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Autore: mamogirl    22/03/2013    1 recensioni
{Seguito di Love Story}
Natale, un periodo da trascorrere insieme a chi si ama e alla propria famiglia. Perchè una famiglia lo è anche se disfunzionale, anche se i rapporti con il proprio padre funzionano tramite assegni e soldi o se di un padre non si è mai vista l'ombra.
E così erano le famiglie di Brian e Nick. Ed è così che riuscirono a farle diventare un'unica famiglia.
La loro.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Brian Littrell, Nick Carter
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love Story'
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Have Yourself A Merry Little Christmas

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Central Park innevato era uno spettacolo che non perdeva mai la sua magia. Fra i sentieri bianchi, bambini di tutte le età si rincorrevano, lanciandosi palle di neve e riempiendo l’aria di strilli e risate; mamme intraprendenti si inerpicavano sul ghiaccio spingendo le carrozzine e chiacchierando con le amiche; coppiette camminavano sotto braccio, fermandosi di tanto in tanto per scambiarsi un bacio infreddolito e addolcendo un’aria già festiva di per sé. Anche Brian e Nick stavano passeggiando nel parco, mano nella mano mentre nell’altra si scaldavano con una tazza di caffè. Nell’aria c’era profumo di neve, sarebbe stato un altro Natale da cartolina ma, almeno per quel giorno, un timido e pallido sole cercava di riscaldare e di farsi notare in un insolito cielo completamente terso.
Quella mattina, appena svegliatosi, Nick non si era stupito nel constatare l’assenza di Brian nell’altro lato del letto. E nemmeno di averlo trovato addormentato sul divano, raggomitolato in una posizione che faceva urlare la sua schiena al solo vederla, e il file di suo padre stretto attorno alle dita, come se avesse avuto paura che potesse scomparire se solo avesse chiuso gli occhi. Nick non lo aveva svegliato, anche perché lui stesso era in ritardo per il lavoro e quel giorno non poteva per nessun motivo rimanere a casa, ma gli aveva lasciato un bigliettino e sistemato meglio la coperta attorno alle spalle. Si era chiuso la porta alle spalle e aveva corso verso la metro, sperando di riuscire a prendere al volo un treno invece che dover aspettare.
Durante la mattinata, Brian non s’era fatto sentire e neanche questo aveva sorpreso Nick, perché sapeva come ragionava e funzionava il ragazzo: rimuginava e rimuginava fino a quando non credeva di aver raggiunto una sorte di decisione e solo a quel punto veniva da lui, esponendogli le sue elaborazioni e cercando di sciogliere gli ultimi dubbi. Quasi raramente gli chiedeva un consiglio ma questo perché Brian aveva un’idea tutta sua su quel campo. “A volte, quando una persona chiede un consiglio, non vuole sentirsi dire parole o frasi. A volte, ha solamente bisogno di una spalla a cui appoggiarsi per qualche minuto e qualcuno disposto ad ascoltarlo.”
Nick amava essere quella persona per Brian così aveva imparato a mettere da parte l’impazienza e il desiderio di rimettere il sorriso su quel volto e aspettare che lui fosse pronto a confidarsi. Ecco perché non aveva dimostrato sorpresa nel trovarlo fuori dal museo, lì davanti all’entrata di Central Park ad aspettare che lui terminasse di lavorare.
Si erano avviati così nel parco in silenzio, l’uno assorto nella compagnia dell’altro mentre sorseggiavano il proprio caffè. Il caldo della bevanda era un piacevole contrasto con l’aria fredda che rendeva rossi i loro visi e lucidi gli occhi.
C’era tanto che Brian avrebbe voluto dire in quel momento. Pensieri, informazioni e dubbi sfrecciavano veloci senza che lui riuscisse a fermarli ed era stato così sin dalla mattina, sin da quando si era svegliato e si era ritrovato con quel file fra le mani, realizzando che non era stato dunque solamente un sogno. Eppure, ora che aveva un nome, una foto ed un indirizzo, non aveva idea di che cosa fare. Come poteva anche solo scrivere ad uno sconosciuto e dirgli che era suo figlio? E se quello che c’era scritto lì su quel foglio fosse vero, non aveva nemmeno più diritto di provare rabbia e rancore verso quell’uomo.
Ecco perché si sentiva svuotato ed estremamente confuso. In parte, era merito barra colpa di Nick. Fino al suo arrivo, non aveva mai desiderato molto per la sua vita: si sarebbe laureato, più che altro come omaggio a sua madre che lo aveva sempre spinto verso quel traguardo, ed avrebbe continuato a lavorare alla caffetteria. Pensava che quella fosse la sua vita, la sua strada, fino a quando essa si era incrociata con quella di Nick. Vederlo sempre alla ricerca di una nuova sfida, vederlo così agognante di librare le sue ali e volare sempre più in alto aveva risvegliato qualcosa dentro di lui, un ugual desiderio che però aveva soppresso per paura e timore di dimenticare l’unico luogo che gli aveva dato un’identità.
Voleva anche lui librarsi, voleva anche lui volare perché sapeva che il suo volo non sarebbe stato solitario.
Ma non sapeva in che direzione.
“Ho incontrato il mio relatore oggi.”
Nick voltò il viso sorpreso. Non era quello che si aspettava di sentire da Brian. “Oh. Non mi avevi detto che dovevi incontrarlo.”
“Con tutto quello che è successo in questi giorni, stentavo anch’io a ricordarlo.”
“Che cosa vi siete detti?”
“Abbiamo discusso un po’, specialmente di che cosa fare dopo quest’anno. Con la media e i crediti, c’è una buona possibilità che mi diano la borsa di studio anche per la specializzazione.”
“Wow. E’ fantastico!”
“Sì, lo è. – Rispose Brian, in parte contagiato da quell’entusiasmo che vibrava nella voce di Nick. – Se solo sapessi quale fare. O che cosa fare.”
“Che cosa ti piacerebbe fare? A parte stare con me e scrivere romantiche canzoni d’amore sulla nostra storia.”
Brian si lasciò sfuggire una risata, lasciando uscire un velo di dubbio e tensione. Era così facile aprirsi con Nick, lo era stato sin dal primo momento che si erano incontrati ed avevano incominciato a conoscersi. Forse era perché Nick sapeva dargli i giusti spazi senza spingerlo a tirar fuori ciò che lo turbava; forse era perché non lo riempiva di domande o dava consigli solamente per il gusto di darli o, forse, era la combinazione di entrambi.
“Sai che non smetterò mai di farlo. – Ribattè Brian, allacciando il braccio sotto quello di Nick. – Anzi, scriverò una canzone anche su quella volta che abbiamo litigato per l’ultimo pancake.”
“Oh, sarebbe un successo planetario.”
“Lo pensavo anch’io.” Asserì Brian, annuendo con un sorriso.
Brian e Nick si scambiarono uno sguardo prima di scoppiare a ridere. “Sul serio, che cosa ti piacerebbe fare?
“Oh, non lo so, sai? Quando mi sono iscritto, era più perché questo era stato il nostro sogno. Entrare alla NYU, entrarci con una borsa di studio, avevamo lavorato per arrivare fino a lì e non mi sembrava giusto abbandonare tutto solo perché lei era morta. E quindi non mi sono mai chiesto che cosa avrei fatto una volta finito perché... ho il locale, avrei continuato a gestirlo e... avrei continuato a cantare. Scrivere. Suonare. Nick, la musica per me è ciò che disegnare è per te. E’ il mio rifugio, è quel luogo in cui so di poter affidare tutti i miei segreti e trovare un modo per raccontarli all’esterno. E’ ciò che mi ha letteralmente tenuto in vita fino a quando non ti ho incontrato.”
“Lo so. Lo vedo quando canti. Esattamente come me, ti isoli, anche se fisicamente sei nella stessa stanza, con la mente e l’anima sei ovunque essa ti porta. E’ bellissimo vederti cantare.”
Si fermarono di fronte al laghetto ormai ghiacciato, le cui rive erano prese in ostaggio da famiglie, coppiette o semplici gruppi di amici che vi camminavano attorno. “Lui... lui è un insegnante di musica. In un conservatorio di Parigi. Era un pianista, ha fatto qualche concerto ma poi ha preferito la carriera accademica.”
Non c’era bisogno che Brian dicesse quel nome, sapevano entrambi molto bene chi fosse quel lui e Nick tirò un sospiro di sollievo per il fatto che finalmente ne stava parlando. Finalmente ne stavano parlando. Così lo lasciò continuare, stringendo solo appena il braccio attorno al suo.
“Non sa di me. Non sa che esisto.”
Quella confessione lasciò spiazzato Nick. “Che cosa? Ma... le lettere?”
