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Autore: Light Rain    28/03/2013    5 recensioni
"Cercavo con tutta me stessa si rimanere aggrappata a quelle realtà che mi sembrava ancora di possedere. Ma non mi ero ancora resa conto che erano già diventate irraggiungibili". Questa è la storia di Annie Cresta, prima, durante e dopo i suoi Hunger Games
_SOSPESA_
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Constantine passeggia frenetico avanti e indietro all’interno della stanza, continua così da qualche minuto ormai: passi svelti e decisi, la mano sinistra posata delicatamente su un fianco e la destra intenta a massaggiare con movimenti circolari il mento crucciato; ogni tanto si ferma, mi guarda con i suoi occhietti scuri, scuote leggermente la testa e poi riprende la sua strana danza.
Io torno rassegnata a fissare il pavimento.
Constantine è lo stilista degli Hunger Games assegnato al Distretto 4, non che stilista di Finnick da ormai cinque anni. Bazzica a casa sua più di quanto vorrei, più di quanto riesca a sopportare, non tanto per la sua irritante parlantina riservata quasi esclusivamente alla moda, ma perché se lo stilista arriva per agghindare  e vestire di tutto punto Finnick, stai pur certo che ci sarà una festa o un’occasione importante a Capitol City, e dove ci sono feste ci sono donne che sbavano dietro al vincitore dei sessantacinquesimi Hunger Games.
Scaccio velocemente questi pensieri e cerco qualcosa con qui distrarmi un po’, gli occhi si posano per caso sui miei piedi nudi: puliti, senza la minima traccia di sabbia, morbidi, con le unghie limate e smaltate, praticamente perfetti.
Mi urta i nervi guardarli, un po’ per il fatto che mi sembrano innaturali, ma soprattutto per il fatto che non c’è sabbia, non un singolo granello.
Se abiti nel Distretto 4 non passa giornata senza che te ne trovi un po’ addosso: tra le dita dei piedi, sotto le unghie, nei capelli, tra le pieghe dei vestiti, sotto i vestiti, semplicemente attaccata alla pelle in posti talmente impensabili che certe volte ti chiedi come ci sia arrivata.
Nello stesso modo in cui ti domandi, rientrando a casa la sera, come mai nell’angolo della cucina ci sia già un mucchio di sabbia nonostante tu abbia pulito il pavimento la mattina stessa.
Ma per quanto sia insidiosa e certe volte anche troppo onnipresente, nessun abitante del Distretto 4 si sente tale se non ha addosso anche un solo piccolo graffiante granello di sabbia.
Adesso è come se fossi spoglia, nuda, mancante di un qualcosa assolutamente fondamentale.
Di un qualcosa che mi faceva sentire protetta, al sicuro.
è questo che hanno fatto i miei allegri preparatori non appena sono scesa dal treno e ho messo piede a Capitol City: mi hanno strigliata, punzecchiata, lisciata, torturata e privata di quel poco che mi rimaneva di casa.
E dopo avermi impacchettato come un pacco regalo privo della sorpresa mi hanno spedita da Constantine che, fino ad ora, è stato solo capace mi mangiare un pomposo pasticcino alla fragola e camminare istericamente come un granchio disorientato sulla spiaggia.
Uno strano sbuffo si fa largo per la stanza e mi obbliga ad alzare gli occhi e cercare quelli del mio stilista.
Guardandolo bene però mi rendo conto di aver spudoratamente sbagliato, non è per niente un crostaceo che ha perso l’orientamento, è molto più simile ad un’orata in gilè che sguiscia veloce tra le onde del mio mare.
Un po’ per il portamento elegante e allo stesso tempo incredibilmente agile, un po’ per le centinaia di piccole squame argentee attaccate sulla sua pelle.
Sono molto piccole, non più grandi di un’unghia, ed esattamente come quelle dei pesci, a seconda della luce e dall’angolazione in cui le guardi, riflettono tutti i colori dell’iride.
Ricoprono entrambe le braccia fermandosi ai polsi e lasciando libere la mani. Non ho la più pallida idea se anche il resto del corpo ne sia ricoperto, ma il collo squamoso mi fa pensare che si estandano anche sul torace.
