~ II ~
Con quella risata
che gli rimbombava nelle orecchie, strinse ancora di più il
braccio della povera professoressa Johnson, e cominciò a guardarsi attorno
circospetto per cercare l’origine di quel suono familiare.
«Styles, posso capire che tornare tra queste mura dopo tanti anni
possa comportare uno shock di un certo livello, ma mi piacerebbe poter
utilizzare ancora questo braccio per i pochi anni che mi restano - disse,
scherzosa e sarcastica, la anziana – comunque ti ringrazio per avermi
accompagnata fin qua. Vado a trovare la cara Judith ma, mi raccomando,
passa a trovarmi. Sai perfettamente dove abito, e mi piacerebbe tanto
sapere come te la sei passata durante questi anni, nonostante ormai la
tua vita sia sulla bocca di tutti, qua ad Holmes Chapel»
concluse, sorridendo.
Il ragazzo lasciò la presa, scrutandosi ancora attorno per qualche attimo, per
poi ricambiare il sorriso «Non creda a quello che legge sui
giornali, conduco una vita molto più noiosa di quanto non la
facciano sembrare! Comunque verrò a trovarla volentieri, ancora
mi sogno la notte i suoi biscotti paradisiaci al burro e cannella !»
Salutò quindi la vecchietta che, con passo calmo e traballante, si
diresse verso la piccola casetta al margine del boschetto, dove abitava
la giardiniera.
Adesso era solo.
Solo, in mezzo a quegli edifici pieni di ricordi, e con la consapevolezza che lei era là, da qualche parte.
Il telefono prese a vibrare nella tasca della giacca e rispose velocemente, senza nemmeno controllare chi mi stesse chiamando.
«Pronto?»
«Harry Edward Styles?»
«LOUIS WILLIAM TOMLINSON! – urlò il riccio – vecchia volpe! Si
può sapere dove sei finito? Ci eravamo dati appuntamento
all’incrocio per il St. Martin, ma ti ho aspettato per venti
minuti e di te nemmeno l’ombra».
«Ero… impegnato» poteva vedere distintamente
il ghigno marpione dell'amico dall'altra parte della cornetta, a
sottointendere una certa malizia su quell’impegnato.
«Ah, beh, conosco i tuoi impegni, posso immaginare che siano stati molto, come dire, ludici» ed entrambi si persero in una risata complice.
Louis Tomlinson, il suo vecchio, caro amico, Louis Tomlinson.
Dopo il diploma, le loro strade si divisero: Louis diretto a Cambridge,
dove lo attendeva una sicura carriera da avvocato, sulle orme del
padre; Harry diretto verso la Capitale, con uno zaino pieno più di bozze e
manoscritti che di vestiti. Ma erano rimasti in contatto, tra mail
spedite ogni tanto, qualche cartolina da posti esotici e qualche visita
quando Styles andava a trovare i suoi genitori ad Holmes Chapel, o quando Tommo si
trovava a Londra per lavoro.
Adesso Louis, come previsto, era già diventato socio dello studio
legale del padre, pronto a prendergli il posto non appena il vecchio
fosse andato in pensione, mentre il riccio… beh, lui aveva fatto fortuna
pubblicando i suoi diari del liceo.
Il che gli pareva ancora assurdo considerata la quantità enorme
di storie e scritti, nettamente migliori e più maturi, che aveva
mandato alle varie case editrici. Eppure, per puro caso – e per
pura disperazione – un giorno inviò quell’infantile diario
da liceale e nel giro di pochi mesi non era solo stato pubblicato, ma
era in cima alle classifiche dei best sellers dei libri per ragazzi del
Regno Unito. E adesso lo stavano pure traducendo in qualcosa come
cinque lingue. Ancora non se ne capacitava, ma si godeva la
“fama”, se così si poteva definire.
Chiaramente, quando lo pubblicarono, Harry non si preoccupò di avvertire
nessuno. Solo dopo venne a sapere che era potenzialmente citabile in
giudizio – e fu proprio Louis ad avvertirlo della cosa.
