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Autore: Alkimia    15/03/2013    7 recensioni
[CONCLUSA]
***SEGUITO di "A series of unfurtunate events"***
Ognuna delle opzioni possibili è rischiosa e potrebbe danneggiare Nadia. Per non parlare dell'altra faccenda in ballo: qualcuno vuole distruggere la Terra... tanto per mantenersi nel solco della tradizione.
Nadia è in America per cercare, insieme allo S.H.I.E.L.D, un rimedio ai danni provocati dall'energia della pietra. Loki è prigioniero sul pianeta dei Chitauri ma ha ancora dei piani. Eppure, ancora una volta, troppe cose non vanno come lui sperava. Vecchi nemici tornano da un passato lontano che lui continua a rinnegare, costringendo gli Avengers a tornare in campo; episodi e sentimenti inaspettati lo porteranno a dover decidere da che parte stare. E non è detto che la decisione finale sarà quella giusta...
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Nuovo personaggio, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A waltz for shadows and stars'
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Capitolo venticinquesimo
Endgame – part two


E così, è tutto assai semplice, persino più semplice di come gli era parso quando ha sentito Nadia raccontare ciò che le era stato detto durante la sua breve prigionia. Vogliono lui, lui e la sua disfatta poiché la sua fine è la fine del regno di suo padre.
Thor sente il peso degli sguardi dei suoi compagni fissi su di lui, sente la tensione di Jane come il calore che emana da una fiamma.
Non cerca gli occhi di nessuno se non quelli di Loki. Suo fratello è in piedi dall'altro lato del grande tavolo e lo guarda con un'espressione imperscrutabile, le braccia incrociate sul petto.
Thor vorrebbe chiedergli perché, com'è possibile che sia destinatario di un tale odio e nessuno meglio di Loki potrebbe spiegargli cosa c'è di odioso e sbagliato in lui. Ma è una domanda sciocca e infantile, per la quale adesso non c'è tempo.
«Ci ha dato tre ore, tre ore sono un sacco di tempo» esclama Tony Stark, guardandolo con quella che vorrebbe essere un'espressione rassicurante. Ma Thor non ha alcun bisogno di essere rassicurato.
«Perché naturalmente voi avete un piano, giusto?» esclama Jane, la speranza accesa nei suoi occhi è come le stelle di cui è tanto appassionata.
È un tale fardello essere definito un eroe se il prezzo è sopportare il peso di uno sguardo come quello. Vale per lui e in quel momento di certo vale anche per i suoi compagni che Jane scruta uno ad uno aspettando una risposta che le permetta di sapere che non accadrà niente di male, che lui è fuori pericolo. Non fosse per lei, a Thor non importerebbe nulla del pericolo.
«Ce l'abbiamo?» incalza Fury.
«Piano o no, io devo andare» dice il dio.
«Hai fretta?» sbotta Barton. «Sta' buono e non mettere ansia. Stark stava dicendo qualcosa a proposito delle tre ore».
L'uomo di metallo lancia un'occhiata a Bruce Banner, l'uomo di scienza annuisce.
«Beh, possiamo allargare il raggio d'azione dello smagnetizzatore» dice. «Le armi devono essere per forza nel quartiere, se intendono usarle per farlo saltare. Possiamo allargare il raggio perché copra più o meno tutta l'estensione della zona. Andranno in malora anche elettrodomestici e cellulari dei residenti, ma non credo sia importante»
«Mentre Thor va da Hope, qualcuno può posizionare lo smagnetizzatore e accenderlo» aggiunge la Romanoff. «Una volte andate le armi, loro non avranno più niente in mano e noi potremo catturarli».
«E tutto ciò è, come dire, sicuro?» conclude Jane, ed è chiaro che non può tollerare altro che una risposta affermativa.
«Di certo è più sicuro che lasciare Thor al suo destino» replica Barton.
«Che comunque non ce lo saremmo mai sognato» dice Nadia. La ragazza è pallida, sembra provata e sembra anche triste. Il dio del tuono pensa per un attimo ai progetti di Odino per la salvezza di Loki, progetti che Loki stesso ha già mandato in fumo, ancora prima che si potessero attuare: dopo quello che è successo, non c'è molta ragione di sperare che la sua giovane amica pensi ancora di restare al fianco di suo fratello. È per questo che era così sconvolto e arrabbiato prima, oltre alla preoccupazione per Jane. Era sconvolto e amareggiato non per quello che aveva fatto Loki – del resto non era niente di diverso da quello che Thor si aspettava – ma perché pensava all'ultimo scampolo di speranza ormai definitivamente perduto. Perché lui ancora nutriva speranze, ancora credeva che non ci sarebbe stato bisogno di alcuna coercizione e di alcun filtro dell'oblio per il dio dell'inganno, ancora pensava che lui potesse semplicemente trovar pace. Ma è evidente che Loki non la vuole, questa pace, poiché Loki è uno che combatte per ciò che desidera e non ha mai combattuto per essa, e ha anche smesso di combattere per Nadia, semmai lo ha fatto davvero in un qualche momento passato.
Ma non è il genere di cose sulle quali si deve concentrare adesso.
«Sapranno che siete arrivati» obietta, dopo qualche secondo. «Se si accorgessero della vostra presenza farebbero saltare in aria il quartiere comunque. Io sarei perduto, voi sareste perduti e così pure tutte le persone che vivono in quel luogo»
«Non dobbiamo per forza presentarci con la banda al seguito» osserva Barton.
«No, Thor ha ragione». È Fury a prendere la parola. «Se vi scoprissero sarebbe una carneficina».
«E allora faremo in modo che non se ne accorgano» dice il soldato Rogers con un sorriso incoraggiante. «Ma non lasceremo che Thor vada lì da solo. Se le cose si mettessero male, dovrà esserci qualcuno pronto a intervenire e, con tutto il dovuto rispetto, direttore, credo che abbiamo ampiamente dimostrato di essere più validi di qualsiasi altra sua squadra»
«Ma sentitelo, il Capitano, si è montato la testa! Però sono sorprendentemente d'accordo con lui» gli fa eco Stark. «Noi andremo...».
«Noi?!» la voce di Banner si alza di qualche ottava, e tanto basta perché un moto di nervosismo passi sulle loro facce. «Stark, tu non vai proprio da nessuna parte».
«Che cos'è questa storia?» borbotta Fury.
Sì, che altro c'è? Thor si rende conto che il tempo sta passando e ancora non si sono organizzati a dovere. Trattiene a stento uno sbuffo di impazienza.
Stark alza le mani in una specie di gesto di resa.
«Ok, ok. Abbiamo un piccolo problema» dichiara. «Io non posso essere esposto al raggio d'azione dello smagnetizzatore, altrimenti il reattore Arc si guasta e sarebbe un vero peccato perché ancora non ho visto finiti i lavori di ristrutturazione della mia casa di Malibù»
«Cosa?!» esclama Pepper, stupita.
«Non ti avevo detto dei lavori di ristrutturazione, tesoro?»
«Non mi avevi detto che il reattore Arc...».
«Va bene, basta!» esclama Thor. Un attimo dopo si sente quasi in colpa per aver alzato la voce e si rende conto di aver picchiato il pugno sul tavolo.
È da quando è tornato, da quando ha saputo che  la Terra è stata presa di mira ancora una volta a causa sua che sente il peso di tutta quella spinosa faccenda sulle spalle, quel peso e il peso dei piani di Odino che non ha potuto condividere con i suoi compagni, e la preoccupazione per Loki, e ogni genere di timore e insicurezza, come se in una sola volta tutti i suoi peggiori incubi si fossero tramutati in realtà, come se ci fosse un prezzo da pagare per tutto quello che ama e che ha amato nella sua vita.   
E adesso l'idea che i suoi compagni si mettano a rischio per salvarlo è davvero l'ultima goccia in un vaso già stracolmo.
«Devo andare solo. Non potete rischiare le vostre vite per me, né rischiare di mettere in gioco la sicurezza della vostra città» conclude cupo.
«Thor...» la voce di Jane è un soffio, ma lo scuote come il boato di una valanga.
La sua espressione sembra averlo zittiti tutti e lui è pronto a voltarsi e ad andare incontro al suo destino. Perché è giusto così, perché è così che deve andare. Perché è una sua scelta e una sua responsabilità.
«Ma che cosa vai farneticando?». La voce che interrompe il silenzio ha lo stesso suono del ghiaccio che si spezza, la voce di Loki.
«Tu non morirai oggi, figlio di Odino, e di certo non per mano di quei cani randagi» dice il dio dell'inganno. Thor può leggere il furore nei suoi occhi e può leggere quell'odio che lo ferisce più di ogni paura e di ogni tradimento. «Non ho subito l'umiliazione, la sconfitta e l'esilio per vederti perire per mano di qualcun altro. Né potrei sopportare l'idea di avere come avversario un individuo così arrendevole e disposto alla rassegnazione».
Guarda Loki e sente qualcosa di molto simile al pianto accecargli la vista. Possibile che dopo tutta quella strada percorsa, è l'odio di suo fratello la leva per convincerlo a salvarsi e a lottare? Possibile che è davvero tutto ciò che resta? Più della forza del suo sangue di re, più dell'amore che ha per Jane e per suo padre, più della devozione ai suoi compagni?
Thor china il capo: si arrende alla fiducia che gli stanno imponendo di avere. Quello con Loki è un discorso che certamente verrà ripreso in seguito... un discorso aperto, come una ferita.
«Molto bene, dopo questo toccante sfoggio di amore fraterno, direi che siamo tutti d'accordo con il fatto che Thor non possa suicidarsi» interloquisce Stark dopo qualche istante di silenzio. «Vediamo  di organizzare questa festicciola come si deve!».

