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Autore: Frances_May    10/10/2007    1 recensioni
Introduzione rimossa perchè non presenta nessun accenno alla trama della fanfiction.
Inserirne al più presto una valida.
Rosicrucian e Nami, assistenti amministratrici.
Genere: Generale, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kairi, Naminè, Organizzazione XIII, Riku, Sora
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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III. Existence

«Dove stiamo andando?»

«Te l’ho già detto: andiamo alla Prova.»

Due voci distinte riecheggiavano tra le mura marmoree di un lungo corridoio luminoso, sul quale un ampio soffitto vetrato lasciava passare i raggi tiepidi del cielo. Una aveva un accento ansioso ed incuriosito e l’altra gli rispondeva in modo atono ed impersonale, un po’ seccato.

«Ma io…»

«Vuoi sapere come ti chiami o preferisci essere etichettato come “marmocchio” per tutta la tua “esistenza”? Ci siamo passati tutti quanti prima di te: la fase della Prova è fondamentale per entrare a far parte dell’Organizzazione.»

Zexion camminava risoluto al fianco del ragazzino biondo che quasi arrancava alla sua sinistra, faticando nel seguirlo; continuava ad impartirgli un silenzio indiretto che il piccolo pareva proprio non afferrare, incalzando la conversazione a monosillabi e con domande che il suo compagno interrompeva e a cui rispondeva con riluttanza.

«Organizzazione? Ma veramente…»

«E’ come ci facciamo chiamare. Apprenderai presto cosa voglio dire.»

«Ma…» la voce del piccolo sollecitò nuovamente «Dove ci troviamo, Zexion?»

«Nella nostra fortezza; Appartiene a noi dell’Organizzazione ed è l’unico posto in cui ci è permesso stare.»

Zexion svoltò a sinistra, mentre il ragazzino lo seguiva stanco.

«Perché…tu non usi…quell’apertura…?» chiese ancora, affannando; riusciva appena a stare al passo « Axel mi ha detto che…» La risposta di Zexion si confuse con un leggero sospiro, irritato da tutte quelle domande incessanti e anche in gran parte inasprito dall’aver udito ancora il nome di Axel.

«Forse intendi dire il Portale…?» disse, d’un botto, per poi soffocare una risatina «Se cercassi di spiegartelo in maniera che tu possa capirne almeno il cinque per cento, allora ti direi che è una alterazione della materia che comprime l’aria e distorce la realtà, estraendone le ombre. Inoltre,» mosse una mano «solo noi siamo in grado di servircene.» lo guardò « Ti è chiaro?»

Il biondino aggrottò la fronte, limitandosi a balbettare «Voi…cosa…siete?»

Zexion lo fulminò bieco, senza accennare però a fermarsi per rimproverarlo, sentenziando:

«Nobody.»

«Nobody?»

Il giovane dai capelli azzurri rallentò il passo, lasciando che il ragazzino lo raggiungesse «Si. Esseri costituiti da carne e intelletto, capaci di intendere, di volere, di parlare e di creare...» sul suo volto si dipinse un’espressione ambigua che accompagnò il suo freddo tono di voce «…non ti ha affatto stupito il fatto di aver perso il tuo Altro, eh? Allora ti sei quasi…»

«C-che cosa?» lo interruppe bruscamente il ragazzino al suo fianco, cercando di trattenerlo afferrandolo per una manica «Io…Io non ho perso nulla! E non so che cosa siano i Nobody e gli Altri e…insomma, perché non dici come stanno chiaramente le cose? Io non mi fido di te!» al piccolo mancò il respiro, poi bloccò Zexion per le braccia mettendoglisi di fronte e continuando a gridargli in faccia, arrabbiato «Io voglio sapere dove sono e perché mi trovo in questa strano posto! Voglio sapere dov’è Axel! Perché mi sono sentito male? Perché non ho potuto piangere alla sensazione di dolore forte che stavo provando? Rispondimi!»

Zexion lo fissò gelido dall’alto, scansandolo bruscamente alla sua destra. Il biondino barcollò, aggrappandosi al muro: la spinta di Zexion non era molto forte, ma essendo ancora leggermente provato dalla sera prima, nonostante Axel gli avesse offerto un abbondante pasto, gli venne difficile reggersi in piedi.

