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Autore: _Algol_    15/03/2013    2 recensioni
E' il primo racconto di genere romantico che scrivo. Il primo capitolo è molto leggero, spero che non sembri ridicolo, ma sono abbastanza orgoglioso di quello che sono riuscito a scrivere.
Quindi.....buona lettura ^^
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Si voltò dopo che lo scambio di battute fu terminato e si apprestò a dare una mano, quando quella stessa sensazione che aveva provato guardando il cielo stellato lo schiacciò. Un'impetuosa e distruttiva valanga di cui puoi non far altro se non rimanere ad ammirare quella devastante potenza che la muove, e ti travolge in un abbraccio di morte. Era lì, davanti ai suoi occhi, la sua valanga impetuosa, ergersi verso il cielo come un uragano. Gli dava la sensazione di avere la forza di potersi sollevare in cielo, quello stesso cielo che era rimasto a contemplare pochi istanti prima. E sollevandosi, portare con sè un'intera montagna, fosse pesante nemmeno un sospiro. Una sensazione che poco poteva riguardare una ragazzina di 17 anni. Uno scricciolo di un metro e sessanta, sottile come un foglio di carta. Capelli lunghi e setosi, illuminati fiochemente dalle luci lì presenti. Di un nero meraviglioso, con sprazzi di viola scuro e indaco. Eccola lì, in tutta la sua delicatezza, in piedi e col nasino a patata all'insù. Eppure la sensazione che provava Roberto non poteva che essere più azzeccata. Il petto, poco pronunciato in armonia col resto del corpo, che si inarcava in avanti. Le punte dei piedi puntate a terra, tese, energiche. I talloni leggermente sollevati. Tutto il corpo in tensione vero l'alto. Pareva stesse per librarsi in aria per qualche sorta di arcana magia, un essere mistico capace di raggiungere le stelle. Una fata ecco, una fata vestita di bianco macchiettato di rosa, una fata dalla pelle rosata e chiara. Ma la cosa che più colpiva era la luminosità glaciale che emanavano i suoi occhi. D'un azzurro intenso e sconfinato, a cui solo l'azzurro dell'oceano glaciale può tener testa. Bruciavan d'un fuoco freddo e silenzioso, accecanti e immobili nella loro perfezione come zaffiri eterni. E fu in quel momento che si accorsero d'essere osservati, mentre si perdevano nell'immensità dello spazio. Fu questione di attimi. Un brivido percorse Roberto, scendendo per il collo per poi sfiorare leggero tutta la schiena, facendola ritrarre in uno spasmo involontario. Si sentiva un topolino osservato da un pitone a irrisoria distanza, occhi negli occhi, immobilizzato da una prepotente stretta invisibile . Durò poco quell'incantesimo di prigionia, giusto un attimo, il suo secondino perse la concentrazione. Quegli occhi così vibranti persero la loro presa e Roberto riprese il respiro che gli era stato rubato. La ragazzina si sbilanciò troppo e inciampò, quasi cadde, ma riprese l'equilibrio e riuscì a restare in piedi. Rimase con la testa piegata per qualche istante, alzò gli splendidi occhi e prese colore in viso. Un accostamento di opposti che sembravano fondersi perfettamente. Un rosso focore del viso e il profondo azzurro dell'iride, in stasi con l'oscurità del paesaggio spezzato dalle sfumature azzurrine e violacee della lunga chioma.
Avvertì una pressione al braccio, una mano lo stringeva. Federica lo guardava dubbiosa, tirandolo a sè, strattonando con forza. Recuperata la lucidità per una seconda volta sorrise a Federica e subito si voltò in direzione della misteriosa ragazza. Era sparita, come l'ombra di uno spettro tornato nel buio, e nonostante sforzò la vista non riuscì a  scorgerla. Mentre lui e Fede si dirigevano verso gli altri non potè che chiedersi se non fosse stata solo la sua immaginazione, uno scherzo della mente ancora stordita dal meraviglioso cielo. Effettivamente, poteva davvero esistere una ragazza tale da farlo sentire così indifeso e inerme?