*

«No, non se ne parla». Esclama Bruce Banner, scuotendo energicamente la testa.
Steve quasi si stupisce nel vederlo sbiancare e gli viene automatico dargli una pacca sulla spalla. Leggera, che non si sa mai, che il dottore è in uno stato d'agitazione poco promettente.
Nel piccolo laboratorio l'aria è satura di tensione.
«Non c'è niente di cui parlare, se non posso farlo io devi farlo tu» gli dice Stark. «Hai costruito quell'affare insieme a me, sei l'unico che può regolarlo e farlo funzionare».
Hanno organizzato tutto. Il jet li porterà fuori città, da lì andranno in centro in auto e raggiungeranno il quartiere dove li aspetta Hope. Ci andranno in abiti civili, nessuno li potrà intercettare tra i passanti; posizioneranno lo smagnetizzatore e... beh, qualcuno deve poterlo far funzionare quell'affare e deve essere per forza Banner, non c'è tempo di istruire qualcun altro sul funzionamento del marchingegno, anche perché se ci fosse un qualche aggiusto da fare all'ultimo minuto nessun altro sarebbe in grado di provvedere. E se non riescono a smagnetizzare le armi di Hope, Thor è spacciato.
 Non c'è scelta, non c'è altro modo.
«Ok, Bruce, rilassati, il tuo colorito non mi piace» dice Stark con tutta la pazienza che riesce a racimolare. Mancano meno di due ore allo scadere dell'ultimatum, se vogliono arrivare in tempo devono partire prima di subito.
«Ti piacerà ancora meno se non troviamo una soluzione a tutto questo...» replica lo scienziato.
«La soluzione sei tu»
«Io non sono una soluzione, io sono un pericolo! Per Thor, per la riuscita dell'operazione e anche per la gente di quel quartiere! Se dovesse presentarsi l'Altro mentre siamo a New York».
Non è irragionevole, devono dargliene atto. Ma è anche vero che non hanno scelta.
Si guardano tutti in viso, l'un l'altro cercando qualcosa da dire e contemporaneamente forse pensando a un altro modo di sistemare la questione, ma parlare e pensare sarebbe solo fiato e tempo sprecato.
«Io mi fido di lei, dottor Banner». Jane Foster, sicura e seriosa come non l'avevano mai vista prima. «Tutti noi ci fidiamo di lei. Non è la nostra ultima chance, è la nostra migliore chance».
La giovane scienziata sembra esserne convinta, lo dice con così tanta decisione che sembra contagiare tutti. Se lei si fida, se lei accetta di lasciare la vita dell'uomo che ama nelle mani di Bruce Banner, allora lui deve per forza fidarsi di se stesso.
«Dobbiamo partire adesso» annuncia Barton. Lui e la Romanoff hanno messo da parte la loro divisa da agenti dello S.H.I.E.L.D. e hanno appena finito di controllare le apparecchiature per la comunicazione con l'elivelivolo.
A Steve hanno dato una specie di cartella con dentro lo scudo. Barton ha il suo fedele arco in uno zaino, dice che non si sa mai. C'è una squadra S.H.I.E.L.D. sul posto pronta a intervenire appena avranno messo fuori uso le armi di Hope.
«Portatemi con voi. L'energia della pietra potrebbe tornare utile e poi potrei aiutare Bruce a... ehm, a   mantenere la calma» dice Nadia, all'improvviso. Quelle parole dovevano frullarle nella testa da quando hanno ricevuto il video di Hope, ora le ha buttate fuori tutte d'un fiato come se le avesse trattenute per troppo tempo e con un enorme sforzo.
«Faccio finta di non aver sentito» le risponde Steve, tentando di liquidare la questione con un gesto della mano. Gli altri fingono davvero di non averla sentita.
«Posso davvero fare qualcosa. Quelli sono i bastardi che mi hanno rapita, voglio esserci quando li farete a pezzi!»
«Nessuno farà a pezzi nessuno... si spera» replica lui.
«E comunque, proprio perché quelli sono i bastardi che ti hanno rapita e che vogliono usarti per far funzionare le loro armi è bene che tu ne stia il più lontano possibile» Natasha Romanoff viene in suo soccorso. «Senza contare che se proprio vuoi aiutare qualcuno a mantenere la calma, c'è Stark qui che avrà bisogno di supporto psicologico»
«Esatto, tu non vai da nessuna parte Colombina. Tu, dottore, datti una mossa... dov'è il biondo?».
Stark davvero sembra aver bisogno di aiuto. L'idea di restare in panchina deve essergli immensamente difficile da sopportare, soprattutto considerando che c'è in gioco la vita di Thor e l'incolumità di un intero quartiere di New York e la salute mentale di Bruce...
Nadia ha smesso anche solo di provare a protestare, si è appoggiata con le spalle al muro e ha messo su un'espressione tesa e preoccupata.
Loki è sulla soglia della porta del laboratorio. Non ha detto niente, ha solo ascoltato e non ha palesato nessuna intenzione precisa riguardo a cosa vuole fare in quella situazione. Non che abbiano intenzione di portarlo con loro, comunque, non hanno bisogno del suo aiuto e lui sarebbe solo un'ulteriore preoccupazione, una scheggia impazzita in uno scenario già abbastanza incerto.
Però ha se non altro il merito di aver dato a Thor la giusta scossa. Se lo abbia fatto perché davvero  non vuole vedere il suo acerrimo nemico soccombere in un modo tanto insoddisfacente o se spera che le cose si mettano male e Thor – magari insieme a tutti loro – rimanga ucciso, non lo sanno e non lo sapranno mai, ma non è una questione fondamentale.
«Si parte?» conclude Steve, gettandosi in spalla lo zaino con lo scudo.
Si avviano per raggiungere il jet. Bruce Banner al centro della fila stringe le mani attorno allo smagnetizzatore e si mordicchia il labbro. Nadia gli corre incontro e gli si mette sottobraccio,
«Ce la puoi fare, Bruce» gli dice.
«Un volo in jet fino a New York, traffico, caos... la vita di Thor che dipende da me... sono il genere di cose che l'Altro prende come un invito a nozze» le risponde lo scienziato con un sospiro.
«Ce la puoi fare» ripete la ragazza. «Ne siamo sicuri, tutti noi, non devi far altro che esserne sicuro anche tu».
Lui tenta di mettere insieme un sorriso. Nadia si stacca dal suo braccio quando raggiungono il portellone del jet e resta a guardarli salire a bordo. Steve le fa l'occhiolino e si volta per raggiungere gli altri. Thor è sulla pista, pronto a partire da solo per raggiungere New York. La Romanoff e Barton hanno già preso posto davanti ai comandi.
«Ehi, Capitano» Stark gli si avvicina, quasi gli parla all'orecchio. «Mi raccomando... prenditi cura di questa cosa...».
Steve solleva le sopracciglia in un'espressione perplessa.
«Cosa?»
«Oh, andiamo Steve, sii prudente, sta' vicino al dottore, riporta a casa Boccoli d'Oro e tieni d'occhio gli altri. Lo farei io, ma questa partita devo giocarla in panchina».
Lo ha chiamato per nome. È un evento che si verifica solo in circostanze straordinarie e solo quando Stark è molto preoccupato.
«Me ne occuperò, Tony» gli risponde. «Puoi stare tranquillo».
«Sì posso, del resto sei tu il migliore, no?».
«Devo mettermi a piangere?»Me ne occuperTony»
«
«
«No, devi muovere il culo e salire a bordo, prima che il Falco ti arpioni con gli artigli!».
Steve si concede una mezza risata ed entra nel jet. Mentre il portellone si chiude, vede la dottoressa Foster baciare disperatamente Thor.
Lo riporteremo a casa sano e salvo, promette a se stesso.