“Non le ha mai ricevute. Come poteva? Si è trasferito a Parigi a settembre, nemmeno un mese dopo che era arrivato a Londra. La lettera in cui mia madre gli diceva di essere incinta è stata spedita ad ottobre.”
“E’ partito senza dirle niente? Perché?”
Brian scrollò le spalle. “Ho sempre creduto che... sarà sciocco, sarà ancora infantile, ma credevo che fossero davvero innamorati. Il fatto che mia madre non avesse cercato nessuno dopo di lui mi faceva credere che fosse ancora così legata a mio padre da nemmeno pensare di sostituirlo. Ma... e se non fosse così? Se fosse stata solamente una cotta estiva?”
“Bri...”
“No, lo so. – Mormorò lui, passando una mano sugli occhi per cancellare una lacrima. – E’ sciocco, vedo tuo padre e anche se so che con tua madre non era vero amore, l’amerà sempre perché gli ha dato te.”
“E’ strano, però. Brian, le ho lette anch’io quelle lettere. Non erano scritte da qualcuno che pensava di essere innamorata. Da quelle parole, si percepiva che era qualcosa che andava ben oltre ad una banale cotta.”
“Non pensi che sia pazzo, quindi, a pensare che ci sia qualcosa sotto?”
“Siamo pazzi in due, allora.”
Un sorriso apparve sul volto di Brian. “Questa non è una novità.”
“Già. E’ per questo che ci siamo trovati.”
Brian rimase in silenzio per qualche secondo, supposizioni e pensieri che ribollivano dentro la sua mente come se questa fosse un’enorme calderone che aspettava solo di essere mescolato e mischiato con un mestolo. Gli sembrava di essere finito in uno di quei romanzi rosa che ogni tanto sua madre aveva letto, trame di tormentati amori che dopo mille peripezie riuscivano ad ottenere il loro agognato lieto fine.
“Ma perché? Per quale motivo mio... per quale motivo lui si è sentito in dovere di mettere più di un oceano fra di loro?”
“Sai che c’è solo un modo.” Gli consigliò Nick dolcemente.
“Lo so. Scrivergli. – Rispose Brian. – Ma non so come iniziare. Buongiorno, forse le sembrerà strano ma io sono suo figlio? Non mi risponderà mai!” Terminò poi, sottolineando quella sua frustrazione prendendo a calci l’unico sasso che ritagliava nel bianco.
“Non lo saprai mai se non gli scrivi.”
“In fondo, non ho bisogno di un padre. – Mormorò Brian dopo qualche secondo. – Non lo sto cercando perché sento il bisogno di avere qualcuno che mi segui e che mi cresca. Come potrebbe? Siamo due sconosciuti e tutto ciò che doveva essermi insegnato, beh, lo ha fatto mia madre. Lui... lui è solamente un pezzo della mia vita che vorrei conoscere.”
“Ricordi che cosa mi hai detto?” Gli domandò Nick.
“Ti ho detto tante cose.”
“E’ vero. – Nick sorrise. – Con mio padre, intendo. Mi hai detto di non farmi sfuggire quest’opportunità perché un giorno avrei potuto pentirmene. Quindi, ti restituisco il consiglio: non farti scappare questa possibilità. Potrà finire in un buco nell’acqua, potrà non risponderti ma potrebbe anche farlo. Non lo saprai mai se non ci provi.”
Nel silenzio che seguì quelle parole, Brian fermò entrambi all’improvviso e si mise davanti a Nick; alzandosi lievemente in punta di piedi, sfiorò le labbra del ragazzo in una soffice carezza proprio mentre un primo, minuscolo, batuffolo di neve incominciava a danzare verso di loro.
“Grazie.”
Nick si ritrovò a sorridere con quello che si sarebbe potuto descrivere solamente come il più dolce dei sorrisi. “Non devi. – Gli sussurrò a fior di labbra. – E’ ciò che tu stesso mi hai insegnato.”
La risposta di Brian non arrivò tramite sillabe, vocali o consonanti, più che altro perché non ce n’era bisogno. Un altro bacio, un’altra carezza di labbra, bastò a sussurrare tutto il resto.
Ripresero a camminare, in silenzio, verso l’altro lato del parco: avrebbero allungato di certo la strada ma, nonostante avesse incominciato a nevicare – qualche fiocco qua e là -  non avevano ancora voglia di tornare a casa. O al locale.
“A proposito! – Disse Brian all’improvviso. – Com’è andato l’incontro al museo?”
Nick si voltò a fissarlo stupito. “Come fai a saperlo? Non te ne ho parlato.”
“Potrai non avermelo detto ma lo hai segnato sul calendario.” Il calendario, in questione, era stata una sua idea dopo l’ennesimo giorno trascorso in cui si erano incrociati per quasi un miracolo divino e, in questo modo, nessuno dei due aveva il diritto di arrabbiarsi per un appuntamento mancato o per non trovarsi a casa senza aver lasciato detto nulla.
“E te ne sei ricordato?”
“Andiamo, non girarci attorno. Com’è andato?”
“Ecco... – Nick si prese una pausa prima di parlarne, un po’ per creare suspense un po’ perché ancora non era riuscito a convincersi che fosse davvero successo. - ... è... è andato bene.”
“Bene nel senso che ti tengono o bene nel senso “è stato un piacere ma sei diventato troppo bravo per noi e non ti possiamo pagare”?
Nick non poté evitare di ridere mentre passava il braccio attorno alla vita di Brian. “Bene nel senso che mi hanno rinnovato il contratto e...”
“E...?” Lo spronò Brian, curioso e già orgoglioso come non mai.
“E mi hanno promosso ad assistente curatore.”
Per un attimo, l’unico suono udibile fu quello dei bambini che giocavano poco più indietro di loro. Poi, senza nemmeno avere un minimo di avvertimento, Nick si ritrovò stretto nell’abbraccio di Brian, anche se poco mancava che il ragazzo gli saltasse fra le braccia. Le sue, di braccia, cingevano il suo collo mentre le labbra stampavano baci su ogni centimetro di pelle disponibile. E fra il rumore di quei baci, c’era una sola frase che veniva ripetuta come una mantra. “Sono orgoglioso di te.”
“Se sapevo che era questa la festa che mi avresti fatto, avrei aspettato che fossimo a casa.” Commentò, abbassando il tono in qualcosa di molto più roco per quell’ultima frase.
“Oh, ma quello era già implicito.” Rispose Brian, aggiustando la sua voce con la stessa tonalità di Nick.
“E che cosa hai in mente, allora?”
Gli occhi di Brian si illuminarono di colpo, gli angoli della bocca si curvarono in un sorriso mentre le braccia si slacciavano dal collo e si congiungevano per battere i palmi l’uno contro l’altro. “Ho la ricetta perfetta per questa sera!”
“Aspetta! Io pensavo ad altro.”
Brian aggrottò la fronte, increspando le labbra in un mezzo broncio. “Altro in che senso? Non penserai mica di festeggiare solo a letto?”
Gli occhi di Nick si illuminarono di una luce maliziosa mentre le sue mani andavano a riposizionarsi sui fianchi del ragazzo. “Non è una cattiva idea. – Gli sussurrò in un orecchio. – Anche se non era la mia proposta.”
“E qual era la tua, allora?”
“Portarti fuori a cena. Viziarti un po’.”
Le dita di Brian incominciarono a giochicchiare con il colletto della giacca di Nick. “Anch’io.”
“Ma tu lo fai ogni giorno.”
“Anche tu.”
“Se continuiamo con queste argomentazioni, non vincerà nessuno dei due.”
“Ma tanto sai che vincerò io. - Mormorò Brian, il tono a metà fra la battuta e qualcosa di più malizioso. – Anche perché ti piace vedermi cucinare.”
Le braccia di Nick si strinsero attorno alla vita del ragazzo, la punta delle dita iniziarono a salire e poi ridiscendere lungo la linea della spina dorsale. “Sei sexy.”
“Quindi rimaniamo a casa?”
Le labbra di Nick si posarono sui quei pochi centimetri di pelle del collo lasciati liberi dalla giacca. “E’ l’alternativa più attraente fra le due.”
Brian ridacchiò soddisfatto. “L’avevo immaginato.” Rispose prima di prendere una mano di Nick e trascinarlo verso l’uscita del parco, per raggiungere quel negozietto che lui tanto amava dove riusciva sempre a trovare gli ingredienti necessari.
Quella sera, mentre la neve continuava a cadere ed alcuni fiocchi andavano a depositarsi negli angoli esterni delle finestre, Brian si era messo seduto sul divano con il portatile posizionato sulle ginocchia. Sullo schermo, la pagina ancora vuota di una mail lo aspettava pazientemente, anche in quei momenti in cui le sue dita formavano inizi di frase per poi cancellarli immediatamente.
Sentì Nick apparire vicino a lui, appoggiare le mani sulle sue. Fece un profondo respiro, si sistemò meglio fra le braccia del ragazzo e incominciò a scrivere. Di getto, senza riflettere su che cosa compariva sullo schermo. Una volta terminata la lettera, Brian non la volle nemmeno rileggere. La face leggere a Nick e lasciò a lui il compito di cliccare il pulsante per inviarla.
“Andrà tutto bene.” Furono le uniche parole che si alzarono nel silenzio, accompagnate da un dolce tocco di labbra sulla tempia.