Fortunatamente il viso è rimasto illeso.
Una volta, mentre Finnick sfilava nell’atrio di casa sua, io e Constrantine ci siamo messi a chiacchierare sul divano del salotto, diciamo che lui parlava ed io ascoltavo con un misto di stupore e disgusto.
Mi ha spiegato che, sette anni fa, per rappresentare al meglio il Distretto che gli era stato assegnato, cioè il nostro, doveva sentirsene perfettamente parte e per lui non c’era modo più efficace che assomigliare ad un pesce, la nostra materia prima.
Sotto il suo esempio molti altri hanno abbracciato questa nuova forma di moda, ma il boom delle squame ha travolto la capitale alla vittoria dei giochi di Finnick.
Tutti volevano sentirsi più vicini al loro nuovo idolo e così in massa sono andati a farsi impiantare chirurgicamente le scaglie su tutto il corpo: quel tipo di intervento è permanente, a meno che non ci si sottoponga ad un’altra operazione per rimuoverle una ad una da sotto la pelle.
Invece Constantine preferisce applicare le squame con una particolare colla molto resistente e, per rimuoverle, basta farsi una semplice doccia perché il collante si scioglie al contatto con l’acqua.
Ogni mattina deve ripetere sempre lo stesso procedimento: spalmere la speciale sostanza sulle zone del corpo che vuole ricoprire ed applicare una scaglia dopo l’altra, fino a quando non è soddisfatto.
Fortunatamente alcuni preparatori gli danno una mano.
Per quanto sia noioso il procedimento, Constantine mi ha detto che non si farebbe mai innestare le piccole squame permanentemente, perchè vuole essere in grado di sceglierne ogni giorno una tipologia diversa.
Vuole poter cambiare la forma, il colore e la grandezza delle sue scaglie a seconda dell’umore o dell’occasione in cui dovrà sfoggiarle. Cosa che sarebbe impossibile fare se, tutte le volte che vuole trasformarsi, dovesse sottoporsi ad un’operazione, sprecando tempo, energia e denaro.
Anche se sono abbastanza sicura che quest’ultimo non gli manca.
Una volta, circa due anni fa, era venuto nel Distretto 4 per preparare Finnick per un evento, quel giorno le sue squame erano di dimensioni molto più grandi, di forma lanceolata e di un colore nero molto intenso con sfumature verdi che variavano di brillantezza in base alla luce che le colpiva.
La prima cosa che gli dissi fu che non sembrava affatto un pesce con quelle scaglie troppo scure e allungate e che, anzi, il suo aspetto mi ricordava il piumaggio di un Marangone.
Non sembrava affatto offeso dal mio intervento, era stranamente incuriosito da ciò che avevo detto.
Mi chiese subito che cosa fosse un Marangone e dove avessi avuto l’occasione di vederne uno.
Gli spiegai che è un uccello acquatico con uno strano ciuffo sulla testa che in primavera migra nel nostro Distretto, è molto più sfuggente dei gabbiani ma lo si può tranquillamente osservare quando si appollaia con la colonia sulla scogliera.
A quel punto tirò un sospiro di sollievo e mi sorrise soddisfatto dicendomi che, se quello strambo uccello poteva in qualche modo rappresentare il Distretto 4, lui per quella giornata sarebbe stato un Marangone.
Forse è in quel momento che ho capito almeno in parte cosa frulla nella testa di Constantine, è in quella breve conversazione che ho tralasciato l’accento capitolino, i capelli castani dai ciuffi blu, la pelle squamata e ho preso solo in considerazione il suo sorriso genuino, l’attaccamento al nostro Distretto e l’affetto che ha per Finnick.
Constantine è l’unica persona della capitale che tollero, che addirittura a volte apprezzo, sicuramente è molto meglio di quella impertinente di Cloud e della gente che ho conosciuto fino ad ora.
—Annie— inizia d’un tratto lui —credo proprio di aver trovato la ragazza perfetta per il mio abito— mi sorride raggiante.