*

«Dunque, sono partiti?» dice Loki in tono annoiato, tamburellando distrattamente le dita su un mobile di alluminio in un angolo del laboratorio.
Nadia inclina la testa come a cercare di guardarlo in viso dalla miglior prospettiva possibile. Sarebbe davvero rassicurante cercare di scoprire cosa gli passa per la mente.
«Dicevi sul serio prima? Vuoi davvero che Thor ne esca vivo?» gli chiede. Si pente quasi subito di aver domandato, qualsiasi risposta verrebbe fuori sarebbe poco attendibile.
Lui mente, mente sempre. Anche con lei non ha fatto altro, fin dal primo momento in cui le loro strade si sono incrociate, e lei è stata davvero sciocca a pensare di mettere in secondo piano questo dettaglio.
Lei è stata davvero sciocca. Punto.
«Non dovresti essere a placare la smania di Stark?» borbotta il dio, ignorando la domanda.
No, per quello c'è Pepper. Ma c'è qualcun altro che potrebbe aver bisogno di lei in quel momento; non è potuta andare con gli Avengers, ma c'è un posto in cui la sua presenza potrebbe essere molto più utile piuttosto che starsene lì a rimuginare su Loki e su cosa lui si auspichi davvero per la riuscita di quell'impresa. E poi la tensione è troppo alta perché riesca ad avere a che fare anche con lui, con i mille dubbi che le instilla e con la lama di dolore che sente crescere man mano, se si sofferma a pensarci per più di un secondo.
Lascia il laboratorio senza aggiungere altro.

Nella sala comandi il silenzio è solido come un muro, impenetrabile. Agenti seduti davanti a schermi e consolle stanno concentrati a osservare videate o a premere pulsanti.
Al centro, Fury sembra un grosso corvo appollaiato sulla ringhiera vicino alla quale è appoggiato a osservare con aria imperscrutabile Tony che armeggia con degli schermi a comandi tattili sui quali è riprodotto un modello tridimensionale dello smagnetizzatore; evidentemente sta cercando di stabilire i parametri per la regolazione dello strumento in un'area vasta come il quartiere in cui deve essere posizionato.
Alle spalle di Tony c'è Pepper, solida come una roccia. Nadia le invidia proprio quella solidità: senza di lei, quasi certamente, il mondo di Tony Stark sarebbe crollato su se stesso come un castello di carte molto tempo prima. Pepper è riuscita a fare ciò che Nadia non ha potuto: salvare l'uomo che ama anche da se stesso.
Ma non deve e non può pensarci. Semplicemente, non può permetterselo. Magari un giorno arriveranno le lacrime e la rabbia, quella vera e accecante, adesso è un'altra la forza che minaccia di mandare in pezzi il mondo che la ragazza ha imparato ad amare in quei mesi trascorsi in America. Un mondo di cui lei non fa del tutto parte, ora lo sa, ma che sarebbe stata davvero pronta a difendere, a qualsiasi costo, se l'avessero lasciata andare con loro.   
Jane è davanti all'immensa vetrata, il naso per aria ad aspettare segnali dal cielo. Probabilmente è quello che è abituata a fare, ma stavolta si tratta di segnali che non hanno niente a che vedere con l'astrofisica, e di certo è parecchio prematuro aspettarli ora. Ci vorranno ore prima che Thor e gli altri facciano ritorno, perché Thor e gli altri faranno ritorno, tutti insieme, sani e salvi.
Thor e gli altri faranno ritorno, tutti insieme, sani e salvi.
«Sa una cosa, signorina Berton?» le dice Fury, avvicinandosi a lei. «Io avrei lasciato che lei andasse con loro».
«È un complimento direttore? O una prova di fiducia? Non mi è mai parso che si fidasse di me» replica lei con un mezzo sospiro.
«Di lei posso anche fidarmi. È di quell'affare che ha incollato al braccio che non mi fido, è per questo che vorrei vederla in azione, prima o poi».
Nadia impiega qualche secondo a trovare un senso all'affermazione dell'uomo.
«Mi sta invitando a entrare nel suo circolo privato?» domanda con amaro sarcasmo.
«No, tra le altre cose lei ha una famiglia che l'aspetta e, considerando il suo carattere, sarebbe un pessimo candidato... eppure non sarebbe peggio di Stark, tanto per fare un esempio» conclude Fury con un mezzo sospiro trattenuto.
«Mi dispiace di essere la sua occasione sprecata».
Nadia si volta e scende le scale che portano al piano inferiore della sala, si dirige verso Jane e continua a sentire su di sé lo sguardo di Fury. Ha idea che il direttore dello S.H.I.E.L.D. non abbia ancora finito con lei ed è un'idea parecchio brutta e decisamente poco promettente, ma per adesso ha cose più preoccupanti a cui pensare.
Jane sussulta quando la ragazza le posa una mano sulla spalla.
«Andiamo, smettila di fissare le nuvole» le dice con un mezzo sorriso, il più amichevole che riesce a sfoggiare.
Per qualche motivo tra lei e Jane non è mai ingranata, forse è stata colpa sua, perché la prima volta che l'ha vista l'ha tenuta sulle spine con una storia raccontata solo a metà. Forse, semplicemente, a volte è destino che tra due persone non si crei il giusto feeling. Eppure adesso Nadia si sente in dovere di fare qualcosa per lei, perché se riuscisse a regalare alla giovane scienziata un po' di speranza si sentirebbe meno inutile e meno vuota.
No, decisamente io non sono un eroe, pensa la ragazza. Non sono nemmeno capace di tirare su il morale a una persona per scopi esclusivamente altruistici...  
Ma non importa, nell'arco delle ultime quarantotto ore Jane è quella che ha passato il peggio, compreso l'essere rapita da tizi che vogliono uccidere il suo uomo per poi venire salvata – quasi per sbaglio – dal nemico giurato del suddetto.
«Andiamo dove?» chiede Jane, scuotendo la testa.
Nadia ci pensa per qualche secondo. «A vedere se nell'aria ristoro riusciamo a rimediare un frappè».
La scienziata non si muove. «Il signor Stark ha detto che mi avrebbe tenuta aggiornata sulle notizie da New York».
«Tony si è laureato in ingegneria all'MIT a sedici anni, sono certa che saprà far funzionare il sistema di comunicazione interno».
Nadia prende Jane per un braccio e la porta fuori dalla sala comandi. Prima di uscire scambia una rapida occhiata con Tony e lui le lancia un sorrisetto teso.
Quando raggiungono l'area ristoro è vuota, ma c'è un vassoio con dei muffin sotto una campana di plastica trasparente. La ragazza pensa che sia meglio di niente, ma quando poggia il vassoio su un tavolino e si siede di fronte a Jane si rende conto che non ha voglia di mangiare, che il suo stomaco non potrebbe sopportare nemmeno una briciola.
«Comunque, penso tu abbia fatto bene a portarmi via da lì, avrei potuto cominciare a prendere a testate il vetro» dice la dottoressa Foster dopo qualche minuto.
«Fury ti avrebbe fatto sparare un sedativo, suppongo»
«Neanche tu vuoi stare sola, eh?»
«Mi hai scoperta».
Nadia tira su le gambe e si mette rannicchiata su una sedia, reggendosi le ginocchia tra le braccia. Pensa che deve trovare qualcosa da dire, non è molto utile a Jane se resta lì in silenzio. E non fa bene nemmeno a se stessa.
«Cosa pensi di fare, quando tutto questo sarà finito?» domanda la giovane astrofisica, all'improvviso.
La ragazza si sente schiacciare dal peso di quella domanda: ha vissuto esperienze straordinarie, nel bene e nel male, ha vissuto in una casa con un maggiordomo invisibile e si è innamorata di un dio infido e traditore, e l'unica risposta che ha da dare è quella più ovvia e insignificante.
«Tornerò a casa, dai miei...» dice. Ama la sua famiglia e non c'è stato giorno da quando ha lasciato Venezia in cui non abbia pensato a loro, le mancano, ma non le manca la sua vecchia vita, non può mancarle il restare confinata lì, non dopo tutto quello che ha passato. Una volta pensava di potersi rassegnare a quel mondo, adesso sa che non può più farlo.
Adesso si sente solo una sciocca, egoista, vanesia ragazzina che non sopporta di dover tornare a scuola dopo una bellissima vacanza. E non è stato nemmeno tutto facile e bellissimo come una vacanza!
«E tu, tu e Thor avete qualche idea su come sistemare le cose?». Dovrebbe farle bene parlare di Thor al futuro, presuppone che non gli accada niente quel giorno ed è una cosa che dovrebbe essere di estremo conforto per Jane, almeno Nadia spera che lo sia...
«Ci sono cose a monte che vanno sistemate, prima di noi due» risponde lei, arricciando il naso. «Thor non sarà mai libero finché Loki... oh, ti prego, scusami».
«No, non ti preoccupare. Lo so». Nadia sa. Sa che la sola esistenza di Loki basta a minare qualsiasi speranza di pace per il cuore di Thor, e sa anche che a questo punto di vista, il dio del tuono è condannato: qualunque sia la sorte di Loki, lui non sarà mai libero dalla sua ombra, dal veleno che il dio dell'inganno ha fatto scorrere tra loro due, dal rimpianto e dalla sensazione di fallimento. Dopotutto, la sua stessa sorte non le appare poi così diversa.  
«Raccontami...» dice Jane, deglutendo. «Raccontami di Venezia».
Nadia guarda la sua interlocutrice con aria interrogativa, accenna un sorriso incerto.
«Pensavo che Thor ti avesse già raccontato tutto...»
«Sono certa che la tua versione è molto meglio». Anche Jane accenna un sorriso. Decisamente meglio di niente.
Era una sera buia e tempestosa. E fredda, soprattutto fredda...

