Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: WinterRose    18/03/2013    3 recensioni
Eric, ragazzo apparentemente privo di qualità eccetto che per un corpo da urlo, e Kathrine, ragazza studiosa, matura e responsabile, si conoscono praticamente da sempre; peccato che non si sopportino a vicenda e che i rispettivi genitori vogliano che i due ragazzi si sposino. Ma le cose possono sempre cambiare giusto? Umorismo, ironia, gelosia e tanto, tanto amore.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ciao a tutte/i!

Eccomi con il terzo capitolo: <>.

Dunque voglio ringraziare tutte voi che continuate a leggere ma in modo particolare gasparella la quale è stata davvero carina a scrivere una recensione per il capitolo precedente: grazie tante cara, sono contenta di sapere che la mia storia non ti dispiaccia! :)

Allora, in questo capitolo cosa c'è da dire?

In <> abbiamo incontrato nuovi personaggi come Faith, gli amici di Eric, la signora Wood e Sean e ne abbiamo conosciuti meglio degli altri come Eric, Jessica e la stessa Kathrine.

In questo capitolo incontreremo due nuovi personaggi e assisteremo ad una sorta di “primo appuntamento” anche se mooooolto forzato e capirete perchè, ma non voglio anticiparvi nulla :)

Fatemi sapere sempre le vostre opinioni, mi raccomando.

Baci! :)

 




Dolcezza, Premura e qualcosa di inquietante

 

 

 

Have I found you, flightless bird?

Jealous, weeping, or lost you?”

(Flightless bird, Iron and Wine)

 

 

 

 

Kathrine entrò in casa Wood alle 19:00 precise. Ovviamente era arrivata più di venti minuti prima davanti al cancello, ma temeva che Faith fosse ancora in casa e non aveva alcuna voglia né di rivedere la sua faccia intelligente né di sorprendere la coppietta in atteggiamenti compromettenti; ragion per cui si era seduta sulla panchina più vicina all'ingresso della tenuta e aveva aspettato.

Tuttavia, non appena aveva messo piede nell'ingresso, la ragazza si era subito pentita della propria decisione.

<< E' questo quello che ti abbiamo insegnato tua madre ed io, Eric? Rispondi! >> tuonò dal soggiorno Anthony Wood.

Kathrine era rimasta paralizzata per i primi istanti, poi si era schiacciata contro il muro sperando con tutto il cuore che l'allegra famigliola in vena di chiacchere non la notasse.

<< Voi mi avete insegnato alcuni principi, decido poi io se seguirli o meno >>

<< E a cosa ti saresti riferendo? Alla tua nuovissima conquista che si aggira per casa almeno una volta al giorno? Ti avevo già detto che non potevi frequentarla, per motivi che già conosci >>

Il signor Wood era furioso. Era sempre stato chiaro a Kathrine che il padre di Eric fosse una persona alquanto irascibile: a Fairview fin da quando era piccola circolavano diverse voci riguardo l'adolescenza di Anthony Wood. Secondo la più accreditata di queste, in una rissa durante la festa di fine anno, il ragazzo diciottenne avrebbe mandato all'ospedale due suoi compagni all'ospedale per trauma cranico grave, rottura di un arto e incrinatura di due costole:

<< Non mi importa. Questa è la mia vita e decido io cosa farne. Voi non mi potete obbligare >>

La voce di Eric era più calma, anche se si poteva sentire quanto fosse tesa.

Silenzio.

Poi si sentì chiaramente lo schiocco della mano del signor Wood contro il viso di Eric.

Kathrine si portò una mano alla bocca, sentendosi improvvisamente gli occhi umidi:

<< Io non la sposerò. Non la sopporto. Come avete mai potuto pensare che io avrei accettato una come quella lì? Non lo farei mai, fosse l'ultima ragazza sulla terra. >>

Un altro schiaffo.

<< Tu farai quello che ti dico io >>

Kathrine ritenne di aver ascoltato abbastanza. Perciò, dopo aver preso un grande respiro, scattò verso le scale e si chiuse in camera.

Accese la luce e si posizionò davanti allo specchio, fissando la sua immagine riflessa.

Gli occhi castani erano arrossati, spauriti, come quelli di un animale in trappola di fronte al suo predatore, come quelli di chi sa già quale sia il suo destino.

Nessuno sfugge al proprio destino.

