9.
Baby,
we were born to rule
Thor
afferrò Loki per le spalle e lo scosse fraternamente:
«Sono
così felice di trovarti in salute, fratello! Non vedevo l’ora di parlarti di
persona.»
Il Dio
degli Inganni roteò gli occhi con insofferenza e si scostò bruscamente:
«Non
condivido il tuo sentire.» sentenziò in tono glaciale.
Il biondo
parve non farci caso e cavallerescamente prese una mano di Erin, che osservava
i due asgardiani con un sorrisetto di scherno e un sopracciglio inarcato.
«E
costei deve essere…» iniziò a dire il Dio del Tuono.
«Ottima
domanda, fustacchione.» s’intromise Tony Stark facendo un passo avanti e
togliendosi la maschera di Iron Man: «Chi è la bella signorina? È lei che
hanno visto con te a Boston a bordo della decappottabile, Camoscio d’Oro?»
Loki si
voltò verso di lui come una biscia e lo fulminò con lo sguardo, e
automaticamente gli altri quattro Vendicatori assunsero una posizione di
guardia: Barton gli puntò contro l’arco e Natasha una delle proprie pistole,
Rogers sollevò lo scudo e Banner si limitò a ringhiare per rammentare al dio
cosa gli era accaduto l’ultima volta che si erano trovati a meno di un metro di
distanza; Stark si strinse nelle spalle ed Erin sfilò la mano da quella di
Thor.
«Non
cominciamo con le idiozie, signori.» intimò Nick Fury facendosi largo tra gli
astanti, vestito di nero da capo a piedi come al solito nonostante la calura: «Cerchiamo di fare chiarezza in fretta e senza venire alle mani. E voi,» disse
ai poliziotti e ai soldati che si trovavano ancora sul ponte e che fissavano
ammaliati la scena, «filate immediatamente a fare qualcosa di utile in città.»
Quelli
obbedirono, e al centro del Golden Gate rimasero solo i diretti interessati:
«Dunque,
signorina, potrei sapere il suo nome e perché si accompagna al qui presente
individuo?» chiese Fury interpellando l’irlandese direttamente. Si era
aspettato un uomo, quando i testimoni avevano riferito di una seconda persona,
di sicuro non una giovane donna attraente armata di uno strumento musicale.
Adesso che l’aveva vista era convinto che la ragazza fosse manipolata
dall’asgardiano, e intendeva appurarlo.
Ma Erin
mantenne il sorrisetto e utilizzò una delle tattiche di conversazione preferite
di Loki: «Allora siete voi i famosi Vendicatori? E fate parte di quello
S.H.I.E.L.D. di cui ho sentito parlare? È un onore incontrarvi.»
ammiccò in risposta.
«Se ti consideri
onorata di conoscerci come mai lavori per lui?» interloquì l’arciere indicando
il Dio degli Inganni, che ora osservava la ragazza di Galway per scoprire come
si sarebbe relazionata ai ridicoli supereroi umani.
Il
sorriso scaltro di Erin si trasformò in una squillante risata: «Io non lavoro
per lui, io sto con lui! E niente mi
vieta di provare simpatia per voi, dato che a quanto mi risulta non siamo in
guerra tra noi. Comunque, per accontentare il signore con la benda sull’occhio,» e s’inchinò scherzosamente in direzione di Fury, provocando in lui una
contrazione irosa della mascella e in Stark un ghigno divertito, «il mio nome
è Erin Anwar, sono irlandese e suono da tre anni nella Boston Philharmonic
Orchestra. C’è altro che volete sapere?»
«Con
“sto con lui” intendi che sei sua complice o che c’è qualcosa di più?» indagò
la russa.
L’irlandese
sogghignò e Loki la affiancò, ponendole una mano sulla spalla:
«Non
avete niente di più importante a cui pensare del domandarvi quale relazione vi
sia tra me e la donna d’Irlanda? Me ne compiaccio.» li schernì.
«Piccolo
cervo, devo ammettere che hai buon gusto.» approvò Iron Man.
«Piantala di provocarlo, Stark.» suggerì Steve Rogers in tono grave.
«Fate
silenzio!» urlò il direttore dello S.H.I.E.L.D. prima di tornare a rivolgersi
alla bizzarra coppia: «Perché siete qui, asgardiano? Qual è il tuo piano,
stavolta?»