Non era un gran bevitore e sapeva di non reggere granchè l'alcol, però con quel caldo una birretta ghiacciata la gustava volentieri. Era sera ma la calura estiva non aveva intenzione di cedere il posto al fresco della notte e il leggero venticello faceva danzare le fiamme del piccolo falò che avevano acceso. Cercava di non pensarci, ma la sua mente ritornava sempre a quella ragazza. Tentava di scacciarne il pensiero, si intratteneva e rideva alle battute dei suoi amici, sorrideva, tutto inutile. Poteva solo nascondere la sua perplessità.
"Ehi, ti stai divertendo?".
 Sentì il suo collo stretto in un abbraccio e la sua guancia sfiorata da un'altra.
"Fede quante birre ti sei scolata?".
Brilla, se non proprio ubriaca rispose: "Mmmm... boh, lo sai che non mi piace la matematica", rispose facendogli l'occhiolino. "Credo dovresti andare a riposarti...sei ubriaca"                         
"Uffaaaa, se devo andare a dormire però mi ci porti tu!"           
 Sospirò e disse "Va bene, se ti senti più tranquilla ti accompagno io".
La prese a braccetto per tenerla più salda e si incamminarono verso le tende da campeggio sistemate nei pressi di un laghetto. Cominciava a straparlare riguardo sè, il suo ragazzo e la loro tormentata storia d'amore, quando finalmente giunsero alle tende. La fece stendere e le pose un telo da mare piegato sotto la testa a mo' di cuscino, nel frattempo lei invece dormiva già.
"Per le condizioni in cui ti trovi potrei farti di tutto e di più e non te ne accorgeresti nemmeno... sei fortunata che io sia abbastanza stupido da essere un bravo ragazzo che ti vuole bene" pensò fra sè e sè con tono avvilito.
 Gli pesava non poco essere il bravo ragazzo di turno, quello di cui alla fine ci si può sempre fidare, quello che si ritrova nemmeno lui sa come a dare una mano a chi serve, quello che si frega più degli altri che di se stesso, quello che proprio non riesce ad essere stronzo come gli altri.
Uscì dalla tenda, si stiracchiò e si rimise in marcia col viso rivolto alle stelle. Non fece più di qualche passo che si ritrovò a combattere contro la gravità per cercare di recuperare l'equilibrio perso a causa di una buca sul tragitto. Poggiò una mano per terra riuscendo a trovare stabilità, poi si rialzò, ed eccola lì. La vide. Non era molto lontana. Sola. Poggiata con la schiena ad un albero, braccia intorno alle gambe e mento posato sulle ginocchia. La sua occasione? Aspetta, occasione per cosa esattamente? Il cuore gli batteva all'impazzata, il sangue affluiva velocemente alla testa, troppo velocemente. Non aveva idea di cosa fare, non sapeva nemmeno cosa esattamente stesse succedendo. Perchè tutta quell'agitazione? Perchè si sentiva improvvisamente schiacciato da un enorme masso? E perchè l'aria è così soffocante? Faceva caldo così caldo prima?
Era ancora in preda alla più completa confusione quando si ritrovò a due metri dalla ragazza. Non aveva idea del come o del perchè fosse arrivato lì, sapeva solo che in quel momento la stava fissando, teso come una foglia e con la gola secca, lì lì per crollare a terra.
Lei non si era accorta della sua presenza. Lui cercò di dire qualcosa ma non ci riuscì. Lei continuava ad osservare il cielo. Lui aprì la bocca riuscendo ad emettere un flebile rantolo che nella sua immaginazione sarebbe dovuto essere più simile ad un "ciao", ma solo nella sua immaginazione appunto. Lei si voltò verso di lui. Lui rimase con la bocca socchiusa e continuò a guardare lei. Lei gli sorrise. Lui... lui non fece nulla. Lo aveva travolto un tepore confortante, una felicità immensa, un abbraccio meraviglioso, di quella ragazza così misteriosa attraverso un piccolo e semplice sorriso. E anche sul suo viso si faceva strada un piccolo sorriso, in modo del tutto involontario, come se l'emozione che aveva provato era talmente forte da impossessarsi del suo corpo e fare l'unica cosa che avrebbe potuto, sorridere col cuore.