Era il titolo di una favola di un antico scrittore Greco che aveva avuto occasione di leggere quando si trovava in Inghilterra: raccontava di un povero vecchio che una volta sognò il suo unico figlio venire ucciso da un leone. Spaventato da tale visione, il padre decise di chiudere il figlio in casa e fare in modo che non vi uscisse mai. Per allietare i giorni del giovane che era costretto in quelle quattro mura, il vecchio dipinse le pareti interne di legno, raffigurando animali e piante di ogni genere. Dopo qualche tempo il figlio, ormai stanco della propria prigionia, iniziò a tirare calci e pugni sulle pareti dipinte, concentrandosi in particolare sulla figura di un leone. Una scheggia perforò la mano del ragazzo e in pochi giorni fece infezione, procurandogli febbre alta e infine la morte.

Il petto le si alzava e si abbassava velocemente. Ciononostante, non un singolo singhiozzo lo perforò.

Immaginò il bel viso di Eric tumido, ma fiero, come di chi non si vuole arrendere. Come di chi combatte.

E lei stava combattendo per la sua libertà, per i suoi diritti?

No, lei si era semplicemente arresa al corso degli eventi.

Si sarebbe dovuta arrendere prima o poi, Eric avrebbe dovuto fare altrettanto.

Si sentì una stupida.

Aveva sempre saputo, in cuor suo, come sarebbero andate le cose. Nel giro di pochi anni si sarebbe trovata affianco un marito, un marito che l'avrebbe odiata e disprezzata, che l'avrebbe, probabilmente, tradita, abbandonandola a se stessa.

Solamente, non aveva mai avuto il coraggio di affrontare l'argomento faccia a faccia. Il matrimonio doveva esserci, alle conseguenze ci avrebbe pensato dopo. Ecco, quello che aveva pensato fino ad allora.

Doveri, doveri, e doveri.

Si sentì arrabbiata.

Dove erano finiti i sogni che la spingevano ogni giorno a studiare, a comportarsi in modo corretto e responsabile?

Dov'era la ricompensa per il buono e la punizione per il cattivo?

Dov'era il vissero per sempre felici e contenti?

E' la realtà, tesoro, svegliati una buona volta, questo le avrebbe detto Jessica se fosse stata lì con lei. Era sempre stato il realismo- che a volte poteva essere considerato cinismo – della sua amica a riportarla con i piedi a terra, quando il condizionale veniva usato troppo spesso da Kathrine. Si, Kathrine era una ragazza da condizionale, con tutte quelle ipotesi, tutte quelle possibilità per il futuro immediato e non, con i suoi sogni praticamente irrealizzabili e le aspettative basate su nulla di solido e stabile. Jessica, invece, era una ragazza da presente indicativo, una ragazza che vedeva solamente i fatti per quelli che erano, oggettivamente, senza una benché minima traccia di fantasia.

Aveva 17 anni. Era una donna forte e indipendente. La prima frase, Jessica l'avrebbe accettata, perché era vero che Kathrine aveva 17 anni: la seconda, invece, l'avrebbe modificata, perché Kathrine sperava di essere una donna forte e indipendente, voleva essere una donna forte e indipendente, ma tutto ciò non implicava che in effetti lei lo fosse realmente. La seconda frase era una frase da condizionale, qualcosa del tipo “avrebbe voluto essere una donna forte”. Era una frase da Kathrine. Ma Jessica non c'era e il condizionale vinse la prima battaglia dopo tanto tempo.

Combatti, Kathrine. Combatti per i tuoi sogni.

E lo avrebbe fatto. E se fosse dovuta soccombere, be', non avrebbe avuto il rimorso di non averci provato. Sì, avrebbe combattuto con la forza di una leonessa che lotta fino allo stremo per difendere i proprio cuccioli. Perché lei era Kathrine Marie Bennet, e nessuno aveva il diritto di imporle qualcosa che le avrebbe rovinato il resto della vita; sebbene non disponesse di alcuna ricchezza aveva il suo nome, i suoi antenati che le ricordavano chi fosse e le davano la forza necessaria per tirare avanti.

E si sentì vincitrice.

I grandi occhi castani riflessi nello specchio le sorrisero con aria di sfida.

E guerra sia.