Alla fine del racconto, Jane ha l'aria di un bambino catturato dal colpo di scena della favola.
«Wow! Nella mia storia c'è solo un enorme robot sputafuoco e una stagista svampita, mi sento così inutile» scherza la scienziata.
Nadia ridacchia. «Scambio il tuo robot sputafuoco con il mio bracciale...».
Jane sta per rispondere alla battuta, ma arriva la voce di Tony dalla sala comandi: sono arrivati a destinazione. Thor si è separato dal gruppo per andare a incontrare Hope e da questo momento in poi non hanno più contatti con lui, non potevano rischiare di mettergli microfoni o altri marchingegni addosso, se li avessero scoperti avrebbero potuto decidere di dar fuoco alla fottuta miccia.
L'espressione di Jane diventa di pietra. Le due ragazze si alzano e tornano nella sala comandi.
Dai dispositivi di comunicazione arriva la voce di Natasha che parla con Fury.
«Thor ci segnalerà la sua posizione con un fulmine, appena avvisterà Hope e i suoi, signore» spiega l'agente.
«Sarebbe ottimistico aspettarci che loro restino nello stesso posto per un tempo sufficiente da poterli catturare, una volta smagnetizzate le armi» risponde Fury.
«Le armi sono la priorità». La voce di Clint. «Appena lo smagnetizzatore avrà fatto il suo lavoro, spareremo un razzo segnaletico, così da far sapere a Thor che il quartiere è fuori pericolo. Se poi decidesse di fare a pezzi i nostri ospiti a suon di martello... potremmo sempre dire che è stata legittima difesa» .
Nadia sente Jane trattenere il respiro. Ma del resto, anche lei è in apnea e sente lo stomaco come un masso in fondo alla pancia.
«E il dottor Banner come sta?» domanda Tony.
«Come uno che si chiede perché mai ha lasciato Calcutta!» risponde la voce di Bruce, alterata e lontana.
«Se la sta cavando egregiamente. Il colorito verdognolo che ha preso durante il volo era dovuto solo alla nausea» interloquisce Steve.
Stanno bene. Sta andando tutto bene. Loro sono i suoi eroi e gli eroi vincono sempre...
«Dunque, dottore, fammi sapere se ti serve una mano con la mia piccola creatura» aggiunge Tony, tranquillo. Non è davvero calmo, vorrebbe essere lì, vorrebbe esserci lui a mettere in moto la sua macchina, ma se la sta cavando meglio di quanto tutti loro si aspettino. O almeno, così sembrerebbe.
«Penso di farcela, Stark...» la voce di Bruce viene sopraffatta da un fruscio rumoroso, un suono simile al rumore di unghie sulla lavagna. Nadia arriccia il naso e si copre le orecchie.
«Che diamine è stato?» si affretta a chiede Fury. Dagli apparecchi di comunicazione arriva un basso sibilo e solo dopo qualche secondo riescono a sentire di nuovo Natasha parlare.
«Niente, va tutto bene» li rassicura. «È solo... vento, è arrivata una raffica di vento molto forte».
Jane sussulta. «Vento?!» esclama, guardando Nadia con aria terrorizzata.
La ragazza stringe i pugni e sente il cuore mancarle un battito.
Non può essere. Non può farlo...
Nessuno sembra aver fatto caso all'esclamazione di Jane. Tony sta parlando con Bruce a proposito delle impostazioni dello smagnetizzatore.
«Pensavo sarebbe stato più semplice» dice il dottore. E non sembra calmo.
Nadia sente le vertigini, sente i muscoli farle male per la tensione.
«Vento freddo?!» esclama Jane, urlando e gettandosi in avanti, spostando bruscamente Tony di lato e afferrando il microfono che lui stava usando per comunicare con le trasmittenti degli altri Vendicatori a New York.
«Dottoressa Foster, sono certo che Thor non si prenderà il raffreddore...» prova a scherzare Tony, facendo per posarle una mano sulla spalla.
«Jane, che succede?» domanda Pepper.
La giovane scienziata ha già capito, perché ha appena ascoltato la sua storia, sa com'è cominciata lì a Venezia, sa cosa potrebbe significare...
«Loki». Tocca a Nadia rispondere. Sente quel nome come tagliarle la lingua mentre lo pronuncia.

