Ella Wheeler Wilcox
- Non è stata colpa di Sherlock se James è morto, Sebastian.
John non sa quanto tempo è passato da
quando il Colonnello è arrivato. Forse mezz'ora, forse di
più, forse dieci secondi. La musica rimbomba con prepotenza
nelle pareti della stanza, in tutto l'edificio, fuori anche, forse.
Il suono che sbatte con forza contro gli amplificatori, strisciando
per le strade, giungendo alle orecchie di chi è presente, e
sperando che giunga a chi deve ancora arrivare. John non è
stupido, ha ascoltato il testo di quella canzone che si sta
ripetendo in loop da quasi venti minuti.
I own you. Sebastian
sta attirando Sherlock come una mosca nella tela del ragno. E la
cosa peggiore, è che non può impedirlo.
- Lo
so.
Sebastian ha gli occhi chiari - più chiari di quanto li
ricordasse - e tranquilli. Come se avesse già preventivato una
sua possibile fine in tutta questa faccenda. Sherlock non arriverà
da solo, ma sa che anche Sebastian non lo è. E la sua
espressione - così pacifica e discreta, quella che non ti
aspetteresti mai da un killer - è pacata. Troppo, per non
apparire spaventosa.
- Solo che, quando perdi tutto quello che
hai, l'unico modo di sopravvivere è avere qualcuno a cui dare
la colpa. Non posso farlo con Jim... nemmeno con te, nonostante
tutto. Siamo amici. Siamo amici, John?
John vorrebbe dire che no, non è amico di un assassino, amante
dello psicopatico che ha spinto il suo migliore amico a far finta di
suicidarsi, vorrebbe dirgli che non sa come una persona del suo stampo
sia riuscito ad ottenere il grado di colonnello e a uscire dall'inferno
dell'Afghanistan senza quasi un graffio. Vorrebbe dirgli, che se Jim si
è ucciso, forse è stata in parte anche colpa sua, che non
ha saputo proteggerlo, o che è la giusta punizione per tutto il
male che ha fatto, anche dopo la sua morte. Ma la verità
è che John non dirà nessuna di queste cose, perché
Sherlock arriverà presto, e lui deve tenere Sebastian occupato
senza farlo incazzare più del dovuto.
- Lo eravamo.
Sebastian allunga una mano, sfiorando appena la fronte di John che non
si ritrae, per quanto senta il disgusto salirgli dalla bocca dello
stomaco.
- Sapevo che Sherlock avrebbe capito il collegamento con i cadaveri...
solo che l'ha fatto troppo tardi. È intelligente, il tuo uomo.
- Non è il mio uomo.
- Siamo io e te, in una situazione che prescinde la normalità, Capitano. Negare, ormai, che senso ha?
John sta in silenzio, cercando di calmare i battiti furiosi del suo
cuore. Lancia un'occhiata alle spalle di Sebastian, vedendo Mycroft
riverso contro il muro, respirare pesantemente e dalla carnagione
più pallida del normale. Sospira. Non c'è più
molto tempo.
- Se nego, ci sarà più possibilità di non farmi male.
Sebastian ride piano, accarezzando la pistola come se fosse un amante.
- Questa è una bugia. No, John? Quando si è suicidato non era il tuo ragazzo. Eppure sei morto lo stesso...
- È diverso.
- In cosa? - ringhia, il Colonnello - In cosa, è diverso? Sei
innamorato di lui! Lo eri prima, lo sei adesso, qual è la
differenza?
John apre la bocca per replicare, ma le parole non escono fuori. Rimane
in silenzio, con Sebastian che si alza in piedi e si mette a girare in
cerchio, più nervoso di lui. Quando sta per dire qualcosa,
quando il suo reale pensiero o un altra bugia, sta per uscire dalle sue
labbra, la musica smette di suonare, e un rumore concitato di
passi arriva al suo orecchio.
Sherlock è arrivato.
- Speravo ci avresti messo meno tempo, Holmes. I tuoi riflessi sono lenti, rispetto all'ultima volta.
John vede Sherlock entrare nella stanza con la grazia predatrice di un
falco. Lo guarda, assottiglia gli occhi e tira un imperccettibile
sospiro alla constatazione che sta bene. John irriggidisce le spalle, e
fa un cenno. Sherlock si volta, e vede suo fratello a terra, che ormai
ha praticamente perso coscienza. Moran lo lascia avvicinare, beandosi
del suo viso impassibile che nasconde la paura e la rabbia. Sherlock
sfiora appena i vestiti di Mycroft, macchiati di sangue, e osserva la
sua mano imbrattata di rosso. Suo fratello riesce ad aprire gli occhi
per qualche secondo, un mezzo sorriso a increspargli le labbra, un pensa a John,
e poi cade di nuovo nell'incoscienza. Sherlock sente le viscere
contorcersi, e per un secondo vorrebbe avere a portata di mano una
qualibro 9 da piantare in testa all'uomo che ha davanti.
- Sappiamo bene entrambi che non uscirai vivo da qui, Moran. Risolviamo la questione: che diavolo vuoi?
- Ucciderti. Mi piacerebbe tanto, Holmes, lo confesso. Per molto tempo ho pregato di averne la possibilità.
Sherlock assottiglia lo sguardo, stringendo appena il braccio di suo fratello. I soccorsi stanno arrivando, resisti.
- Adesso siamo qui. Fallo.
- No!
John cerca di tirarsi in piedi, ma Moran gli punta la pistola ad
altezza del viso ed è costretto a stare immobile contro il muro.