 

***

 

 

Parigi

  

Aldilà del cielo grigio, nascosto dietro quelle nuvole che minacciavano pioggia da un momento all’altro, un timido sole cercava di liberare un piccolo posticino per sgranchire i propri raggi e farli splendere sulla terra ancora coperta di neve.
L’aroma di caffè appena macinato si faceva strada fra gli edifici, entrando in quelle finestre appena lasciate aperte e svegliando coloro che ancora sonnecchiavano fra i piumini e le coperte. Qualcun altro, invece, già lo assaporava mentre si dirigeva verso il luogo del lavoro o già seduto davanti alla propria postazione.
Anche lui stava ancora terminando la sua seconda tazza mentre si accingeva a controllare la posta prima di iniziare la prima lezione di quella mattina. Era un’abitudine, più che altro per controllare se gli studenti dell’ultimo anno gli avessero spedito i primi capitoli della loro tesi, in modo che le potesse leggere durante le ore libere. Fra tutte le mail di studenti, colleghi e pubblicità, una catturò la sua attenzione.
Il nome, per prima cosa.
Brian Littrell.
Quel cognome. Oh, lo conosceva fin troppo bene. A lato della scrivania, vicino ad una pila di libri e documenti, aveva sistemato una semplice cornice con l’unica foto che gli era rimasta di Jackie: ricordava ancora il momento in cui l’avevano scattata, una giornata d’estate trascorsa al parco dove il sole aveva dorato lievemente la pelle e reso ancora più solare quel sorriso che riservava solo e solamente per lui. Anche a distanza di anni, il suo cuore perdeva un battito a quell’immagine.
L’amore, di quelli veri, di quelli che erano in grado di trasformare l’uomo più codardo in un eroe, di quelli che ti prendevano e ti portavano in direzioni a cui non avevi mai fatto caso e nemmeno sapevi che esistevano, quell’amore lo aveva preso in ostaggio quando era solo un adolescente e ancora troppo naive per rendersi conto della fortuna che aveva fra le mani.
Ma da eroe si era trasformato nel più vile dei vigliacchi e il rimorso per tutti quei se era stato un costante compagno in tutti quegli anni, facendolo sentire come una sinfonia incompiuta.
Fu quello a spingerlo ad aprire la mail ed incominciare a leggere. E le prime frasi furono un pugno dritto allo stomaco.
“... è morta qualche anno fa, in un incidente d’auto.”
Non era possibile. Non poteva essere. Sembrava uno scherzo di pessimo gusto per poter essere vero. Ma fu proprio per l’assurdità di quella situazione che egli vi credette senza battere ciglio. Per quale motivo quel ragazzo, che sapeva essere figlio di Jackie, avrebbe dovuto mentirgli su qualcosa di così serio?
I rimorsi divennero i protagonisti sul palco della sua attenzione. Si era sempre ripetuto che ci sarebbe stata una possibilità, che un giorno avrebbe preso il coraggio fra le mani e l’avrebbe trovata una seconda volta. Se l’era ripromesso ogni notte di quegli ultimi ventitré anni. Se l’era ripromesso ogni volta che parlava ai suoi studenti di come innamorarsi della musica fosse come trovare la propria anima gemella, quella voce unica che avrebbe potuto cantare le note prodotte dalle loro melodie. E le anime gemelle, esattamente come la musica, erano per sempre: anche distanti, anche se parte di un passato ormai chiuso, non sarebbero mai scomparse. Avrebbero, invece, continuato a suonare le loro note in sottofondo.
Ed ora si ritrovava ad aver perso tutto: la speranza, tutti quegli anni trascorsi in vigliaccheria e la sua anima gemella. Non aveva più niente di lei, solo ricordi che con il passare del tempo diventavano sempre più sfocati.
“... posso comprendere se lei decidesse che io sia solo un impostore. Se qualcuno apparisse all’improvviso dicendomi di essere mio figlio, faticherei anch’io a crederci. Ma è la verità. Mia madre continuò a scrivergli per tutto il periodo della gravidanza e qualche mese dopo la mia nascita.”
Suo figlio.
Sapeva chi era quel ragazzo. Lo aveva scoperto una di quelle rare volte in cui era riuscito a sconfiggere la sua codardia e si era messo attivamente a cercare Jackie. E quando aveva scoperto dell’esistenza di Brian, aveva desistito in ulteriori mosse rendendosi conto che, mentre lui aveva continuato a vivere ancorato ancora al ricordo di ciò che erano e ciò che avrebbero potuto diventare, lei era andata avanti; si era rifatta una vita e si era creata quella famiglia che aveva sempre sognato e desiderato.
C’erano stati momenti in cui si era sentito felice per lei, perché era ciò che le persone volevano per la persona amata, ovvero che fossero felici e realizzassero i propri sogni; c’erano stati momenti in cui l’aveva odiata e si era odiato per quel sentimento. E, infine, c’erano stati veloci attimi in cui aveva pregato e sperato che quel bambino potesse essere suo, che una parte di lui sarebbe sempre stato al fianco di Jackie.
Non fu sorpreso dalle lacrime che incominciarono a solcargli il viso, nemmeno nel scoprire che esse erano colme non solo di dolore per quella notizia ma per una minima oncia di felicità.
Le dita incominciarono a digitare, guidate da un unico desiderio.
Questa volta non si sarebbe comportato da codardo. 

 

*****

 

 

25 Dicembre

 

 