Solitamente si cerca l’abito perfetto per una ragazza e non l’incontrario, ma visto l’improvviso entusiasmo del mio stilista non faccio domande.
Costantine saltella in un’altra stanza e pochi istanti dopo ne esce fuori tenendo in mano un vestito, io sgrano gli occhi per lo stupore, ho bisogno di osservarlo con più attenzione per essere certa di ciò che ho davanti.
—Sabbia— sussurro io alzandomi per andargli incontro.
—Certo che no— mi sorride lui —ma l’effetto che voglio dare è esattamente quello, voglio far credere agli spettatori che tu sia ricoperta di sabbia dalla testa ai piedi— conclude soddisfatto.
Passo il tessuto tra le dita e rimango incantata  dalla sua leggerezza.
Solo ora che ho il vestito tra le mani posso accorgermi della sua trama: la base è semitrasparente in color carne, ma quello che lo rende così straordinario sono le piccolissime pietre preziose nere, marroni, beige e cristalline che ricoprono, dove più dove meno, l’abito dando l’impressione che sia fatto di sabbia.
Non posso far altro che congratularmi con il mio stilista per il suo magnifico lavoro.
—Ma è bellissimo Constantine— dico con un fil di voce.
—Lo so— risponde lui sorridendomi.
Ma mi rendo veramente conto di quanto il vestito sia meraviglioso solo avendolo addosso: la parte superiore è molto aderente, le maniche sono lunghe, strettissime e si fermano ai polsi; la scollatura è vertiginosa e si conclude qualche centimetro sotto i seni, ma le sfumature più scure delle pietre posizionate strategicamente sul petto non lasciano intravedere niente; la gonna mi sfiora le punte delle dita ed è leggera e per niente attillata, infatti le mie gambe sono liberissime di muoversi facendomi sentire molto a mio agio.
Vedere la mia immagine riflessa allo specchio mi sconvolge: il vestito mi sta alla perfezione, le piccole pietre brillano sotto le luci e il gioco di trasparenze mi rende incredibilmente sensuale, anche il trucco del viso è straordinario con soltanto un po’ d’ombretto color bronzo che rende l’effetto finale molto naturale.
Constantine mi appunta una piccola forcina a forma di conchiglia per fermare qualche ciocca ribelle lasciando il resto dei capelli sciolti lungo la schiena in boccoli perfetti e definiti, infine mi fa indossare dei semplicissimi sandali. Dopo avermi girato attorno per qualche secondo ed avermi osservato in ogni singola sfumatura si convince che il suo lavoro è terminato.
—Sei inriconoscibile Annie— mi prende in giro Lian non appena mi vede.
—Lo devo prendere come un complimento?— domando al mio amico.
Lui si limita a sorridere.
Sono convinta che non si è nemmeno guardato allo specchio, perché altrimenti si sarebbe accorto di come anche lui appaia diverso: indossa dei semplice pantaloncini attillati che si fermano sopra il ginocchio, il tessuto è esattamente uguale a quallo del mio vestito, il resto del suo corpo è nudo e ricoperto da una specie di pellicola luccicante tempestata da piccole pietruzze che danno l’impressione che si sia appena rotolato nella sabbia.
D’istinto vado a toccargli il braccio per capire cosa sia realmente quella patina.
—Me l’hanno spalmata addosso— mi dice —pizzica tantissimo— continua facendo una strana smorfia col viso.
In fretta e furia ci fanno scendere al piano terra del Centro Immagine e qui, per la prima volta, intravedo quelli che saranno i tributi di quest’anno e un senso di malessere mi pervade dalla testa ai piedi.
Per tutto il pomeriggio ho indirizzato ogni singola celleula del mio cervello sul vestito che sto indossando, ma ora che vedo il carro su cui io e Lian dovremo salire la paura si fa concreta e palpabile.
In questo momento ho bisogno solo di una cosa, una soltanto, che è proprio quella che mi manca.
—Finnick?— chiedo disperata a Constantine.
Scuote leggermente la testa —vedrai lui e Mags saranno già a lavoro per cercarvi degli sponsor, quando avrete finito la parata lo troverai sicuramente— mi dice in tono rassicurante.