Il Dio
degli Inganni allargò teatralmente le braccia: «Mi sembra evidente. Non stiamo
forse contrastando la stessa invasione aliena ai danni del vostro piccolo
pianeta? Oppure ho frainteso le vostre intenzioni?»
«Le
nostre intenzioni sono sempre limpide, al contrario delle tue.» replicò secco
Fury.
«Eppure
sembra proprio che stavolta combacino.» chiosò Loki, la voce blanda.
Thor lo
guardò speranzoso: «Allora unitevi a noi, fratello! Combatteremo fianco a
fianco questi nemici e salveremo Midgard insieme. Nostro padre sarà fiero di
noi.»
L’espressione
dell’altro s’indurì: «Ho detto che combaciano le nostre intenzioni, non i
nostri scopi finali. Bloccare gli attacchi non prevede necessariamente una mia
alleanza con voi.»
«Se non
t’interessa proteggere la Terra,
cosa che in effetti è più logica da parte tua, perché stai prendendo a mazzate
il tuo ex esercito?» intervenne Stark.
«Per non
farla cadere nelle mani sbagliate.» ghignò Loki con eleganza.
Il significato
sottinteso nelle sue parole indusse i membri del Progetto Avengers ad assumere
nuovamente posizioni di guardia, pronti all’attacco o alla difesa, e per
riflesso anche Erin impugnò il flauto con entrambe le mani, frapponendosi tra i
sette e il suo compagno.
Ma il Dio
del Tuono sollevò Mjölnir e si mise tra l’irlandese e i propri colleghi:
«No!
Lottare tra noi adesso non servirebbe a nulla. Prima dobbiamo fermare i nostri
comuni nemici, o Midgard sarà perduta.» gridò con fermezza.
«Tu non
parli con obiettività, Thor.» lo freddò il capo dello S.H.I.E.L.D.
Il biondo
guerriero lo squadrò: «Sarò il primo a combattere Loki se la situazione lo richiederà,
direttore Fury. Voglio bene a mio fratello, ma ciò non mi rende stolto.»
affermò orgogliosamente, e i suoi fieri occhi color del cielo cercarono quelli
del Dio degli Inganni.
«Oh, ciò
ti ha sempre reso stolto.» lo
corresse questi in un sibilo, e nel dirlo cinse la vita della flautista di
Galway e la tirò a sé. Erin dedicò un arrogante cenno di saluto ai loro
interlocutori, intuendo che la conversazione era terminata, e in un attimo lei
e l’asgardiano scomparvero dal ponte, dissolvendosi nell’aria infuocata di quel
pomeriggio di giugno.
«Ci
siamo teletrasportati!» trillò deliziata l’irlandese nel ritrovarsi di punto
in bianco accanto al Duetto, ancora abbracciata a Loki.
«Voi
midgardiani avete modi singolari di definire le cose.» commentò lui, pallido e
lievemente stanco; muoversi nello spazio con qualcuno a carico non era
semplice.
Montarono
in macchina ed Erin accese la radio domandandogli: «Credi che ci seguiranno?»
«Non
adesso. Ci controlleranno a distanza, ma non sprecheranno energie preziose per
noi, non ancora. Thor sa essere
persuasivo.» rispose il Dio degli Inganni.
Lei
sorrise: «Tuo fratello non è stupido come appare.»
Loki
scrollò il capo e tacque. Le ultime parole del Dio del Tuono gli riecheggiavano
in testa e non poteva negare di aver avvertito una tiepida morsa al cuore
nell’udirle, quella debolezza che lo coglieva ogni volta che un membro della
sua sciocca, adottiva famiglia gli dimostrava il proprio incondizionato
affetto. Al contempo il riferimento al Padre degli Dei gli aveva suggerito
un’idea per riconquistarne il totale favore: gli sarebbe bastato dichiararsi
amico e alleato degli eroi umani, di Thor medesimo, e lottare al loro fianco
per un’unica battaglia. Questo, unito al legame che aveva stretto con la donna
d’Irlanda, avrebbe dimostrato a Odino che era degno di tornare, che era degno
di fiducia. Ma il legame che ormai esisteva tra lui ed Erin Anwar non era stato
in alcuna maniera programmato, e per unirsi alla causa dei Vendicatori aveva
bisogno di un proprio tornaconto, di un concreto vantaggio per sé.
«Sembra
che Baltimora sia in grave difficoltà. Ci facciamo un salto?»
