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Autore: reading lover    26/03/2013    0 recensioni
Katherine Tennant è una ragazza inglese che vive a Los Angeles. Fin qui niente di strano, ma se vi dicessi che per mantenersi fa la escort? E se vi dicessi che sta per invischiarsi in un triangolo amoroso con il chitarrista Tom Kaulitz e la sua bellissima fidanzata? E se vi dicessi che in tutto questo centrano una gravidanza e un telefilm? Buona lettura;)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Tom Kaulitz
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Cap.10

L'aeroporto più affollato del mondo, Westchester, Los Angeles, California.
Atterrai al LAX alle quattro di pomeriggio, stanca e con la testa che scoppiava.
Eric aveva deciso di fare l'anticonformista ed era tornato in città con un altro volo, mentre Jensen non mi aveva ancora rivolto la parola, nonostante tutti i membri del cast avessero passato la mattina assieme, io e lui compresi. A condire il tutto c'era la mia nottata in bianco passata a rimuginare sulla frase detta da Kaulitz la sera prima*, frase che non riuscivo a togliermi dalla testa; e infine, ciliegina sulla torta di una giornata da dimenticare, Jared si era in qualche modo convinto che fossi interessata a tutti i particolari della sua storia con una certa Melody e non mi mollava un attimo, in quella situazione non sarei riuscita a parlare con Jensen neanche se l'avessi voluto. Inaspettatamente fu lui ad avvicinarsi a me mentre uscivamo dalla zona ritiro bagagli, ma lo fece per motivi diversi dai miei
"Paparazzi." mi sussurrò velocemente senza farsi notare e fece scivolare la sua mano nella mia stringendola. Stargli così vicino sapendo che tra di noi c'era una questione irrisolta era falso e non mi piaceva, dovevo chiarire la storia della gravidanza
"Mi dispiace che tu l'abbia saputo così...- gli dissi sottovoce- Sei arrabbiato?"
"No, ma devo elaborare la cosa..."
"Ti va un caffè?" chiesi speranzosa
"Magari domani. Oggi voglio riposarmi un po'." Inizialmente pensai che lo dicesse solo perché non aveva voglia di parlare con me, ma un attimo dopo mi strinse la mano più forte facendomi voltare verso di lui
"Vuoi fare impazzire i fotografi?" Mi chiese sorridendo
"Cosa dovrei fare?" dissi maliziosamente
"Baciami." Non aspettavo altro. Gli allacciai le mani dietro al collo, lo guardai dritto negli occhi e alzandomi sulla punta dei piedi annullai la distanza tra noi. Avevo programmato un casto bacio da cinema, ma ad un certo punto sentì la mano di Jensen premere leggermente sulla mia nuca e il tocco caldo della sua lingua.

§

Tom stava per addormentarsi sul divano mentre aspettava che il cielo gli suggerisse come uscire dalla situazione di merda in cui si era cacciato. Ad un tratto sentì la porta aprirsi e qualcuno entrare.
“C’è nessuno?” La voce di lei lo svegliò dal suo torpore e decise che il primo passo era affrontarla
“Vieni qui!” Disse meno educatamente di quanto lui stesso non avesse immaginato
“Bonjour finess**!”
Sembrava contenta e, potendo immaginare con chi aveva trascorso la serata, la cosa irritò non poco il chitarrista. Katherine arrivò in salotto sorridendo e Tom si chiese per l’ennesima volta se la scelta che aveva fatto fosse quella giusta
“Voglio parlarti.” Fu lapidario, ancora una volta più di quanto volesse
“Se sono ancora quelle stupide domande-
“No, è un’altra cosa …”
“Dimmi.” Lei si sedette sul divano accavallando le gambe e guardandolo interessata. Lui non riusciva a guardarla, si sentiva vulnerabile e stupido.
“Ho detto tutto a Jessica.”
“Oh.” Lei sembrava incredula, ma non dispiaciuta
“Le ho detto che non dovremmo più sposarci.”
“Se lo hai fatto per me e il bambino-
“Per cos’altro avrei dovuto farlo?!”
“Allora hai sbagliato. Se anche decidessimo di tenerlo avremmo trovato un modo per-
“Per? Convivere tutti felici e contenti?”
“Molti bambini hanno i genitori separati.”
“Non capisci Katherine? Io voglio provarci.” L’aveva detto. Era riuscito a dirle quello a cui aveva pensato tutta la notte, da quando aveva saputo che lei era a San Diego e che era lì con quel Jensen. Certo, era talmente imbarazzato che per tutta la conversazione era rimasto freddo come il ghiaccio, ma l’aveva detto e questo era quello che contava. Intanto la ragazza sembrava perplessa.
“Tu vuoi provare… A fare cosa?”
“A stare con te e con nostro figlio, a essere una famiglia.”