Inizialmente temeva anche che lui e Niall potessero essersi offesi, per
le parole che aveva riservato loro in quelle pagine, ma dopotutto non
era stato troppo severo, e soprattutto loro sapevano perfettamente che si
trattava di un diario. Insomma, ringraziò il cielo di avere due amici
intelligenti e svegli, che non si preoccuparono minimamente della cosa,
anzi ne furono divertiti, se non lusingati – Tommo gli scrisse
addirittura ringraziandolo per averlo citato con nome e cognome
perché, a quanto pare, riusciva “a cuccare”
più del solito.
Però di certo non aveva riservato mezzi termini per Lorraine
Welsh e le sue tirapiedi.
Louis gli disse subito di tenersi pronto, di
mettere da parte soldi perché molto probabilmente lo avrebbero
denunciato per diffamazione, o qualcosa di simile. Aveva pure pensato
di cambiare i nomi, dargli dei soprannomi, ma il suo agente, concorde
con la casa editrice, sentenziò che il libro avrebbe perso di
veridicità. Quindi doveva solo tenersi pronto ad
un’eventuale processo giudiziario.
Processo che non avvenne mai.
Nessuna di loro infatti lo citò in giudizio. Non ricevette
nemmeno una telefonata infuriata, mail minacciose, nulla. Dal loro
versante non fiatava un alito di vento, cosa che lo fece adagiare
ancora di più sugli allori. Insomma, se non si erano incazzate
loro – specialmente Lol – poteva ritenersi
salvo.
Non si era nemmeno preoccupato più di tanto quando il preside
Goldberg gli inviò l’invito per partecipare a quella
iniziativa delle “lezioni tenute da ex-alunni del St. Martin, adesso uomini e donne di successo”.
In effetti era stato piuttosto stupido a non
varare l’idea che lei ci sarebbe stata sicuramente: era
già una donna di successo quando ancora non era nemmeno una
donna.
In realtà, il ragazzo non aveva la benchè minima idea di che fine avesse fatto la Welsh, dopo il collegio.
Sinceramente, uno dei motivi – se non il principale – per
cui era corso via a gambe levate dal Cheshire era stata proprio lei.
Immaginò che fosse diventata manager di una qualche azienda, magari
anche lei era subentrata al posto del padre come dirigente
dell’industria di Jaguar che possedevano ai tempi. Provò a
immaginarsi il suo classico sguardo sprezzante e strafottente,
invecchiato di sette anni.
E mentre cercava di immaginare quegli occhi nocciola che aveva maledetto per anni, aspettando Louis seduto su una
panchina sotto il loggiato, ecco che quello sguardo, quegli occhi
freddi e affilati come lame, incrociarono i suoi. Era là, come
previsto, che si dirigeva verso l’aula magna accompagnata da un
uomo di mezza età che Harry riconobbe come il Professor Anderson. I
capelli, adesso lunghi fin sotto le spalle, le incorniciavano il viso, che aveva perso quel
candore tipico del liceo. La sua espressione era meno fiera e
più stanca di quanto il ragazzo ricordasse. Però rideva, e quella
risata che prima aveva sentito chiaramente perdersi nell’aria era
proprio la sua.
Quando i loro sguardi si incrociarono, lui provò subito quelle stesse,
fastidiosissime sensazioni di sette anni prima: rancore, astio,
risentimento verso quel sorriso beffardo e quelle sfere color sabbia.
Eppure, dopo qualche frazione di secondo, ecco che tutto cambiò.
Non lesse più, negli occhi della ragazza, quella tensione e quella sfida che le erano soliti,
ma… vergogna. Imbarazzo, misto forse a delusione.
Perché evidentemente lei non aveva dimenticato quell’ultimo
giorno di liceo, così come non lo aveva dimenticato lui, e non lo
avevano fatto nemmeno i milioni di lettori del suo libro.
La sveglia mattutina è sempre un trauma.
Lo so, è un luogo comune, ed è difficile per la maggior
parte delle persone alzarsi la mattina, ma le sveglie del St. Martin
sono pure più tremende del normale.