 

 

 

La seconda cena a casa Wood fu tremendamente e insopportabilmente silenziosa. Kathrine non seppe se attribuire ciò alla litigata fra gli uomini di famiglia o semplicemente alla presenza del padre di Eric.

Il signor Wood era molto simile al figlio. Gli occhi grigi erano la fotocopia di quelli di Eric e si poteva dire lo stesso anche dei lineamenti del volto; solamente il colore scuro dei capelli, ormai brizzolati, e il naso aquilino lo differenziavano dal figlio.

Di conseguenza, il naso e il colore dei capelli di Eric erano tratti che quest'ultimo aveva ereditato dalla madre.

Kathrine aveva sempre ritenuto che Diane Wood avesse un bel viso, con due occhi verdi luminosi e un sorriso amichevole. Peccato che fosse bassina e piuttosto in carne, che avesse le orecchie a sventola e che si vestisse in modo assai poco sobrio per una signora della sua età, con fronzoli, pizzi e colori sgargianti dei quali bisognava fare assolutamente a meno.

<< Kathrine >> Una voce dall'altra parte del tavolo la richiamò. La ragazza, in un primo momento, si stupì per due motivi: il primo stava nel fatto che quella voce appartenesse ad Eric, ovvero l'ultima persona che le avrebbe rivolto la parola se non fosse stato strettamente necessario. Il secondo, invece, che l'avesse chiamata per nome.

Dopo un primo attimo di indecisione, Kathrine alzò il capo per guardare il giovane negli occhi:

<< Sì, Eric? >> La voce le tremò appena.

<< Mi domandavo se domani ti facesse piacere andare a fare una passeggiata nel parco di Yonville. Dicono che sia un bel posto per camminare >>

La ragazza si sentì subito a disagio. Lei ed Eric da soli per una giornata intera in un luogo poco frequentato? Molto probabilmente uno dei due non ne sarebbe uscito vivo. Forse sarebbe stato lui, alla fine, ad avere la meglio, esclusivamente per il fatto che Kathrine non era mai stata particolarmente portata per l'attività fisica: c'era la propria incolumità- se non fisica perlomeno psichica e morale- in gioco quindi si disse che avrebbe dovuto scegliere con molta attenzione e lucidità. Avrebbe potuto benissimo declinare l'invito dando la colpa ad un finto mal di testa o informandolo del fatto che aveva già un impegno. Insomma, le solite vecchie scuse che adoperava quando non aveva voglia di fare qualcosa.

Ma Kathrine indugiò un attimo.

Forse perché i signori Wood la fissavano con insistenza, forse perché quella era l'occasione giusta per informare Eric riguardo la decisione appena presa, forse perché le creava uno squarcio nel petto la vista del viso del ragazzo martoriato, o forse semplicemente perché quando guardava quelle due pozze grige che erano i suoi occhi perdeva ogni controllo di sé:

<< Certo che mi farebbe piacere, Eric >>

Un lieve sorriso increspò le labbra del ragazzo.

 

 

 

La mattina successiva Kathrine si svegliò assai presto. Il quadrante luminoso della radiosveglia posta sul comodino segnava le 5:48 del mattino. La ragazza provò a riprendere sonno, stendendosi prima supina e poi girandosi nuovamente su un fianco.

Niente da fare.

Con uno sbuffo si tirò su a sedere sul letto, poggiando i piedi nudi sul parquet. Aspettò diversi minuti, e solo quando fu sveglia del tutto si alzò. Aprì le persiane della finestra per fare un po' di luce e controllò il suo cellulare.

Né un messaggio né una chiamata persa.

Ma, d'altronde, chi avrebbe potuto contattarla durante la notte?

Si diede della sciocca.

La consapevolezza che quello stesso giorno sarebbe uscita con Eric la scosse più del dovuto e rimase indecisa sul da farsi per un breve lasso di tempo.

Poi si avvicinò alla scrivania cercando qualcosa con cui scrivere e qualcosa su cui scrivere. Dovette accontentarsi di un pennarello azzurro quasi secco e un volantino che pubblicizzava una fiera che si teneva in città annualmente.

 

In questi giorni, Eric, ho avuto modo di riflettere riguardo a come andranno le cose negli anni a venire.

 

Troppo formale.

Kathrine tirò una riga sulla frase appena scritta.

 

E' ormai chiaro che tu non voglia sposare me e che io non voglia sposare te.