*

Lo schienale del sedile laterale del jet è duro e scomodo. Bruce cerca di non pensarci, chiude gli occhi, stringe le mani attorno alla semisfera dello smagnetizzatore.
Fa respiri lunghi e regolari, inspira rumorosamente per cercare di coprire il pulsare sordo delle tempie. Inutile: sente il cuore come sbattergli dolorosamente contro le costole. Riconosce quella sensazione e ne ha paura.
«Si tratta di una decina di minuti di volo, anche meno». È la voce della Romanoff. Bruce non ha bisogno di aprire gli occhi per indovinare la sua espressione vagamente preoccupata. Nemmeno l'algida Vedova Nera è riuscita a mascherare del tutto quel tremito nella voce.
Fa un altro respiro, profondo, lentissimo. Il cuore ha un battito più forte e un lampo verde brilla per un attimo dietro le sua palpebre chiuse.
Natasha fa bene a avere paura. Lui è terrorizzato.
«No, così non va bene. Guardami» dice lei. Il tremito dalla voce è sparito, ora il suo tono è deciso, sicuro e riesce a suonare persino amichevole.
Bruce esita ad aprire gli occhi, ma alla fine obbedisce. Natasha Romanoff ha girato il sedile da pilota nella sua direzione e lo sta guardando con aria quasi crucciata, con quel sopracciglio inarcato e le la labbra strette a cuore.
«Non ho paura di Hulk» dice lei. «All'inizio ne avevo, moltissima, poi l'Altro ha cominciato a comportarsi un po' meglio e mentirei se non dicessi che lo considero un'arma molto importante, forse la più efficace del nostro arsenale. L'Altro è questo, Bruce, un'arma, un gran pezzo di artiglieria pesante. Ma ora è inutile, non è spaventoso o problematico, è semplicemente inutile. Non ci serve un'arma, ci serve il tuo cervello»
«Oh, certo. Lo so bene, ma...»
«Non ci serve un'arma» ripete l'agente Romanoff. «Non c'è nessun bisogno di tirarla fuori dalla fondina»
«Vorrei che fosse così facile» mormora lui. Si sente pulsare come se sotto la pelle non avesse più le ossa, ma solo pezzi di carne attraversati da vene e nervi.
«E io vorrei che non dovessimo volare a New York per salvare la pelle a Thor. Vorrei essere in una missione individuale in Europa alle calcagna di qualche terrorista da poter strangolare nel sonno con i collant, è assai meglio della sigaretta dopo il sesso. Ma ora io sono utile qui. Vale lo stesso per te».
La giovane donna non aggiunge altro, si dà una spinta e il sedile si volta nuovamente verso la consolle dei comandi.
Quando Barton e Steve Rogers salgono a bordo lo trovano con gli occhi sbarrati fissi nel vuoto, la bocca schiusa a cercare di prendere aria. Ha ancora bisogno di respirare per far rallentare il battito cardiaco e rilassarsi, ma gli sembra che vada un po' meglio...
Quella faccenda dello strangolare uomini con i collant comunque offre spunti di riflessione sufficienti per tutti i dieci minuti di volo, sia all'andata che al ritorno.

