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Autore: M4RT1    29/03/2013    5 recensioni
Neal è finito all'ospedale e dovrà restarci per ventuno giorni. Che succederà? Chi gli terrà compagnia? Ma soprattutto: riuscirà Neal a sopravvivere a ventun giorni con amici che tentano di tirarlo... su di morale?
**
La storia si comporrà di ventidue capitoli: il primo parla di come Neal è finito in ospedale, poi ce ne sarà uno per giorno. :))
Spero vi piaccia!
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Burke, Mozzie-Dante Haversham, Neal Caffrey, Peter Burke, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano passati solo pochi minuti da quando la squadra speciale capitanata da James Cristopher Sallivan aveva fatto irruzione nel garage sulla Settantesima. Solo pochi minuti da quando Peter e Jones, al seguito dei ventiquattro agenti, erano entrati e avevano trovato Neal.
Neal che era vivo, per fortuna, ma che sembrava essere sull’orlo delle lacrime.
Neal che era stato ritrovato legato e imbavagliato accanto a un tubo di ferro, pieno di lividi e con una mano completamente coperta di sangue.
Neal che, al sentire la voce dell’amico, aveva emesso un suono indistinto e si era accasciato sul pavimento.
Da quell’istante, tutto era stato veloce. Peter aveva aiutato Neal ad alzarsi, l’aveva trascinato fuori, l’aveva aiutato a entrare in macchina. E ora erano lì, seduti sui sediolini posteriori, preoccupati, con Jones alla guida. I palazzi sfrecciavano veloci fuori dai finestrini.
-Come ti senti?
Solo dopo aver formulato la domanda, l’agente si accorse che non avrebbe potuto dire nulla di più stupido. Neal gli dette un’occhiata, poi tornò a battere i denti e fissare il sedile davanti, inespressivo.
Peter si dimenò per qualche secondo sul sedile, a disagio.
-Neal? Neal, parlami! Come va? Che ti hanno fatto?- ripeté, spaventato. Il ragazzo strinse le labbra, trattenendo un singhiozzo. Peter rabbrividì.
-Forse dovresti aspettare…- suggerì Jones, alla guida. L’altro agente annuì, ma poi tornò all’attacco:
-Neal? Rispondimi! Che hai?
Il ragazzo si limitò a scuotere il capo. Peter sospirò rumorosamente, cercando di calmarsi.
-Oh, insomma, Neal!- sbottò alla fine, nel panico totale.
Ma Neal dormiva. Il suo respiro discontinuo e pesante riempiva l’auto, interrotto da qualche mugolio causato da un movimento storto della mano ferita, oppure da una frenata improvvisa.
-Neal? Su, Caffrey… svegliati!- Peter provò a risvegliarlo, accompagnando le parole con qualche buffetto sulla guancia pallida del ragazzo. Dopo qualche secondo, Neal aprì gli occhi. Peter avrebbe voluto ucciderlo, probabilmente. Avrebbe voluto scuoterlo e urlargli di svegliarsi e di riprendersi. Forse gli avrebbe rinfacciato volentieri anche che, se si trovava in quelle condizioni, era tutta colpa sua. Era stato lui a insistere per infiltrarsi, lui a restare tra i criminali nonostante la sua copertura fosse quasi saltata. Lui, lui, e solo lui. Ma non lo fece.
-Vieni qui, Neal…- sussurrò, invece, con un tono irriconoscibile. Cinse le spalle del partner con un braccio e gli scompigliò i capelli. L’altro non si ritrasse. Stettero così per un po’.
L’auto continuava a camminare lungo la strada dritta.
Dopo qualche minuto, Neal si addormentò di nuovo.
Peter rimase a fissarlo per un po’. Il ragazzo aveva gambe e piedi penzoloni sul tappetino, la schiena appoggiata al torace dell’altro e la testa abbandonata contro il suo collo. Gli occhi chiusi, la bocca semiaperta, le labbra gonfie e sporche di sangue.
La mano destra era abbandonata sul ginocchio di Peter, coperta di graffi e piaghe.
-Neal? Neal?
Neal aprì gli occhi a fatica, poi si sollevò di scatto. Alzo la testa velocemente, e per un momento Peter credé di avergli fatto male. Invece l’amico si limitò a fissarlo per un paio di secondi, gli occhi ancora semichiusi, e tornò ad appoggiarsi alla sua spalla.
Peter lo sospinse:
-Ecco, così… stai tranquillo, si aggiusterà tutto.- mormorò, riprendendo quelle che erano le parole di Elizabeth ogni qualvolta succedeva qualcosa che lo agitava.