 

Aggiungici anche “perché sei insopportabilmente arrogante e privo di buone maniere”.

Altra riga.

 

 

Sappiamo entrambi come stanno le cose, e penso che sia giunto il momento di prendere la cosa più seriamente e affrontarla insieme, per il bene comune.

 

No, no, no! Ma cos'è un discorso sulla pace mondiale?!

 

Kathrine spazientita accartocciò il foglio tra le mani e lo gettò lontano in un angolo remoto della stanza.

Ma perché era così difficile?

Gettò uno sguardo veloce alla sveglia. Erano appena passate le sei e un quarto del mattino.

Le sei e un quarto.

Questo significava che in Inghilterra erano le nove e un quarto passate. Afferrò la cornetta del telefono fisso di camera di Eric e digitò il numero di Jessica. Certamente a quell'ora nessuno dei Wood avrebbe potuto avere da ridire se avesse monopolizzato il telefono per una mezz'oretta.

<< Pronto? >> la voce di Jessica risuonò gracchiante dall'altra parte del telefono.

<< Jess, ti ho svegliata? >>

<< Oh no carissima, figurati. Ero giusto qui a prendere una tazza di te insieme ai miei peluche Mr Dolce Orsacchiotto e Mrs Paperella Morbide Piume. Ma Kath! Cosa vuoi che stia facendo la mattina presto durante le vacanze estive?! >>

<< Innanzitutto da te sono le nove e mezza del mattino e...>>

<< Le nove e venticinque, non cambiamo le carte in tavola! >>

<< Non mi sembra comunque che sia così tardi! >> sbottò Kathrine lasciandosi sprofondare trai cuscini.

<< Tu e i tuoi orari da pazza! >>

La ragazza capì che giunti a quel punto, la cosa migliore sarebbe stata ignorare le provocazioni dell'amica e lasciarla cuocere nel proprio brodo:

<< Si, Jess. Mi dispiace di averti svegliata ci sentiamo più tardi >>

<< Eh no! Ormai sono sveglia e voglio sen... >>

Kathrine attaccò il telefono.

Ora ci mancava solo Jessica. Conoscendola da due anni, sapeva che quegli sbalzi d'umore, quelle reazioni un po' esagerate erano abbastanza frequenti, erano da Jess.

Eppure unita al contesto generale- i Wood, Eric, i suoi genitori assenti- quella piccola litigata le pesò molto, facendole apparire tutto un po' più nero.

Un'ora precisa dopo, era pronta.

Si diresse in cucina per fare colazione, ma con suo grande stupore vi trovò Eric, intento a scrutare qualcosa al di fuori della finestra.

 

 

 

 

Portava una camicia chiara, fuori dai pantaloni. I jeans che indossava erano leggermente scoloriti, ma indosso a lui sembravano nuovi di zecca.

Sua madre le aveva sempre detto che non importava cosa si indossasse, ma come si indossasse il capo in questione. C'erano persone ricchissime che si ostinavano a portare abiti firmati, il cui prezzo poteva superare il costo di una macchina nuova, ma che non avevano classe, e che, dunque, ogni volta che apparivano in pubblico sembravano degli elefanti che si cimentavano in un balletto di danza classica. C'erano persone, invece, che anche con uno straccio addosso sembravano degli aristocratici alla corte della buona Elisabetta I. Questione di classe, insomma.

E di classe, Eric ne aveva da vendere.

Per un attimo Kathrine rimase ferma sulla soglia della stanza, poi si mosse in direzione del frigorifero:

<< Buongiorno, Eric >> Cercò di essere il più cordiale possibile.

<< Finalmente, Bennet. Siamo in ritardo. Ero sul punto di fare irruzione in camera tua, o meglio, in camera mia, pronto a … >> fece un pausa come a trovare la parola giusta << … sopportare qualsiasi visione, anche poco gradevole, che mi si sarebbe presentata davanti, pur di venirti a prendere >>

<< Oh, ma che galantuomo >> Commentò Kathrine con una punta di sarcasmo.

Eric distolse lo sguardo dal giardino e si girò verso la ragazza che lo attendeva con le braccia conserte. Kathrine notò che il lato sinistro del viso del ragazzo era leggermente meno arrossato del giorno prima. Si sentì il cuore stringersi, e una strana sensazione le pervase il petto.

Quasi dolcezza.