L’ultimo cliente del giorno si chiuse la porta dietro alle spalle, l’inconfondibile melodia che ricordava ai presenti che giorno fosse quello.
“Finalmente!” Sospirò Nick, lasciandosi cadere sulla prima sedia che trovò.
La sua imprecazione scatenò la risata di Brian, intento a sparecchiare l’ultimo tavolo. “Sfaticato! - Lo rimbrottò scherzosamente mentre gli passava di fronte. Nick non rispose ma allungò velocemente le braccia e catturò Brian, spingendolo contro di lui e facendolo cadere sulle sue gambe. - Nick!”
“Ora chi è lo sfaticato?”
“Non io!”
In posizione di vantaggio, le dita di Nick scivolarono sui fianchi ed incominciarono a solleticare la pelle di Brian, sapendo perfettamente come i fianchi fossero uno dei suoi punti deboli.
“Nick! – Brian incominciò a ribellarsi, cercando di sfuggire all’attacco di quelle dita. – Nick! Nick! Mi farai cadere i piatti!”
La difesa si dissolve quando Aj passò davanti a loro e recuperò i piatti che stavano per cadere dalle mani di Brian.
“Grazie Jay!” Dissero all’unisono Brian e Nick, anche se il tono del primo era decisamente più sarcastico del secondo. Anche se quella mossa si rivelò essere anche a vantaggio di Brian visto che, senza più l’ostruzione dei piatti, poteva tentare di svincolare quelle mani che lo stavano tormentando.
“Nick, dai! Smettila!”
“Mh... che cos’è questo suono? Sembra una mosca...”
“Niiiick!”
“Ti arrendi?”
“Mai.”
La risposta di Brian aumentò l’intensità del solletico, rendendo inutile qualsiasi tentativo di liberazione. D’altronde, come poteva farlo quando a malapena riusciva a respirare a causa delle risata?
“Nickolas Gene Carter, stai uccidendo quel povero ragazzo!”
Il tono autoritario del padre fece sussultare Nick, interrompendo lo scherzo esattamente come sempre era accaduto durante l’infanzia.
“Grazie sig. Carter.” Mormorò Brian, saltando giù dall’abbraccio di Nick mentre riprendeva fiato.
“Brian, sei di famiglia ormai! Basta con questo signor!”
Il rossore in viso diventò ancor più intenso, questa volta a causa dell’imbarazzo. “E’... okay.”
“Bene. Ora che abbiamo sistemato questa cosa, vi ho interrotto solamente per avvisarvi che io e Isabelle stiamo per andare.”
“Così presto?” Domandò Brian.
“Immagino che voi due siate stanchi.” Rispose Bill.
“In effetti... - Commentò Nick, ricevendo una gomitata da parte di Brian. – Ehi!”
“Chi sarebbe stanco, scusa?” Fu la risposta di Brian, con una mezza occhiata torva.
“Ti ho aiutato!” Si difese Nick, sgranando gli occhi per lo stupore.
“Certo.” Commentò Brian, incrociando le braccia davanti al petto
“Ma è vero!”
“Hai quasi rischiato di tagliarti un dito, quello lo chiami aiutare?”
“Ti ho aiutato stando fuori dalla cucina.” Ribattè Nick, imitando la postura di Brian.
La risata di Isabelle interruppe quello scambio di battute. “Sembrate già una coppia sposata.”
Brian abbassò il viso per l’imbarazzo mentre Nick si unì semplicemente alla risata, avvicinandosi al ragazzo e cingendogli un braccio attorno alla vita. “Dai, a casa ti faccio un massaggio per farmi perdonare.”
“Sono così stanco che potrei addormentarmi sul divano in ufficio.” Gli sussurrò Brian, appoggiando quasi tutto il suo peso contro Nick.
“Ed ecco perché è meglio che noi andiamo. – Si intromise Bill. – Ma prima volevamo lasciarvi il nostro regalo.” Mentre pronunciava quell’ultima frase, l’uomo fece apparire dalla giacca una semplice busta bianca, porgendola alla coppia.
“Papà, non dovevi!”
“E’ solo un pensiero. – Rispose Isabelle. – Ma ve lo meritate.”
Punto dalla curiosità, Nick non esitò a prendere la busta. “Che cos’è?” Domandò iniziando ad ispezionare la busta.
“Ho perso molti anni della tua vita, Nick. E per quanto so che non esiste modo per rimediare, questo è semplicemente un piccolo gesto per farti capire quanto sia orgoglioso di te e della tua vita: studi, lavori e dai una mano a Brian. E’ tempo che vi meritate una piccola vacanza.”
Brian osservò con sguardo stranito Nick mentre apriva la busta e recuperava due biglietti aerei. “Papà, non dovevi.”
“Invece sì. E sappiamo entrambi quanto sia importante quella città.”
I due, padre e figlio, si scambiarono uno sguardo complice mentre Brian rimaneva ad osservarli non comprendendo il senso. “Qualcuno mi può spiegare?”
“Grazie, papà. – Si limitò a dire Nick prima di mostrare i biglietti a Brian. – Parigi. E credo che l’abbia fatto non solo perché si è ricordato della nostra conversazione.”
Brian accigliò la fronte. “Quale?”
“Mi aveva chiesto in quale posto dell’Europa sarei ritornato immediatamente. Io gli ho risposto Parigi perché volevo finalmente viverla insieme a te.”
Ora Brian se la ricordava. E si ricordava di tutti quei momenti trascorsi camminando per Central Park o raggomitolati sul divano, adornati dalle immagini che le parole di Nick creava attorno a loro mentre descriveva un angolo di Parigi che aveva amato e promesso di fargli vedere un giorno.
Già. Un giorno.
Brian non vi aveva mai creduto realmente a quella possibilità. Come poteva? Non poteva lasciare il locale, nonostante ora avesse due aiutanti ed entrambi, ne era sicuro, lo avrebbero preso e portato di peso all’aeroporto. Non poteva nemmeno chiuderlo, già sopravviveva a malapena tenendolo aperto per tutta la settimana. A volte, malediva quel luogo che lo teneva legato e gli impediva di comportarsi, almeno per una volta, come un ragazzo della sua età e avere un po’ di divertimento. Subito dopo, però, si sentiva in colpa.
E da quel circolo vizioso sembrava non esserci mai fine.
“Ma non è l’unica ragione, Brian.” La voce di Bill riportò Brian lontano da quei pensieri.
“In che senso?”
“E’ la stanchezza, papà.”
“Mi stai prendendo in giro?”
“No, ti sto fornendo un alibi per non aver compreso immediatamente il vero piano di mio padre.”
“E’ un biglietto per Parigi, che cosa altro... – Il collegamento si schiarì all’improvviso, lasciando Brian a maledirsi per non averlo compreso immediatamente. – Oh. Mio... per lui.” Ancora non riusciva a chiamarlo padre, forse non sarebbe mai riuscito o non ne avrebbe mai avuto una possibilità.
Una mano si appoggiò sul suo mento e le dita, con tocchi gentili, gli fecero alzare lo sguardo verso Nick. “Non sei costretto ad incontrarlo. Ma papà ha ragione. Abbiamo bisogno di una vacanza. Specialmente una certa persona che non se ne è mai presa una in tutta la sua vita.”
“Magari è lui che non vuole. Non ha ancora risposto.”
“Lo farà. E, quando lo farà, sarai tu a decidere se incontrarlo o meno. Ma lasciami condividere Parigi con la persona che amo di più.”
Il sottile tono usato fece sciogliere ogni riservatezza in Brian. “E la conosco questa persona?”
“Mh... non lo so. Potresti.”
“Davvero?”
“Sì. Ama il caffè e, guarda caso, lui è il proprietario di una caffetteria.”
“Non mi dire... sembra il mio ideale di uomo.”
Nick finse un’espressione di dolore. “Ed io che pensavo che amassi gli artisti.”
“Preparare caffè è un’arte.”
“Io intendevo qualcuno che sappia... – Il tono di voce si abbassò fino a diventare un roco mormorio. - ...  usare le mani.”
Prima che Brian potesse rispondere, un colpo di tosse fece voltare entrambi. “Mi sa che vi siete dimenticati della nostra presenza.” Scherzò Isabelle.
Nick scoppiò a ridere mentre Brian si nascondeva nella sua spalla. “Capita spesso.”
“Direi che questo è proprio il momento di andare e lasciarvi continuare da soli.”
“Sì, direi che è decisamente meglio.”
“Nick!” Lo rimbrottò Brian, dandogli un buffetto contro la spalla.
“E ora che c’è?”
“Non ci si comporta così! Non è educazione!”
“Educatamente stavo avvisando i miei genitori che è meglio se ritornino a casa.”
“Stupido!”
“Ma mi ami.”
“Non ho mai preteso di essere sano di mente.”
“Ed è per questo che io ti amo.”
Prima di indugiare oltre in quelli che risultavano poi essere sempre infiniti scambi di battute, Brian si affrettò a salutare i genitori di Nick, ringraziando ancora una volta il padre per quel regalo. Nick rimase in disparte a scambiare qualche parola con Isabelle così fu lui ad accompagnare alla porta l’uomo.
“Non voglio solo ringraziarla per il regalo. Ma anche per aver trovato mio... mio padre.”
“Non c’è bisogno, Brian.”
“Se non fosse stato per lei e per Nick soprattutto, avrei continuato a illudere me stesso che non volevo cercarlo quando, invece, era la solo la paura a bloccarmi.”
“Di quella ne sappiamo tutti qualcosa. – Rispose Bill. – Sei un bravo ragazzo, Brian, e mio figlio ti ama. E sono sicuro che, non appena anche tuo padre ti conoscerà, non potrà fare a meno di amarti.”
Un groppo si bloccò a metà strada in gola, facendo solleticare gli occhi a causa di buffe lacrime che erano apparse all’improvviso. Non era abituato, Brian, a ricevere quei complimenti visto che l’unica altra persona che era solita farglieli ora non c’era più e per molto tempo si era rassegnato a non averne.
Non più oramai.
“Grazie.” La parola uscì in un mezzo singhiozzo e, senza bisogno di aggiungere, Brian si ritrovò in un avvolgente abbraccio e si aggrappò a quelle braccia. Era differente dagli abbracci di Nick, anche se sapeva di famigliarità. Era differente perché era l’abbraccio tipico di un genitore, quell’abbraccio in cui conforto e rassicurazione si fondevano alla perfezione in una calda coperta.
Durò solo un attimo quell’abbraccio ma fu sufficiente per farlo sentire accettato in quella famiglia più di qualsiasi altra parola.

