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Autore: Puerto Rican Jane    18/03/2013    1 recensioni
Marzo 1967, New Jersey. Una giovane ragazza con problemi economici e familiari, in cerca di un amore per ribellarsi. Un ragazzo con un grande sogno da realizzare. Entrambi accumunati dalla voglia di scappare dalla città di perdenti in cui vivono.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2 (ROY ORBISON IS SINGING FOR THE LONELY)
 
La camera di Bruce non era molto grande, era piuttosto disordinata e anche un po’ sporca, con oggetti di ogni genere sul pavimento: dai vestiti ai giornali, da carte di plastica a libri. Le uniche cose in ordine e pulite erano una chitarra “Gibson”, tutta lucida e appoggiata delicatamente sul letto, un grande poster di Elvis appeso alla parete e una pila di vinili posti ordinatamente in un angolo della stanza. La camera aveva una sola, grande finestra, che dava sulla strada, posta in una rientranza della parete, in modo da avere subito sotto una sorta di panchina. Si sedettero lì, tirarono i libri fuori dalle borse e cominciarono a fare i compiti. Mary si impegnò a spiegare chiaramente e  pazientemente tutto ciò che lui non capiva; da parte sua Bruce stette attento la maggior parte del tempo, a parte qualche momento in cui la guardava fisso, perdendosi fra i riflessi degli occhi scuri di Mary, apparentemente pensando ad altro. Mary se ne accorse e cercò di risvegliarlo:
-Ehi! Bruce! Ci sei?-
-Sì? Cosa? Oh, scusa, stavo solo… Aspetta un attimo, che ore sono?- disse guardando un orologio alla parete -Le sei…Beh, mi è venuta un po’ di fame, e a te? Dovrei avere qualche tralcio di pizza avanzato. Vado giù un attimo a prenderli. - Si alzò e uscì dalla porta. Mary intanto si rannicchiò in un angolo, abbracciandosi le gambe e appoggiando il mento sulle ginocchia, guardando fuori dalla finestra e pensando:
“Forse se n’è andato perché lo annoio o perché non può guardarmi da quanto sono brutta. Dev’essere così, probabilmente mi ha chiesto di aiutarlo solo per riuscire a passare l’esame, sorvolando inizialmente sul fatto che sono noiosa e inguardabile. Ma ora se n’è reso conto, e sarà uscito fuori con i suoi amici, con la scusa del cibo, lasciandomi qui da sola!” Turbata da questi pensieri, causati dal modo in cui Bruce aveva cercato frettolosamente una scusa per andarsene, Mary rimase a fissare la strada, aspettandosi da un momento all’altro di vederlo comparire lì e dandosi della sciocca per aver pensato anche solo per un istante di poter piacere a quel ragazzo. Qualche minuto dopo però Bruce tornò con due fette di pizza, a dispetto dei pessimistici pensieri di Mary, trovando la ragazza rannicchiata in un angolo della finestra, con i biondi capelli che le coprivano il viso. Si sedette di fronte a lei, prendendo una fetta di pizza e addentandola, continuando a fissarla.
-Tutto bene?-
-Oh, sì, certo-
-Non hai fame?-
-Non molta…- disse provando a prendere un tralcio di pizza e portandolo alla bocca, cercando di assaggiarne un pezzetto, ma inutilmente: un nodo le chiudeva lo stomaco.
-Sul serio, mi sembri un po’ giù rispetto a prima. Sicura di star bene?-
-Sì, sto benissimo, grazie! È solo che… Insomma, abbiamo studiato abbastanza per oggi, potremmo fare… Beh, qualcos’altro. -
-Ottima idea!- esclamò Bruce, decisamente sollevato. Dopo che ebbero finito di mangiare (Mary riuscì a mangiarne solo metà) uscirono di casa. Nel momento in cui l’aveva visto sorridere, dal modo in cui l’aveva guardata e dal modo in cui si era interessato a lei, capì che non la trovava noiosa e nemmeno brutta, e finalmente tornò tranquilla.
-Dove possiamo andare?- chiese Mary.
-Beh, conosco un posto carino non lontano da qui; possiamo anche andarci a piedi. – Quindi si avviarono, chiacchierando pacificamente come due vecchi amici. Dopo un quarto d’ora di strada arrivarono al bar. Vi entrarono e presero una birra in due. Il locale non era molto affollato, ma c’era una radio che trasmetteva musica a tutto volume.
-Ehi, ma questo e Roy Orbison?- disse Bruce indicando la radio, riferendosi alla canzone che stava riproducendo –Mary, questa non te la puoi perdere! Devo fartela conoscere! E per conoscerla devi ballarla: secondo me non apprezzi veramente una canzone fino a quando non l’hai ballata! Dai vieni!- disse lui, sorridente, prendendola per mano e facendola alzare.
-Aspetta! Io non so ballare! Sembro un manico di scopa!- disse lei, fra il divertito e l’imbarazzato.
-Non importa! Ti aiuto io! Non pensarci troppo! Anche se sembreremo due cretini ci divertiremo!-
-Ma…- cercò di ribattere Mary.
