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Autore: Horrorealumna    30/03/2013    2 recensioni
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Insieme alla mia vita e alla sua.
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Con la nostra morte.
Dopotutto non c’è niente da temere.
Perché temere la morte quando si ha già paura del buio?
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alessa Gillespie, Dahlia Gillespie
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fear of ...'
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TRA RABBIA E GELOSIA
 
Fu abbastanza difficile condurre Travis al teatro della città. Ricorsi a numerosi segni, suoni ed indizi per riuscire a portarlo sulla strada giusta; in più la presenza dei mostri per le vie nebbiose non faceva altro che spingerlo verso vicoli stretti e silenziosi, lontano dal posto designato. Comunque, una volta entrato, il Teatro Artaud si presentò in tutto il suo splendore davanti ai suoi stanchi occhi. Colori vivaci e locandine di spettacoli... un normale teatro, all’apparenza.
La sala col palcoscenico e i posti a sedere, però, era buia. Tanto che l’uomo, catturato dalle tenebre, quasi non distinse una figura umana, accanto a lui. Per fortuna ebbe il buon senso di accendere la torcia.
La bella infermiera, Lisa, sorridente rilassata, diversa dall’ultima volta che il ragazzo l’aveva incrociata, sedeva sulla morbida poltrona rossa, con gli occhi puntati sul palco, come se aspettasse l’arrivo degli attori o l’inizio dello spettacolo. Lisa mi faceva pena. Cosa le stavano facendo?
- Lisa! - esclamò sorpreso Travis quando la riconobbe, facendosi vicino - Che ci fai qui?
La mia infermiera lo riconobbe subito. Ammiccò, senza smettere di sorridere, per poi dire calma:
- Scusa se ti ho spaventato. Ma... credevo di essere sola qua dentro.
- E’ pericoloso - fece serio Travis.
- Pericoloso?! - rise lei - Stai scherzando, vero?
Le gambe accavallate si sciolsero con un gesto morbido, fluido e sensuale. Si mise in piedi, lentamente, guardando negli occhi il camionista e passandosi una mano tra i lisci e corti capelli biondi, sfiorando appena la cuffietta bianca sulla testa.
Travis si accigliò, curioso e ancora più confuso di prima. La ragazza che prima sembrava sparare idiozie o frasi senza senso, che era rimasta sola nel manicomio, ora sembrava così... strana, forse, da non capire nemmeno cosa stava accadendo attorno a lei. Se era rimasta, con me, nella mia dimensione doveva esserci un motivo. Ma lei sembrava non accorgersene.
Chissà se riusciva a vedere i nostri mostri...
- La porta era aperta, così sono entrata - sospirò Lisa, ridacchiando.
Travis annuì distratto. Forse non l’aveva convinto.
Ma la ragazza continuò, con fare sognante:
- Io amo il teatro, Travis. Volevo diventare un’attrice, famosa... bella, acclamata. Ma mia madre era un’infermiera, così come sua madre. Quindi... sono infermiera anch’io. Ho tutti i requisiti.
 