Il suono della tromba insistente, che proviene dal parco davanti
all’ingresso, è ciò che ci penetra nelle orecchie alle sei e mezza
di ogni sacrosanta mattina. Sì, perché oltre alla tromba,
dobbiamo assistere alla cerimonia della bandiera, ogni giorno, non
importa che ci siano metri di neve, o pioggia torrenziale, o un caldo
asfissiante: tutti gli studenti, alle sette in punto, devono
essere là, dritti sull’attenti, pronti a recitare
fedeltà al Regno Unito. Io voglio bene alla Regina, dico
davvero. E’ una vecchietta simpatica, e poi ha quei cagnolini che sono
davvero spassosi. Ma se potessi dormire quella mezz’oretta in
più, e non dovessi strascicarmi fuori all’alba per vedere
la solita Union Jack issata sull’asta, beh, certamente ne sarei
più felice, e magari ne guadagnerei anche in salute.
Inoltre, come se non bastasse lo stress provocato da un risveglio
simile ogni giorno, devo anche beccarmi la Welsh, impeccabile nella sua
divisa, come se svegliarsi a quell’ora improbabile non la
scalfisse minimamente. Non c’è mai un segno di cedimento
sotto quegli occhi perfidi, la sua pelle è sempre rosa e vivace,
e quel sorriso è sempre piantato là, a ricordare a tutti
quanto lei sia superiore.
«Lol, ti ricordo che oggi pomeriggio dobbiamo passare dall’ufficio del preside per parlare del ballo…»
Sentire la voce stridula di Jane Moers, di prima mattina, è
forse peggio del suono della tromba. Chiaramente si sono messe in fila
dietro di me. È sadismo puro. Stringo forte la mano in un pugno,
serrando la mascella al contempo. Niall, alla mia sinistra, mi guarda
con la coda dell’occhio e “ignorale”
mima con la bocca. Annuisco impercettibilmente, cercando di
concentrarmi sulla bandiera che viene lentamente issata, ascoltando la
solita pappardella mattutina del preside Goldberg. Ma quelle voci
fastidiose alle mie spalle sono peggio dei tarli, cristo.
«Lo so, Jane, non preoccuparti – il tono della voce di
Satana è mellifluo ed accondiscendente – piuttosto vediamo
di non far tardi per la riunione in redazione».
Sottolinea quelle tre parole con arroganza. E sappiamo tutti benissimo
– lei, Jane, Louis, Niall ed il sottoscritto – che quelle
parole sono dirette specificatamente a me. Come a sbattermi in faccia
(o forse dovrei dire sulla nuca, dato che è dietro di me) che la
redazione è sua.
Ma stavolta non voglio darle soddisfazioni, guardo avanti e fingo di
ignorarla quando, in realtà, dentro di me sto covando scenari
apocalittici con lei piantata sul rogo, pronta a fare la fine che si
merita.
Mi avvicino alla porta dell’aula con il cuore nelle scarpe, un
polpo aggrovigliato attorno alla gola, e una nuvola pesante sulla
testa.
Perché non mi va, non mi va di doverla affrontare per
tutto il pomeriggio, non mi va di essere sfruttato perché sono
l’unico che sa usare decentemente il programma di impaginazione,
e non mi va di dover reggere il confronto con lei, per l’ennesima
volta. È… estenuante. Dopo quasi dieci anni, mi ritrovo
davvero senza forze.
Sento il vociare concitato e divertito dall’altro lato di quella
porta in legno di mogano, e rimango là, imbambolato, indeciso se
varcare quella soglia o meno.
La professoressa Johnson mi vede, dal fondo del corridoio, mi sorride e
mi fa il pollice su, come per incoraggiarmi. Quella donna avrà
anche duecento anni ma è l’unica che forse ha capito come
gira la giostra, qua al St. Martin. L’unica che per lo meno
riesce a vedere dietro a tutti questi specchi, e non si lascia
ammaliare dal riflesso di quello di Lorraine Welsh.
Sospiro profondamente, mi sistemo la tracolla sulla spalla e il ciuffo
di capelli riccioli che casca di continuo davanti agli occhi ed entro.