«Semplicemente,» sbottò Zexion, riprendendo a camminare e lasciando indietro il compagno «non ho motivo di dilungarmi in queste spiegazioni, dato che molto presto capirai da solo tutte queste cose e allora…»

«Io…Io non c’entro nulla in questa storia!» gridò il bambino, sostenendosi al muro con i palmi «Io sono me stesso e basta!»

«Ne sei davvero convinto?» Zexion si fermò poggiandosi svogliatamente con la schiena contro la parete fredda, come se stesse aspettando che il ragazzino si decidesse a raggiungerlo «E allora…come riesci a spiegarti il fatto che non conosci la tua vera identità e…che hai anche paura di svelarla a te stesso?» alzò il capo e abbozzò un sorriso, lasciando che le ciocche disordinate gli scoprissero a tratti il viso «Non sei riuscito a piangere...perché non ne hai la facoltà: è il prezzo da pagare per chi perde il proprio Altro, il vero sé stesso, e diventa un Nodody. In superficie non cambia praticamente nulla, poiché il vero mutamento...avviene all’interno: un corpo dotato di vita...senza un’essenza.» fece una pausa, ritornando serio, prima di concludere «I Nobody sono esseri che non hanno...»

«…l’anima…»

Zexion lo fissò per un istante, con le labbra dischiuse, poi decretò, risollevandosi dal muro:

«Ti facevo più stupido.» gli si avvicinò a passo svelto e prima di fargli segno di risollevarsi gli rivolse un’occhiata fugace «Ma dopotutto è normale che una parte di te ne sia già consapevole.»

«…non capisco…» il biondino si passò una mano fra i capelli, afferrando con forza alcune ciocche fra le dita «…cosa significa…?»

«Ora basta con le domande. Avrai tutte le risposte che cerchi quando sarà il momento…ora non servono ad altro che a far sprecare fiato sia a me a che a te.» il tono di Zexion era perentorio, non ammetteva repliche, ed imponeva il silenzio.

Il ragazzino lo osservò mentre gli dava le spalle e riprendeva ad avanzare, dirigendosi con passo risoluto verso un’imponente portone che dominava sull’intero corridoio, dalla parete più lontana.

Era confuso, ed il ricordo della terribile mancanza che aveva provato qualche attimo prima, nella “sua” camera, se così poteva chiamarla, lo infastidiva, e lo faceva sentire vulnerabile. Era in un luogo che non conosceva, assieme a gente di cui non capiva le intenzioni…Organizzazione, Nobody, Portali…erano tutte parole senza senso, e continuava a chiedersi perché cercasse ancora di dare loro un significato. Non c’era più neanche quell’unica sicurezza a cui si era disperatamente aggrappato un attimo prima di prendere sonno, e quella voce che gli diceva “Non ho alcuna intenzione di farti del male. Te lo giuro.”

Deglutì, mentre con un grande sforzo si rimetteva in piedi e raggiungeva Zexion, incespicando. Aveva ancora tantissime domande da porgergli, ma si sforzò di tenerle per sé.

Continuava ad osservare il suo compagno mentre procedeva per il largo androne illuminato da sei alte vetrate, animato dal ritmico incedere dei loro passi.

«In cosa…» azzardò ancora il ragazzino, a bassa voce «…in cosa consiste…questa Prova…?» il tono era incerto «E’ qualcosa di…impegnativo?»

A questo punto Zexion non mostrò alcun segno di irritazione, né di stanchezza; si limitò a rispondere con voce piatta:

«Dipende da cosa intendi per “impegnativo”» diresse gli occhi verso la porta che si faceva sempre più vicina «Se vuoi dire faticosa al livello fisico, allora la risposta è no. Devi solo imparare a parlare con te stesso…e puoi riuscirci anche senza muovere un dito.»

Finalmente entrambi si fermarono. Su di loro si ergeva una maestosa porta su cui v’erano incise innumerevoli croci, alcune in rilevo e altre scavate, che si sovrapponevano andando a formare un motivo confuso ed allo stesso tempo affascinante. Il bambino ne cercò l’estremità, abbagliato, per poi riportare gradualmente gli occhi verso il basso fissando quasi con aria affranta la propria ombra sul pavimento lucido.

