,
stringendo quel sacchetto di dango ancora
più contro il mio petto.
“Finalmente ci sei arrivata” dichiarasti in tono ironico, come al tuo solito.
“E’ da ieri che cerco di fartelo capire, ma con te è come parlare al muro”.
Sussultai, sentendo la tua conferma e richiamai tutto il coraggio che avevo per
trattenere le lacrime. Per i singhiozzi e il leggero tremolio che il mio sforzo
comportava, però, era ormai troppo tardi.
“Perché…?” sussurrai, con un filo di voce. “Perché non mi vuoi qui?”
“Sono stanco di dover rispondere sempre alla stessa domanda, Hikaru-chan” mi
chiaristi, rivolgendomi uno sguardo severo, nonostante sul tuo volto aleggiasse
un bel sorriso.
“E’ forse perché mi ritieni troppo piccola? Pensi che non possa cavarmela
perché non sono una vera e propria donna? O perché non vuoi assumerti la
responsabilità nell’eventualità mi succedesse qualcosa? Oppure, ancora, sei
arrabbiato perché sono scappata di casa, mi sono rifugiata qui, ti ho mentito
e, infine, ti ho rivolto tutte quelle parole?”. Il petto si alzava e abbassava
a ritmo sempre più accelerato. I singhiozzi si fecero insistenti e quasi
costanti. Le lacrime presero a rigarmi le guance, quando pensai all’ultima
eventualità che ti spingeva a parlare comportarti così nei miei confronti. “Oppure
perché ti ho deluso?”. Feci una pausa, mentre il mio sguardo azzurro come il
cielo incontrava il tuo verde-foglia. “E’ così, vero? Dato il mio
comportamento, ti ho deluso, e adesso mi odi!”. Iniziai propriamente a piangere
tanto che mi portai entrambe le mani agli occhi, per asciugarmi man mano che
usciva la cascata di lacrime. “Devi proprio odiarmi, vero? Ti capisco, sai,
dopo tutti i piagnistei, tutti i miei capricci e i guai che ho combinato, è il
minimo che ti abbia deluso. E, come se non bastasse, ti ho dato del bugiardo e
ti ho fatto anche quello scherzo stamani…Ma…!”. Nonostante il tremolio che
percorreva il mio intero corpo, cercai di farmi forza e di farmi ragione almeno
per ciò in cui realmente credevo. “Ma, devi credermi, Sou-nii, non l’ho fatto
con cattivi propositi! Il mio intento non era quello di darti fastidio. Non
volevo coinvolgere né te, né tutti gli altri della Shinsengumi. E’ vero che
sono scappata di casa e ho fatto preoccupare mia madre, mia zia; ho fatto
scomodare tutti gli uomini di Fujiwara-san, compreso mio padre, ma… Dopo aver
capito il mio errore ed essermi riappacificata con oka-san, non c’era davvero
niente che non andasse” . M’interruppi nuovamente, per riprendere fiato. Quindi
proseguii: “La ragione per cui ho deciso di restare qui e mi sono impuntata a
tal punto per farlo non è perché volevo ribellarmi ai miei parenti, né perché
volevo provare nuove emozioni. Sarò stata sconsiderata – è vero – nel scappare
in quel modo di casa ed aver avuto quell’atteggiamento assurdamente infantile,
ma non sono così incosciente da prendere un capriccio simile solo per fare
esperienze di vita”. Mi feci più vicina a te, portando entrambe le mani sulla
larga manica del tuo haori e
stringendo più che potevo, lasciando così cadere sul mio grembo il sacchetto
che avevo tenuto con me fino a quel momento. “L’unica ragione per la quale sono
rimasta qui è perché volevo realmente stare con te, Sou-nii. Devi
assolutamente credermi! Fin da quando
oka-san aveva parlato di venire qui a Kyoto, non ho pensato ad altro se non a
rivederti. Non appena abbiamo calpestato il suolo di questa città, non facevo
che voltarmi tra la moltitudine di persone, per cercare di scorgere la tua
figura. Perché volevo assolutamente rivederti!” . E così, oltre che il corpo,
avvicinai notevolmente anche il mio volto al tuo, che leggermente sorpreso
ascoltavi le mie parole in silenzio. “Perdonami se ti ho rivolto tutte quelle
parole ieri mattina e mi spiace di averti giocato quello scherzo stamani, ma la
verità è che mi sono sentita ferita! Da quando sei venuto a casa mia sei anni
fa, sei diventato una figura davvero, davvero molto importante per me, Sou-nii.
E constatando che tu non mi volevi al tuo fianco e che ti avevo deluso, è stato
come se mi avessero pugnalato dieci, cento, mille volte di seguito in tutte le
parti del corpo”. Avevo il volto arrossato, sia per colpa della valanga di
lacrime, sia per il fatto che stavo mettendo parte dei miei sentimenti per te a
nudo. Completamente a nudo e proprio di fronte a te, che eri il diretto
interessato. “Non ho mai pensato neanche una volta di infastidirti, o di non
farti piacere. Volevo soltanto stare con te. Solo questo”.
Con il mio discorso, finì anche il
pianto. O, meglio dire, si calmò notevolmente anche quello. I singhiozzi
permanevano, ma di quelli ormai non m’importava. Continuavo a stringere,
tremante, la tua manica, mentre abbassavo il capo, incapace di guardarti, oramai,
negli occhi.
La mia non era una vera e propria dichiarazione, ragion per cui non ero
preoccupata tanto per quello, quanto per il fatto di essermi resa il più
vulnerabile possibile ai tuoi occhi. In sostanza, ti avevo rivelato di essere
una persona fondamentale per me, quindi ogni tua piccola richiesta, ogni tua
piccola pressione e mi avresti potuta spezzare come un ramoscello di legno.
Probabilmente, se avessi insistito nel farmi tornare a casa, nel giro di due
giorni (non di più) ti avrei obbedito e avrei fatto ritorno ad Edo. Certo, col
cuore spezzato, ma l’avrei fatto.
Ora che lo sa, mi farà sicuramente
tornare a casa.
Pensai, maledicendo la mia imprudenza nel rivelarti ogni cosa.
Non esiterà un attimo a farmi fare quel
che vuole. Ormai lo sa che, con le giuste parole e i giusti gesti, può
distruggermi nel giro di poco e convincermi ad obbedirgli senza farsi poi tanti
problemi.
Ne ero convinta. Sapevo che, infondo, ero stata irragionevole e la cosa
migliore era far ritorna a casa di mia madre. E, cosa fondamentale, sapevo che
tu, di questo, eri certo.