La voce
dell’irlandese lo strappò a quelle riflessioni, e Loki la guardò: il suo
profilo elegante si stagliava come disegnato contro il chiarore estivo che li
circondava e i capelli raccolti in una coda alta mettevano in risalto il
suo bel collo e la scollatura della maglia che indossava. Col passare dei
giorni l’attrazione che esercitava su di lui non accennava
a diminuire, ed egli si rendeva conto che per la prima volta nel corso della
sua lunga vita non provava il desiderio di tessere inganni e trame per far sì
che quell’assurda mortale restasse con lui – magari perché poco gl’importava, magari perché trame e inganni non servivano: Erin Anwar sarebbe rimasta comunque
al suo fianco, e quella consapevolezza lo colpì d’improvviso come un pugno in
pieno petto. Tuttavia era un pugno piacevole, e un po’ ne fu turbato.
«Una
meta vale l’altra, donna d’Irlanda.» replicò infine, tornando a sogghignare.
La
ragazza di Galway ruggì per l’eccitazione e accelerò, abbandonando le strade
semideserte di San Francisco, la musica che fluiva dalle casse dell’auto a
tutto volume.
Trascorsero
così altri giorni e vi furono altri scontri. Il Duetto verde oliva continuò a
viaggiare attraverso i molti Stati dell’America del Nord e diverse città ricevettero
il prezioso aiuto sia del Duo degli Inganni, come Stark ribattezzò la musicista
e l’asgardiano, sia dei Vendicatori.
Le due
fazioni riuscirono a incrociarsi una volta soltanto, a Miami, e con gran
dispiacere di Thor ed esasperazione di Nick Fury finirono con l’iniziare una
schermaglia poco amichevole tra loro dopo aver sgominato uno squadrone di
soldati di Thanos su una delle splendide spiagge della metropoli: Loki ebbe la
meglio su Hawkeye, ancora bramoso di rivalsa nei suoi confronti, per poi trovarsi
faccia a faccia con l’Incredibile Hulk e battere di conseguenza in abile ritirata; Erin ingaggiò suo malgrado un fallimentare
duello contro l’agente Romanoff, al quale Iron Man assistette con evidente
interesse, e soltanto il perentorio intervento di Capitan America evitò il
peggio. L'ordine era di dare la massima priorità alla messa in sicurezza
dei civili, non di lottare per questioni futili.
Ma per
quanto efficacemente agissero, per quanto liberassero le città dagli invasori,
skrull, chitauri e kree non si fermavano, e sempre di nuovi e più numerosi ne
arrivavano, e sempre più capitali e paesi subivano i loro attacchi. Giunsero
notizie allarmanti dall’Europa e ben presto anche dagli altri continenti, e
forze d’ogni tipo si mobilitarono per contrastare quell’invasione su scala
mondiale: eserciti regolari, squadre speciali, polizia, persino improvvisati
giustizieri spesso più coraggiosi che pericolosi. Proliferarono
incredibili atti d’eroismo ai quattro angoli del globo e tantissime persone ne
seguirono l’esempio dando nel loro piccolo filo da torcere agli spietati
nemici. In molti persero la vita e i Vendicatori combatterono con maggior
ardore, spingendosi oltre i confini americani.
La gente
parlava nuovamente di loro e delle loro gesta, e al tempo stesso presero a
circolare voci sulle rapide e infallibili apparizioni di una giovane donna
armata di un flauto magico e di un guerriero dall’elmo cornuto, sebbene mai i
media li avessero immortalati ufficialmente.
Eppure
niente di sostanziale cambiava e del titano rosso non v’era segno in alcun
dove, e l’impressione generale era che quelle scene e quelle battaglie si
sarebbero ripetute all’infinito.
Un
pomeriggio il telefono di Erin squillò senza preavviso.
Lei e
Loki si trovavano in un anonimo tratto di campagna, e per sfuggire al caldo
torrido si erano riparati sotto un grande albero frondoso attorniato da campi
di grano maturo: il Dio degli Inganni riposava con la schiena poggiata al
tronco, la mente persa in chissà quali pensieri, e l’irlandese se ne stava
distesa tra l’erba e le spighe mandando messaggi agli amici di Boston per
assicurarsi che fossero vivi e interi; il Duetto era parcheggiato poco più in
là, sportelli spalancati e capote abbassata per rinfrescarlo, e dall’autoradio
uscivano discrete le note delle canzoni del primo album degli Ok Go.