<< Andiamo >> Non era affatto una domanda, perché Kathrine si sentì afferrare per un braccio e trascinare verso l'uscita.

<< Io veramente dovrei fare colazione... >>

<< Non è un problema mio. Dovevi scendere prima >>

Kathrine non disse nulla per evitare di far precipitare la situazione; si fece, perciò, trascinare docilmente con la testa bassa, al fine di non inciampare e cadere rovinosamente a terra.

Il giovane, non sentendo alcun commento acido o insulto nei suoi confronti, la osservò con la coda dell'occhio; così, con gli occhi abbassati e i capelli castani che le coprivano parzialmente il viso, gli provocò uno strano effetto.

Quasi dolcezza.

<< Ti offrirò qualcosa direttamente al parco >>

Kathrine incrociò lo sguardo con quello di Eric e gli rivolse un timido sorriso. Quest'ultimo rimase a fissarla instupidito per qualche secondo per poi distogliere lo sguardo velocemente e borbottare qualcosa di incomprensibile.

 

 

Era ormai una mezz'oretta che viaggiavano e nessuno dei due aveva aperto bocca. Eric si limitava a stringere le nocche sul volante e a guardare fisso davanti a sé: Kathrine, dal canto suo, osservava il paesaggio scorrere e cambiare velocemente dal finestrino del passeggero: la periferia della città, con una sfilza di ville che scomparivano una dietro l'altra, aveva fatto spazio prima all'autostrada e poi ad un piccola strada in mezzo ad una foresta. Eric aveva decelerato parecchio rispetto a qualche minuto prima poiché le strada era maltenuta e con molti tornanti e curve strette.

Kathrine sapeva che Yonville non era che ad una cinquantina di chilometri da Fairview e che, quindi, mancava molto poco all'arrivo. Ciononostante, per sciogliere la tensione che si era creata nell'abitacolo della macchina, decise di chiedere informazioni più dettagliate:

<< Quanto manca? >>

Pronunciando quelle parole si sentì di nuovo bambina, quando, nei lunghi viaggi in macchina con i suoi genitori, li assillava di continuo riguardo l'ora di arrivo.

<< Qualche minuto. Non essere impaziente, Bennet >>

Le lanciò una rapida occhiata per poi posare nuovamente lo sguardo sulla strada:

<< Penso che sentirai freddo solo con quella addosso >> le disse alludendo al camicetta azzurra a maniche corte che aveva deciso di indossare quella mattina. Kathrine rimase sorpresa da quella domanda perché poteva essere interpretata, come dire, come un atto di premura:

<< Non ti preoccupare, nella borsa ho un giacca >>

L'auto, ovvero una porche grigio-metallizzata nuova di zecca, entrò in uno spiazzo di ghiaia nel quale erano parcheggiate già un paio di macchine. Il motore si spense ed entrambi uscirono dal veicolo. Kathrine concesse uno sguardo al cielo azzurro e limpido: in Inghilterra era quasi impossibile trovare una giornata simile persino d'estate:

<< Che bella giornata! >>

Eric, che si trovava qualche metro più avanti, non espresse alcun commento riguardo al tempo; si limitò con un cenno di capo a indicare la strada, ovvero un sentiero di terra battuta che si addentrava nella foresta.

La ragazza, allora, lo raggiunse velocemente.

Nuovamente scese il silenzio tra i due. Kathrine era immersa nei suoi pensieri, tentando di organizzare un discorso di senso compiuto che potesse catturare almeno l'attenzione del compagno; Eric, invece, pensieroso anche lui, avanzava a passo veloce con le mani nelle tasche del jeans e la testa alta:

<< Eric? >> La ragazza decise che quello era il momento giusto per la sua arringa.

Il ragazzo si voltò appena verso di lei, in attesa:

<situazione e penso che dovremmo affrontarla insieme. Ora, sappiamo entrambi cosa si aspettano i nostri genitori da noi, ma sono fermamente convinta del fatto che non sia giusto. Per quanto tu sia un ragazzo... >> cercò di tirar fuori almeno un lato positivo di Eric senza dover raccontare frottole << un ragazzo... ambito, ecco, non penso che io te siamo compatibili e ritengo che sia un nostro diritto quello di passare la vita con una persona che ci renda felici. Da quel che so e da quel che ho capito, io non potrei mai rendere felice te, come tu non potresti mai rendere felice me>> e qui prese un gran respiro, facendo una pausa per assicurarsi che il suo interlocutore avesse assimilato ogni singola parola del suo discorso << Quindi, ti propongo una sorta di >> alleanza? << patto di non aggressione. Se uniamo le nostre forze potremmo riuscire a far cambiare idea ai nostri genitori e a risolvere questa faccenda una volta per tutte senza grossi danni >>.