Il jet atterra in una zona fuori città. Come previsto, c'è un'aiede davanti.
La macchina deve avere vetri antiproiettile o comunque molto spessi, perché l'abitacolo è quasi del tutto insonorizzato e il rumore continuo del traffico arriva ovattato. Questo è un gran bene, pensa Bruce stringendo la valigetta dove ha chiuso lo smagnetizzatore.
Mentre l'auto prosegue in un intreccio di ampie strade incorniciate tra palazzi e vetrine, lui cerca di non guardare troppo all'esterno, alle vie e alle file di lampioni che si rincorrono nel riquadro del finestrino; se ne sta proteso leggermente in avanti, guarda il cielo e le nuvole disegnare forme inarticolate contro l'azzurro terso.
«Però non è la stessa cosa senza Stark, vero?» dice Clint Barton, decelerando per fermarsi ad un semaforo.
«Vuoi dire senza il suo ego elefantesco e la sua linguaccia lunga?» chiede Steve Rogers, dal sedile posteriore. «Sì, non è lo stesso. Ma non glielo diremo mai».
Bruce riesce persino a concedersi una risatina.
È quando la macchina accosta in un parcheggio del quartiere designato per il macello che l'umore torna nero e lui vede di nuovo quella nuvola verde appannargli la vista.
Steve gli apre lo sportello e lo guarda con aria fiduciosa. Bruce cerca disperatamente di ricordarsi che si fidano di lui, che la dottoressa Foster crede che lui riuscirà a fare ciò che deve in tempo per salvare Thor e senza alcuna complicazione. Cerca di ricordarsi quello che gli ha detto la Romanoff, che non hanno bisogno di un'arma ma di un cervello, il suo cervello... si aggrappa a quel pensiero con quanta più forza che può. La nuvola verde si dirada almeno un po' e lui cerca di concentrarsi sul semplice compito i mettere un piede avanti all'altro.
All'interno della valigetta, lo smagnetizzatore tintinna appena, urtando piano le pareti rigide del contenitore.
L'agente Romanoff tira fuori un palmare con il gps, alla ricerca di un buon posto dove sistemarsi. Indica una piazzetta al centro del quartiere accanto alla quale c'è un vicolo con una palazzina che il dispositivo segnala come disabitata.
Un crocchio di bambini urlati taglia loro la strada, correndo verso uno scuolabus giallo. Fanno un casino infernale... Bruce ha un sussulto.
Coraggio... non è peggio di Calcutta...
La palazzina disabitata in realtà è chiusa dai sigilli dei vigili del fuoco, porta i segni di un incendio recente, con grosse sbavature nere che fanno da cornice alle finestre prive di vetri. Probabilmente è inagibile e almeno sono sicuri che nessuno verrà a ficcare il naso lì dentro.
Steve tira una spallata a una porta secondaria, questa geme sui cardini e si spalanca. Entrano rapidamente. Rogers e Barton risistemano la porta al proprio posto.
Dentro l'aria odore di cenere e marciume, infissi bruciati penzolano dalla tromba delle scale.
Bruce starnutisce, poi apre la valigetta e appoggia lo smagnetizzatore su un muretto con l'intonaco annerito. Quella semisfera di metallo sembra un grande occhio che lo fissa.
No, decisamente non è la stessa cosa senza Tony Stark. Lui lo avrebbe fatto funzionare meglio, più velocemente e non si sarebbe lasciato suggestionare da un pezzo di ferraglia.
Bruce si stropiccia il viso, poi tira fuori un scatola di cacciavite dalle punte sottilissime.
«È una buona posizione» dice, come per rispondere alle domande mute della Romanoff ferma di fronte a lui. «È centrale e una volta stabilita la giusta regolazione possiamo essere certi che funzionerà».
Barton guarda verso l'alto, osservando la tromba delle scale salire e perdersi nella penombra. «La palazzina è bella alta, posso stare di vedetta sul tetto e scoprire se riesco a vedere arrivare Thor».
Gli altri annuiscono. Bruce accende i suoi giocattoli.
Dopo qualche minuto si mettono in comunicazione con la base volante, aggiornano Fury e Stark sulla loro situazione. Tony non vede l'ora di dare una mano, Bruce fa un mezzo sorriso e scambia un'occhiata con Steve.
«Penso di farcela Stark» sta per dire. E vorrebbe aggiungere che ha comunque bisogno che lui lo guidi da lì... non ne ha davvero bisogno, ha ripassato gli schemi di funzionamento dello smagnetizzatore fino allo sfinimento, ma Stark potrebbe morire per la smania e l'inattività, quindi tanto vale dargli qualche soddisfazione.
All'improvviso, mentre stanno parlando, una raffica di vento produce un ululato acuto che sembra far vibrare l'intera di città. Una folata d'aria gelida entra da tutte le aperture prive di infissi e l'aria diventa fredda all'improvviso, in modo innaturale.
Il vento fa cadere verso l'interno la cornice di una finestra già mezza staccata dal davanzale, il legno cade e va a infrangersi ai piedi della Romanoff. Natasha si lascia scappare di mano la trasmittente.  
Fury chiede che sta succedendo, gli dicono che è stata solo una raffica di vento e sentono la voce della dottoressa Foster urlare qualcosa.
Bruce sta per dire qualcosa a Stark, ma ora la voce di Jane Foster è più chiara e sta decisamente chiedendo in tono disperato se si è trattato di vento freddo.
«Dottoressa Foster, sono certo che Thor non si prenderà il raffreddore...» dice Tony con la sua consueta ironia.
«Jane, che succede?» domanda invece la signorina Potts.
A Bruce cade di mano il cacciavite. Non ha bisogno di aspettare alcuna risposta perché ora ricorda... ha già sentito quel vento e quel freddo improvviso e innaturale il giorno in cui Loki si materializzò all'improvviso nel bosco mentre Stark e Steve stavano provando ad allenare Nadia.
Ed è proprio Nadia a rispondere.