"Posso sedermi?", indicò un punto affianco a lei, sicuro, calmo, stupito da tanta tranquillità nella sua frase.
Lei annuì.
Si sedette e poggiò anche lui la schiena all'enorme tronco di quell'albero. Stettero in silenzio per un po', ma non era uno di quei silenzi imbarazzanti, anzi era piuttosto piacevole dopo quella giornata avere un momento di tranquillità, stando semplicemente lì a contemplare la natura. Il laghetto si presentava privo di increspature sulla superficie e rifletteva la luce della luna. L'aria si fece più fresca e gli pareva di sentire un profumo di pesca, molto leggero ma piacevole.
"Si sta bene qui vero?", gli chiese.
"Sì, è la prima volta che vengo qui di sera e le stelle sono davvero stupende"
"Già, io ci vengo spesso solo per starmene qui a fissarle"
Entrambi si misero a parlare piacevolmente. Lui si trovava a proprio agio e gli piaceva starla ad ascoltare. Era della sua stessa città, ma di un anno più piccola, ecco perchè probabilmente ricordava di averla già vista da qualche parte. Viene a sapere che anche lei è lì con degli amici che ha lasciato qualche minuto prima per stare un po' da sola. Andando più avanti col discorso entrambi si sentono sempre più coinvolti nella discussione e riescono a sentirsi sempre più liberi di scherzare e ridere tanto quanto di parlare seriamente della loro vita. Roberto non riusciva nemmeno a capire da quanto tempo effettivamente stessero parlando, era felice di aver trovato una persona con cui parlare così liberamente e con cui avere molti punti e interessi comuni. Intanto Roberto aveva capito che quel profumo di pesca che sentiva non se l'era immaginato ma era quello della ragazza, davvero un buon profumo.
"Ti va di fare una passeggiata vicino al lago, così ci sgranchiamo un po'?", gli domandò
"Certo", si alzò, si scrollò l'erba di dosso e presero a camminare verso il lago.
"Ma quella è una lucciola?"
"Dove? Ah, sì l'ho vista. Credo di sì... "
Si avvicinarono ad un canneto vicino alla riva per osservarla meglio e si accorsero che ce n'erano parecchie, tutte svolazzanti qua e là, le quali da lontano non si distinguevano dalle stelle in cielo. Roberto si avvicinò ancora di più e un centinaio di lucciole prese il volo. Si portarono tutte in aria probabilmente spaventate, avvolgendo entrambi i ragazzi di piccole luci che si incontravano e si lasciavano, si avvicinavano e si allontanavano, quasi fossero lame d'argento che si scontrano in una battaglia di spettri nel buio della notte. Meravigliato da un tale spettacolo rimase impalato con la bocca aperta e gli occhi sgranati. Avvertì un leggero solletico sulla parte sinistra del collo, si voltò e lei ritrasse all'istante la mano.
"Ma che?"
"Eri buffo con quella faccia trasognante", disse sorridendo.
Lui arrossì all'istante. "Ah, io sembrerei buffo eh?"
"Un pochino", e gli fece la linguaccia continuando a sorridere.
Roberto le passò le dita sul collo facendole il solletico, al che anche lei fece lo stesso. Poi lui ai fianchi di lei che fece un passo indietro, mentre lui uno in avanti cercando di continuare a farle il solletico. Lei prese a indietreggiare, ridendo e supplicandolo di smettere. Lui invece continuava, chiedendo chi ora fosse quello buffo. Ad ogni passo di lei corrispondeva un passo di lui, ad ogni risata di lei il solletico di lui. Lei riuscì a sfuggirgli e a nascondersi dietro il tronco dell'albero a cui erano appoggiati prima. Lui non si diede per vinto e la seguì. Continuarono a giocare a rincorrersi per un po', senza riuscire a smettere di ridere e di lanciarsi occhiate di sfida l'uno con l'altra, occhi verdi e azzurri che si stuzzicavano a vicenda. Una radice sovraesposta dell'albero la fa però inciampare, rischiando di farla cadere rovinsamente a terra. Roberto prontamente l'afferra e la trae a sè.