Detto questo, la bionda si avvicinò a Travis, allungando le braccia attorno a lui, al suo collo, stingendolo e accarezzandogli i capelli bruni; si avvicinò a lui, fino a quando il suo naso non fu a pochi centimetri da quello dell’altro. Travis si immobilizzò, non abituato a quegli strani gesti affettivi o qualcosa di più. Aveva gli occhi sbarrati, ed era rigido e senza parole, mentre Lisa gli sorrideva a suo agio, in quell’atteggiamento strano.
Io non capivo, ma sentii qualcosa nascere dentro di me.
Chiamarla gelosia, però, era troppo.
Io volevo bene ad entrambi e non mi sentii affatto tradita dall’infermiera, né dal ragazzo, visto che uno mi credeva lo spirito di una morta e l’altra un ammasso di carne bruciacchiata; ma se avessi avuto un corpo, qui e ora, non avevo idea di cosa avrei combinato...
Erano così carini insieme, ma sentivo che Travis era mio e né mia madre, Kaufmann o Lisa sarebbero riusciti a portarmelo via. Poi lui non mi considerava nemmeno... come possibilità. Imprigionata nelle sembianze di una povera bambina di sette anni. Non potevo certo competere con la bellezza di quella ragazza, di quell’infermiera.
Lei era tutto.
Io il nulla.
Dolcezza, bellezza e femminilità. Tutto quello che il mio corpo ustionato, probabilmente, non avrebbe mai conosciuto.
Il suo era un corpo di giovane donna, attraente come una farfalla. Io ancora no.
Ma Lisa era la farfalla più fragile che avessi mai “catturato”, capace di non accorgersi del pericolo a cui andava incontro e che non sarebbe durata molto, senza protezione; questo doveva averlo capito anche Travis. Anche se vederla là, così vicina a lui... sembrava sicura di sé. Doveva essersi innamorata, ma non volevo scoprirlo né saperlo; solo la certezza dei sentimenti che Travis provava per lei e per me... avrebbe chiarito ogni dubbio.
E  in quell’istante, desiderai crescere, diventare ragazza e poi donna, solo per stare insieme a lui, anche a costo di soffrire, di abbandonare Silent Hill e partire insieme a lui; lo desideravo tanto...
Lisa parlò, dopo quella che mi parve un’eternità, dolce come il miele:
- Non riesco a smettere di pensare a te, Travis. Rivolgo a te ogni mio è pensiero, sei la mia ossessione. Andiamocene insieme, via da questa folle città, solo noi due. Insieme. Staremo benissimo... insieme.
Gli accarezzò piano la guancia, per poi scoppiare a ridere divertita, sciogliere l’abbraccio e fare una giravolta davanti ai suoi occhi. Si portò entrambe le mani sui fianchi e disse forte:
- Visto? Potrei diventare una stella!
Anche Travis rideva. Rideva...
- Sì...
Lisa trotterellò accanto a lui, ma in direzione opposta, verso l’uscita della sala. Alzò la mano in segno di saluto, sempre ridendo:
- Bene. Ci vediamo, Travis.
E rimanemmo ancora soli.
Nemmeno la patetica recita di Lisa Garland riuscì a farmi cambiare idea sul loro conto. Secondo me, riuscì solo a far ancora più male a Travis, già confuso di suo...
 
Le locandine sparse dietro le quinte e per tutto il teatro indicavano che lo spettacolo che si sarebbe messo in scena in quei giorni doveva essere “La Tempesta” di Shakespeare. Avevo letto il libro tempo fa e non potevo che esserne felice. Rividi tra gli oggetti di scena molti costumi e accessori a me familiari.
Manichini piccoli come bambini, appesi per i piedi, li associai allo spiritello Ariel, aiutante nella storia. Peccato che Travis li vide animate dal mio potere: le manine, improvvisamente animate di vita, cercavano il suo collo che ancora profumava di Lisa.
Gli stetti dietro, trasportandolo dentro e fuori gli specchi parecchie volte, alla ricerca di chiavi e documenti. Ma riuscì a farsi una buona idea del guaio a cui andava incontro - e in cui lo stavo inesorabilmente spingendo - solo quando capì che gioco stavamo giocando.
Era la fine dello spettacolo.
Travis era sul palcoscenico dell’altra realtà. Vere rocce lo circondavano, così come la luce bluastra che filtrava da fessure da strane crepe in alto. Lo sentii rabbrividire per il freddo improvviso.
Finalmente, anche se a mio svantaggio, comprese che ero la burattinaia: lui, il mio piccolo e caro pupazzo, era sotto la mia influenza perché avevo bisogno di lui per ricomporre il Flauros, come le profezie dicevano quando ero piccola. Ora lui si ribellava, anche se troppo tardi.
Gli altri pezzi della piramide giacevano inutili nelle sue tasche e solo sentendo le punte aguzze graffiargli le braccia... gli fecero ricordare.
Ma l’arrivo del mio mostro, il più grande di tutti, il più orribile, simile ad un dipinto che avevo visto tempo fa nella chiesa dell’Ordine, raffigurante l’Angelo del dio, il mio Calibano, costrinse i suoi pensieri e le sue idee a smettere di tormentarlo. La grotta sembrò rimpicciolirsi di molto col suo ingresso, viste le dimensioni, e sapevo che Travis soffriva leggermente di claustrofobia a causa di sua madre. Io, invece, ero stata educata dalla mia agli spazi angusti, sottoterra o negli sgabuzzini, quindi la visione e il luogo non mi turbarono molto. Poi, erano frutto dei miei incubi. Della mia stessa testa, quindi.
Orribile incubo, di una notte passata ad immaginare quanto mi sarebbe piaciuto assistere ad alcune rappresentazioni teatrali. Adoravo Shakespeare; avrei dato qualunque cosa per fare da spettatrice a “La Tempesta” o a “Romeo e Giulietta”...
Anche se, dovevo ammetterlo, quello che stavo vivendo e che stavo facendo passare al camionista, superavano di gran lunga tutto quello che si poteva trovare qui, a teatro.
Calibano... disgustoso essere.
Enorme, alto e pesante. Un ammasso di carne, le cui braccia cadono a terra e, insieme alle zampe posteriori, sfigurate e contorte stranamente, gli permettono di muoversi. In effetti, la testa è proprio posizionata là, in mezzo alle “gambe”, con occhi neri come la notte e strani tatuaggi scarlatti sul muso, che mi ricordavano incredibilmente i simboli della setta. Lui, il mostro, nascondeva il pezzo; ora dovevo solo aspettare... solo aspettare di vederlo crollare morto ai piedi di Travis.
Ma il ragazzo non reagiva, per la paura. Così gli resi più facile il lavoro, a mie spese; gli occhi della creatura lasciarono le zone orbitali accompagnate dai lamenti orribili della creatura, cadendo a terra, inutilizzabili. Cieco, avrebbe avuto modo di “sentire” Travis solo con l’olfatto.
L’uomo afferrò la pistola, la ricaricò... e cominciò lo scontro.
 