«Ora ti aprirò la porta, e tu entrerai.» spiegò Zexion, liberando le braccia dal loro intreccio «Rimarrò qui fuori ad aspettarti, e quando avrai terminato verrò a riprenderti.» poggiò una mano su di un battente «Non preoccuparti di nient’altro che della Prova. Dentro di me sentirò quando sarà il momento di aprirti nuovamente le porte.»

Il biondino annuì impercettibilmente, senza spostare lo sguardo da terra. Una mano volò quasi istintivamente al petto, con lentezza, mentre dalle sue labbra sibilavano alcune fioche parole:

«Cosa mi sta…succedendo…?»

Zexion lo guardò per un istante, poi la sua attenzione tornò all’enorme portone; un attimo prima di spalancare i battenti, spingendoli con un ampio movimento di entrambe le mani, sussurrò in risposta:

«La verità… » fece una pausa «… è che né tu, né io saremmo mai dovuti esistere.»

Non appena il ragazzino mise piede nella stanza, mentre l’eco delle porte che si chiudevano alle sue spalle gli invadeva ancora le orecchie, si sentì inizialmente pervaso da una fastidiosa sensazione di claustrofobia, ma già dopo pochi istanti il suo respiro tornò regolare ed i suoi occhi presero a studiare l’ambiente, curiosi ed inquieti.

La sala era di dimensioni ridotte, tanto piccola che per un attimo si chiese come fosse possibile che le enormi porte che aveva appena attraversato le facessero da ingresso; i muri convessi si curvavano verso l’alto in maniera così fluida da sembrare vivi, e andavano a formare un soffitto bombato, animato dai bagliori dei neon che mandavano scintille da alcune fessure ai margini delle pareti.

Al centro di un lucido pavimento in pendenza sorgeva una lunga ed ampia scalinata, delimitata in entrambi i lati da tre larghi gradini, su ognuno dei quali erano posizionate alcune lastre di marmo. Il ragazzino mosse un passo, avvicinandosi maggiormente a quello strano monumento, cercando di ignorare l’insistente brivido che gli pervadeva i palmi delle mani, non ancora cessato dalla discussione che aveva appena tenuto con Zexion.

Ognuna di quelle lapidi sembrava essere posizionata secondo un preciso ordine che non gli riusciva di comprendere. Si avvicinò ad una di esse, e prese ad esaminarla in maniera più approfondita. Sulla cima era inciso un numero, gli parve di scorgere un dieci stilizzato, sopra il quale risplendeva la stessa croce di metallo che aveva già visto sull’ingresso e su alcune pareti di quell’assurda fortezza.

Salì di alcuni gradini e raggiunse la seconda serie di lastre, fermandosi davanti ad un sette inciso nella stessa identica maniera, e sbirciando oltre, verso l’ultimo ripiano, riconobbe altri due piccoli monoliti marmorei che troneggiavano sugli altri vestigi, su cui erano incisi un due ed un tre.

In tutto erano undici. Il biondino si accovacciò davanti alla settima lapide, lasciando ricadere la testa di lato per studiarla meglio. Guardandola con più attenzione, la sua superficie non sembrava solida…era diafana, ed emanava un sottile riflesso del color dell’acqua. Rimase ancora un po’ fermo ad esaminarla, seguendo con gli occhi ogni suo minimo fremito, poi avvicinò titubante le dita vibranti, incuriosito.

Il contatto con la sua pelle fu leggero e delicato, un po’ esitante, e il ragazzino ritirò subito la mano, sentendosi percosso da una sferzata fredda lungo tutto il braccio. La superficie della lapide si increspò, mentre tutt’intorno si allargavano in movimenti fluidi innumerevoli cerchi concentrici.

Il numero XIII si sentì mozzare il respiro, mentre stringeva le dita raggelate nell’altra mano.

Saïx.

Quella parola gli salì in gola improvvisamente.

«Saïx.» la pronunciò a voce bassa, come a volerla rendere viva. Senza volere continuò a ripeterselo mentalmente, quasi all’infinito; non sapeva perché, ma più la udiva, più gli suonava familiare…quasi come se l’avesse sempre avuta fra le labbra, immobile senza che riuscisse in nessun modo a liberarla.