Kathrine, terminato il discorso, si volse dalla parte di Eric per registrare la sua reazione. Il ragazzo la guardò intensamente, poi contrasse il viso in una smorfia e infine scoppiò in una sonora risata:

<< E cos'era quello, Bennet, un discorso per una campagna elettorale? >>

Un altro aspetto caratteriale di Kathrine era la permalosità: si scaldava per qualsiasi cosa, anche per una semplice allusione. Potete ben capire come reagì quando sentì uno stupido ragazzino biondo, neanche criticare, ma deridere un discorso su cui aveva lavorato dalle sei di quella mattina:

<< Ah e allora cosa proporresti di fare, mister mi-prendo-gioco-del-lavoro-altrui? >>

Eric rise ancora più forte, esclamando tra una risata e l'altra:

<< Ma che cazzo dici? >>

<< Sforzati, almeno, di usare un linguaggio adeguato di fronte ad una signorina! >>

Rispose indignata Kathrine.

<< “Un linguaggio adeguato di fronte ad una signorina” >> disse facendole il verso.

Mentre Kathrine sembrava un bollitore in piena attività e Eric si sbellicava dalle risate, si avvicinò ai due ragazzi una donna dall'espressione corrucciata che aveva superato la trentina, mora e abbastanza magra, con un paio di occhiali da vista dalle lenti molto spesse e una gonna a fiori che le arrivava alle caviglie. Teneva per mano una bambina assai graziosa, con la pelle diafana e lunghi capelli neri che le arrivavano alla vita:

<< Scusate se vi interrompo, ma c'è stata un'emergenza in ospedale e devo essere lì il prima possibile. Non posso portare Vicky con me, posso affidarla a voi fino all'ora di pranzo? >>

Kathrine si meravigliò del fatto che una madre, perché in effetti ora che la donna e la bambina erano più vicine poteva riscontrare una certa somiglianza tra le due, abbandonasse sua figlia in mano di due sconosciuti che potevano benissimo essere due maniaci, per giunta poco educati (o almeno per quanto riguardava Eric).

Rimase perciò interdetta, indecisa sul da farsi. Cercò lo sguardo di Eric per avere un segno o qualcosa che comunque le rivelasse in che modo agire.

Lo sguardo di Eric, per l'appunto, vagava inorridito tra la bambina e la donna, indugiando sulla gonna e le scarpe di quest'ultima, ovvero dei sandali in cuoio assai malandati.

Oh be', se è così.

<< Certo signora, non si preoccupi: ci occuperemo noi di Vicky. Posso avere un suo recapito telefonico, sa, per sicurezza? >>

Eric, si girò di scatto verso Kathrine cercando di incrociare i suoi occhi per fulminarla. La ragazza finse di non accorgersene e continuò a guardare in direzione della donna con un sorriso a trentadue denti. Il volto della signora si distese un pochino, accennando un sorriso.

<< Grazie infinite, siete molto gentili. Vicky sa a memoria il mio numero di cellulare, ve lo dirà lei. E' una bambina tranquilla non vi darà problemi >>

Detto questo, la donna si piegò sulle ginocchia per arrivare alla stessa altezza della figlia e guardarla diritta negli occhi:

<< Vicky, tesoro, la mamma deve andare in ospedale perché una persona si è sentita molto male. Nel frattempo starai con degli amici che ti faranno compagnia >>

La piccola si portò la mano chiusa in un pugno alla bocca e con i suoi grandi occhioni azzurri guardò la madre perplessa:

<< Tornerò presto, amore, non ti preoccupare. Mi raccomando sii buona con questi miei due amici. La mamma ti vuole bene >>

Dopodiché schioccò un bacio sonoro sulla fronte della figlia e si allontanò a passo svelto.

<< Ciao mamma >> sussurrò la bambina con ancora il pugnetto premuto sulla bocca.