 

*

 
Brian non ricordava quanto realmente fosse scomodo quel vecchio divano. Per tanti anni, era stato il suo rifugio quando la solitudine tentava di tendergli un’imboscata: lavorava e studiava fino a quando non sentiva più il suo corpo a causa della stanchezza e poi si buttava lì, su quelle vecchie molle ricoperte di un tessuto verde aspettano invano il sonno.
Nick lo aveva spedito, con poche cerimonie, nel suo ufficio non appena i suoi genitori si erano infilati in macchina. A passo di marcia, lo aveva depositato su quel divano e fatto promettere che non si sarebbe alzato fin quando lui non sarebbe tornato a prenderlo per andare a casa. E, considerato che si era appena offerto di mettere a posto il locale da solo, Brian dubitava che sarebbe uscito dal locale non prima di mezzanotte. Il che andava bene, visto che tornare a casa significava girare attorno al portatile nella vana attesa di una risposta. Un po’, aveva sperato di poter ricevere finalmente quel regalo che aveva sempre chiesto da bambino. Aveva pure suonato la sua campanella, anche se non faceva più rumore e un altro pezzo di vernice si era staccata dopo che l’aveva scossa. Dio, si era sentito così patetico che era stato un miracolo se in quel momento Nick era stato trattenuto al museo per colpa di scartoffie che avevano continuano ad accumularsi per giorni e giorni.
Anche in quel momento.
Perché sdraiato su quel divano, la sua attenzione era tutta rivolta verso il computer spento sulla sua scrivania. Non sarebbe servito molto, avrebbe dovuto semplicemente alzarsi e fare pochi passi, accenderlo ed accedere alla mail. Quanto tempo vi avrebbe impiegato? Cinque minuti al massimo.
Ma quanto sarebbe durata la delusione una volta che avesse appurato che, anche quella volta, non vi era una risposta? Di una cosa Brian era certo ed era che non voleva trascorrere quelle ultime ore del giorno di Natale a farsi consolare come se fosse un bambino disperato per non aver ricevuto il regalo richiesto.
Non aveva bisogno di quella risposta, specialmente se si fosse rivelata un buco nell’acqua.
Non ne aveva bisogno eppure voleva averne bisogno, per quanto strano e contorto quel bisogno potesse sembrare.
Dall’altra stanza arrivò il suono di un tonfo, seguito da un’imprecazione abbastanza colorita di Nick. Dopo poco, lui stesso apparve sulla soglia della porta. “Non preoccuparti, è tutto sotto controllo.”
Brian si mise seduto. “Davvero?”
Con una grattata di testa, Nick abbassò lo sguardo. “Beh... potrei aver fatto pulizia di alcuni piatti già sbeccati.”
Con un sorriso, Brian gli fece segno di sedersi accanto a lui.
“Non sei arrabbiato, vero?”
“No, scemotto.” Ribattè Brian, scompigliandogli i capelli.
“Ne compreremo qualcuno a Parigi. Così questo posto diventerà ancora più caratteristico.”
“A proposito di Parigi...” Incominciò a dire Brian, in tono sommesso.
“Ci stai ripensando? – Domandò Nick, senza nemmeno farlo finire. – Se è per il locale, sono sicuro che Aj e Blaine se la possono cavare. Papà ha ragione, hai bisogno di una vacanza.”
Brian aggrottò la fronte, perplesso. “Non ci sto ripensando. Solo che...”
“Che cosa?”
Un buffetto arrivò contro la spalla di Nick. “Mi fai finire almeno una frase?”
Uno scrocchio di labbra si posò sulla guancia di Brian. “Scusa.”
“Stavo dicendo che, a proposito di Parigi, non ho ancora controllato se mi ha risposto.”
Nick sospirò di sollievo, alzandosi in piedi. “Solo ciò? Dai, su, lo facciamo insieme!” E, dicendo ciò, allungò la mano verso di lui.
“Non sono sicuro di volerlo fare.” Ammise Brian, mordicchiandosi il labbro.
“Perché?” Lo sguardo e l’espressione di Nick si addolcì mentre una mano si appoggiava sulla guancia.
“Non voglio rovinarmi la giornata. Oggi... oggi è stato uno dei migliori Natale che abbia mai passato da... beh, lo sai.”
Era vero. Quella giornata era stata decisamente migliore rispetto a quello dell’anno passato: quel giorno, il miglior regalo che aveva ricevuto era stato riavere Nick nella sua vita ma per ore l’attesa era stata quasi straziante, raggiungendo livelli in cui la speranza lo aveva abbandonato.
Quell’anno era stato come se lo era sempre immaginato dal momento in cui lui e Nick avevano incominciato ad uscire insieme: la sveglia quella mattina e gli auguri scambiati fra baci e carezze; la camminata con le prime luci dell’alba, in una New York deserta ma sempre viva come solo lei riusciva ad essere; cucinare e preparare insieme il pranzo al locale, allietati da musiche cantate con il sorriso sulle labbra. Ed ora voleva terminarlo nei migliori dei modi, ovvero accoccolati sul divano, le fiamme del camino a riscaldarli dopo la camminata – e battaglia – nella neve, e uno di quei classici film alla televisione mentre loro gustavano un goccio di zabaione. No, nella sua mente e nella sua fantasia, quella giornata non poteva terminare con lacrime e delusione.
“Facciamo così. La posta la controllo io. Se c’è ed è una risposta positiva, te lo dico.”
“Altrimenti?”
“Altrimenti niente.”
“Mi mentiresti?” Domandò Brian perplesso.
“Non esattamente. Diciamo che ometterei il risultato della risposta.” E così dicendo, aggirò la scrivania ed accese il computer, tamburellando le dita sul legno mentre aspettava che il sistema si caricasse.
Per Brian, quei minuti sembrarono trasformarsi in un’eternità fino a quando l’espressione di Nick lo informò che, effettivamente, una risposta c’era.
“Allora?”
Nick tentò di non sorridere mentre voltava lo schermo in direzione di Brian. “Leggi tu stesso.”
Con il cuore che, all’improvviso, aveva incominciato a battere all’impazzata, Brian si avvicinò anche a lui alla scrivania e a quello schermo. Le prime frasi incominciarono a prendere significato davanti ai suoi occhi prima di essere annebbiate da delle lacrime.
Alzò semplicemente il viso e si allungò fino a quando le sua labbra si appoggiarono su quelle di Nick. “Mi vuole vedere.”
Nick rispose al bacio, il cuore gonfio il doppio nel petto di una differente felicità perché non esisteva gioia più grande nel vedere la persona amata realizzare qualcosa che aveva sempre creduto di non poter più avere.
Sì, Brian prima aveva avuto ragione.
Quello era davvero il Natale migliore. Per entrambi. 