La sorpresa più grande, invece, fu quella di sentire qualcosa di morbido sulla
mia testa. Era qualcosa di confortevole ed emanava un leggero tepore che, però,
era in grado di mandarmi a fuoco l’intera nuca. Era la tua mano che incominciò
a carezzarmi dolcemente i capelli, scompigliandomeli leggermente. Sussultai
quando sentii quel tocco così delicato su di me e dischiusi leggermente le
labbra per lo stupore.
Da quanto non sentivo le tue carezze su di me? E quanto le avevo desiderate per
tutto questo tempo? Non lo ricordavo quasi più. L’unica cosa che contava, in
quel momento, era il tuo calore e, soprattutto, la gentilezza che quella
carezza esprimeva.
“Ti credo, Hikaru-chan” esordisti con tono sereno. “Come posso non credere alle
tue parole?”
Istintivamente mi voltai a guardarti, rincuorata. “Sou-nii…”.
Una volta ritirata la mano dalla mia testa, la riportasti nella manica opposta
dell’haori. Sospirasti lievemente e ti
voltasti a guardare la luna splendente nel cielo. “Hikaru-chan, tu non hai la
minima idea del perché mi sia comportato in quel modo, vero?”.
“Eh?”.
No, non ne avevo la più pallida idea. E a pensarci ora mi avevi fatto una
domanda davvero inutile: se l’avessi saputo, non mi sarei comportata di
conseguenza, no?
Tuttavia ebbi il buonsenso di restarmene in silenzio e limitarmi a guardarti
con aria perplessa.
“Quando ti ho ritrovata l’altra notte, insieme a Chizuru-chan, non sai quanto
mi sia sentito felice ed allo stesso tempo spaventato. Puoi immaginare,
vedendoti in quello stato, quanto mi fossi preoccupato? In primo luogo non
avevo capito come avevi fatto a raggiungere Kyoto e mi pareva davvero strano
trovarti da sola, per di più in quelle condizioni. Non sapevo davvero cosa
pensare. Hai idea di quante ipotesi si siano accalcate nella mia mente, mentre
ti portavo qui alla base, per assicurarti momentaneamente un posto sicuro in
cui stare?”.
Mentre parlavi il tuo sorriso era quasi impercettibile, ma la tua espressione
era abbastanza seria. Non accennavi neanche a voltarti verso di me, ma intenta
ad ascoltarti, non ci feci caso più di tanto.
“Felice? Certo che lo ero. Come potevo non esserlo, rivedendo parte della mia
famiglia? Tuttavia, devi capire, la preoccupazione del non sapere cosa ti fosse
accaduto superava di gran lunga la felicità in quel momento. Così, dopo averti
portata qui alla base, ti ho affidata alle cure di Chizuru-chan, e mi sono
diretto nuovamente fuori, in cerca di un qualche chiarimento”. Ti schiaristi la voce, per poi proseguire: “Quella
storia mi pareva davvero strana. Che ci facevi a Kyoto? E per di più da sola?
Non riuscivo a spiegarmelo, così mentre vagavo per le strade della città, ho notato
parecchio movimento. Ho visto uomini correre da una parte all’altra, senza
sosta, e setacciare ogni centimetro quadrato della strada. Notai addirittura
che una squadra di quest’ultimi stava incominciando a fare irruzioni nelle case
della gente. In un primo momento non ero riuscito ad identificare chi essi
fossero ed il numero era troppo ingente perché si trattasse solo di lestofanti.
Solo dopo aver notato il simbolo che avevano tutti sull’haori, riuscii a capire che si trattava degli uomini di Fujiwara”.
Fece una nuova pausa, si massaggiò lentamente le tempie e tornò a raccontare:
“Ricordai, così, che tuo padre era al suo servizio. Dunque mi sono affrettato
ad avvicinarmi ad uno di codesti uomini per chieder loro in cosa fossero
intenti. Ed egli mi ha rivelato di essere alla ricerca della figlia di
Okita-dono. Pertanto non persi neanche un attimo e andai alla ricerca di tuo
padre. Ma, prima di trovare lui, sai chi ho incontrato?” mi chiese, azzardando
un sorriso di sfida e incrociando, ora, i miei occhi. “Non lo immagini
proprio?”.
Non ebbi il coraggio di sostenere quello sguardo, quindi distolsi il mio.
“No…”.
“Tua madre” non tardasti a rivelarmi, senza ulteriori esitazioni.
A quel nome, sobbalzai e tornai a fissarti, mentre tu rivolgesti nuovamente la
tua attenzione al cielo stellato. “Mitsu-nee-san girava senza sosta da una
parte all’altra, chiamando il tuo nome, Dio solo sa quante volte. Sul volto
aveva un’aria terrorizzata e, anche se a notevole distanza da lei, ero riuscito
a scorgere le lacrime che le solcavano il viso. Aveva un aspetto orribile e
girava come una dannata in tua ricerca, sperando di ritrovarti a tutti i costi.
Hikaru-chan, puoi anche solo immaginare come mi si è stretto il cuore
all’immagine di mia sorella in quelle condizioni?”.
Certo. Certo che potevo immaginarlo. Praticamente da quando ne avevo memoria,
sei sempre stato chiaramente affezionato alla mamma. Eri dolce con un po’ tutte
noi: me, la mamma e la zia. E, nonostante anche zia Kin fosse tua sorella, era
facile notare come per mia madre tu avessi un riguardo tutto speciale.
La stessa zia, un po’ con l’amaro in bocca, mi aveva rivelato che quand’eri
piccolo correvi sempre dietro oka-san, preferivi la sua presenza addirittura a
quella di una madre e non facevi altro che compiacerla, per farti benvolere da
lei. Mi aveva addirittura raccontato che, una volta, quando mia madre venne
corteggiata da un giovane mercante, ti adirasti a tal punto da rifiutarti di
parlarle fin quando non lo avesse rifiutato categoricamente. E lei, e per puro
disinteresse nei confronti del povero ragazzo, e per tornare a farti sorridere,
decise di declinare la sua gentile proposta.
Insomma, da quanto ne avevo capito, avevi una sorta di complesso della sorella
maggiore, che riuscisti a superare più o meno una volta lasciata casa.
E pensavo tra me e me che quel complesso, nonostante lo scorrere del tempo, non
era scomparso ancora del tutto.
Eppure, vedendoti ora, ormai adulto, ormai giovane uomo, era praticamente
impossibile per me immaginarti a quei livelli. Ciò non toglie che avevo capito
sin dal principio che eri molto legato alla tua famiglia d’origine. E
specialmente ad oka-san, cosa che, in un primo momento (dopo il racconto della
zia), mi aveva fatta ardere di gelosia.