“Non aver paura. L’isola è piena di rumori, di suoni e di dolci arie che danno gioia e non fanno male.”
 
Calibano caricava Travis con incredibile velocità: dopo una breve rincorsa, visto lo spazio ristretto, si scaraventava addosso a lui, con tutto il suo peso; lo atterrò un paio di volte, ma non potevo fare più niente per lui. Mi limitai ad osservarlo.
Per quanto mi importasse di Travis, della sua vita e della nostra esistenza ero ancora debole. Avevo bisogno del Flauros per essere capace di tutto e avere il controllo di questa realtà e di Silent Hill.
 
“A volte mille e mille strumenti vibrano e ronzano nelle mie orecchie; a volte sono voci che, anche se mi sono destato da un lungo sonno, mi invitano a dormire ancora.”
 
Cadde ancora, più vicino a me.
Chissà se sarebbe crollato...
E se lo faceva per me?
Comunque, anche Calibano presentava i primi segni di cedimento: correva più lentamente e gemeva spaventosamente. Una lotta impari che però...
 
- “Allora, nel sogno, vedo le nuvole che si aprono e mostrano tesori pronti a cadere su di me - e quando mi risveglio, piango per sognare ancora” - sussurrai. E finalmente l’abominio a cui io stessa avevo dato la vita esalò l’ultimo respiro e cadde ai nostri piedi.
Travis respirava faticosamente: la lotta lo aveva sfinito. Lo vedevo... umano, diverso da come lo ricordavo quando mi tirò fuori dalla casa in fiamme: un livido sulla guancia e parecchi graffi.
E furioso...
Aveva capito. Non era stupido, dopotutto.
Il pezzo di Flauros risplendeva di luce propria accanto al cadavere del mostro; una volta raccolto, Travis lo agitò sopra la testa:
- Tu! - mi chiamò - Vieni fuori. Ti servono questi, non è così?!
E io mi mostrai. Camminai tranquilla, guardandolo negli occhi, finalmente, aggirando il Calibano deceduto.
Sì, era decisamente arrabbiato.
E anche io lo ero.
Sia per quello che avevo visto, sia per Lisa, che per i suoi modi. Aveva bisogno di urlarmi contro ogni volta? Presto sarebbe tutto diventato più chiaro per lui; ma fino a quel momento doveva pazientare.
Detti un potente calcio all’arto freddo del mostro che mi ostruiva il cammino, lasciando correre via tutto il mio orrore e la mia rabbia.
La mia guerra intestina...
Intanto, abbassato lo sguardo, mandai a “nanna” il camionista. Portandolo via dal Teatro, con la chiave del Motel del Lago Toluca nella sua mano.
L’ultimo pezzo.
E la chiave del potere.
 

 ANGOLO AUTRICE:
Come sempre... in ritardo XD
DOVEVO aggiornare, ma questa settimana è stata un inferno. Finalmente qui, però :D
E non so più cosa dire. Spero vi sia piaciuto, fatemi sapere e... alla prossima!
Besos ;)
 
PS: Ah, le citazioni in corsivo sono di Shakespeare, naturalmente <3 "La Tempesta", atto III, il discorso di Calibano, uno dei più struggenti :)
 
   
 
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