§

Katherine Tennant, alias io, completamente sotto shock nel salotto di Villa Kaulitz, West Hollywood, Los Angeles, California.
Aveva realmente detto quello che avevo sentito? Voleva provare ad essere una famiglia? E aveva preso questa decisione in base a cosa?
“Noi non ci conosciamo nemmeno.- gli risposi con un filo di voce- Io ti sto antipatica.”
“Devo pur difendermi.”*** disse lui a voce talmente bassa che non ero sicura di aver capito.
“Questa conversazione non ha senso. Tu ti devi sposare e io sto uscendo con un altro. Faremo finta che tu non mi abbia mai detto niente.” Mi alzai e per un secondo mi convinsi che lui fosse d’accordo con me, almeno fino a quando mi si parò davanti con un espressione crucciata in volto.
“Non sei incinta di lui, aspetti mio figlio e abbiamo nove mesi per imparare a conoscerci.” Pensai per un attimo a ciò che aveva detto, e stavo per dargli ragione, forse un po’ lo volevo, forse il mio istinto (che per qualche ragione in sua presenza si nascondeva dietro ad un muro di razionalità) mi suggeriva di accogliere a braccia aperte la possibilità di formare con lui una famiglia, ma poi lo guardai e lo vidi freddo, razionale più di quanto lo fossi io e mi ricordai delle parole che mi aveva detto Bill la prima volta che avevamo parlato
“Perché?- lui alzò un sopracciglio manifestando la sua perplessità di fronte alla mia domanda, così mi affrettai a spiegare- Perché hai scelto di volerci provare?”
“Che domanda è?”
“Una scelta, vantaggiosa o meno che sia, deve essere fatta per le ragioni giuste****” Lasciai il salotto e mi chiusi in camera.

Mentre scendevo dalle scale cercavo di capire come mai tutto a villa Kaulitz avesse iniziato improvvisamente ad assomigliare alla casa in cui vivevo da bambina. Le scale, che ricordavo bianche e semplici, erano invece scure, coperte da moquette bordeaux e costeggiate da un’imponente corrimano in noce, ma alla mia destra potevo ancora vedere la ormai familiare cucina nei toni del beige e del salvia. Attraversai quello strano mix di case ed entrai sicura in salotto, sapendo esattamente cosa mi stava aspettando. Attraversai la porta e al posto della sala vidi un’imponente camera da letto, il baldacchino in legno occupava il centro della stanza, alla sua destra si apriva una finestra incorniciata da pesanti tende chiare, mentre di fronte era posizionato un camino in pietra alto quasi quanto una persona. Ma non era la camera la mia meta. Mi diressi verso un apertura nella parete che dava su un bagno signorile. Entrando non mi sorpresi del fatto che qualcuno stesse facendo la doccia e sapendo di non indossare nulla entrai nel box. La mano bagnata dell’uomo nella doccia mi attirò verso il suo corpo e lui iniziò a baciarmi il collo lasciando una scia umida con piccoli movimenti della lingua. Mi girai con gli occhi chiusi sentendo la mano lasciarmi il fianco e accarezzarmi il viso; quando ormai stavo per baciare l’uomo nella doccia finii dritta sotto il getto d’acqua calda e aprii gli occhi ritrovandomi a fissare il viso eccitato di Tom. Lo fissai intensamente e con la mano appoggiata alla sua guancia lo attirai a me e le nostre labbra s’incontrarono, finalmente, in un bacio passionale, la sua lingua e la mia in una sfida senza vincitori. Mentre le mie mani si allacciavano dietro al suo collo, entrambe le sue andarono ad accarezzarmi la schiena stringendomi ancora più a lui. Sentivo la sua eccitazione premere contro la mia gamba e sapevo di volerlo, più di ogni altra cosa avevo bisogno di lui.