“Beh, semplicemente non ho potuto farci niente. Le sono andato incontro e le ho
rivelato che ti avevo trovata. Fortunatamente Mitsu-nee-san mi ha dato ascolto
e si è rilassata quel tanto che le è bastato per non avere un infarto. Insieme
siamo andati ad avvertire Rintaro-dono e Kin-onee-chan, impegnati a loro volta
nelle ricerche. E con a seguito praticamente tutti gli uomini di Fujiwara siamo
tornati qui”.
Facesti per appoggiare nuovamente la testa alla trave in legno e socchiudesti
per un attimo gli occhi. Un nuovo sorriso sulle tue labbra, quello che
praticamente aleggia un po’ sempre sul tuo volto. Quello da cui non ti separi
quasi mai. Quello che nasconde ogni emozione, sentimento o verità.
“Beh, il resto lo sai, no?” concluse. “Non c’è bisogno che continui a
raccontarti gli avvenimenti che sono susseguiti”.
Rimasi in silenzio per un po’, prima di rispondere a capo chino: “Sì”.
Dopodiché tornò nuovamente il silenzio. Non sapevo cosa dire, né cosa pensare.
Non riuscivo a capire perché mi stessi raccontando quelle cose. Era per farmi
sentire in colpa? Se era così, mi sentivo già fin troppo mortificata per ciò
che era successo, dunque perché infierire?
Il fatto che non arrivasse risposta alla mia ipotesi e alle mie domande mi
faceva sentire così insicura…
“Hikaru-chan” mi sentii nuovamente richiamare, così alzai il capo e mi voltai
verso di te. “Non hai ancora compreso il perché delle parole che ti ho rivolto
ieri mattina?”.
Con aria palesemente dispiaciuta, mi limitai a scuotere la testa.
Non sospirasti, come pensavo avresti fatto, ma ti accontentasti di fare una
breve pausa per poi proseguire: “Non sono arrabbiato con te. Non lo sono mai
stato. E, anche se ti ho rivolto quelle parole così dure, non sono affatto
rimasto deluso da te. Beh, sì, il tuo atteggiamento apparentemente infantile,
inizialmente mi aveva dato sui nervi” ammettesti, assumendo l’aria di chi ci
stava riflettendo su. “Non riuscivo a spiegarmi perché ti ostinassi a voler
restare qui e, onestamente parlando, forse sì… inizialmente mi sono sentito
deluso e scontento del tuo comportamento, ma dopo aver udito la tua risposta
così tenace, così aggressiva, sono rimasto letteralmente basito”.
Sgranai leggermente gli occhi, mentre ti vidi sorridere a questo dato di fatto
e quasi mi si strinse il cuore per la contentezza.
“Hikaru-chan, riesco a capire facilmente se le persone che mi sono davanti
mentono, o meno, e dopo che mi hai rivelato le tue intenzioni e i tuoi
sentimenti, non posso assolutamente non crederti. Dunque non sono arrabbiato
per niente. Non lo sono ora, né lo ero prima. E, dato che tu sei stata sincera
con me, io lo sarò altrettanto con te”. Il tuo tono era sottomesso, da qui
capii che non dovevi essere molto bravo nell’ammettere di aver sbagliato, ma
ero così felice di quelle parole che quasi non vi feci caso. “Hikaru-chan…”.
Dopo aver pronunciato il mio nome, cadde nuovamente il silenzio per un buon
minuto.
“Hikaru-chan,” ripetesti. “se ti dovesse succedere qualcosa, con che faccia
credi che potrei guardare Mitsu-nee-san?”.
Sussultai a quella domanda.
I tuoi occhi erano fissi su di me e ciò stava facilmente a significare che
pretendevi davvero una risposta, ma non sapendola neanche immaginare, mi
limitai a rimanere in silenzio, cercando di distogliere lo sguardo dal tuo.
“Hikaru-chan, tu sei la cosa più preziosa per mia sorella. Mitsu-nee-san non ha
al suo fianco nessuno: la nostra famiglia si è del tutto estinta, Rintaro-san è
sempre lontano, per non parlare di me, che sono sempre qui a Kyoto e non faccio
ritorno ad Edo da quei famosi sei anni… Chi le resta, se non Kin-onee-chan e
te?”. Altra pausa, per poi riprendere: “Per quanto forti possano essere i tuoi
sentimenti, o per quanto valide siano le tue ragioni, pensi davvero che possano
bastare da garanzia, nel caso ti succedesse qualcosa? Tu sei l’unica figlia di
Mitsu-nee-san e Rintaro-san, per non parlare del fatto che sei la mia unica
nipote… Questo è un luogo pericoloso, dove tu non puoi davvero restare… E se lo
dico… No, se tutti te l’abbiamo detto e continuiamo a ripeterlo, non è perché
non ti voglia qui, non tenga a te, o perché tu mi abbia deluso. Se voglio
mandarti via, Hikaru-chan, è solo per il tuo bene, per proteggere un prezioso membro
della mia famiglia” dichiarasti infine con un sincero sorriso sulle labbra.
Sussultai nuovamente. Non ricordavo nemmeno che tu potessi sorridere in quel
modo, in quel modo così onesto e puro. Pensavo che mi avresti tenuto nascosto
nuovamente tutto, ma al contrario di ciò che mi aspettavo, ti eri aperto con me
e mi avevi rivelato i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti.
Allora è per questo che non mi vuole qui?
Pensai, rincuorata, quasi con le lacrime agli occhi.
Istintivamente, allora, mi avvicinai lentamente a te e mi buttai
frettolosamente e un po’ goffamente tra le tue braccia.
Ovviamente non dovevi aspettarti quella reazione alle tue parole, perché ti
trovai inizialmente disorientato.
“Hikaru-chan?” mi chiamasti, con aria spaesata.
“Io… so di essere egoista…” premisi, con il volto sprofondato nel tuo haori, al punto tale da poter sentire il
tuo buonissimo profumo. Non riuscivo ad identificare che tipo di profumo fosse,
ma era davvero buono e tranquillizzante. “So di essere egoista, avventata,
certe volte superficiale e infantile, ma… ti prego, Sou-nii, permettimi di
stare qui alla base”.