«Saïx.» il fiato si interruppe, poi, incerto, aggiunse «…Numero VII.»

Per un attimo la vista gli si annebbiò, e sentì un flusso intenso di pensieri invadergli la testa, tanto impetuoso da fargli perdere l’equilibrio.

Erano parole sussurrate a bassa voce nelle sue orecchie, che si sovrapponevano e si sovrastavano, faticò a comprenderle, finché non le udì svanire gradualmente, affievolendosi, lasciando nella sua testa solo una scia di echi e brevi fischi.

«Non spiare gli altri.» la bocca del biondino si aprì da sola, a pronunciare quella frase, senza che lui riuscisse a comprendere pienamente ciò che stava accadendo.

“Non spiare gli altri”. Sapeva di metallico, ed era venata di un leggero tono d’ammonizione.

Il ragazzino cercò di mettersi in piedi, confuso; si sorresse la testa con una mano, mentre con l’altra cercava un appiglio per risollevarsi. In quei brevi istanti durante i quali aveva poggiato le dita sulla superficie liscia di quella lapide, si era sentito stranamente fuori posto...come un intruso. E anche tutti quei pensieri che gli avevano affollato la mente…sapeva benissimo che non gli appartenevano.

Si massaggiò la testa, battendo le palpebre per riprendersi, mentre a passi lenti cercava di allontanarsi dalla tenue luce che vedeva riflessa in ognuna di quelle spoglie lastre, ma quelle parevano osservarlo da ogni direzione, biasimandolo.

Per un attimo aveva visto con gli occhi di un’altra persona. Gli pareva assurdo, ma inciampando sulle scale si accorse che era proprio ciò che gli era appena successo. Era come se per quell’istante avesse toccato con mano l’essere di qualcun altro.

Il suo sguardo volò da una lapide all’altra, esterrefatto. Ciò significava che ognuna di quelle lastre fosse collegata ad altrettante persone?

D’un tratto il biondino spalancò gli occhi, e balzò in piedi. Possibile che tra quelle undici lapidi ce ne fosse almeno una che potesse condurlo ad Axel? Fece volare gli occhi da un numero all’altro, chiedendosi se fosse possibile. La sola idea di poterlo ritrovare lo riempiva di una strana speranza.

Mentre ancora esaminava quasi febbrilmente ognuno di quei freddi numeri, percepì un fastidioso formicolio lungo tutta la spalla destra, mentre con la coda dell’occhio intravedeva una tenue luce espandersi vicino alla lapide numero dodici.

Si voltò, cercando di ignorare il braccio intorpidito; una miriade di piccole luci apparivano e si spegnevano, dondolavano e volteggiavano, poi si incontravano e si fondevano, quasi come attratte da una qualche insolita forza. Si posarono lentamente sul pavimento, sovrapponendosi l’una all’altra, fino ad andare a delineare le forme abbozzate di una lastra simile a quella che sorgeva lì vicino.

Il numero XIII osservò le piccole luci, quasi abbagliato. Continuarono a brillare, come polveri di piccoli cristalli, risplendendo di riflessi e rifrazioni. La vide come un’interferenza, una distorsione in quell’ambiente immobile…e pareva quasi che lo chiamasse.

E lo chiamava per nome; il ragazzino se ne accorse all'istante. Lo sentiva pronunciato da ogni parete, gli giungeva sussurrato da ogni direzione, ma tuttavia non riusciva a coglierlo completamente. Avanzò verso quella lapide di luci, con passo lento ma deciso, finché non l’ebbe davanti a sé. Rimase immobile a fissarla, mentre quell’irritante sensazione di intorpidimento diventava più intensa e lentamente gli penetrava in tutto il corpo.

D’un tratto sentì il bisogno di conoscere quel nome, quasi come un assetato capisce che morirà se non berrà abbastanza acqua. Era quasi come se quel nome rappresentasse ormai l’unica fonte di ogni certezza, un punto fermo…l’unica prova che lui esistesse ancora.

Si inginocchiò di fronte alla lastra, e con gli occhi che assorbivano senza battere ciglio tutti quei riflessi, poggiò entrambe le mani sulla superficie incolore, senza un’esitazione.

