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Autore: proudofteddy    10/03/2013    9 recensioni
La vita di Tiffany viene sconvolta da dal suo rapimento e dalla morte di suo fratello e della zia avvenute nel giorno del suo compleanno.
Questo terribile avvenimento la porta a conoscere però una persona davvero speciale
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
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"Dai Aaron va a prendere tutte le decorazioni e inizia a metterle prima che arrivi tua sorella."
"Va bene mamma, ma Tiffany a che ora arriverà?"
"Ha detto verso le 6 di questa sera, ma essendo a casa di Naomi credo che farà più tardi. La conosci no?"
"Si la conosciamo, e dico anche che dovremmo sbrigarci con questa festa sennò non arriveremo mai in tempo."
"Ai suoi ordini comandante Simon ahahah."

La risata così cristallina di mia madre che pian piano vado dimenticando, è la cosa che mi manca di più al mondo.

6:15 p.m.
"Nascondetevi tutti forza sta per entrare Tiffany."
Sentii sussurrare prima di entrare. Avevo già capito tutto ma continuai a far finta di nulla. Era buio e quando accesi la luce un “Buon compleanno Tiffany” mi accolse.
Non potevo chiedere di meglio che una festa tra amici e parenti per festeggiare il mio diciassettesimo compleanno in una serata d'agosto.

Ormai erano le 10:30 di sera e i miei nonni, stanchi e soprattutto vecchi, iniziavano ad andare via. Quando accompagnai nonna Margaret e nonno John al cancello, vidi passare un auto nera con vetri scuri che rallentò di fronte casa mia e subito dopo chiuso il cancello sentii accelerare. Ma non ci feci molta attenzione e tornai alla festa.

Ormai quasi tutti gli invitati erano andati via. Erano rimasti solo Naomi, la mia migliore amica, e i miei zii che abitano accanto casa mia.

Sentimmo dei rumori provenire dalla strada. Un auto. Tra la ringhiera vidi che era la stessa di prima. Cinque uomini armati scesero da essa e il mio cuore iniziò a battere irregolare: sempre più veloce. Avevo un brutto presentimento che cercavo in tutti modi di farmi passare per non sembrare preoccupata agli occhi di tutti; ma anche loro sembravano preoccupati come me. Stavamo fermi a guardare quelle ombre che caricavano pistole e che parlavano tra loro una lingua a me sconosciuta.

Parlavano, parlavano e parlavano indicando la mia casa. Poi presero tutte le loro armi, ormai pronte, e si incamminarono. Avevo paura. Il mio corpo era immobile con gli occhi sgranati che scrutavano ogni loro mossa. Mio padre mi chiamava ma solo dopo la terza volta che disse il mio noma riuscii a girarmi. Non capivo cosa stava succedendo, se fosse reale o no. Mio padre aveva una pistola in mano e ci ordinò di metterci al sicuro in casa.

Erano nel giardino con le facce coperte e attraverso la finestra riuscivo a vedere solo gli occhi.
Ci abbassammo tutti quando vidimo che stavano per sparare.
Coprimmo le nostre teste e ci stendemmo sul pavimento. Il rumore degli spari era assordante. Quando smisero di sparare vidi che il vetro delle finestre rotte era ovunque. Il silenzio regnava. Alzammo le teste in direzione di mio padre nell'attesa che ci dicesse cosa fare. Mandò mio fratello John al piano di sopra. Lui era troppo lontano dalle scale. Mio padre non fece in tempo a controllare se loro fossero ancora fuori. Glielo ordinò e basta. John, il più velocemente possibile si diresse alle scale quando uno sparo lanciò una pallottola dritto al suo petto. Ero intenta ad andare da lui quando mia zia, nascosta accanto a me mi tirò indietro
"Non andare o farai la sua stessa fine!"
Non potevo lasciarlo la. Stava morendo e io ero sua sorella come potevo abbandonarlo nel momento del bisogno? Ma mia zia aveva ragione. Ed io non volevo morire. Almeno non per mano loro.