Avevo compreso le tue parole ed anche cosa stessi cercando di trasmettermi:
avendomi parlato in quel modo chiaro, non avevo dubbi sul fatto che l’unica
ragione per cui ti eri comportato in modo ‘crudele’ con me era perché volessi a
tutti i costi farmi tornare a casa. Ed ero anche cosciente del fatto che lo
avessi fatto, in primo luogo per la mia sicurezza, ed in secondo luogo per non
far soffrire mia madre. Mia madre che per te era così importante. Tuttavia i
miei sentimenti per te sembravano crescere a dismisura, ogni secondo che
passavo con te, per essere contenuti semplicemente nel mio corpo e avevano
necessità di traboccare.
Anche se mi vedevi come nient’altro che la tua nipotina, figlia della tua
adorata sorella… anche se non ero altro che parte della tua famiglia, per il
momento il fatto che eri stato così dolce con me era la cosa che contava più di
ogni altra.
E, sapendo tutto ciò, credevi davvero che sarei tornata a casa, lasciandoti alle
mie spalle, senza fare altro?
Evidentemente ancora non mi conoscevi bene.
“Sono cosciente del fatto che questo sia un luogo pericoloso. Ed anche quando
non sapevo con esattezza che si trattava della base degli Shinsengumi, ne ebbi
sentore già da prima. Ho capito quello che stai cercando di dirmi: le
difficoltà non mancheranno ed i pericoli tantomeno, ma… Non devo temere niente,
se ci sei tu a difendermi, no, Sou-nii?” ti chiesi, sorridente, incrociando il
tuo sguardo.
Dal tuo sguardo vagamente smarrito, compresi che non dovevi esserti aspettato
nemmeno quella risposta. Ma giusto il tempo di fare mente locale della cosa e,
con aria leggermente contrariata, esordisti: “Senti, tu… Mi sembra di parlare
ancora con una bambina di otto anni…” . Altro sospiro. “Come devo fartelo
capire che, per quanto possa difenderti, resta pur sempre rischioso rimanere qui,
per una ragazzina come te? Insomma…devo legarti come un salame e affidarti ad
un corriere per farti tornare a casa?”.
“Probabilmente sì, perché io non mi muoverò di qui” ribattei, ostinata.
“Hikaru-chan…!” facesti per riprendermi e cercare nuovamente di convincermi,
quando io t’interruppi: “Ti prego, Sou-nii… Fammi restare qui. Almeno fin
quando le cose non si faranno realmente pericolose. Almeno fino ad allora,
permettimi di restare”. Con gli occhi cerulei languidi, non esitai ad
incrociare nuovamente il tuo sguardo. Rimanesti immobile, constatando la
profondità e la purezza della mia preghiera. “Ti prometto che, se e quando la
situazione qui si farà impossibile per me da reggere, tornerò a casa di mia
spontanea volontà”.
Non stavo mentendo. La mia promessa non era affatto una bugia. E, nel profondo
del cuore, ero convinta che anche tu lo avessi capito. Perché, quando usavo la
parola “promettere” in una proposizione, quelle parole diventavano sacre e,
dunque, non avrei mai osato contraddirle o sottrarmi alle condizioni a cui esse
mi ponevano.
Restammo in quella posizione (io, stretta a te, a guardarti supplicante e tu a
fissarmi indifferentemente, forse perché in fase di riflessione) per non so
esattamente quanto tempo, ma doveva essere stato abbastanza, perché le
ginocchia incominciarono ad intorpidirsi e quasi non me le sentivo più. Stavo
per cambiare posizione quando udii nuovamente la tua voce sonora affermare: “Se
osi venir meno alla promessa, t’impacchetto davvero come un salame e ti
spedisco a casa tramite corriere”.
Non potevo vedermi, dato che non vi era alcun modo di farlo, ma ero quasi del
tutto certa che sul mio viso fosse comparsa un’espressione di sorpresa mista a
felicità.
“E ti assicuro” aggiungesti, tornando a sorridere nel tuo solito modo. “che non
è un viaggio piacevole”.
“Sì, va bene! Andrà benissimo!” mi affrettai a rassicurarlo, stringendomi
nuovamente a lui, con tutto l’impeto che avevo nel corpo e nelle mie esili
braccia, ignorando totalmente le ginocchia che reclamavano sosta e libertà.
Andava bene. Andava bene veramente. Nonostante ti avessi fatto quella promessa,
passare del tempo con te per me era più che sufficiente.
Ne avrei fatto tesoro, di quei momenti passati al tuo fianco e avrei fatto
tutto ciò che era in mio potere, per prolungare quei momenti il più lontano
possibile.
Volevo solo starti accanto e passare con l’uomo che amavo il tempo che avevo
sognato di trascorrere sempre con te. Tutto qui.
“Però, fin quando rimarrò qui, proteggimi sempre, va bene, Sou-nii?” ti chiesi,
relativamente, mentre ora mi alzavo più verso te e ti abbracciavo ancora di
più, affondando il viso tra i tuoi capelli castani, tendenti vagamente al
rossiccio.
Anche i tuoi capelli avevano lo stesso odore dei tuoi vestiti. Era buono e
riusciva a tranquillizzarmi come solo il profumo di mia madre riusciva a fare.
No… forse anche più di quello di oka-san.
Era un profumo che avevo sentito tante volte, ma che in quel frangente di tempo
non riuscivo a rimembrare.
Cos’era quel dolce profumo, a me tanto familiare?
Mi sentii avvolgere la vita dalle tue braccia che mi stringevano a te. “Farò
del mio meglio, ma non ti garantisco niente” obiettasti con quel tuo solito
tono e sorriso sardonico.
Tutto questo… forse mi sbaglierò, ma mi
sembra di averlo già vissuto…
Ebbi la sensazione, dentro di me.
“Ehhh?!” finsi di lagnarmi. “Come sarebbe a dire? Sou-nii, sei impossibile!”.
Non trattenesti, dunque, una risata di cuore a cui io cedetti per poi seguirti
nello stesso gesto. Ridemmo per qualche secondo senza tregua finché, ancora
stretti in quell’abbraccio che mi aveva resa tanto felice, ma che tu
sicuramente vedevi come nient’altro che un gesto affettuoso nei confronti di
una qualsiasi persona a te cara, non appoggiasti il mento sulla mia spalla
sinistra, restando in silenzio e immobile per un po’.
“Sou-nii…?” . Quel gesto fu così inaspettato che non potetti far altro che
irrigidirmi e rimanere, a mia volta, immobile. Arrossii appena per quel
contatto così intimo e mi chiedevo se ti saresti comportato così anche con la
mamma, o con la zia. In cuor mio, però, speravo davvero di no.