Io e Finnick non abbiamo più parlato dalla nostra discussione di stamattina.
Io per prima ho cercato di evitarlo, non so come comportarmi con lui dopo quello che mi ha detto, dopo che mi ha chiesto di scegliere tra lui e il migliore amico che scenderà con me nell’arena.
Secondo il mio fidanzato se salverò Lian per noi non ci sarà salvezza, perché io morirò non avendo vissuto abbastanza portandomi dietro quel poco che resta di Finnick, o almeno quello che resta di un Finnick felice e sano.
Ma se io agissi come vuole lui, pensando per me e mettendo la vita di Lian in secondo piano, come potrei poi tornarmene a casa? Come potrei far finta che nulla sia accaduto? Come potrei tralasciare una perdita così importante e continuare la mia esistenza senza che questo mi scalfisca minimamente?
Sarei sicuramente divorata dai sensi di colpa e dalla disperazione, e a quel punto mi domando se ne sarà valsa veramente la pena, se sarà valsa la pena di essermi salvata la vita.
E la risposta è no, ora che ci penso bene la morte di Lian non fa neanche minimamente perte del mio piano, sempre che io ne abbia uno.
Perché lui deve vivere, a qualunque costo, Lian merita una vita felice. 
Ma neanche io voglio morire, non ci penso assolutamente a morire a diciassette anni, ammazzata da chi sa quale di questi mostri sanguinari.
E poi c’è Finnick, il mio Finnick, per cui farei qualunque cosa...
Mi scuoto un po’ e riprendo possesso di me stessa, perché se continuo a pensare a questa cosa andrò fuori di testa, è un rompicapo in cui nessuno dei possibili risultati è accettabile, nemmeno uno.
Almeno che non esista una specie di macchina del tempo per tornare indietro e impedire a quell’antipatica di Cloud di estrarre i nostri nomi alla mietitura del Distretto 4, ma so bene che questo non è possibile.
—Sù, sù presto— ci spintonano in avanti —salite sul carro— ci incitano.
Io e Lian ci posizioniamo mentre i nostri stilisti fanno gli ultimi ritocchi.
—Mi raccomando sorridete e siate raggianti— ci incita Constantine.
Noi annuiamo e in quel momento sento partire la musica che ci da il segnale che la parata ha inizio, mi aggrappo al carro e aspetto che parta, quello del Distretto 1 è già fuori.
Lian mi scruta per qualche secondo per poi aggrottare la fronte.
—Annie ma ti si vede mazza roba!— esclama con gli occhi puntati sul mio petto.
—E tu allora non guardare!— rispondo io un attimo prima che i nostri cavalli color caramello inizino a muoversi.
La quantità di persone è impressionante, tutte accalcate e in delirio per riuscire a vedere meglio i tributi di quest’anno, Lian saluta sorridendo il pubblico, così decido di farlo anche io.
Cerco di sembrare il più rilassata possibile, cerco di sembrare addirittura felice ed eccitata per tutta questa faccenda, spero solo nessuno si accorga che sto letteralmente tremando per l’agitazione.
Le urla di acclamazione e i fiori che vengono lanciati quando passa il nostro carro mi fanno pensare che abbiamo fatto una buona impressione, questo mi conforta perché negli Hunger Games avere dei buoni sponsor conta quasi come saper maneggiare un’arma.
Conclusi i venti minuti di frastuono incessante, acclamazioni e baci il carro si ferma davanti alla residenza del Presidente Snow, dove lui stesso ci da il benvenuto in un elegantissimo completo rosso.
Odio quell’uomo, più di qualsiasi altra persona al mondo.
E mentre la mia immagine appare sullo schermo non posso fare a meno di guardarlo dritto negli occhi, e mi si gela il sangue quando trovo i suoi già puntati su di me.
Lui sa chi sono, lui mi conosce, lui usa me e il mio nome per manovrare Finnick a suo piacimento, lui ha minacciato più volte di uccidermi, chissà se questa volta ce la farà.