"Tutto bene?", la stringeva forte tra le braccia.
"Credo di sì", il suo visino appiccicato al petto di lui.
"Certo che te sei proprio imbranata eh?"
"Parla il tizio buffo"
Il profumo di pesca ora era più intenso e avvolgeva come un velo Roberto che a sua volta teneva stretta lei, la piccola e imbranata ragazzina dagli occhi azzurri che gli ha scombussolato cuore e cervello in un solo pomeriggio. Sentiva di avere fra le braccia un piccolo e fragile tesoro, morbido e profumoso. Sentiva il dovere di proteggerlo a qualunque costo. Sentiva il bisogno di stringerlo a sè e non farselo sfuggire. Sentiva... lui sentiva e provava molte sensazioni e desideri in quel momento, ma un desiderio, uno era molto più forte degli altri, era una necessità che non riusciva a sopprimere, una voce che non poteva far tacere. Gli sguardi si incrociavano a pochi palmi di distanza che sempre più diminuivano, mentre i battiti del cuore aumentavano così che l'uno avvertisse ancor di più la presenza e la vicinanza dell'altra. Le braccia si stringevano con dolcezza, lei che cercava di avvicinarsi mettendosi sulle punte dei piedi e lui che abbassava pian piano le spalle e il capo. A pochi centimetri il respiro si fece profondo, i cuori fusero i loro battiti in una melodica sincronia, il profumo di lei era inebrianete, gli occhi di entrambi si socchiusero, e le stelle parevano essersi messe esse stesse ad ammirare un tale momento, così immenso da aver fatto loro perdere quel proverbiale distacco dagli avvenimenti umani che le caratterizzano. E gli occhi si chiusero completamente, smisero i pensieri, i respiri, i battiti, il tempo sembrò bloccarsi in una polaroid.
Aprì gli occhi. Sentiva ancora quel piacevole profumo di pesca, la morbida pelle di lei che aveva accarezzato dolcemente, la delicatezza del corpo a cui si era stretto. Eppure non c'era più. Svanito tutto. In un solo attimo aveva perso quello che poco prima era fra le sue braccia. Ricordò, capì, soffrì. Gli occhi si fecero tristi, l'aria pesante, la bocca arida e il cuore più che battere pareva scricchiolare.
- E con questa siamo a nove... nove volte di fila che ti sogno e per nove volte non riesco mai a baciarti-
Si voltò a sinistra del letto, cupo, rassegnato. Strinse il cuscino. Sperò di riavvertire la piacevole sensazione provata nell'abbracciare quella ragazza, ma non fu così. Un sorriso amaro e stanco si dipinse sul suo volto. Gli occhi lucidi e i pugni stretti al cuscino in un misto di rabbia, dolore, risentimento.
- E' uno scherzo? Nove volte diamine... NOVE! Quante altre ancora dovrò sognarti? Per quante altre dovrò innamorarmi? Quante ancora dovrò tentare di baciarti e di conseguenza perderti? Cosa ti ho fatto per meritarmi ciò? Cosa mi hai fatto per rendermi impossibile il non pensarti continuamente? COSA? Diamine voglio saperlo! E soprattutto... perchè proprio tu? Non poteva essere qualcun'altra? Una puttanella qualsiasi, la solita svampita, quella per cui perdono la testa tutti quanti... Già, tutti... ma non io. No, io no. IO son troppo stupido. Così stupido da essermi innamorato per la prima volta a quasi diciotto anni, così stupido da essermi innamorato appena ti vidi, così stupido da doverti sognare di notte, così stupido da non riuscire a baciarti nemmeno nei miei dannati sogni, così stupido da essere perdutamente, follemente, devastantemente, fortemente, irrimiediabilmente attratto, legato, costretto a te, INNAMORATO di TE... Sonia. -


  
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