“Ti sei sentita presa in giro per tutti questi anni, non è vero?” esordisti
all'improvviso, tanto che sobbalzai a quelle parole, sgranando leggermente gli
occhi. “Non era mia intenzione illuderti, né prenderti in giro. Se avessi
potuto davvero seguire l’istinto, sarei tornato a casa, a trovare te e
Mitsu-nee-san il prima possibile, ma non è stato fattibile. Inoltre ho solo
pensato che, essendo così piccola, ti saresti subito scordata di me. Avevi
tante altre persone al tuo fianco, che ti erano molto più vicine di quanto ti
sarei mai potuto essere io, quindi non ho pensato neanche per un attimo che tu potessi
nutrire questo affetto nei miei confronti per tutti questi anni. A dire il
vero, non pensavo neanche ti ricordassi il mio nome”.
“Ma è assurdo!” ribattei, contrariata al pensiero che tu potessi anche solo
aver ipotizzato un’eventualità simile. “Come potrei, come avrei potuto,
scordarmi di te? E’impossibile. Impossibile ed assurdo. Nel modo più
assoluto!”.
Non trattenesti un ulteriore risata per poi stringermi nuovamente a te. Fui
costretta ad alzare il capo, data la nostra vicinanza e non nego il fatto che
quella posizione era anche piuttosto scomoda, ma solo il fatto di poterti
essere così vicino faceva perdere rilevanza ad ogni altra cosa.
“A quanto pare è così… Ma io che potevo saperne? Eri sveglia come ragazzina, ma
non avrei mai pensato che la tua ostinazione e la tua memoria potessero
arrivare a tanto” ammettesti. “Inoltre sei anche cresciuta. Sei diventata grande,
Hikaru-chan. Sono felice di averti visto di nuovo e che ti sia ricordata di
me”.
Non avrei potuto scordarti, anche se
avessi voluto.
Non potetti che pensare, trattenendo le lacrime, mentre stringevo le
maniche del tuo haori, per farmi
forza.
Eri insito nella mia mente, ancor prima
che potessi pensare di cancellarti da essa. La tua immagine non lasciava la mia
memoria, anzi la riempiva. La riempiva a tal punto da spingerla, in alcuni
casi, a traboccare, proprio come il mio desiderio di rivederti e di restarti
accanto.
“A dir il vero, Sou-nii, ero preoccupata. Ero davvero preoccupata. Dal mio punto
di vista, che ero solo una bambina, nonostante la nostra promessa, tu non stavi
tornando. Nonostante passasse il tempo, tu non accennavi a far ritorno ad Edo.
Lo trovo strano anche io, sai? In fondo, avevo soltanto otto anni, eppure
quella promessa e quel nostro incontro mi era rimasto fisso nella memoria come
una pietra miliare. Tuttavia passavano i giorni, i mesi e gli anni e tu ancora
non tornavi. Stavo davvero incominciando a preoccuparmi…” ti confessai,
aprendoti il mio cuore. “Il tuo ricordo era sempre più vago, nonostante non
facessi altro che riportare alla mente quel pomeriggio di primavera. Temevo di
scordare il tuo volto o le tue parole… Più passava il tempo e più mi sentivo
insicura. Il problema era sostanzialmente che, dato che eri diventato un punto
fisso per tutti quegli anni, se avessi perso i ricordi di te, sentivo che avrei
perso parte di me stessa, la parte che ti aveva rincorso per tutto quel tempo”.
Feci una breve pausa, in cui l’unico suono nel più profondo silenzio era il
cinguettio di qualche uccello notturno. Forse un gufo, forse una civetta, non
ne avevo la minima idea, né m’importava.
“Sì, sono cresciuta, Sou-nii. E con me sono cresciuti quei sentimenti che mi
porto dietro da ormai sei anni. Dunque non avrei mai potuto dimenticarti. E
come non ho dimenticato te, non ho dimenticato neppure la nostra promessa”. Lo
dichiarai con tono solenne, che non mi apparteneva. Ma era sostanzialmente
qualcosa di troppo importante, perché potessi scherzarci su, com’ero solita
fare per sdrammatizzare su qualcosa.
Fu così che ti distaccasti lentamente da me e che riuscii ad incontrare
nuovamente i tuoi occhi color verde-foglia. L’intensità di quel colore e di
quello sguardo talmente serio mi fece sentire febbricitante, ma lo sostenni
fino all’ultimo momento.
Ah… Ora ricordo… Cos’è questo odore…
“La ricordi?” insistetti. “La promessa che facemmo quel pomeriggio?”
E’ il profumo di quel fiore meraviglioso…
quello che condividevamo io e te…
Il silenzio regnò sovrano ancora per quel frangente d’attimo, mentre non
facevamo che guardarci.
“Ti piacciono ancora le lavande, Sou-nii?”.
Una folata di vento arrivò verso di noi, avvolgendoci nella sua freddezza
autunnale, messaggera d’inverno, ma nessuno dei due se ne curò.
L’uno sosteneva lo sguardo dell’altra, senza riuscire a far altro.
Dopo qualche altro minuto di mera quiete, ti vidi perdere quell’espressione
tanto seria e sorridere con quella tua solita aria beffarda. “Naturalmente mi
piacciono ancora”. Piccola pausa. “Però no, mi spiace, quella promessa non la
ricordo proprio”. Lo dicesti con tono così noncurante che in un primo momento
pensai di svenire.
Cosa?
“Non… la ricordi…?” chiesi io, rivolgendogli uno sguardo più che altro
spaesato. “Davvero… non la ricordi?”
Facesti per pensarci su, ponendoti il dito sul mento, ma dopo poco scotesti
vivamente il capo. “No, non mi viene davvero niente in mente. Di che si
trattava?”.
Non la ricorda… L’ha rimossa totalmente…
Allora… valeva così poco quella promessa?
Rimasi in silenzio per un po’, dopodiché, stringendo i pugni e digrignando
i denti, cercando di trattenere il pianto, esclamai: “Non te lo dico!”. Il tono
della voce era aumentato notevolmente, tanto che avrebbe potuto facilmente
svegliare qualcuno. “Non te lo dirò mai!”
“Hikaru-chan?” mi chiamasti, un po’ sorpreso dalla mia reazione. “Avanti, non
fare così…”.
“Non te lo dirò… Non voglio!”.
Con gli occhi tremuli, arrossati e stanchi per il troppo lavoro, non riuscivo
vedere bene il tuo volto, ma quel che bastava per notare che avevi assunto
un’aria leggermente perplessa, per poi sorridere nuovamente e prendere ad
asciugarmi con la manica del tuo haori sia
gli occhi che il naso, diventato un pomodoro perché esposto troppo al freddo.