Il ragazzino non fu ostacolato da alcuna resistenza, e le dita vennero lentamente avvolte da quei barbagli, mentre sentiva chiaramente di conoscere il perché di tutto ciò che gli stava accadendo

La Prova dell’Esistenza.

Oo°*°oO

Giganteschi scaffali ricolmi di schedari invadevano le quattro pareti di una stanza dagli angoli smussati come se fossero carta da tappezzeria. Una sobria mobilia arredava l’intera stanza, ma uno sfarzoso soffitto, piastrellato come un mosaico, completava l’opera, dando un tocco di eleganza. L’unica fonte di luce, che come un ombra aranciata macchiava ogni cosa incontrasse, proveniva da una porta finestra provvista di balconata che dava su due paesaggi contrapposti: da una parte, delle colline verdeggianti incorniciavano il tramonto quasi fosse un quadro, e dall’altra si snodavano le anguste e buie strade della Città.

Due pensierosi occhi color oro, spaziavano fra quei due paesaggi opposti con fare flemmatico, soffermandosi a lungo in vari punti, cercando di coglierne i minimi particolari, quando d’improvviso si sgranarono leggermente. Due labbra sottili si dischiusero per un attimo, poi tornarono immobili, senza espressione, mentre le guance colorite si accesero di un rosso tenue, che si confondeva con le sfumature dei raggi del vespro.

«Che seccatura.» disse, mentre con una mano si massaggiava la nuca, lasciando che i suoi lunghi capelli violacei si intrecciassero in ciocche alle sue dita «Detesto quando la gente non sa farsi gli affari propri.» sospirò, alzando gli occhi, interrompendo il movimento della mano poco al di sotto dell’attaccatura dei capelli.

«Abbi un po’ di pazienza…» Xemnas stava poco più in là, eretto davanti ad uno degli scaffali, mentre sfogliava le pagine di uno spesso fascicolo, tenendolo aperto sul palmo «I nuovi fanno sempre così, lo sai anche tu…» Voltò impercettibilmente il capo di profilo, cercando il compagno con la coda dell’occhio «…È perciò inutile reagire a questo modo per l’ennesima volta, Saïx.» Poi fece una breve pausa, riprendendo la lettura.

Il sommesso frusciare delle pagine voltate flemmaticamente dalle dita di Xemnas determinavano il tempo regolare di un pomeriggio silenzioso già da alcuni minuti. Rigido nel suo soprabito, Saïx si era fermato a guardare quell’insolito tramonto senza quasi accorgersene, come colto da una profonda nostalgia. Una nostalgia che sapeva di fittizio, come una rimembranza confusa che non gli riuscì di individuare appieno.

Gli capitava spesso. Erano piccoli frammenti, brevi attimi di una vita che non gli apparteneva, che emergevano come fantasmi in ogni momento, vividi o sbiaditi, come macchie che si allargavano nella sua mente e che, per quanto tentasse, non riusciva a cancellare.

A qualcuno piaceva guardare il tramonto, un tempo. Gli piaceva farlo perché gli dava la sensazione di essere libero. Saïx socchiuse gli occhi.

Essere libero, essere vivo, essere felice. Ormai erano tutte cose che non gli erano più concesse. Eppure c’era il ricordo, gli era rimasta solo un’idea confusa di come ci si potesse sentire.

Il Numero VII scosse il capo, come a scacciare quei pensieri scomodi, quindi lasciò che la mano ricadesse lungo i fianchi. Voltò lo sguardo verso Xemnas, rivolgendogli un leggero sorriso obliquo:

«Ti sta a cuore il ragazzino?» fece, muovendo un braccio in un gesto ampio «Ti vedo fin troppo accondiscendente.»

«Uhm…Strano modo di vederla.» stabilì l’altro, con una risatina atona, rimanendo poi in silenzio per un attimo «Direi piuttosto che mi comporto in una certa maniera solo perché ce n’è la necessità…» si interruppe, poi fece cadere il discorso, con gli occhi che seguivano le righe d’inchiostro sul fascicolo che aveva fra le mani.