Ed ecco la mirabolante redazione composta dall’arpia:
da una parte ci sono le sue scagnozze, capitanate ovviamente dalla
Moers, che si occupano di articoli ai limiti del ridicolo
(“SPOTTED: dichiaratevi in via anonima attraverso il giornale
scolastico!” “I 10 consigli di bellezza per superare il
cambio di stagione senza problemi!!” “WE ♥
SHOPPING!!!” – insomma, ogni articolo che contenga almeno
un punto esclamativo);
al lato opposto della stanza possiamo notare i nerd, ovvero tutti quei
poveri sfigati che sono stati ammaliati dalle false lusinghe di quella
mantide religiosa della Welsh e ora sono costretti a smanettare al
computer, alle prese con file salvati male da quelle incapaci,
programmi impallati, idee grafiche irrealizzabili e chi più ne
ha più ne metta;
in giro per la stanza, indaffarati, ci sono i tuttofare, tra cui
– mio malgrado – rientro anche io: povere anime, con sogni
di gloria ormai riposti in un cassetto, costretti in un limbo di tutto
e nulla, ridotti a fare da impaginatori, da facchini, addirittura da
cuochi – come dimenticare quando la Welsh ci costrinse a portare
a lei e alle sue galline tea e biscotti?
Poi ci sono Zayn Malik e Kate Wu, gli unici due ragazzi sopravvissuti
allo sterminio dei giornalisti decenti compiuto da Lorraine, e gli
unici che scrivono articoli di questo nome. Loro si vedono poco da
queste parti, a dire il vero: spediscono tutto qua in redazione e tocca
poi a noi tuttofare il compito di leggere, correggere, e quindi
pubblicare.
Infine ovviamente c’è lei, la Regina. Che si limita a
controllare e tiranneggiare su ogni singola parola e frase che passa
per le nostre mani. Perché se qualcosa non è di
gradimento a Sua Maestà, state sicuri che non vedrà la
luce del giorno: sarà accartocciato e gettato nel cestino della
carta che, vi assicuro, è decisamente pieno. Non pensa nemmeno
al disboscamento della Foresta Amazzonica, evidentemente.
Non saluto nessuno, se non qualche cenno del capo ai nerd e mi avvicino
a Peter, uno dei miei compagni tuttofare, che è alle prese con
l’impaginazione della terza di copertina.
Peter è, come me, un ragazzo del quarto anno, ben piazzato, che
madre
natura ha già premiato con una folta barba nonostante i 18 anni,
ed è impossibile vederlo senza i suoi spessi occhiali in
tartaruga. È un personaggio piuttosto singolare, ed altrettanto
interessante: scrive benissimo, ed è una delle poche
persone a cui forse frega davvero qualcosa del destino di questo
giornale.
Mi lancia un'occhiata di saluto, per poi borbottare «Harry, non torna un cazzo: mi hanno dato due articoli da
piazzare qua, in penultima pagina, ma sono troppo corti, cristo. Come
dovrei fare a riempire questo buco qua? – sposta di lato il pc
per farmi vedere, mentre io appoggio la tracolla sul banco e mi metto a
sedere al suo fianco – sono delle cretine,
se non capiscono nemmeno come si imposta un giornale io non so davvero
che farci» conclude, parlando sottovoce, temendo che qualcuna
possa sentirlo.
In effetti avevano pensato di dedicare la terza di copertina solo a due
articoli, quando c’era posto per almeno quattro. Tirai fuori
dalla borsa la mia penna usb.
Non avrei lasciato quegli spazi vuoti per
nulla, cazzo.
«Styles? Hai finito di impostare le ultime pagine?»
Non sposto nemmeno lo sguardo dallo schermo del pc, unica fonte di luce
della stanza. Ormai la sera è calata, se ne sono tutti andati e
Peter mi ha mollato qua a finire il lavoro, dato che ha da studiare per
il test di Matematica. Pensavo, e speravo, di essere rimasto da solo,
ma come al solito mi sbaglio. Lei c’è sempre, l’ho sottovalutata per un secondo.
Clicco un ultima volta sul file, salvo, e mi alzo, sistemando i vari fogli che erano rimasti sparsi sul tavolo.