“Ah, Hikaru-chan, ma che mi combini?! Una signorina non dovrebbe farsi vedere
in queste condizioni, lo sai?”. Ti sentii sospirare e poi: “Mi dispiace, se non
ricordo questa promessa di cui parli. Doveva essere davvero importante, vero?”.
Non riuscii a fare altro che annuire.
Indi sorridesti nuovamente. “Gomen”
In quel momento mi sentii davvero combattuta: mi chiedevo che cosa ci trovassi
da sorridere e il fatto stesso che lo stessi facendo mi mandava in bestia, ma
dall’altro lato ero così felice che fossi così dolce con me.
“Non ti perdono, Sou-nii! Questa era davvero una cosa troppo importante per
essere dimenticata! E tu l’hai fatto lo stesso! Non ti perdono!”.
Vedendomi così infervorata, non trattenesti una risata. “Già, sono stato
davvero un cattivo ragazzo, non trovi?”.
“Non trattarmi come una bambina! Sono davvero arrabbiata, sai?!” . Non mi stavi
prendendo sul serio e la cosa mi faceva ribollire il sangue nelle vene.
Tuttavia perché non riuscivo davvero ad aggredirti, nonostante la mia rabbia?
Non me lo sapevo spiegare.
Ridesti nuovamente, asciugandomi le ultime lacrime rimaste dal viso
imbronciato. “Sì, sì, lo so. Sono pentito, d’accordo? Allora? Mi vuoi dire o no
qual era questa promessa?”
“No!” ribattei io, voltando di scatto la testa, con aria contrariata. “Non te
lo dirò! Non dirò niente in proposito a questa promessa, finché non te la
ricorderai da solo!”.
“Heeeh… Davvero?” mi chiedesti con tono di constatazione, quasi come se te lo
aspettassi.
“Davvero!” dissi, ancora voltata di lato. Volevo dare a vedere come ero rimasta
offesa dalla tua risposta e dal tuo atteggiamento. Ma, per qualche motivo, non
riuscivo seriamente ad essere arrabbiata con te.
“Potrebbero volerci giorni”.
“Non importa”
“O addirittura mesi”
“Non importa”.
“E se c’impiegassi degli anni?”.
Rimasi in silenzio per un po’, finché non insistetti: “Non m’importerebbe
comunque. Ho aspettato sei anni. Posso aspettarne come minimo altrettanti”.
In un primo momento rimanesti meravigliato, per poi tornare a sorridermi,
complice. “Non demordi, eh?”.
“Non lo farei per nessuna ragione al mondo!” dichiarai, voltandomi verso di te
che ora eri concentrato su di me, con tutta la tua attenzione.
Arrossi, mentre vedevo che la tua mano si era posata nuovamente sulla mia
testa, per poi scompigliarmi vistosamente i capelli. “Brava bambina. Così si
fa”. E cadesti in una nuova, rigorosa e fragrante risata.
Rimasi leggermente scossa, inizialmente, ma poi constatai che anche sul mio
viso vi era un bel sorriso. Stavo ridendo anche io.
Com’era possibile? Eppure mi avevi detto di non ricordare quella promessa, la
nostra promessa. Era una cosa tanto importante per me, la cosa fondamentale, la
base dei miei sogni. Constatando che l’avevi dimenticata, mi ero semplicemente
limitata a lagnarmi e a piangere per qualche minuto e poi… basta. Conoscendomi,
ci sarei dovuta restare così male che non avrei più voluto vederti per il resto
della mia vita, ma il fatto…
Il fatto era che in parte,avevo accettato dentro di me il fatto che quella
fosse stata una semplice promessa che avevi fatto ad una bambina, un po’ per
gioco, un po’ per assecondarmi; in parte speravo che in realtà non l’avessi
realmente dimenticata o rimossa, ma che fosse solamente una goccia nascosta da
qualche parte, in profondità, dentro quel mare immenso che sono i ricordi.
E, allora, mi ero imposta semplicemente di riportare a galla quella goccia, ma
non con la forza. No… Non volevo che ricordassi perché ti ci avevo costretto
io. Volevo che, da promessa importante qual’era stata, dovesse tornarti in
mente perché effettivamente quel caldo pomeriggio primaverile era nato qualcosa
d’importante tra noi due. Non aveva alcun senso che fossi io a ricordartelo.
Dovevi per forza essere tu a farlo.
E non aveva neanche senso piangerci sopra, o rimanerci male. Non avrei fatto altro
che comportarmi da ragazzina immatura, quale ancora ero e dimostravo di essere.
In quell’attimo sentii di voler imparare a crescere e di voler riparare agli
errori e a tutto ciò che non andava come volevo.
Non avevi ricordato quella promessa? Pazienza. Ti avrei aiutato a farlo quanto
prima possibile. A cosa mi sarebbe servito gettare la spugna, dopo averti
rincontrato?
Pensavi di mettermi fuori gioco così, Sou-nii? Mi spiace, ma il mio amore non
era così superficiale da poter essere scalfito da qualcosa del genere.
Ci ero rimasta male e sarei continuata a restarci male finché non ti fossi
ricordato di tutto, ma ero pronta a trasformare il mio dolore in una corazza
che mi avrebbe resa ancora più forte.
“Ah, Sou-nii! Basta! Non sono più una bambina! Smettila di trattarmi così!” mi
lamentai, cercando di farlo smettere di scompigliarmi i capelli, che ormai non
avevano più un vero e proprio ordine.
“Ah, davvero? E invece sei proprio una bambina!” proseguì lui, smettendo di
disordinarmi i capelli. “Perché solo una bambina poteva giocarmi uno scherzo
tanto infantile stamani”.
“Ah, mi spiace… In realtà sono davvero
dispiaciuta dell’accaduto”.
Avrei voluto dirglielo e lo pensavo realmente, ma trasportata dalla
situazione incrociai le braccia al petto e assunsi un’aria soddisfatta. “Ti sta
bene! E’ stata la mia rivincita per avermi fatta arrabbiare. Così impari a
prenderti gioco di me e a scordarti le promesse che fai!”.
“Senti, tu…” . Con aria sorridente, ma palesemente infastidita non tardasti a
tirarmi un pizzico alla guancia, così forte che pensavo me l’avresti strappata
via. “A causa tua sono dovuto stare praticamente tutto il giorno digiuno. E a
cena, per ordine di Hijikata-san, per poter compensare con quello che hanno mangiato stamane, ci è
toccata appena qualche sardina arrostita!”. E come non notare il tuo favoloso
sopracciglio danzante? Il nervosismo non doveva mancarti. “In poche parole, sto
morendo di fame. E tutto per il tuo insulso scherzetto!”.