 

 

 

Erano tutti e tre seduti sul prato. Eric sedeva a gambe incrociate infastidito: l'unica sua occupazione, in quel momento, era quella di prendersela con dei poveri ciuffi d'erba che venivano strappati, osservati e trituzzati prima di essere rimpiazzati da altri fili d'erba che subivano la stessa operazione.

La piccola Vicky, che non aveva aperto bocca da quando sua madre se ne era andata, giocava con i lacci delle sue scarpette incurante dei due ragazzi.

Kathrine si abbracciava le ginocchia posandovi sopra il mento e osservando i passanti che attraversavano il parco.

Erano appena le nove e la giornata si prospettava ancora lunga: iniziò a riflettere su cosa potessero fare per far passare le ore più velocemente e piacevolmente.

Tanto valeva iniziare a conoscersi meglio.

<< Ehi Vicky, non mi sono ancora presentata. Io sono Kathrine e lui >> e indicò col dito il ragazzo biondo << è Eric >>

La piccola la fissò per un istante, per poi riportare lo sguardo sulle scarpe:

<< Un mio compagno di scuola si chiama Eric >>

Sentitosi chiamare per la seconda volta, l'interessato alzò lo sguardo sulla bambina e le chiese con finta gentilezza:

<< E questo Eric è il tuo fidanzato? >>

Kathrine lo guardò in cagnesco.

<< No >> rispose Vicky senza distogliere lo sguardo << lui è brutto e cattivo con me. Mi prende in giro perché non ho il papà >>

Eric sussultò e Kathrine, quando incrociò il suo sguardo, gli mimò un applauso.

La ragazza si sentì in dovere di dire qualcosa per rimediare la situazione:

<< E' normalissimo; cioè i maschi sono insensibili a tutte le età, ma particolarmente quando sono piccoli. Ecco, guarda lui >> disse con disinvoltura facendo un cenno di capo verso Eric << ecco; tu pensa che ci conosciamo da quando eravamo piccolini e mi chiama ancora per cognome per farmi innervosire! >> Eric, indispettito fece per controbattere, ma bastò un'occhiata della ragazza a sigillargli la bocca. << E lui ha quasi diciannove anni; figurati un bambino che ne ha... Quanti anni ha questo tuo compagno? >>

<< Otto >>

<< Dicevo, un bambino che ne ha otto di anni! Non ti preoccupare, quando crescerà andrà meglio >>

Vicky parve rasserenata e Kathrine tirò un sospiro di sollievo.

Proprio in quel momento, l'attenzione della ragazza fu catturata da un venditore ambulante che percorreva il viottolo principale del parco:

<< Aspettate un attimo >>

Si alzò di scatto e, dopo aver afferrato la borsa, corse in direzione dell'anziano signore.

Quando tornò con il fiato corto, Kathrine recava in mano un pallone leggero color giallo canarino:

<< Ehi, Vicky, ti va di giocare a palla? >>

La bambina parve inizialmente un po' indecisa sul da farsi, poi, finalmente, si convinse annuendole.

La ragazza aiutò la piccolina ad alzarsi ed entrambe si incamminarono verso l'ombra di una quercia non lontana da dove si erano sedute.

Dopo un paio di passi però, Kathrine si girò verso Eric e gli chiese gentilmente se volesse partecipare:

<< No grazie, Bennet >> Rispose calcando in maniera eccessiva sul cognome della ragazza.

Quest'ultima scoppiò a ridere:

<< Su, non ti impermalosire . Ci divertiremo, vieni anche tu >>

Il ragazzo scosse la testa e Kathrine rinunciò definitivamente all'impresa.

 

 

 

 

La Bennet sembrava divertirsi. Come faceva, Eric, ancora non l'aveva capito. Cosa ci trovava di così esilarante nel passare una palla ad una bimbetta che la maggior parte delle volte non riusciva neanche a prenderla? Eppure sembrava che si divertisse davvero. Aveva sempre il sorriso sulle labbra e alcune volte si avvicinava a Vicky per insegnarle a lanciare la palla più lontano: quando l'insegnamento dava qualche frutto batteva le mani e rideva. Anche la bimbetta sembrava divertirsi. Quando l'aveva vista gli aveva dato l'impressione, con quella pelle bianchissima, i capelli corvini e il mutismo ostinato, che fosse posseduta da qualche demone o comunque da qualcosa riconducibile a The Ring.