Il gelo non si è ancora dissolto del tutto e ora anche le loro espressioni si sono congelate.
«Mi state dicendo che nessuno lo ha tenuto d'occhio?» tuona Fury.
Come se servisse tenerlo d'occhio! Nemmeno la gabbia di vetro è riuscito a fermarlo, e quella gabbia era stata progettata per Hulk.
Ad ogni modo, dio dell'inganno è una variabile che ancora una volta hanno fatto l'errore di non considerare.
«Pensate che stia venendo ad uccidere Thor o a sabotare il nostro piano?» domanda Steve, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
«No. Lui non... non lo farebbe, non dopo averlo spronato a combattere» dice Nadia con la voce alterata dall'agitazione. «Loki non lascerebbe che tra lui e Thor finisse così, per l'intervento esterno di un criminale spaziale qualunque...»
«E allora dov'è? Non mi dirai che è venuto qui per salvarlo» sbotta l'agente Barton.
Bruce chiude gli occhi, serrando violentemente le palpebre. Sa che quella conversazione non può distrarlo, che deve regolare lo smagnetizzatore, che...
Fury sta dando ordine di cercarlo con lo stesso sistema con cui lo rintracciarono a Stoccarda. Pensano che sia ancora nei paraggi per le solite ragioni: se lascia la Terra, Asgard lo catturerebbe, se cercasse di sfuggire ad Asgard fuggendo più lontano, sarebbe invece Thanos ad acciuffarlo. Non restano altre opzioni possibili: Loki non ha altri affari né altri posti dove andare, Loki sta andando lì.
«D'accordo. Tieni spento lo smagnetizzatore per qualche altro minuto, Bruce, sto arrivando...». È Stark.
«No!» esclama Steve. «Resta dove sei Stark, qui ci saresti di intralcio, inoltre se ti vedessero tutto il piano andrebbe in malora»
«Non sono così idiota da farmi scoprire, Capitano».
«Tony...». È la voce della signorina Potts.
«Possiamo occuparcene noi» insiste la Romanoff.
Nella sua testa Bruce sente solo un accavallarsi di voci e di immagini poco serene. La cortina di verde davanti ai suoi occhi si fa più spessa, che li tenga chiusi o aperti non fa alcuna differenza, non importa quanto lunghi siano i suoi respiri...
Ora sente anche il sudore coprirgli la schiena, appiccicargli la stoffa della camicia alla pelle.
Ora sente svanire tutte le parole e le rassicurazioni e i moniti ricevuti fino a quel momento.
«Fermi tutti». La voce di Fury. «Lo hanno trovato, Loki. Lo hanno cercato con lo stesso sistema con cui lo localizzammo a Stoccarda, solo che questa volta sapevamo dove cercare ed è bastato un clik. È lì. Thor non è ancora arrivato da Hope, Stark potrebbe arrivare in tempo per fermarlo, e ripartire prima che voi attiviate lo smagnetizzatore»
«No, non può» ribatte Steve.
«Sì, posso!» replica Tony.
«Loki non sta andando a uccidere Thor!» strilla Nadia.
«Come diamine fai a dirlo? Ci ha già provato e lo ha già tradito una volta, come ha tradito te» sbotta Stark. La sua voce suona come non l'avevano mai sentita prima, con una freddezza da gelare le orecchie.
«Non dico che Loki non voglia distruggere Thor, dico solo che non lo farà, non adesso, non in questo modo...»
«Nadia, basta». Ancora Stark; stavolta la sua voce è proprio di metallo, come la sua armatura, dura e fredda come il ferro. «Non ascolterò una parola di più da te che perseveri in questa follia del trovare sempre una ragione per fidarti di Loki o per giustificarlo o per fare finta che non sia il mostro che è! Ho sopportato questo delirio a tutto quello che ne è seguito anche troppo, ho cercato di proteggerti da questa pazzia e non me lo hai lasciato fare perché per qualche assurda ragione lui era così fottutamente importante e non so che altro... bene, adesso non posso più fingere che mi importi. Adesso ci sono delle priorità e non riguardano né te né l'improbabile e inutile redenzione di Loki».
Il monologo di Stark apre una voragine di silenzio attonito.
Bruce vorrebbe avere uno scampolo di lucidità in più per capire bene quello che è appena successo, analizzare quel fiume di parole denso di frustrazione che il loro amico ha riversato addosso alla ragazza. Parole che tutti loro, in qualche misura condividono, ma che forse nella testa di Tony erano pensieri gonfi come mongolfiere, enormi palloni di rabbia, delusione, incredulità e Dio solo sa cos'altro, e che ora sono esplosi. Ma tutta la lucidità che gli resta è appena sufficiente a cercare un appiglio per non lasciarsi affogare da quella nebbia verde sempre più fitta, per non lasciarsi sopraffare dal buio che porta con sé.
Si appoggia al muretto, completamente sfiancato dallo sforzo di resistere all'Altro che chiede a gran voce di uscire, che tenta di forzare le pareti della prigione nella quale Bruce riesce a stento a contenerlo.
«Tutto bene?». Steve gli posa una mano sulla spalla, lui annuisce con un sospiro penoso.
«Immagino che devo lasciar stare quell'affare» dice dopo qualche secondo. «Stark sarà già in volo...».
«Quindi... se Loki è qui e Stark si è fiondato al suo inseguimento, noi non potremo attivare lo smagnetizzatore, Hope ha ancora le armi» Clint Barton segue il filo del ragionamento, gesticolando con la punta dell'indice a mezz'aria. «O muore Thor, o moriamo noi e tutta la gente del quartiere. Figo, era proprio quello di cui avevo voglia oggi, un bel decesso drammatico».
«Però c'è una cosa a cui nessuno ha pensato» interviene Natasha. «Se il quartiere salta in aria, salta in aria anche Loki».
Segue un minuto di silenzio scioccato.
«Voi pensate davvero che Loki non sia venuto qui per far danni stavolta, ma per aiutare?» domanda Steve.
Nessuno prova nemmeno ad azzardare un'ipotesi.