D’un
tratto il cellulare prese a vibrare tra le dita di Erin: sullo schermo
apparvero il numero e il volto sorridente di suo fratello Seamus, e lei si alzò di scatto. Aveva sentito la sua famiglia di recente, chiamando a casa
per sapere com’era la situazione, e suo nonno le aveva detto di non
preoccuparsi, che loro stavano bene e che a Galway era tutto tranquillo.
Il fatto
che suo fratello le stesse telefonando ora la rese dunque inquieta:
«Mus!
Mus, che succede?» gridò convulsamente nell’apparecchio.
Loki aprì
un occhio per capire cosa stesse accadendo e la fissò.
«Erin,
dove sei?» rispose Seamus dall’altra parte, e la sua voce concitata sembrava
provenire da molto lontano. In sottofondo si udiva un gran rumore.
«In
America, dove vuoi che sia? Cosa succede?»
«Erin,
devi aiutarci! Devi venire qui, e subito!» la pregò il fratello.
L’irlandese
emise un verso d’impazienza: «Seamus, porca puttana, dimmi cosa cazzo sta
succedendo e dove cazzo è “qui”! Non ho tutta la giornata!»
Loki aprì
anche l’altro occhio e si tirò su in piedi, e dal telefono il ragazzo spiegò:
«Siamo
tutti a Dublino e quegli affari ci hanno attaccati. Cioè, hanno
attaccato Dublino e non possiamo andarcene via. Siamo in trappola, e non credo
che questi vogliano razziare la fabbrica della Guinness. Vieni qui e fai
qualcosa, ti prego!»
«Aspetta, aspetta.» lo frenò la sorella: «Dublino è stata invasa dai soldati
di Thanos? Dagli alieni? Voi che accidenti fate a Dublino, Mus? E perché pensi che potrei aiutarvi?»
All’altro
capo dell’apparecchio ci fu una deflagrazione, la comunicazione gracchiò e
Seamus lanciò una sonora bestemmia: «Sì, gli alieni, chi altri? Io, mamma,
papà e il nonno eravamo venuti qui a fare un giro, visto che è domenica, e ho
pensato di chiamarti perché non sono stupido, Erin, e su internet non si parla
d’altro che di te e del tuo amico con le corna in testa.»
«Chi ti
dice che quella di cui parlano sia io?» ridacchiò Erin per sviarlo.
«“Una
tizia belloccia che usa un flauto traverso come arma e impreca con forte
accento irlandese”.» citò suo fratello in fretta: «Descrizione calzante.»
«D’accordo, mi hai beccata. Ma sono in America e voi in
Irlanda, Mus, e dubito che troverò un aereo che possa portarmi lì in dieci
minuti.» concesse lei.
«Inventati
un modo! Sennò qui...» incalzò Seamus, ma la linea cadde di
colpo ed Erin rimase immobile con l'iPhone muto in mano e il cuore che le
picchiava violentemente nel petto. La sua famiglia era in pericolo, riusciva a
pensare soltanto, e non sapeva cosa fare.
«Che
accade?» domandò il Dio degli Inganni avvicinandolesi.
La
flautista deglutì a vuoto e lo guardò: «Dublino è tenuta in scacco dai nemici.
I miei si trovano lì, adesso, e mio fratello mi ha chiamata per chiedermi
aiuto. Non ci voleva, cazzo, non ci voleva proprio.» mormorò. Le sudavano
odiosamente le mani.
«Immagino che suggerirai di recarci laggiù.» ipotizzò l’asgardiano in tono
piatto.
«Che altro
dovrei suggerire? Stiamo parlando della mia famiglia, del mio paese e della
fabbrica di birra migliore del mondo.» ringhiò lei camminando
nervosa sul posto.
In
silenzio entrambi considerarono i pro e i contro per prendere una decisione e
darsi una risposta: l’Irlanda era distante un oceano intero e solo usando i
suoi poteri avrebbero potuto raggiungerla, calcolò Loki, e la presenza dei
parenti avrebbe rischiato di indebolire e distrarre la ragazza di Galway,
poiché legami del genere creavano sempre problemi. Però era pur vero che si
trattava di combattere gli stolti esseri mandati dal titano e che Dublino era
un’altra città da riconquistare, come le precedenti. Il Dio degli Inganni rammentò una cosa che la musicista gli aveva spiegato a proposito del farsi
pubblicità e del farsi amare dalle folle, e ritenne che probabilmente quella
era un’occasione d’oro per sperimentare quel metodo midgardiano di raccogliere
consensi e farsi temere e rispettare. Metterlo in pratica nella terra
natìa di Erin Anwar sarebbe stato un bene.