Ora, invece, rideva. Ora, invece, sembrava una qualche creatura angelica scesa dal cielo per riportare la felicità sulla terra.

Estrasse un pacchetto di sigarette dalla tasca del suo giubbotto e se ne accese una con un accendino che Faith gli aveva regalato da poco. Portò la sigaretta alle labbra e dopo aver inspirato si sentì subito meglio. Ringraziò l'esistenza del tabacco e quel genio che aveva ideato le sigarette. Portò nuovamente lo sguardo sulla sua quasi coetanea.

La Bennet lo era ancora di più, se possibile; ogni tanto, quando usciva dall'ombra della quercia sotto la quale aveva posto il suo campo d'insegnamento, per prendere la palla atterrata troppo in là, il sole le illuminava i capelli; li accendeva, cambiando il loro colore, rendendoli più caldi; il moto aveva dato colorito al viso ma in particolar modo alle guance, ora arrossate. Era troppo lontano per catturare il suo sguardo, ma immaginava benissimo come fossero i suoi grandi occhi color cioccolato; ridenti, spalancati, di nuovo ridenti forse. E, in più a tutto questo, era avvolta da un aura di... di... di bontà che lo spiazzava, lo abbagliava.

Troppo forte, esagerata.

E... no, no, no, si stava avvicinando con la bambina per mano. Una spia nel suo cervello iniziò a lampeggiare e a mandare il segnale “Attenzione! Pericolo in avvicinamento a ore 12!”

Prese un'altra boccata di fumo fingendo indifferenza.

 

 

 

Kathrine si avvicinò a Eric con Vicky che le stringeva la mano. Quella bambina era formidabile; era così dolce e così graziosa che la ragazza, non appena la piccola si era lasciata un po' andare, non aveva potuto fare altro che provare un'immensa tenerezza nei suoi confronti. L'unico dettaglio che stonava in quell'idillio quasi perfetto era il biondino che si teneva in disparte e, da poco, fumava in silenzio la sua salutare sigaretta mattutina:

<< Sono sicura di non essere la prima a dirtelo, ma fumare non fa certo bene alla salute >> Disse fermandosi a un metro da lui:

<< Ti do ragione su entrambe le cose, Bennet, ma non sarai certo tu a farmi smettere >>

Kathrine sbuffò:

<< Ho capito, ma è una bella giornata, siamo all'aria aperta (occasione per disintossicarti da tutto quello smog che avvolge la città) e per giunta sei in presenza di una bambina >>

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, si alzò di colpo e spense la sigaretta schiacciandola col tacco della scarpa:

<< Contenta? >>

Guardò la ragazza con fare saccente. Kathrine, da parte sua, si limitò a sospirare rumorosamente e chinarsi a terra per raccogliere la sigaretta di Eric; non si lamentò, non aggiunse altro perché sapeva benissimo che sarebbe stato utile soltanto a dare il via ad un'altra delle loro litigate.

<< Kathrine >> disse dolcemente Vicky attirando la sua attenzione.

<< Si? >>

La piccola tirò la camicia della ragazza e si alzò in punta di piedi per cercare di raggiungere il suo orecchio; Kathrine, allora, si piegò appoggiando le mani sulle ginocchia. La bambina le sussurrò qualcosa che Eric non riuscì a capire.

La ragazza si raddrizzò all'improvviso e scosse violentemente la testa, arrossendo come un pomodoro:

<< No, Vicky, no! Ma cosa vai a pensare! >>

La bimba cercò di controbattere:

<< Ma... >>

<< Ho detto di no! E adesso andiamo a giocare a palla! >>

Si girò di scatto e si diresse a grandi falcate verso l'ombra della quercia. Ma Vicky non la seguì.

Restò immobile di fronte ad Eric, osservandolo con il capo piegato verso destra. Quella bambina era veramente inquietante: un attimo prima rideva e scherzava, un attimo dopo tornava ad assumere le sembianze di Tamara. Il ragazzo si sentì a disagio:

<< Ehm... Andiamo allora? >>

La bambina non diede affatto l'impressione di volersi muovere.

Poi disse una cosa che Eric capì ancora meno di quel suo fissare con insistenza:

<< Ti ho visto, sai? >>

Un attimo dopo correva tra le braccia della Bennet.

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: WinterRose