Anche io lo conosco, meglio di molti altri, forse meglio dei cittadini di Capitol che lo amano tanto, io so cosa fa, conosco i suoi sporchi giochetti e tutto questo non fa altro che renderlo una persona disgustosa, come se essere a capo di questa deplorevole nazione non fosse già abbastanza. 
Dopo l’inno e un altro rapido riepilogo dei tributo di questa settantesima edizione il nostro carro scompare nel Centro di Addestramento.
Non appena metto piede a terra vengo immediatamente travolta dai preparatori e da Constantine che, sorridendo euforico, si congratula con me.
—Eri bellissima su quel carro! Tutti gli occhi erano puntati su di te!— mi dice entusiasta.
—Tutto merito del tuo bellissimo abito— rispondo.
—Sì, Constantine ha fatto un ottimo lavoro, ma la materia prima è semplicemente straordinaria— mi sorprende una voce alla mie spalle.
Non ho bisogno di voltarmi per capire a chi appartiene, riconoscerei quella di Finnick tra mille.
Ma è l’arresto momentaneo del respriro ha sorprendermi: per tutto il pomeriggio ho aspettato con disperazione questo momento, l’istante in cui avrei potuto riaverlo al mio fianco, e adesso che è qui non ho neanche il coraggio di voltarmi, francamente vorrei semplicemente sparire.
Ho paura di muovermi, di incrociare i suoi occhi, di sentire la sua voce.
Perché so cosa potrebbe dirmi, lo so fin troppo bene.
“Quindi scegli Annie”
La sua mano calda si posa sulla mia spalla.
“O me o lui”
Di scatto mi sposto, facendo qualche passo in avanti.
Mi da fastidio averlo lì vicino, non perché è di lui che ho paura, non potrei mai, sono quelle parole che mi terrorizzano, loro e quello che ne consegue.
Semplicemente mi urta i nervi il fatto che le abbia pronunciate e penso che questo, tutto sommato, sia più che lecito.
—Che dite, ce ne andiamo da qui?— propone Mags volgendo lo sguardo ad un ascensore.
Acconsentiamo spostandoci lenti, a capo del gruppo c’è il mio allegro stilista visibilmente soddisfatto del suo operato, ampiamente elogiato da Cloud, che nel frattempo si è unita a noi.
—Questi di Capitol sono una banda di pazzi— mi sussurra simpaticamente Lian.
—Sarebbero tutti da rinchiudere— ma nel mio tono non c’è niente di scherzoso.
La nostra accompagnatrice per prima andrebbe messa in un ricovero, seguita immediatamente da tutta la popolazione capitolina, non uno andrebbe risparmiato, non uno.
—Ci vediamo domani allora— sento una voce suadente in lontananza sibillarmi nelle orecchie.
Quasta volta la mia testa si gira all’istante, e a pochi metri da me inquadro Finnick in un magnifico completo nero flertare con una donna tutta ricoperta di piume.
Vedere quell’improbabile coppia mi fa un inaspettato effetto, che so essere ingiusto nei confronti del ragazzo in questa circostanza, ma per qualche strana ragione sento crescere sempre di più nel mio petto: rabbia.
Per quanto il mio cervello mi dica che sia sbagliato, che non dovrei provare questo sentimento, che lui sta facendo solo ciò che deve e che sono io quella in torto, il mio corpo, febbricitante di irritazione e disgusto, sembra pensarla essattamente al contrario.
E come se non bastasse, a dargli manforte, arriva anche quel fastidio che mi aveva pervaso pochi istanti prima dovuto alle parole che mi tormentano da questa mattina.
Lancio ai due un’ultima occhiata acida di veleno e mi appresto ad entrare in ascensore insieme agli altri.
Arrivati al quarto piano l’allegra compagnia si disperde nell’immenso appartamento: Cloud, Constantine e i preparatori di cui non mi sono neanche interessata ad imparare i nomi, si dirigono saltellanti verso un’enorme bottiglia  di champagne, aperta nell’immediato accompagnata da una moltitudime di urletti.
Io, Lian e Mags ce ne stiamo compatti ed immobili ad osservare la scena fino a quando non è l’anziana a parlare.
—Venite, vi porto a fere un giro— propone lei.