 

***

 

Parigi

 

Davanti alla vetrata, arricchita qua e là da tocchi di colore che ricreavano ortensie e fiordalisi, Brian continuava nervosamente a bilanciare il peso su uno dei piedi. Ora che si trovava lì, ora che mancavano letteralmente e fisicamente pochi metri per finalmente conoscere suo padre, sembrava quasi che la sua mente si stesse divertendo a trovare mille ragioni per non entrare.
E, come se lo avessero intuito, le dita strette attorno le sue aumentarono di poco la loro presa. A quel gesto, Brian alzò il volto e, nella controluce generata dal sole che si stagliava dietro la figura, vide Nick rivolgergli un sorriso rassicurante. E, proprio come i raggi dorati quella mattina stavano sciogliendo gli ultimi blocchi di neve, quel sorriso aveva il potere di sciogliere le sue ansie.
“Vuoi che venga con te?” Domandò Nick.
“No. No. – Rispose Brian, la seconda volta più deciso. – Devo... ti spiace se ci parlo da solo?”
Un bacio sulla tempia lo rassicurò prima della risposta. “Ovvio che no. In fondo alla strada c’è un parco, rimarrò li a disegnare.”
“Ti mando un messaggio quando finisco.”
“Tranquillo. Prenditi tutto il tempo che ti occorre. Io non scappo certo.” Una piccola risata puntualizzò l’ultima frase, ricevendo in risposta un tocco di labbra sulla guancia.
“Anche perché non conosco Parigi, potrei perdermi durante la tua ricerca.”
“Non ti libererai mai così facilmente di me.”
“E’ una promessa?”
“Qualcuno potrebbe prenderla come una minaccia.”
“Non io. - Rispose Brian, scuotendo lievemente la testa. Si lasciò sfuggire un sospiro, un profondo respiro prima di nascondersi, per qualche secondo, nell’abbraccio di Nick. – Grazie.”
“E di cosa?”
“Lo sai. Ora... Ora posso entrare e affrontare tutto.” E, dicendo ciò, si staccò dall’abbraccio, alzando il mento e raddrizzando le spalle.
“Sembra che tu stia per andare al fronte.”
“In effetti, è così che mi sento.”
“Andrà bene. La cosa peggiore che ti possa capitare è che tuo padre risulti essere l’uomo più antipatico di questo mondo ma, almeno, avrai la possibilità di sapere come sono andate le cose. Questa volta, Bri, la scelta è nelle tue mani.”
“Lo so, lo so. – Si ripetè Brian. – Vado. Quindi sarai al parco?”
Alzando sconsolato gli occhi al cielo, Nick si prodigò in una risata. “Sì. Se vuoi, ti posso anche mandare una foto di ciò che disegno ad ogni ora.”
Ormai, quelle battutine erano all’ordine del giorno: era un batti e ribatti, una serie di punzecchiature che alleggerivano quella che, un tempo, era stata una paura quasi paralizzante per Brian. Ora, invece, si era trasformata in un gioco, almeno quando le circostanze lo rendevano tale.
“No. -  Rispose Brian sorridendo. – Ok. Basta prolungare.” Con un ultimo bacio sulla guancia, Brian si divise da Nick ed entrò nel locale. 
L’aroma di caffè, mischiato con quell’odore unico di dolci appena cotti, lo accolse immediatamente, facendolo un po’ sentire come a casa: per quanto lontano potesse trovarsi, per quanto potesse essere un mondo totalmente differente, c’era una sicurezza implicita in quell’aroma che non cambiava mai. Era un abbraccio che lo avvolgeva, era come avere un pezzo di se stesso e della sua famiglia ovunque andasse. E, in quel momento, erano una fonte di extra forza e supporto di cui aveva disperatamente bisogno.
Il locale, pur non essendo molto grande, era pressoché vuoto così fu facile indovinare chi fosse la persone che stava cercando. L’uomo, suo padre, era seduto in un tavolo al centro della sala, una tazza di caffè stretta in una mano mentre l’altra reggeva le pagine di un giornale.
In silenzio, Brian lo studiò per qualche secondo, quasi come volesse assicurarsi che la persona lì davanti a lui fosse la stessa che aveva osservato fino a qualche ora prima in una fotografia. Così da vicino, così dal vivo, la somiglianza fra loro era ancora più palpabile e risiedeva principalmente in quella mascella pronunciata, anche se l’uomo la teneva nascosta sotto un accenno di barba; i capelli erano di una tonalità più chiara della sua, segno che quel tratto biondo lo aveva ereditato da lui e non dalla madre come aveva sempre pensato; infine, gli occhi avevano quella lieve e così impercettibile asimmetria che solamente uno sguardo attento avrebbe notato, là dove chiunque si sarebbe fermato alla peculiare tonalità azzurra delle iridi.
Erano due gocce d’acqua, la somiglianza era quasi un colpo allo stomaco soprattutto per quei tratti che non erano fisici ma dettati dal movimento e dal linguaggio del corpo. Era quasi sconcertante vedere certi suoi tic riflessi in un’altra persona, per esempio, quell’increspare le labbra quando un articolo del giornale catturava il suo interesse.
Quell’uomo era davvero suo padre.
“Brian?”
Il tono con cui venne richiamato fu lenito da dubbio e incertezza mentre i loro sguardi si incrociavano. Per un lungo momento, Brian non seppe che cosa dire né tantomeno che cosa fare: perché quello che si stava realizzando davanti ai suoi occhi era il sogno che lo aveva cullato da bambino, quel desiderio relegato ad una stupida campanella fatta a mano. Ora era reale e ancor più spaventoso perché non poteva tornare indietro se non gli fosse piaciuto la conclusione.
Annuì semplicemente mentre l’uomo si alzava in piedi. Qualche passo e fra loro vi fu solamente il tavolo come ostacolo.
“Sei... Sei la sua esatta copia.”
“Me lo dicono in molti.”
“E’ la verità. Santo cielo... hai il suo stesso sorriso, lo sai? Esattamente come lei, entri in una stanza e la illumini. – Ethan scosse la testa, imbarazzato. – Scusa ma... beh, pensavo che non avrei mai rivisto quel sorriso.”
Brian si sedette di fronte all’uomo. “Perché non l’hai mai cercata, allora?”
Anche Ethan riprese il suo posto. “Vai subito dritto al punto? Proprio come lei.”
“Signor Jetsfield...”
“Chiamami Ethan, per favore.”
“Ethan, so che tutto questo potrà sembrare surreale...”
“Sapevo della tua esistenza. – Quelle parole ebbero il poter di ghiacciare qualsiasi sensazione all’interno di Brian. Ma non ebbe il tempo di reagire, perché l’uomo aggiunse il pezzo mancante di quell’affermazione. – Non sapevo che tu fossi mio figlio.”
“Come l’hai scoperto?”
L’uomo abbassò lo sguardo verso la sua mano che aveva ripreso a stringere la tazza, ormai fredda. “Non ho mai dimenticato tua madre. Ogni tanto, riprendevo in mano vecchie fotografie. Ne ho una ancora sulla mia scrivania in ufficio. Un giorno, mi ero promesso di ritrovarla, anche solo per sapere come stava. E’ stato lì che ho scoperto che era morta e che aveva un figlio. Non ho mai pensato o creduto di poter esser io il padre, mi sono semplicemente detto che si era rifatta la vita e costruito quella famiglia che aveva sempre voluto. Se solo...”
“Ho imparato che con i se ed i ma non si va molto avanti. – Disse Brian. – Se non avessi mai partecipato a quel corso, forse lei sarebbe ancora viva.”
Dopo quell’affermazione poté solamente cadere il silenzio ed un assenza di gesti di conforto. Era per quello che non ne parlava mai con gli estranei, non voleva sentire quel momento di imbarazzo perché l’interlocutore non sapeva come rispondere ad una frase del genere. Né lui voleva sentire frasi di genere e vuote di una vera compassione che la si poteva trovare solo in chi sapeva che cosa si provava quando qualcuno di così importante veniva strappato via senza un avvertimento. Eppure, anche senza parole, Brian trovò conforto nell’espressione del padre, in quella luce di totale smarrimento che molto spesso si era ritrovato a fissare nel suo riflesso allo specchio. Quella perdita, l’assenza di quella persona che tanto tempo prima li aveva uniti, era l’unico anello che ancora teneva unito quel filo sfilacciato dal tempo e dalla distanza.
“Dire che mi spiace sembra così inutile in questo momento ma... è la verità.”
“Anche a me spiace. Da come ne hai parlato prima, sembra che...”
“Sembra che provi ancora qualcosa per lei? – Terminò Ethan per Brian. – Sì. Lei è stata il mio primo amore, forse l’unico e più importante della mia vita. Ma più di tutto, mi spiace di essermi perso tutti questi anni. Per vigliaccheria, soprattutto.”
“Non sono qui per avere indietro quegli anni. Me ne sono ormai fatto una ragione e, scusandomi per la brutale onestà, non ho bisogno di un padre che si prenda cura di me. E nemmeno di soldi, non è questo il motivo per cui ti ho contattato. L’unica motivazione era conoscerti. E sapere. Dare una spiegazione a quegli anni in cui desideravo una famiglia unita e dovevo accontentarmi delle poche parole di mamma.”