-Dai, balla per me, e con me. –
La portò al centro della sala; nonostante non ci fossero molte persone, quelle poche stavano  guardando divertiti quei due giovani ragazzi. Mary era molto in imbarazzo, ma fece come le aveva detto Bruce, e non ci pensò troppo. Lui, sorridente, le passò una mano dietro la schiena, e con l’altra le prese la mano. Cominciarono a ballare. Mary, inizialmente molto impacciata, non faceva che guardare in basso: sia per paura di pestargli i piedi, sia per paura di incontrare il suo sguardo. Lui invece si muoveva con movimenti fluidi e disinvolti, non doveva essere la sua prima volta: era molto bravo. Dopo un po’ Mary si rilassò, e si lasciò condurre da Bruce. Con nuovo ardore si strinse un po’ di più a lui, cominciò a ballare con più disinvoltura e, finalmente, alzò gli occhi sul suo viso: era raggiante, con un sorriso da un orecchio all’altro. Anche lei sorrise, felice di essere lì con lui. Pensò alla stranezza della situazione: fino a poche ore prima non si erano mai rivolti la parola e ora ballavano insieme! Forse aveva qualcosa che lo attirava. E anche lui aveva qualcosa che la seduceva. Gli scherzi del destino.
Dopo un ultimo volteggio la canzone finì, e loro smisero di ballare: pochi minuti prima aveva sperato che la musica finisse presto per togliersi dall’imbarazzo, ma ora avrebbe continuato per ore a ballare, solo per restare stretta a lui. Rimasero così per alcuni secondi, guardandosi; erano molto vicini, Mary poteva vedere ogni particolare del suo viso: dalla barba mal rasata alle fossette sulle sue guance, da ogni ombra nei suoi occhi scuri ad ogni riccio che gli ricadeva disinvoltamente sulla fronte. Così vicina da sentire il suo profumo, un profumo dal quale era inebriata. Lui si avvicinò ancora un po’ di più, fattosi tutto a un tratto serio, ma Mary si scostò, liberandosi dalla sua stretta e, guardandolo negli occhi, ritornò al tavolo. Non sapeva perché lo aveva fatto. Forse perché si era resa conto di quanto fosse ridicola quella circostanza: solo nove ore! Si conoscevano praticamente da nove ore! Nel momento in cui lui si era fatto serio il cervello di Mary aveva ripreso a funzionare, e con esso anche la sua razionalità, che le aveva detto una sola cosa, ma quella era bastata: “Ridicola”. Ma da quando l’amore è razionale?
Bruce la raggiunse al tavolo, dove Mary stava sorseggiando la birra, con uno sguardo triste e un po’ deluso. Lei evitò i suoi occhi: forse si aspettava che cadesse ai suoi piedi con un semplice ballo? Ma doveva ammettere che era stato veramente bello… Non sapeva perché si comportava così: dentro di lei il suo cuore e il suo cervello stavano combattendo una furiosa lotta. Mary, cercando un modo per riempire quel silenzio imbarazzante e per andarsene da lì disse:
-Sono le otto. Io dovrei andare a casa. Non preoccuparti! Non serve che mi…- qui si fermò: aveva lasciato la borsa nella stanza di Bruce. Questa non ci voleva. Avrebbe dovuto tornare lì, rischiando di cedere di nuovo alla passione. –Mi è venuto in mente: ho lasciato la borsa a casa tua. Possiamo tornare a prenderla? Ci metterò un secondo. –
-Sì, certo. –
Sulla strada del ritorno parlarono molto meno rispetto all’andata: con il rifiuto di Mary qualcosa si era raffreddato.
Quando arrivarono all’entrata della camera di Bruce, lui le aprì la porta, ma non la seguì dentro. Lei entrò, prese la borsa e uscì: un secondo. Trovandosi di fronte a lui disse un debole “Ciao, grazie di tutto” che lui contraccambiò cortesemente, e fece per andarsene. Aveva appena raggiunto le scale, quando si rese conto del suo comportamento: perché si stava facendo del male da sola? Si fermò di scatto, tornò indietro correndo da lui, ancora sulla porta e lo abbracciò forte, sussurrandogli all’orecchio di nuovo, ma con più entusiasmo: -Grazie!- Quindi gli diede un lungo bacio sulla guancia. Lui era molto sorpreso, ma ora era tornato a sorridere, felice dell’affetto che quella strana ragazza gli aveva dimostrato.
-Sicura di non volere quel passaggio?-
-A dire la verità non mi dispiacerebbe. – gli rispose Mary sorridendo.
 
 
Si girò per andarsene, questa volta definitivamente, ma ora aveva Bruce assieme a lei. Era felice. Felice di avere qualcuno che le voleva bene. Felice di sapere che là fuori c’era qualcuno che la apprezzava. Quella notte Mary non dormì molto: la sua romantica mente stava già navigando nel mare di ricordi, rivivendo ogni attimo della giornata appena trascorsa, pensando già a come rimediare al danno commesso al bar.
  
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