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Note:
Capitolo oscenamente lungo, ma come per il famigerato capitolo 18, non aveva molto senso spezzarlo.
In questo capitolo ho tentato di ridare voce a personaggi che per forza di cose ho dovuto mettere da parte negli ultimi capitoli. Soprattutto a Thor, che è quello che per molto tempo è rimasto più in ombra degli altri.
In quanto a Bruce... mi piaceva l'idea che per una volta dovesse fare qualcosa di “eroico” non trasformandosi in Hulk, ma come persona normale e quindi dovendo più che mai combattere contro l'Altro.
Il finale, Tony che dice quello che dice a Nadia, mi ha uccisa... scriverlo mi ha fatto scappare il cuore dal petto – Odino sa se la fanciulla non se le meritava quelle parole, ma io sto per entrare in analisi, praticamente. No mi riprenderò mai più...

Segnalazioncina spammosa personale: dopo svariati mesi ho aggiornato Una goccia di splendore, nella sezione su Thor, perché i miei sproloqui su Loki non possono fermarsi a una singola fanfiction. Così, tanto per farvelo sapere :P 

As usually, per domande sulla fanfiction, curiosità in generale and so on... HERE

Intanto, genteh! Voi che continuate ad aggiungere questa storia e il suo prequel nei preferiti/seguiti/ricordati anche dopo una così lunga "stagionatura". Amovi tutti. **

A venerdì ^^
   
 
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