Noi la seguiamo senza fare storie tra le varie stanze, osserviamo stupefatti la loro grandezza e i mobili che le arredano, per poi aggregarci ai capitolini sorridenti che continuano a brindare in onore della magnifica parata.
Cloud sembra addirittura contenta, mi fa perfino un complimento, io mi obbligo a ringraziarla e in quell’esatto istante le porte dell’ascensore si aprono lasciando entrare Finnick.
Anche lui viene incoraggiato dal gruppo ad unirsi ai festeggiamenti, si dirige lento verso di noi ed io non posso far a meno di notare che mi sta scrutando dalla testa ai piedi con aria severa.
Lui si appresta ad afferare un bicchiere, io poggio il mio e mi allontano di qualche passo da quella marmaglia urlante appoggiandomi pigramente ad un muro.
Finnick non tarda a raggiungermi e, con mio scontento, riprende ad osservarmi.
—Annie vai a cambiarti— dice dopo un po’ in tono, che alle mie orecchie, appare di comando e più duro del solito.
—No— rispondo secca, la frustrazione di prima torna a farsi sentire.
Lui sospira scuotendo leggermente la testa.
—Per favore Annie, vai a cambiarti— prosegue più arrendevole.
—Amo questo vestito, perché diavolo dovrei toglierlo!— concludo irritata in tono troppo alto.
—Ti si vede mezza roba!— scatta immediatamente quasi gridando.
Lo osservo, con sguardo assente.
—Oh, come se tu non avessi visto cosa c’è sotto— rispondo tranquilla e fin troppo acida passandomi un dito sul bordo della scollatura.
Finnick è impassibile, immobile, anche stupito direi.
Io prendo un bel respiro e mi allontano rassegnata e carica di vergogna.
Non so perché l’ho fatto, non ero io a parlare, era la mia frustrazione, mi sento profondamente in colpa per il mio atteggiamento, Finnick non si merita questo.
Lo sento muoversi alle mie spalle.
—Non mi fraintendere— bisbiglia sensuale al mio orecchio —io un’altra guardatina la darei volentieri— conclude accarezzandomi con le dita delicatamente il collo per poi scendere nell’incavo dello sterno.
Un brivido risale frettoloso la mia schiena inarcata per la tensione.
Le sue labbra stanno ancora solleticando il mio lobo quando Cloud ci interrompe.
—O mio Dio! Cosa state facendo!— urla in preda ad un attacco isterico.
Lo vorrei sapere anche io, cosa stiamo facendo.
Questi non siamo noi.
Io e Finnick ci lanciamo un’altra rapida occhiata, vedendolo in viso non saprei cosa sta provando: tristezza, rabbia, paura, rassegnazione, vuoto.
Forse quest’ultima, forse.
Prendo un bel respiro, lento, forzato, profondo.
Chiudo gli occhi, leggermente umidi, e mi dirigo in camera mia, a cambiarmi.
Anche questa volta Finnick l’ha avuta vinta, non ne avevo dubbi.
Il resto della serata passa abbastanza velocemente, tra porzioni di carne grigliata, vino, chiacchiericci sommessi e lunghi momenti di silenzio.
Mi perdo tra le parole di Constantine e gli squittii di Cloud, riesco persino a sorridere, tutto merito di Lian e Mags ed il loro spiccato senso dell’umorismo.
Stranamente sembra procedere tutto liscio, fino a quando Finnick accenna al fatto che “noi abbiamo una strategia vincente”.
Per “noi” intende se stesso, per “vincente” presuppongo si riferisca a me, per quanto riguarda la “strategia” sono abbastanza sicura che preveda la morte di 23 tributi, compreso Lian.
Questo basta al mio corpo per irrigidirsi nuovamente, invaso da un costante senso di nausea e di irritazione.
Mi domando quanto ci abbia messo Finnick ad elaborare questo piano, mi domando quanto tempo abbia impiegato per convincersi che la vita di Lian è meno importante della mia.
Suppongo sia stata una decisione difficile.
Difficile, ma evidentemente non impossibile, almeno per lui.