“Ahi, ahi, ahi! Shou-nii, mi sciai fascendo malhe!” riuscii solo a dire, in
quella maniera ridicola, con le lacrime agli occhi per il dolore alla guancia.
“Deve fare male! Questa invece è la mia rivincita!”
“D’accordo, d’accordo. Mi discpiasce! Mi discpiasce sul scerio!” mi decisi a
dichiarare. “Mi sciono comporthata in modho ivfantile e sciono davverho discpiasciuta…
Perhò adesscio, pe favohe, lasciamhi!”.
Dopo quella confessione, sembravi sentirti molto più soddisfatto e, dunque,
lasciasti in pace la mia guancia che finalmente trovò il suo sollievo. “Sou-nii,
mi hai fatto davvero male, sai?”.
“E’ la tua punizione. Non pensare che ci andrò leggero con te, solo perché sei
la mia nipotina. Ne avrai di lavoro da fare!” . E non trattenesti una risata.
“Uffa… Sei impossibile!”
“Non è questo che vorrei sentirmi dire”.
“Eh?” chiesi io, voltandomi verso di te, con aria perplessa.
Tu, allora mi guardasti, e sistemandoti un ciuffo della frangia che,
evidentemente, ti stava dando fastidio, spiegasti: “Sono stato impegnato tutta
la notte a cambiarti le bende, tanto da non riuscire a dormire. E’colpa tua se
ho perso il sonno, sai?”.
“Oh…” constatai io, abbassando il capo, cercando di nascondere il rossore che
m’invase le gote.
“E allora? Cosa devi dire al tuo onii-chan?” chiedesti, poggiando il mento sul
dorso della mano e guardandomi con aria pretenziosa e beffarda.
“Ehm… Ecco… Io…” borbottai, in preda al panico più totale, scatenato
dall’imbarazzo. Non riuscivo a guardarti negli occhi: eri decisamente troppo
carino per poterti guardare senza arrossire. I miei sentimenti erano
incontrollabili, ma cercai ugualmente di farmi forza.
“Allora? Sto aspettando…” insistesti, sempre con quel tono scherzoso e quel
sorriso sulle labbra.
E fu così che, rossa come un papavero, in contrasto con gli occhi azzurri,
sollevai leggermente lo sguardo verso di te e sussurrai: “G… Gr… Grazie mille,
per esserti preso cura di me questa notte, Sou-nii”.
Tu, del canto tuo, con espressione soddisfatta sul volto, mi sorridesti e
annuisti. “Mhh… Sei decisamente più carina quando fai l’obbediente e l’educata”.
Arrossii ancora di più e per cercare di veicolare la felicità, ribattei: “Co…
Come sarebbe a dire? Quindi se non sono obbediente ed educata non sono
carina?!”.
“Ho detto che lo sei di più quando ti comporti bene. Decisamente meglio!”
“Sou-nii, sei cattivo!” mi lagnai, facendo il broncio.
Tu ridesti. “Sei davvero suscettibile, sai? Dovresti fare qualcosa per questo
tuo caratterino”.
“Se tu evitassi di farmi arrabbiare, allora vedresti quanto sarei meno
suscettibile!” chiarii, per poi sospirare. Indi il mio sguardo si posò su di
quello… e così mi venne una grandissima idea.
Proprio quando mi ero allontanata da te, sporgendomi verso il lato opposto al
tuo, sentii che ti stavi alzando e che, oramai, eri in piedi. “Ah… Si è fatto
davvero tardi” constatasti. “E’ ora di andare a dormire, Hikaru-ch…”
“Aspetta, Sou-nii!” ti fermai, tirandoti per la manica dell’haori, con sguardo supplichevole.
“Mh? Cosa c’è, adesso?”. Avevi in volto un’aria perplessa.
“Ecco… Io…” farneticai, inizialmente, per poi prendere coraggio e mostrarti la
busta che avevo raccolto da terra, che avevo stretto a me fin quando non mi ero
rintanata tra le tue braccia e che tanto mi aveva dato coraggio prima, mentre
lo stringevo al petto. “Questi… Questi sono dei dango che Chizuru-san mi ha dato per compensare il fatto che non
avessi cenato e per ricompensarmi del lavoro fatto” spiegai con sguardo basso e
vacillante, ancora rossa sulle gote. “Ecco… Non sono molti, ma… Vorresti…
Vorresti mangiarli con me?”.
Non sentii altro che silenzio per qualche secondo.
“Ehh… Dei dango? Magnifico. Ne avevo
proprio voglia ultimamente, ma non sono mai riuscito a procurarmene un po’”.
Indi ti vidi sederti nuovamente vicino me, per poi rivolgermi uno dei tuoi
soliti sorrisi sardonici. “Cos’è, vuoi farti perdonare per lo scherzetto di
stamane?”.
Be’ sì, il motivo era anche quello, ma fondamentalmente il punto era che volevo
rimanere ancora un po’ con te.
Diventai paonazza, mentre annuivo leggermente per poi sentirmi successivamente
accarezzare la testa con affettuosità. Il modo in cui lo facevi assomigliava in
modo impressionante a quello in cui si sarebbe accarezzato un cucciolo. “Brava
bimba, brava bimba” commentasti, ridendo nuovamente.
Il suono della tua risata era meraviglioso, ed era per questo che non ne avevo
mai abbastanza.
E fu così che in breve ci trovammo uno accanto all’altro, di fronte alla luna e
al cielo stellato a mangiare dango.
“Sono davvero squisiti!” esclamai io, che li stavo divorando avidamente uno
dietro l’altro, senza tregua, tanto li stavo trovando gustosi.
“Hikaru-chan, se mangi così velocemente, li finirai in men che non si dica” mi
avvertisti, addentando un altro dango. “E
io non ho alcuna intenzione di cederti anche la mia parte”.
“Che antipatico… Eppure sono stata io che te li ho offerti!”.
“Beh, era il minimo, dopo avermi lasciato senza colazione e quasi senza cena”.
“D’accordo, ma ora mi sono sdebitata. Basta farmi sentire in colpa, no?” cercai
di farmi ragione, cercando di masticare piano il dolciume, in modo da
assaporarlo meglio e farlo durare più di quanto avrei fatto normalmente.
“Eh no! Devi sentirti in colpa. Almeno finché non mi avrai preparato nuovamente
la colazione!” . Diamine se eri ostinato! Continuavi a fissarti su quella
stupida colazione… Ma davvero un semplice pasto contava così tanto per te?