“Che cosa ti ha raccontato di me? Di noi?”
“Non molto. Solo che vi siete innamorati ma che poi sei dovuto partire per l’Europa.”
“In sintesi, sì, è questo ciò che accadde. Ma niente è così semplice, nemmeno nella più comune storia d’amore.”
“Sì. L’ho provato sulla mia pelle.”
“Sono indiscreto se chiedo...?”
“No, no. Anzi! E’ stato proprio il mio compagno a trovarti. Senza di lui, non sarei qui. - In più di un senso, aggiunse poi mentalmente. – Spero che questo non sia un problema. Intendo, il fatto che io sia gay.”
“No, decisamente no. – Lo rassicurò Ethan. – Anzi, uno dei miei migliori amici è gay. Sono felice che tu abbia qualcuno al tuo fianco. E non lasciartelo scappare via. Tienitelo stretto perché è davvero prezioso trovare l’amore.”
“Mamma era il tuo amore?”
“Sì. Sì. Ci siamo conosciuti durante una festa ed è stato amore a prima vista. Tua madre era l’anima di ogni festa, ovunque lei andasse portava sempre questa naturale allegria che era impossibile non rimanerci vittima. Ci siamo innamorati ed eravamo ribelli, a quei tempi. Nessuno di noi voleva seguire ciò che i nostri genitori avevano sempre deciso che sarebbe stato il nostro futuro così, non appena maggiorenni, andammo a New York. Vivevamo in un buco di appartamento ma eravamo felici e avevamo tutti questi sogni che volevamo realizzare. Fino a quando mi proposero di andare a Londra per studiare con una delle più importanti scuole di musica. Io e tua madre ne parlammo fino all’inverosimile, notte dopo notte: non volevo partire, non senza di lei. E lei non voleva che perdessi quell’occasione per causa sua. Mi convinse e partii. Ci sentivamo quando era possibile, tra il fuso orario e i soldi che non erano molti, ma l’idea era sempre quella: tornare insieme. Magari qui, a Parigi, il nostro sogno.”
Brian assimilò quelle parole, stupendosi per quanto, ancora una volta, lui e sua madre si fossero rivelati essere l’uno uguale all’altro. E quell’aneddoto lo univa ancor di più a lei, anche se l’epilogo era risultato essere positivo per lui.
“Che cosa è successo? – Gli domandò. – Mamma ha continuato a scriverti anche dopo che sei partito per Parigi, anche se non lo sapeva.”
L’espressione di sorpresa raccontò a Brian che, di quelle lettere, l’uomo non ne aveva mai saputo nulla. Quindi, cadeva quell’ipotesi secondo cui non avesse mai voluto aver niente a che fare con loro due.
“Un giorno, mi arrivò una lettera. In teoria, doveva essere da parte di Jackie ma non l’ho mai creduto. Era... era troppo fredda per poter essere sua. Nonostante tutto, non credo che avrebbe mai usato un qualcosa di definitivo, anche se vi era di mezzo suo padre. Anche se penso che la vecchia Cecile abbia avuto più di una mano dentro a questa storia.”
Cecile. Sua nonna. Un altro di quei tasti che Brian non avrebbe mai voluto più toccare, né tantomeno persino riconoscere la sua esistenza. Quella donna aveva portato solo veleno nella sua vita e non c’era da sorprendersi se lo avesse fatto ancor prima che lui potesse nascere. “Non mi sorprende.”
“Oh, nemmeno con suo nipote è riuscita a non mostrare la sua vera natura?”
“Già.” Rispose Brian, cercando di lasciare fuori dalla mente parole che avevano messo le loro radici nel più oscuro cassetto che era riuscito a costruire dentro di lui.
“Cecile è sempre stata una donna molto testarda. Sapeva che cosa voleva e non avrebbe mai permesso a nessuno di cambiare, anche di un minimo, i suoi piani. E ne aveva per chiunque, soprattutto per tua madre. Io, ovviamente, non ne facevo parte. Ha tentato in tanti modi di metterci i bastoni fra le ruote e, alla fine, credo che ci sia riuscita. Anche se non so ancora in che modo.”
Immagini e ricordi presero il centro del palco, sfumando i contorni di ciò che lo circondava e riportandolo indietro con la memoria, dove finalmente ora poteva trovare un senso a quelle parole che un bambino non avrebbe mai potuto comprendere. Quel litigio, quelle parole urlate e che lui aveva carpito anche rimanendo nascosto dietro la porta, odiando quella donna che stava facendo arrabbiare così tanto sua madre.
Ora, finalmente, capiva.
La donna non aveva mai perdonato a sua figlia il fatto di essere fuggita e, più di tutto, di lasciarsi mettere incinta da qualcuno che non era e non sarebbe mai stato approvato da lei.
Sì, ora finalmente capiva ma ciò non attutiva nemmeno di un centimetro tutto il dolore che aveva covato per anni.
Prima che Brian potesse dire qualcosa, suo padre riprese a parlare. “Provai a chiamarla. Ci provai per una settimana ma il telefono suonava sempre a vuoto. Fino a quando qualcuno mi rispose, informandomi che l’appartamento era stato venduto e non sapevano il nuovo indirizzo del precedente proprietario. Qualche giorno dopo, proprio mentre stavo per decidermi di prendere il primo volo e tornare a New York a cercarla, ricevetti la telefonata della vita: la richiesta di borsa di studio in un’università di Parigi era stata accettata. Avevo già perso tua madre, non potevo anche perdere la mia carriera. Mi trasferii qui, mi laureai, incominciai ad insegnare e in men che si dica gli anni erano passati. Ma non il ricordo di tua madre.”
“Potevi venire a cer.. – Brian si interruppe, riformulando velocemente quell’ultima particella. - cercarla.”
Lo sguardo dell’uomo si abbassò verso la superficie, osservando per qualche secondo le venature del tavolo. “Ci ho pensato molte volte. Ma non sapevo da dove iniziare e la mia paura più grande è che mi avesse dimenticato. Così, ho sempre desistito.”
“Ma sapevi che era morta, lo sapevi prima che io ti contattassi.”
Un cenno del capo rispose negativamente a quella domanda. 
Era dolceamaro per Brian finalmente scoprire tutta la verità, perché non c’erano state ingiustizie né aveva ricevuto validi motivi per odiare l’uomo che si trovava di fronte a lui. Semplicemente, come spesso accade, la vita si dipana su snodi e incroci che sono difficili da prevedere: a volte riesci, con un pizzico di fortuna ed un aiuto delle stelle, a trovare il modo per non perdersi e non perdere nessuno; altre, invece, puoi solo rimanere con il dubbio di che cosa sarebbe successo se un determinato avvenimento fosse andato in modo differente.
Quello era successo alla sua famiglia: per incomprensioni, per paure e ansie, si erano lasciati trascinare via dalle correnti, finendo su isole l’una parallela all’altra senza mai avere la possibilità di incontrarsi. Invece di sentirsi arrabbiato, deluso o semplicemente colmo di recriminazione, Brian si sentì fortunato: nonostante tutto, era riuscito a ritrovare una parte di famiglia che non aveva mai pensato di poter avere. Lì, in quel caffè parigino, un padre ed un figlio avrebbero potuto iniziare a tessere i primi fili. Lì, soprattutto, Brian aveva la possibilità di poter conoscere sua madre in luci totalmente differenti da come l’aveva sempre vista. A lui era sempre toccato il lato materno, a volte chiuso su stesso affinché lui non vedesse le lacrime e la tristezza; l’aveva vista sorridere, l’aveva vista ridere e con il viso colmo di gioia per ogni suo traguardo. Non l’aveva mai vista innamorata, non l’aveva mai vista sotto le spoglie di uno spirito libero, all’unica ricerca del suo volo.
E non conosceva nemmeno l’uomo di fronte a lui. Sorprendentemente, rispetto a come si era immaginato quell’incontro, voleva saper tutto quello che c’era da sapere di suo padre, quante cose avevano in comune e in quali, invece, si differenziavano.
“Posso chiederti una cosa?” Si ritrovò così a domandare.
“Certo.”
“Mi... ti va di raccontarmi di lei? E di te? Di quando vi siete conosciuti, di quando... – Brian si interruppe, abbassando lo sguardo e passandosi una mano dietro la nuca. – Scusa, quando sono agitato tendo a blaterare e...”
“No, non fa niente. – Lo bloccò Ethan. – Anche tua madre lo faceva. Non ho problemi a raccontarti di noi, Brian. Solo ad una condizione.”
Il viso di Brian si rabbuì. “Quale?”
“Che tu dopo mi racconti tutto di te e di quel giovanotto che ha catturato il tuo cuore.”
Il sollievo si trasformò in un respiro lasciato sfuggire nell’aria, prendendo poi la forma di un sorriso. E un battito di cuore che palpitò con rinnovato ritmo, per due anime che avevano ritrovato la strada per essere, per la prima volta, una famiglia.