Dopo tutto Finnick è più legato a me che a Lian.
Poi, d’un tratto, scatta uno strano meccanismo nel mio cervello: cosa avrei fatto io se la situazione fosse ribaltata? Se il mio fidanzato dovesse scendere nell’arena  con un suo amico?
E mi rendo conto che non avrei impiegato molto a mettere la salvezza di Finnick sopra qualunque altra cosa, anche sopra la vita di una persona a me non altrettanto cara.
Mi volto di scatto richiamata da Lian.
—Annie tutto ok? Ti vedo un po’ assente— chiede lui preoccupato.
—Sono solo tanto stanca— farfuglio.
Stanca fisicamente e mentalmente.
—Anche io— risponde —e non vedo l’ora di provare i letti di Capitol City, sono sicuro che saranno morbidissimi— sorride entusiasta.
—Ne sono sicura anche io— rispondo sorridendo a mia volta.
Non mi importa di ciò che avrei fatto io, qui la situazione attuale è diversa: sarò io insieme a Lian a partecipare ai giochi, e per quanto mi riguarda l’unico che ha il diritto di scegliere della vita del mio migliore amico è Lian stesso.
Nessun altro, né io, né Finnick.
Tantomeno Finnick.
—Se non ti dispiace Annie cara, mangierei volentieri il pezzo di torta che ti è avanzato— mi dice Mags con il piatto già pronto.
—Prendi pure— dico porgendole il mio.
—Annie non dovresti incoraggiarla!— mi fa notare Lian —diventerà una vecchia balena grassa!— ride lui.
—Senti giovanotto, ho il quadruplo della tua età— scatta Mags —mangio quello che voglio e quanto voglio!— fa una piccola pausa —e del tuo parere francamente me ne infischio!— conclude soddisfatta ficcandosi in bocca un enorme pezzo di torta.
—Ben detto!— approvo io.
Lian sbarra gli occhi stupefatto, sposta lo sguardo da me, a Mags alla torta, poi scoppia a ridere seguito immediatamente dalla sua mentore che, presa dalla ridarella, sputacchia in giro pezzi ti torta.
Non so come questi due ci riescano, ma mi basta guardarli per farmi travolgere dalla loro spensieratezza, e in men che non si dica ho già un bel sorriso stampato in faccia, sincero, forse il secondo della giornata.
I presenti a tavola si girano tutti verso di noi, ci fissano incapaci di capire il perché del nostro comportamento, in alcuni di loro leggo anche del disgusto, li ignoro semplicemente, invece negli occhi verdemare di Finnick trovo durezza, come se mi stessero dicendo che il mio comportamento è sbagliato, che dovrei fermarmi subito.
Ma invece non lo faccio, continuo a ridere, anche più vistosamente di prima, un po’ per ripicca ed un po’ perché, se gli occhi di Finnick non mi avessero tolto il respiro, so che lo avrei fatto comunque.
Quando ci ricomponiamo lui mi sta ancora fissando, e questo non fa altro che rendermi più nervosa, come se non lo fossi già abbastanza.
Ma per quanto sia irritante il comportamento di Finnick, non trovo la forza di fermarlo quando in piena notte sgattaiola in camera mia e si infila nel mio letto.
Detesto ammetterlo ma mi è mancato, più di quanto potessi immaginare.
Ho cercato di respingerlo per tutta la serata, pur sapendo di averne un disperato bisogno, pur sapendo di non poterne fare a meno.
Per quanto io cerchi di evitarlo, alla fine tornerò sempre da lui, e lui tornerà sempre da me.
E mentre mi accarezza delicato la schiena mi ritrovo, per uno strano scherzo del mio cervello, a paragonare Finnick alla sabbia: graffiante, fastidioso, intrusivo, onnipresente, fragile, protettivo, sfuggevole, accogliente, indispensabile.
Assolutamente indispensabile.
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
Chiedo scusa per il ritardo, che questa volta è veramente eccessivo.
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto e, se mi fate il piacere di lasciare una piccola recensione, ci tengo veramente tanto a sapere come la pensate.
Scusate ancora, a
 presto, baci...
Light Rain
  
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