«Xigbar sta davvero iniziando a scantonare.» esordì, voltando pagina, dopo aver letto alcune parole «Mai che riesca a leggere un suo rapporto scritto per bene.»

Saïx gli si avvicinò, sporgendosi oltre la sua spalla. Il suo sguardo cadde immediatamente su di una pagina bianca su cui spiccavano i caratteri scomposti dell’inconfondibile frettolosa calligrafia del numero II. Li lesse a fatica, strizzando a tratti gli occhi.

Dopo una lunga serie di resoconti accurati di missioni concluse brillantemente, iniziava un elenco di messaggi privi di alcun tipo di formalità; a volte non si trattava altro che di frasi incomplete, o anche di poche parole isolate, o di commenti monosillabici che esprimevano una pesante insoddisfazione, mista ad una nota di sarcasmo che nessuno aveva mai visto sparire neppure per un attimo da qualsiasi suo gesto.

Rapporto N°23

TOTALE fallimento. Causa un’enorme palla al piede da cui il “SUPERIORE” non si decide a liberarmi.

Rapporto N°24

Nota per il futuro: Se vuoi che mi riesca qualcosa, allora levami di torno Signor Rose&Fiori.

Rapporto N°25

No. La prossima volta lo AMMAZZO. Prendo la mira e lo faccio secco.

Rapporto N°26

Ti pare che io abbia mai sbagliato un colpo?

Rapporto N°27

XI non sa fare un emerito cazzo.

Rapporto N°28

Vedi sopra.

Rapporto N°29

Per cominciare, la prossima volta che mi mandi XI nel poligono, Xem, non potrò assicurarti la sua incolumità. Secondo, affidalo ad VIII, che fra incapaci ci si intende.

Rapporto N°30

Penso che smetterò di scrivere il rapporto. Ne va del mio orgoglio.

Rapporto N°31

Si smetto di scriverlo, ho deciso.

Xem, o mio “SUPERIORE”, eliminiamo XI tutti insieme!

Saïx distolse lo sguardo, interrompendo la lettura, che proseguiva ancora per molte pagine:

«Marluxia è solo inesperto.» si volse a Xemnas « Xigbar sta esagerando, a mio parere.»

«Se fosse per lui,» fece Xemnas, chiudendo il fascicolo e riponendolo in uno degli scaffali «non farebbe altro che starsene nel suo poligono, o a poltrire fra i corridoi della Fortezza, e tutti noi potremmo anche completamente dimenticarci dell’esistenza di un Numero II.» voltò le spalle a Saïx, dirigendosi verso un altro schedario «Piuttosto, come va con Larxen? Anche tu hai da farmi reclami dello stesso genere?»

Saïx scosse il capo:

«E’ abbastanza brava…penso che fra breve potresti anche affidarle missioni individuali…» mosse leggermente il capo «Non potrà stare per sempre sotto la mia ala.»

Xemnas annuì, osservando con aria assorta una lunga serie di libri:

«Certo. Dopotutto, ho già in mente un certo servizio da affidare a XI e XII.» si toccò il mento con due dita e non disse nient’altro.

Saïx rimase anch’egli in silenzio per qualche istante, poi riprese, tornando quasi senza rendersene conto sull’argomento di poco prima:

« E XIII? A chi hai intenzione di affidarlo?»

«Non saprei.» Xemnas alzò lo sguardo e voltò il capo verso il compagno «Tu hai qualche idea?»

Sulle labbra di Saïx apparve un silenzioso sorriso, e tutto il suo volto si colorò di un’inquietante sfumatura di divertimento:

«Te ne sei accorto, vero?» fece, a bassa voce «Ti sei reso conto dell’aura incerta che circonda XIII?»

«…pensavo di affidarlo a Zexion.» proseguì Xemnas, interrompendolo «Oppure…anche ad Axel non farebbe male avere una qualche tipo di responsabilità…» alzò gli occhi verso il suo interlocutore, continuando a fissarlo con un cipiglio senza espressione, ma bastò quel suo unico sguardo a far capire a Saïx che quello non era né il momento né il luogo adatto per parlare di quell’argomento.

Il Numero VII lasciò che i suoi lineamenti tornassero immoti e, incrociando le braccia sul petto, annuì con fare rassegnato.

  
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