Lei si sporge verso il lavoro compiuto, scorre con il mouse e posso
intravedere il suo sorrisetto beffardo spuntare sulle sue labbra.
«Non ricordavo di aver dato disposizioni simili per la terza di
copertina» alza i suoi occhi nocciola verso di me. La fisso,
senza risponderle.
Si avvicina a me, sempre con quel ghigno stampato sul volto ed, in
questa penombra, assomiglia più ad una maschera grottesca della
tragedia greca che ad una ragazza di quasi diciott’anni.
«Credo che qua ci andasse la pubblicità del pub dei Payne,
o sbaglio? E qua ti sei dimenticato di inserire i ringraziamenti ai
professori» continua lei, indicando i due articoli - uno di Pete
sullo spreco di risorse della scuola, l’altro mio su una proposta
di cineforum scolastico (un progetto che cercavo di portare avanti da
mesi e mesi, senza successo), in pratica due articoli che
entrambi abbiamo provato a proporre da settimane e nessuno ha mai
calcolato, ovviamente.
Continuo a non proferire parola, sostenendo il suo sguardo sempre più fiammeggiante ed insolente.
«Devo ricordarti che la caporedattrice sono io? –
posso sentire il suo profumo dolciastro insinuarsi nelle mie narici
– quindi, adesso, da bravo: sistema questa pagina come ho
detto».
No.
No, cazzo, basta.
Non ne posso più di lei, del suo tono presupponente, del suo
dovermi sbattere in faccia che sì, lei ha vinto, ed io sono
relegato, ancora una volta, al secondo posto.
Sbatto forte la mano sul tavolo, non ci vedo più dalla rabbia.
«NO. NO, BASTA! I nostri sono articoli ben scritti, interessanti,
che potrebbero davvero aprire gli occhi a qualcuno. SAI A QUANTA GENTE
GLIENE FREGA DI COME BISOGNA METTERSI LO SMALTO, CAZZO? A NESSUNO. A
NES-SU-NO! Quindi, se vuoi i nostri articoli fuori dal giornale TE LI
TOGLI DA SOLA, MI SONO ROTTO LE PALLE DI STARE AL TUO SERVIZIO, PORCA TROIA!»
mi blocco, per riprendere fiato, mentre lei, muta, mi guarda
soddisfatta.
«E togliti quel sorrisetto da quella faccia da stronza che ti
ritrovi, sei inquietante – apro la porta della stanza – A
mai più rivederci, pensaci tu a ‘sto schifo di giornale
che hai rovinato e vaffanculo» ed esco, sbattendola con forza, sfogando
così anche la furia e la frustrazione che quel mostro di ragazza
mi ha causato.
Buon venerdì carissime~
bando alle ciance e ciance alle bande, inizio subito col dire due
paroline sul capitolo :3 La parte di Harry 25enne è molto
didascalica, perchè mi serviva far capire che strada avessero
preso lui e Tommo, e soprattutto mi serviva approfondire sulla storia
del suo libro... e poi ha rincontrato Lol! Ancora non si sono detti
nulla - ci vorrà qualche capitolo, vi avverto xD - ma come
vedete, è successo qualcosa che entrambi ricordano molto bene... non voglio anticipare nulla, però ahahahaha
Per quanto riguarda invece la parte "del libro", il piccolo Harry ha
finalmente trovato le palle per opporsi a quella vipera u.u foooorse ha
un po' esagerato con i termini, ma quando è troppo è
troppo, ecchecccazzzzo (ah, ed è pure stato nominato Zayn :D vi
avverto che non avrà un grande ruolo in questa fic, però
ogni tanto comparirà in tutta la sua beltà - ho fatto
anche la rima LOL)
Bene, penso non ci sia altro da aggiungere, se non un gigantesco, enorme, MASSIVE GRAZIE
a tutte voi che avete letto, recensito, e messo questa storia nei
preferiti/seguite/ricordate nonostante sia solo il primo capitolo :)
♥ non so, mi sto affezionando molto a questa fanfic e spero di
non deludervi con il continuo :*
luv y'all!
xx Gin
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