 
 
Aveva la nausea.
L’auto sbandava e sobbalzava, si fermava all’improvviso trascinandolo in avanti, per poi tornare a camminare e sospingerlo contro il petto dell’amico.
E lui aveva la nausea.
E poi c’era il dolore, quel dolore bruciante che gli percorreva il palmo della mano, il polso, fino ad arrivare alla spalla e al collo. E il freddo, che gli penetrava nelle ossa e gli faceva battere i denti troppo forte.
E lì, in mezzo a quell’inferno, c’era la mano di Peter.
Calda, troppo calda, ma piacevole nel suo tocco così pesante e familiare.
Più di una volta, Neal si addormentò per poi svegliarsi, veloce, ad un singolo movimento di Peter.
L’agente lo chiamava, lo riscuoteva, tentava di tenerlo sveglio. Neal sentiva la sua voce, ovattata, triste, spaventata. Sentiva le vibrazioni che il parlare produceva, che si trasmettevano alla gola su cui Neal poggiava la testa. Percepiva questi dettagli più del panorama fuori, più del clima o del fatto che Jones, alla guida, avesse iniziato a canticchiare.
Nello stordimento generale, non riusciva a provare nemmeno paura. Dolore, quello sì, e anche una sorta di difficoltà a respirare. Eppure, non paura.
Peter mormorò ancora qualcosa, serio. Tranquillo, forse.
La mano pulsava e prudeva e bruciava. La macchina correva per poi fermarsi. Peter dondolava leggermente sul posto.
Andava tutto storto, eppure non aveva paura.

 
 
-Neal? Neal, siamo arrivati.
-Arrivati dove…?
-All’ospedale, Neal.
Peter scosse lievemente il ragazzo, per farlo svegliare. Neal aprì l’occhio destro, livido, e mormorò qualcosa.
-Cosa, Neal? Cosa hai detto?- chiese Peter, totalmente in apprensione. Il più giovane ridacchiò:
-Sembri una mammina apprensiva, Peter.- biascicò.
Anche l’agente rise, nervosamente.
Con un po’ di sforzo, riuscì a far alzare Neal. Sostenendolo, si incamminò verso il pronto soccorso. A metà strada, due paramedici portarono una barella. Neal fu fatto sedere, poi stendere, gli furono misurate pressione e temperatura. I medici parlavano di sangue, emorragie, complicazioni, fiale.
Peter provava a seguirli, a capire le loro parole, ma senza risultato. Non riusciva a prestare attenzione. L’unica cosa che gli balzava alla vista era Neal, il suo viso, la sua espressione a metà tra il tramortito e il terrorizzato.
-Va tutto bene, Neal… stai tranquillo. Va tutto bene.- continuò a mormorargli, accarezzandogli i capelli. Uno dei medici gli si avvicinò: avrà avuto forse cinquant’anni ed era già completamente calvo, ma ciò che risaltava di più alla vista era il paio di baffi brizzolati a manubrio.
-Lei è un parente?- domandò con voce profonda e, nel contempo, sbrigativa.
-Io… in un certo senso.- rispose Peter.
-In quale senso?- sottolineò il medico: -E’ un parente o no?
-Sono… il suo tutore.
Il dottore soppesò l’altro: il suo sguardo percorse la cravatta di Peter, il suo viso preoccupato, poi indugiò sul distintivo dell’FBI. Annuì:
-Venga dentro.
  
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