«Chiudi
il veicolo e reggiti a me.» le disse allora.
Erin
sgranò gli occhi e ubbidì: «Lo rifacciamo? Ci teletrasportiamo a Dublino?»
«Che
termine dannatamente sciocco.» fu il laconico commento di Loki, e senza
aggiungere altro la abbracciò e si concentrò a fondo.
Di nuovo
i loro corpi parvero divenire parte integrante dell’aria e l’irlandese serrò le
palpebre e si strinse all’ampio torace del compagno, il flauto già pronto tra
le dita. Avvertì prima caldo e poi freddo, sentendosi come sbalzata in alto
con un ascensore fuori controllo; non ebbe l’impressione di volare, ma la
vertigine fu simile.
Quando
capì di essere tornata coi piedi per terra e il senso di squilibrio scemò, si
gettò un’occhiata intorno: riconobbe le basse case di mattoni e pietra e le
strade lastricate del centro di Dublino e il profumo inconfondibile della
pioggia d’Irlanda, e con un sorriso nervoso si scostò appena da Loki per
muovere qualche passo. Come in America, la città risuonava di una babele di
rumori assordanti, di grida ed esplosioni e spari, e la gente correva senza
meta per le vie in rovina nel tentativo di sfuggire alla prigionia e alle
picche degli skrull.
Nel
vedere i due nuovi venuti materializzarsi dal nulla coloro che si trovavano lì
smisero di correre e li mirarono con meraviglia e speranza.
«Dublinesi! Qual è la situazione?» li interpellò Erin a gran voce levando le
braccia in alto.
«Ci sono
scontri ovunque e l’esercito non riesce a fermare quei tizi.» rispose
un uomo indicando un punto indefinito alla fine della strada, oltre il fumo.
«Stanno
riunendo molte persone vicino al porto per tenerle sotto tiro, e uccidono
chiunque si ribelli.» aggiunse una signora dal volto fuligginoso rigato di
lacrime e sudore: «E non sono pochi quelli che ci hanno provato.»
L’elmo di
Loki baluginò d'improvviso nella luce velata del sole e una sorta di lungo e
sottile bastone dorato prese forma tra le sue mani, sotto gli sguardi incantati
dei presenti.
«Renderemo onore a questa umana ribellione.» decretò con il suo innato carisma, e
la ragazza di Galway sorrise ben sapendo che quel comportamento avrebbe
catturato il cuore della folla. Infatti i dublinesi li acclamarono e li
pregarono di fare giustizia, e il Duo degli Inganni avanzò a grandi passi sul
lastricato umido.
La gente
li seguì formando un corteo e lungo il tragitto ognuno raccolse da terra
oggetti di ogni tipo e dimensione da usare come armi, e altri si unirono a loro
tenendo dietro alle figure erette di Erin e Loki. Incontrarono
un drappello di kree che inseguivano uno sparuto gruppo di civili e
militari in fuga, e con un ruggito la musicista si lanciò all’attacco, subito
seguita dall’asgardiano: il flauto d’argento e il bastone aureo brillarono
assieme mentre calavano e colpivano i nemici, e la folla ruggì
a sua volta dando loro manforte.
Avanzarono
ancora, e sempre più persone uscirono dalle case e dai nascondigli per
accodarsi a quella marcia inaspettata.
E quando
raggiunsero la piazza affacciata sul mare in cui gli invasori tenevano
in ostaggio metà dei cittadini e combattevano contro i soldati
irlandesi – quando quel piccolo esercito di gente comune guidato da un dio
nordico e da una donna di Galway fece la sua roboante comparsa in scena – i
guerrieri di Thanos si ritrovarono come travolti da un’ondata di piena, e fu
battaglia. Loki ed Erin parvero danzare nell’aria, il verde manto del Dio degli Inganni che fluttuava come un glorioso
vessillo e i capelli sciolti dell’irlandese che ondeggiavano come una cometa d’oro brunito. Le sembrava di avere una palla di fuoco nel
petto fatta d’eccitazione, paura e trionfo che la faceva sentire viva più che
mai: si stava battendo per la terra che l’aveva vista nascere, e per quanto
quel pensiero avesse un sapore antiquato in quel momento non avrebbe potuto
esserci emozione più grande.