“Ma insomma, Sou-nii! Mi sono scusata e ti ho anche dato questi dango squisiti… E tu pensi ancora alla
colazione?” ribattei, anche un po’ contrariata.
“Beh, certamente. Per quanto squisiti siano questi dango e per quante scuse tu mi possa fare, il pasto che hai
preparato con tanta cura non tornerà e io non potrò assaggiarlo”.
Eh?
Ti guardai con aria perplessa e alquanto meravigliata.
“Co… Cosa…?”.
“Come stavo dicendo…” riprendesti, voltandoti verso di me e mandandomi uno di
quelli sguardi maliziosi e nel contempo, a mio avviso, talmente suadenti, da
non riuscire a resisterti. “Hanno avuto tutti l’onore di assaggiare la tua cucina, meno che io. Non ti basterà
qualche dolcetto e mezza scusa per riparare a questo guaio. Solo domattina,
quando mi sarà servita una colazione decente cucinata da te, potrò ritenermi
soddisfatto”.
Rimasi con le labbra leggermente dischiuse, mentre ti guardavo impietrita. Gli
occhi erano sgranati, finché non li portai verso il pavimento in legno, per non
incontrare i tuoi.
Il rossore m’invase in breve tempo tutte le gote e parte della fronte e delle
orecchie.
In pratica… In pratica sta dicendo che
vuole assaggiare la mia cucina?
Ipotizzai, nella mia mente.
Sorrisi istintivamente a quel pensiero e addentai un altro dango per veicolare in qualche modo la
mia gioia e la mia euforia.
“Va… Va bene! Allora cucinerò per te, domattina. Ti farò una colazione coi
fiocchi!”.
Tu annuisti e mi sorridesti. “Arigatou”.
E divenni nuovamente paonazza.
Non sapevo se il tuo essere così gentile e dolce, ora che avevi capito
l’importanza che avevi per me, fosse solo un metodo per ricavarne qualcosa, ma
ne ero quasi del tutto certa. Solo uno sciocco non avrebbe potuto capirlo.
Insomma, non facevi altro che compiacermi per potermi manipolare come più ti
compiaceva. E ti riusciva anche piuttosto bene.
Sfortuna voleva che me ne rendevo conto solo dopo che eri riuscito ad ottenere
ciò che volevi da me, e mai prima o nello stesso istante in cui eri intento a
farmi fare ciò che avevi in mente.
Così, per cambiare argomento, esordii: “Ad ogni modo, Chizuru-san è stato
davvero molto gentile. E’ una persona davvero fantastica!”.
“Tu trovi?” mi domandasti, mentre eri intento a tirare un morso ad uno dei
dolcetti color salmone. “Beh, in effetti”.
“Oh, come puoi essere così vago? E’ davvero una persona meravigliosa! Si
preoccupa sempre per tutti ed è stato gentile anche con me, che per lui, ero
un’estranea e poi…”. Fu così che mi tornò in mente tutto il ragionamento di
quel pomeriggio. “A proposito, Sou-nii… Posso farti una domanda?” .
A quella richiesta, ti voltasti verso di me, con sguardo leggermente perplesso.
“Mh? Cosa vuoi sapere?”.
“Ecco… E’ da un po’ che me lo stavo chiedendo e ci ho ragionato anche un po’
su… So che è una domanda un po’ strana e forse potrebbe risultare anche
indiscreta, ma…”.
“Taglia corto” m’interrompesti tu. “Non vorrai mica andare avanti così per
tutta la notte, vero? Avanti, sputa il rospo, Hikaru-chan: che vuoi sapere?”.
Il tuo solito sorriso non aveva lasciato le tue labbra.
“Ecco, in verità, io… Ecco…” . Non riuscivo a trovare bene le parole per
comporre in modo decente quella domanda. Dopodiché dopo vari tentativi riuscii
a domandare, avvicinandomi al tuo orecchio e sussurrandoti appena: “Può essere
che Chizuru-san e Hijikata-san abbiano una relazione, anche se sono entrambi
uomini?”.
Un attimo di silenzio.
Mi guardasti con uno sguardo talmente stupito che pensavo di aver detto
qualcosa di sbagliato. Tanto era vero che avevi smesso per un attimo di
mangiare dango e quello che avevi ingoiato
in quel momento quasi stava per farti affogare, se non fosse che incominciasti
a batterti sul torace per far scendere il boccone.
“Oh! Sou-nii! Sou-nii, fa attenzione!” ti raccomandai, preoccupata. E solo una
volta che fosti fuori pericolo, sospirai di sollievo. “Ma insomma… Che
combini?”.
E così assistetti ad una fragorosa risata che ti portò a stenderti per terra, a
pancia in su. Fosti così rumoroso che temetti avresti svegliato tutta la
squadra al completo, con tanto di Hijikata-san infuriato e pronto a fare una
ramanzina ad entrambi sul comportamento da tenere la sera tardi e sul fatto che
stavamo spettegolando su di lui.
“Ahahahah! Hijikata-san e Chizuru-chan insieme! Due uomini! Ahahah! Questa…
Questa è fantastica! Dovrò raccontarla ad Hijikata-san prima o poi!”. E
continuasti a riderci su, senza alcun ritegno.
Io, alquanto contrariata e smarrita dal tuo atteggiamento, ribattei
infastidita: “Sou-nii, non è bello ridermi in faccia a quel modo! Vorresti
spiegarmi che ti è preso?”.
“Non credo sia possibile” ti limitasti a rispondermi tra le risa alla domanda
che aveva fatto scoppiare quel “tumulto”
“E perché? Non credo sia tanto impossibile! Queste cose capitano quando si
rimane tra soli maschi per tanto tempo, sai? E poi che c’è di male? Se ce di
mezzo l’amore il fatto che siano entrambi uomini non conta, no?”.
Ma tu ignorasti il mio filosofeggiare e continuasti a sbellicarti dalle risa,
finché, dopo esserti vagamente calmato, ti asciugasti le lacrime che avevi agli
occhi per il troppo ridere e mi facesti cenno di avvicinarmi. Una volta che ti
fui accanto, mi avvicinasti le labbra all’orecchio e mi sussurrasti: “Non credo
sia possibile perché, vedi, Hikaru-chan, Chizuru-chan in realtà…”. Facesti una
breve pausa, poi mi sorridesti e concludesti: “Chizuru-chan in realtà è una
ragazza”.
…
Non seppi che successe in quel momento. Questo perché molto probabilmente persi
il senso della ragione per qualche attimo.
Kami-sama solo sa come non svenni, ammesso e non concesso che non sia successo.
…
“Cooooooooooooooooooooooosa?!”.