Mi svegliai di soprassalto, sdraiata nel mio letto, e sentii una voce chiamarmi insistentemente dal corridoio. Ci misi qualche secondo a riconoscere la voce di Bill e gli dissi di entrare in camera.
“Hey, sai cos- aggrottò la fronte squadrandomi- stai.. Bene?”
“Certo” risposi
“Sembri sconvolta.”
“Io, io stavo dormendo.” E sognando tuo fratello nudamente sexy cosa che, si, potrebbe avermi sconvolta
“Devi chiedermi qualcosa?” chiesi per deviare la conversazione verso argomenti che non mi facessero arrossire
“Si, ho visto Tom uscire in macchina, sembrava agitato, sai cosa è successo?”
Dopo qualche secondo di indecisione raccontai a Bill quello che era successo con Tom, cercando di sottolineare il fatto che poteva benissimo avere altri problemi di cui io non ero a conoscenza.
“Io non capisco perché voi due non riusciate ad avere una conversazione.- Esordì il ragazzo alla fine della mia spiegazione.- Sembra quasi che abbiate dei risentimenti l’uno verso l’altra.”
“Praticamente non ci conosciamo e abbiamo scambiato solo qualche parola, non c’è stato il tempo materiale di crescere risentimenti.”
“Forse vi incolpate a vicenda per questa situazione.”
“Forse..” Bill aveva ragione. L’atteggiamento che io e Tom adottavamo tra di noi non aveva senso se non visto in quest’ottica.
“Dovete parlarvi. Dovete conoscervi.”
“Ma io..”
“No, lo dovete a voi stessi e al bambino che aspettate. Ho un’idea: sei libera domani?”
“Si.. No. Bill, non mi piacciono le sorprese.”
“Non è una sorpresa, è un’idea geniale. Ora ne parlo con Tom, tu dormi, ci vediamo domani mattina.” Non ero stanca e soprattutto non volevo rischiare di avere di nuovo sogni su Tom e docce o Tom e qualunque altro luogo nel mondo. Poi mi venne in mente come mi ero svegliata due mattine prima.
“Bill, chi è Angie?” Lui si fermò davanti alla porta e senza voltarsi disse che era un’amica, non se la sarebbe bevuta nessuno, tanto meno io! “Non prendere in giro una donna incinta! Tu puoi psicanalizzare la mia vita e i miei rapporti e io non posso fare lo stesso con te?! Non mi sembra giusto..”
“è la verità, è un’amica e basta.”
“E tu per lei sei un amico e basta?”
“Penso di si.”
“Io penso di no, ma non la conosco bene..” Lui sembrò stupito dalle mie parole e un po’imbarazzato.
“Riposati, domani sarà una giornata impegnativa..” Chiuse la conversazione così e uscì dalla stanza. Io pensai di seguirlo per sentire che cosa avrebbe detto a Tom, ma la sfida era tra la mia curiosità e il mio cuscino e vinse il secondo.