Erin
cercò Loki con lo sguardo e per una manciata di istanti ammirò la forza e la
bellezza della sua sagoma intenta nella lotta, avvertendo la palla di fuoco nel
proprio petto bruciare di più.
Lo
scontro ebbe fine dopo un indefinito lasso di tempo. Morti e feriti giacevano
in tutta la piazza e sulle banchine più prossime del porto, e l’esercito
d’Irlanda teneva sotto il tiro dei propri fucili gli invasori sconfitti e
sopravvissuti; c’era chi cercava qualcuno, chi si abbracciava e chi piangeva,
e nessuno riusciva a distogliere gli occhi dalla strana coppia giunta come un
miracolo a liberare Dublino e la sua gente.
Loki ed
Erin stavano al centro della folla, fieri come un re e una regina nonostante i
tagli e le ecchimosi sulla pelle e i respiri affannosi, e si sorridevano
vittoriosi. Per la prima volta la flautista di Galway provò qualcosa di più
profondo e articolato del semplice desiderio fisico per colui che aveva al
proprio fianco, qualcosa che le procurò un groppo in gola e una ridicola voglia
di piangere. Tuttavia non cessò di sorridere né di guardarlo con gioia.
Poi voci
festose si levarono, coprendo i lamenti, e la gente di Dublino e i militari
presero ad acclamare con ardore crescente coloro che li avevano aiutati; c’erano persino giornalisti armati di telecamere e macchine fotografiche
che immortalarono finalmente il Duo degli Inganni in tutta la sua gloria,
portando così a compimento i pronostici di Erin.
E d’un
tratto accadde: un uomo di mezza età si avvicinò, prese le mani
dell’asgardiano e dell’irlandese, li ringraziò con impeto e s’inginocchiò. Uno dopo l’altro il resto degli astanti lo
imitò, e ben presto i due si trovarono circondati da una folla prostrata e
riconoscente. Loki seppe allora che la sua compagna aveva ragione e che lo scopo
della loro venuta a Dublino poteva dirsi raggiunto.
Il timore
da solo non era sufficiente a guadagnare il rispetto, la fiducia e la deferenza di un popolo: questa era la lezione di Erin Anwar.
«Se mai
dovessi un giorno regnare su questo mondo,» asserì il Dio degli Inganni in tono
forte e chiaro, «avete la mia parola che sempre vi proteggerò come ho fatto
quest’oggi.»
Forse i
midgardiani non capirono esattamente cosa intendeva, o forse smisurato era il
loro sollievo per lo scampato pericolo, eppure fatto sta che tutti esultarono a
quella frase, applaudirono e inneggiarono a Loki ed Erin, e l’intera piazza fu
in festa. I due ne furono immensamente sorpresi e compiaciuti, e il sangue
rombò loro grato nelle vene.
> Note a piè di
pagina
Conflitto d’interessi in atto tra la nostra mezza dozzina di eroi
prediletti e il DUO degli Inganni – perché Stark è Stark e i soprannomi
migliori li deve trovare lui. I miei “proto-lettori”
(ovvero il mio consorte e alcune fidate compari) hanno trovato strana la
presenza di Fury sul campo di battaglia, dal momento che è il direttore
operativo e che la leadership degli interventi spetta di solito al Capitano; tuttavia
il vecchio Nick è troppo cazzuto per starsene sempre alla base a
monitorare i suoi scavezzacollo. Insomma, pensate alla scena in cui tenta di
fermare il velivolo con la testata nucleare armato di lanciarazzi! Spero perciò
che mi perdonerete questa piccola licenza narrativa.
Per i novelli Bonnie & Clyde dei Nove Regni non poteva mancare una
parentesi irlandese, tanto più se per prendere gli invasori a legnate. Inoltre Loki
sta iniziando a recepire lo stile midgardiano di Erin per abbindolare la gente…
Il titolo del capitolo è una variazione su quello della celeberrima Born to run del Boss, al secolo Bruce Springsteen.
Come musiche d’accompagnamento suggerisco Shake
the ground delle Cherri Bomb (già parte dell’album dedicato a The Avengers), Kill your heroes degli Awolnation o Nicaragua di Jerry Goldsmith, di nuovo dalla colonna sonora di Django Unchained.
Siamo esattamente a metà dell’opera :)
Ossequi asgardiani e alla prossima!