Cercai di sbirciare da uno dei buchi fatto dalle pallottole un po' più in alto di me nel muro dietro al quale ero nascosta con i miei zii. I miei erano dietro il frigo un po' più in dietro di me. E mio fratello, steso per terra da solo che sanguinava. Mi girai di colpo quando sentii mia madre gridare quasi isterica per la perdita di suo figlio di nove anni. Mio padre cercò di abbracciarla per farla tranquillizzare e non rischiare che uscisse allo scoperto anche lei.

La porta si aprì e dei passi lentamente si avvicinavano verso di noi. Io sarei stata la prima ad essere vista e, forse, uccisa. Il mio fiato si fermò e non staccai lo sguardo neanche di un secondo dal buco che era l'unica via per tenere sotto la situazione. Mio zio si alzò mettendosi seduto quando fece un rumore con i calcinacci quasi impercettibile ma che con quel silenzio che sembrava eterno era come un CD a tutto volume di musica rock nella solitudine del deserto. L'uomo più vicino a noi si girò scoprendoci. L'arma puntata a verso di noi. Fece segno agli altri di venire e mi indicò. Mi tirò per il braccio facendomi sbattere la testa nello spigolo del tavolo accanto a noi e le urla di mia zia non fecero altro che peggiorare la situazione. Stavo per perdere i sensi. Lo sentivo perché iniziavo a vedere tutto sfocato e ad non essere più in grado di capire cosa stesse succedendo. Continuavano a trascinarmi verso l'uscita quando un ultimo sparo verso mia zia precedette alla mia completa perdita di sensi.


"E' chiaro il piano no? Vai li e cerchi di portartelo a letto così poi riusciremo a rubargli dei soldi. E rispondimi quando ti parlo!"
"Si è chiaro il piano."
"Bene. Senti puttanella non ho intenzione di perdere tempo con te perché o lo fai o fai la fine di tuo fratello!"
Quelle parole mi ghiacciarono. Ma ormai ero abituata a tutto quello.
"L'hai presa tutte la droga vero?"
"Si."
"Perfetto. E' pronta adesso potete portarla al luogo."
Indossavo dei mini short con calze a rete, un top scolato, una giacca di pelle e stivaletti bassi con tacco. Mi portarono di fronte all'hotel dal quale sarebbe uscito Ed Sheeran. Io dovevo fare il mio lavoro.

Arrivati all'hotel mi fecero scendere e iniziai a dirigermi alla porta d'ingresso per aspettare il cantante.
Dopo 20 minuti circa lo vidi uscire. Mi avvicinai verso di lui con aria sexy. Lui non mi guardava come di solito tutti mi guardano quando sono a lavoro. Nei suoi occhi c'era compassione, il che mi mise in grande difficoltà. Iniziai a fargli delle proposte che chiunque non avrebbe rifiutato ma lui non faceva altro che cacciarmi via. Che diamine voleva? Sapevo che se non fosse venuto con me sarei morta. Non avevo più cosa dirgli. Ero disperata. Cosa avrei raccontato ai miei capi?
"Per favore vieni con me?!" era quasi un obbligo.
Lui mi guardò di nuovo negli occhi capendo che non ero una delle solite prostitute. Capì che io non lo ero.
All'orecchio mi sussurrò di andare alla stradina a fianco all'hotel e che mi avrebbe raggiunto dal retro perché sennò lo avrebbero seguito i paparazzi. Andai li e lo attesi. La droga non durava molto. Circa un ora non di più. Ed erano già passati 45 minuti.

Finalmente Ed arrivò.
"Ehi ciao tesoro, allora cosa ti va di fare?"
"Cosa? Sali."
Lo seguii fino alla sua camera. Tolsi la giacca e stavo iniziando a sbottonarmi i mini short quando mi fermò.
"Cosa stai facendo?"
"Non mi hai portata qui per fare sesso?"
"Non ho la più minima idea di fare sesso con una minorenne."
"Tu che ne sai se sono minorenne o no?"
"Lo so e basta. Adesso rivestiti.” era gentile, mi capiva. E lo ringraziavo infinitamente di non avermi fatto continuare.
"Adesso dimmi una cosa. Perché fai questo? Non hai una famiglia?"
"No io sono sola e indipendente. Qualche problema?"
"Io non ho nessun problema. Qui quella che ha i problemi sei tu. Per quanto mi riguarda potrei anche denunciarti alla polizia perché sei minorenne."