“Che cos’è questo?” Dissi sbadigliando e guardando la scatola nella quale ero inciampata uscendo dalla mia camera. Bill s’affacciò dalla sua stanza
“Indossalo, è per te.” Il ragazzo si chiuse la porta alle spalle e io restai sola con “la scatola”. Se il mio cervello fosse stato già sveglio avrebbe macchinosamente portato a galla un dubbio esistenziale: aprirla o non aprirla? Essere d’accordo con l’idea di Bill di conoscere meglio Tom o rischiare di sembrare maleducata? Ma non ci pensai.
Aprì la scatola ne tirai fuori un abitino a fiori con maniche corte e un’altra scatola contenente un paio di zeppe verdi e beige. Sebbene fossi più una ragazza da jeans adorai il vestito, lo presi per le maniche e me lo appoggiai alle spalle guardandomi allo specchio per immaginarlo indossato. Mi arrivava a metà coscia e lasciava intravedere una sottoveste bianca. Sorrisi nel vedere la mia immagine riflessa e decisi che sarei stata al gioco, per quel giorno. Appoggiai il vestito sul letto e andai a prepararmi. Inutile dire che fare la doccia mi ricordò immediatamente il sogno del giorno prima e mi sentii inevitabilmente arrossire, cercai quindi di distrarmi immaginando cosa avrei dovuto aspettarmi per quella giornata, ma questo includeva sempre Tom e le immagini del sogno riaffioravano prepotentemente e si mischiavano con le varie ipotesi. A salvarmi dalla mia immaginazione fu Sunil che bussò alla porta dicendomi di fare in fretta visto che Bill e Tom mi aspettavano già in salotto. Decisi di non asciugarmi i capelli e li raccolsi in uno chignon alto, indossai il regalo di Bill e raccogliendo la borsa uscii dalla mia stanza.
“Finalmente.” Disse Bill vedendomi arrivare
“Ora posso sapere cosa faremo oggi?”
“No. Tom lo sa, ma per te è una sorpresa.”
“Perché lui si e io no?” Mi sentivo trattata come una bambina, senza la facoltà di scegliere
“Perché ero certo che lui avrebbe accettato. Andate e divertitevi!” Mi spiegò Bill entusiasta; aveva l’aria di qualcuno che sa quello che fa ed è sicuro di aver’avuto l’idea del secolo. Uscii di casa con Tom senza aver scambiato con lui neanche una parola, ma se dovevamo passare assieme l’intera giornata stando a qualunque cosa avesse organizzato il genio del male non avevo alcuna intenzione di restare in silenzio e sopportare l’imbarazzo che tra di noi era quasi tangibile.
“Quindi non puoi dirmi nulla immagino..”
“No, regola di Bill. Vuole che sia una sorpresa.”
“Tu cosa pensi di questa cosa?”
“Penso che sarà una lunga giornata.”
In due micro-secondi avevo esaurito gli argomenti. Mi sedetti in macchina fissandomi le mani cercando di trovare qualcosa di cui avremmo potuto parlare per un po’, ma la mia mente era vuota, come sempre in queste occasioni. Presi il cellulare dalla borsa per fingermi occupata mentre Tom s’infilava nel traffico di Los Angeles. Scrissi a Eric che non sarei stata a casa per tutto il giorno senza spiegargli nulla, curiosa di scoprire se mi avrebbe risposto e poi scrissi un messaggio a Jensen chiedendogli di rimandare il nostro caffè e, non sapendo che scusa usare, gli dissi che ero impegnata con una questione familiare (in fondo era quasi la verità, no?).
“Non faremo niente di troppo assurdo, non preoccuparti.” Mi sorpresi del fatto che fosse stato Tom a interrompere il silenzio, così ci misi qualche secondo di troppo a trovare una risposta.
“Tom, io-
“Da quando hai iniziato a chiamarmi Tom? Non usavi sempre il mio cognome?” Cosa? Che storia era questa di… Ommioddio, avevo iniziato a pensare a lui come Tom da… Dal sogno! Arrossii visibilmente e fui grata del fatto che lui fosse occupato a guidare e non potesse notarlo.
“Bhè, penso che sia il caso di usare il tuo nome, no?”
“Fai come vuoi, non m’interessa. Era solo per chiedere.”
Mi arrivò un messaggio di Jen: “Spero sia tutto Ok. Ci vedremo domani J
“Per questa cosa ho dovuto anche spostare un appuntamento! E nessuno mi dice cosa succederà!” Non sapevo il perché, ma sapevo di voler fare la parte di quella arrabbiata. Ero curiosa di sapere cosa sarebbe successo, forse non eccitata come un bambino la vigilia di Natale, ma quello che provavo era un entusiasmo simile. Però volevo fingere che non m’importasse, e che la cosa m’irritasse, forse per scatenare in Tom una reazione di qualche tipo.
“Stiamo andando all’ aeroporto, ok?! Andiamo a New York!”
Un’ incredula me in una macchina su una strada verso l’aeroporto di Westchester, Los Angeles, California.

* "Io voglio sempre sapere dove siete"
** Penso si scriva così e penso sia qualcosa di francese che si riferisce alle buone maniere
*** "Devo pur difendermi" è una battuta del film "Love Actually"
**** Detto da Bill nel capitolo 8

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Susate la prolungata assenza, impegni scolastici, vita in generale, mancanza d'ispirazione. Spero continuiate a seguirmi
Baci,
Corby :)
  
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