 

***

 

Il tramonto stava incominciando a colorare il cielo di Parigi con tinte pastello, dalle ultime sfumature di azzurro per prendere pennellate di rosa e arancione fino alle prime tinte di un violetto tendente al blu.
Un venticello freddo aveva incominciato a scuotere le fronde degli alberi, o meglio, quel poco di foglie rimaste ancora aggrappate a ciò che avevano considerato come la loro casa dal momento in cui erano nate. Poche persone ancora si stavano avventurando fra i sentieri: i più camminavano svelti e rapidi verso le loro case o camere d’albergo, stringendosi nei cappotti e nelle giacche che indossavano. Ma una figura se ne stava silenziosa seduta su di una panchina, ignara degli sguardi incuriositi dei passanti o del freddo che aveva quasi congelato la mano che, ancora, continuava a tracciare linee e punti sul foglio bianco. Ogni tanto, il volto si alzava e scrutava attorno a sé, socchiudendo gli occhi per osservare meglio dettagli che solo lui riusciva a cogliere.
Di soppiatto, Brian si avvicinò al ragazzo e appoggiò le braccia sulle sue spalle, facendole scivolare dentro la giacca lasciata leggermente aperta. “Ti beccherai un raffreddore.”
Le dita smisero di disegnare, lasciando cadere la matita sul foglio mentre esse si arrotolavano attorno alle loro compagne. “Non più, ora che ho questa sciarpa bella calda!”
Un bacio si depositò sulla sua guancia prima che una risata accarezzò la pelle. “Hai una ventina di sciarpe a casa.”
“Hai detto bene. A casa, non qui.”
“Oh capisco. – Mormorò Brian. – Quindi sarei io la tua sciarpa?”
“Pensavo che lo sapessi.”
“Beh, se lo sono, allora...” Non terminò la frase ma strinse ancor di più le braccia attorno al collo di Nick, esattamente come se esse fossero le estremità di una sciarpa.
“Ehi! Mi stai strozzando!”
“Sia mai che io rechi danno a questo bel collo!”
“Allora, come è andata?” Domandò Nick.
Brian aggirò la panchina e andò a sedersi accanto a Brian; fece scivolare un braccio sotto quello del ragazzo e poi appoggiò la testa sulla sua spalla. “Bene.”
Nick voltò il viso. “Solo? Qualche dettaglio?”
“Vuole conoscerti.”
“Intendevo su ciò che vi siete detti.”
“Ti spiace se ne parliamo più tardi? - Domandò Brian dopo un momento di silenzio, socchiudendo gli occhi. – Voglio solo stare qui, accoccolato a te.”
Nick non rispose, non serviva farlo. Per qualche attimo senza tempo i due ragazzi rimasero in silenzio ad osservare le ultime luci del tramonto, assaporando la semplicità di quel momento. Dopo qualche secondo, la mano destra di Nick riprese a disegnare, incominciando a tracciare i lineamenti di due ragazzi seduti nella loro stessa posizione.
“Ho finalmente deciso che cosa fare.”
La fronte di Nick si aggrottò in confusione mentre il suo sguardo si spostò dal foglio al viso di Brian, ancora mezzo nascosto nella sua spalla. “Riguardo a cosa?” Gli domandò quindi, scompigliandogli quei ciuffi che gli erano caduti sulla fronte.
A quella domanda, Brian alzò la testa. “Dopo la laurea.”
Gli occhi di Nick si illuminarono di fronte a quella affermazione. “Davvero?”
Brian annuì con un sorriso. Poi, allungò una mano verso la tasca della sua giacca e recuperò un foglio, piegato in quattro, e lo porse a Nick. “Me lo ha dato mio padre. E’ il progetto che lui e mamma volevano realizzare.”
Nick, punto dalla curiosità, aprì il foglio sul quale vi era disegnata una semplice piantina di quella che sembrava essere la caffetteria di Brian.
“L’idea era quella di creare un centro per il quartiere: la caffetteria aperta tutto il giorno per permettere a chi non ha dove andare di poter trovare rifugio, qualcosa da bere e avere un po’ di compagnia.”
“Quello che già succede.”
“Già. Ma quello era solamente la prima parte. – Rispose Brian. – La seconda era usare il piano superiore per offrire corsi ai ragazzi,  musica, soprattutto. Dar loro un modo salutare di sfogarsi. Ecco ciò che voglio fare: voglio portare a compimento questo progetto. E’ sempre stato ciò che volevo, poter aiutare altri ragazzi che non hanno avuto la vita facile, esattamente come me. Dar loro un luogo dove rifugiarsi, un’isola felice dove poter essere ragazzi. Aiutarli.”
“E’... è una cosa stupenda, Bri. E sei portato, te l’ho sempre detto.”
Brian appoggiò le labbra sopra quelle di Nick. “Lo so, hai sempre avuto fiducia in me. E non mi hai mai spinto in qualsiasi direzione. Hai aspettato che la trovassi da solo. E’ per questo che ti amo.”
“E’ quello che i partner fanno, no? – Ribattè Nick, rispondendo prima a quel bacio. – Quindi qual è il piano?”
“Prenderò la specializzazione per l’insegnamento mentre continuerò a tenere aperta la caffetteria. Ci vorranno anni prima che possa avere i fondi per il centro, dovrò fare qualche anno di insegnamento visto che al locale non si fanno granché guadagni.”
“Insieme ce la faremo. – Lo rassicurò Nick. Poi arricciò il naso, come faceva sempre quando diventava pensieroso. – Potresti... potresti chiedere consiglio a mia mamma. Si occupa di queste cose, ricerca di fondi e varie. Anche Isabelle, credo.”
“Ti immagini tua madre e Isabelle lavorare insieme?”
Inizialmente Nick cercò di trattenere la risata ma poi, ripensando a tutto ciò che era accaduto in quelle ultime settimane, la risata si trasformò in un sorriso. “Sai che potrebbero sorprenderci? D’altronde, se c’è una cosa che ho imparato, è che la vita è decisamente imprevedibile.”
Brian non poté non acconsentire a quell’ultima affermazione. La vita sarebbe stata sempre imprevedibile e si sarebbe presentata, a volte, con le sembianze di una strega cattiva pronta a distruggere qualsiasi cosa e portarli sotto la sua nube nera e negativa; altre, invece, si presentava sotto forma di arcobaleno o fata madrina, riaggiustando ciò che la sua controparte aveva combinato e regalando nuovi orizzonti rischiarati finalmente dal sole.
Sì, più di tutti, Brian era consapevole che la vita sapeva essere imprevedibile: gli aveva tolto una famiglia ma poi gli aveva fatto incontrare la persona che ora era diventata il centro del suo universo. E, insieme, avevano rimesso insieme i pezzi delle loro rispettive famiglie, creandone una nuova. Forse ancora atipica, forse non del tutto normale e con ancora tanti segreti da sciogliere e rimpianti da cancellare.
Ma erano quello.
Erano una famiglia.
Ed era quello il più grande e meraviglioso regalo di Natale che avesse mai ricevuto.
Ancor stretto nell’abbraccio di Nick, Brian alzò lo sguardo verso quell’ultimo raggio di sole che quietamente se ne stava tornando nel suo torpore notturno. “Grazie mamma.” Sussurrò consapevole che quella semplice parola sarebbe giunta ovunque si trovasse lo spirito di sua madre.

 

 

 

 

 

 

 

__________________________________________

Evvai! Ce l'ho fatta a finirla prima di Pasqua!!!!!!
Ringrazio chiunque abbia letto e chiunque abbia commentato. Come avete potuto leggere, questi Brian e Nick non si fermano qui. Ho ancora tanto da raccontare su di loro e mi diverto un mondo. *__*
Spero anche voi. =)

   
 
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