L'effetto della droga stava per sparire, il che avrebbe significato che avrei fatte una bella dormita di 10 ore. Iniziò a girarmi la testa e in meno di 3 minuti ero già a terra.

 

Ed

Iniziò a girarle la testa e subito dopo cadde a terra. Non capivo cosa le avesse preso. La misi a letto e decisi di aspettare che si risvegliasse. Non so come mai questa ragazza, di cui non sapevo neanche il nome, aveva una vita del genere. La guardai dormire per 2 ore quando, ormai stanco, cercai di trovare un posto per dormire. L'unico divano disponibile era circa la metà della mia altezza “Hotel del cazzo. Serata del cazzo.” dissi fra me e me. Ero troppo stanco per pensare a una soluzione intelligente e mi si nell'altra metà del letto disponibile dove c'era anche la ragazza. Aveva il viso sciupato, capelli lunghi e castano scuro. Gli occhi, stranamente non avevo fatto ancora caso al loro colore, luminosità, intensità. Di solito solo la prima cosa che guardo. Forse ero troppo preso da altri pensieri. Era bella. Davvero bella.

Avvertivo che lentamente i miei occhi iniziavano a chiudersi. Cercai di catturare un'immagine di lei che sarei riuscito a mantenere nei miei sogni per tutta la notte.

 

Tiffany

Erano le 11 passate e avevo un grandissimo mal di testa. Come se la sera prima avessi avuto una sbornia. Ma purtroppo non era così. Sapevo perché avevo la nausea. Vidi Ed accanto a me e non riuscivo a ricordare cosa fosse accaduto.

Dovevo andarmene e scappare finché ero in tempo perché se mi avessero trovata sarei morta, o chissà cos'altro mi sarebbe successo.
Scesi dal letto e andai per mettermi le scarpe quando anche Ed si svegliò e mi vide.
"Che stai facendo?" mi disse ancora assonnato e con un tono di voce dolce e pacato.
"Io, devo andare via. Ho poco tempo non posso più stare qui."
Mi venne in contro.
"Puoi spiegarmi di cosa stai parlando?"

Stavo per rispondere quando iniziai a sentirmi male e corsi subito in bagno a vomitare.
"Stai bene?"
"No, non sto affatto bene! E' tutto uno schifo!"
"Posso aprire la porta?"

Uscii dal bagno con le lacrime agli occhi. Ma non volevo piangere. Non volevo sembrare fragile o indifesa.

 

Ed

Appena la vidi uscire mi venne qualcosa alla bocca dello stomaco. Era messa male e pur volendola aiutare non sapevo come fare: non conoscevo neanche il suo nome.
La abbracciai facendola tranquillizzare e facendole raccontare cosa le fosse successo. Era davvero sconvolta.
"E in più non capisco cosa è la droga che mi danno ogni volta. Mi fa perdere la condizione del tempo. Non so più neanche da quanto tempo manco da casa. Mi fa dimenticare ogni lavoro che faccio."
"Come ogni lavoro? Quante volte ti obbligano a fare queste cose?"
"Non lo so. Non mi ricordo niente." non riuscivo a credere a tutta quella storia. Era troppo assurda e insopportabile per lei.
"Dimmi una cosa. Quando è stata l'ultima volta che hai visto i tuoi genitori?"
"Per il mio compleanno. Il 13 agosto. E' stata quella sera che mi hanno rapita."
"Guardami." si voltò lentamente verso di me guardandomi dritto negli occhi. Finalmente riuscii a capire il colore dei suoi occhi. Erano color nocciola. Grandi e intensi che riesci ad immergertici.
"Non ti hanno toccata vero?" abbassò lo sguardo fissando il vuoto senza rispondere.
Rispondimi. Ti hanno toccata? Te lo hanno fatto fare?"
"Si."
Finalmente rispose anche se non era la risposta che avrei voluto sentire.

  
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