Sherlock allunga una mano verso di lui, poi la lascia cadere mollemente
lungo il fianco. Un respiro, uno sguardo. John cerca di non farsi
prendere dal panico. Lontano, le sirene dell'FBI stanno arrivando.
Sta per finire, sta per finire.
- Tutto questo è accaduto per colpa tua.
Sherlock alza un sopracciglio.
- Mia? Non sono io che tengo una pistola in mano.
- No, è vero - sorride, Sebastian - ma in questo momento, sono
io che reggo il gioco. Sai perché? Perché forse hai
ragione. Io morirò. Ma prima di farlo, Holmes, voglio farti
provare la stessa paura che ho provato io. Lo stesso dolore. Un dolore
che John conosce bene...
Sebastian punta la pistola verso Sherlock e spara. Strizza gli occhi,
Sherlock, più per la sorpresa che per il reale terrore di stare
per morire. Non sente niente, a parte il rimbombo sordo dello sparo
nelle orecchie. Il profumo della polvere da sparo e della carne
lacerata gli arriva alle narici, e un conato di vomito sale
spontaneamente in gola quando si accorge che lui non ha nemmeno un
graffio. John è a terra, lamentoso, e per un secondo Sherlock
sente la stanza girargli attorno.
- John!
Il dottore mugugna qualcosa, ma il dolore è forte e non riesce a
parlare. Sebastian ride, mentre Sherlock lo libera dalle corde, e lo
volta, con il terrore a colorargli gli occhi azzurri. La ferità
è chirurgica, niente organi interni lesi, la pallottola è
rimbalzata fuori. Non è in pericolo, quanto meno, non ora.
Sherlock tira un sospiro di sollievo così forte che John
ridacchia, allungando una mano verso i suoi zigomi e Sherlock abbandona
il capo sulle sue dita gentili e impacciate. Una carezza leggera, che
non si sono mai permessi di scambiarsi dal ritorno del Detective.
C'è una luce tiepida, oltre la vetrata della stanza, e la paura
di non uscirne illesi ormai presente, come tante altre volte, ma lo
spettro degli errori e dei rimpianti, grava su di loro come se
fossero già morti.
- Hai visto, John? Siamo ancora amici.
La voce di Moran è intrisa di una dolcezza gelida che non gli
appartiene, e un secondo dopo, il colpo di un altro sparo li fa
trasalire entrambi, finché il corpo del loro comune nemico non
cade a terra e l'FBI non sfonda la porta quando ormai è
già tutto finito.
Come previsto da John, la ferita di Mycroft non era grave, e
così nemmeno la sua. Entrambi ricoverati all'ospedale di
Quantico - area riservata -, ci rimangono il tempo di tre o quattro
giorni, Mycroft per riprendersi dall'operazione subita per estrarre il
proiettile e John da... beh, da tutto. I colleghi del BAU sono passati
a salutarli, lasciando fiori e biglietti da visita, se mai dovreste aver bisogno di qualcosa, chiamateci,
ha detto Rossi, nonostante è palese che sarà la prima e
ultima indagine a cui prenderanno parte oltre oceano. John crede di
aver sentito anche Reid parlare delle ferite infette del diciottesimo
secolo dovute a batteri di 'cellosiqualcosa,
ma era troppo intontito dai medicinali per aver capito correttamente.
Quando riapre gli occhi, il bianco e azzurro della stanza lo acceca per
un secondo. Sherlock gli stringe piano la mano, e il suo viso è
la prima cosa che John vede quando riesce a mettere a fuoco
l'ambiente.
- Questa è stata brutta, eh. - Ridacchia piano, John.
- Ce l'eravamo già vista brutta.
- Questa è stata peggio. [1]
Ridono entrambi, un po' più forte. Poi Sherlock tace di nuovo, e
John lo guarda in silenzio. Sa cosa sta pensando, il suo piccolo genio,
ma preferisce che glielo dica lui.
- Ti ho coinvolto in una cosa che comprendeva solo me, John...
- Noi.
Sherlock alza la testa, sorpreso.
- Sto sempre dietro la tua schiena perché voglio proteggerti, Sherlock. [2] Se coinvolge te, coinvolge anche me.
Gli lascia una leggera carezza fra i capelli ricci, e si sforza di
tirarsi su con il busto. Sherlock cerca di fermarlo, ma John lo
sorprende di nuovo, attirandolo più vicino. È un primo
bacio ruvido, e John non aspetta che il suo migliore amico si riprenda
dallo shock prima di infiltrarsi nella sua bocca e sentire il sapore
della sua lingua. Ma sono stati, di nuovo, a tanto così dal
morire. E John non vuole più tirarsi indietro rispetto a
ciò che prova. Sebastian aveva ragione, in un certo senso, e si
sente quasi grato a quell'uomo che per poco non li impallinava tutti e
tre. Sherlock si aggrappa alle braccia di John, cercando di non cadere
dal letto, almeno finché John non si allontana, respirandogli
addosso.
- John...
- Non chiederò scusa, - lo anticipa - sono stanco di far finta
di niente, Sherlock. So che non vuoi parlare di lui, ma Sebastian aveva
ragione... sono innamorato di te. Lo sono da sempre. E non
smetterò, è giusto che tu ne sia consapevole.
Lo dice con un tono di scherno, eppure dentro, John, sta tremando
forte. Il Detective ringhia qualcosa, socchiudendo gli occhi. Non
è né un sì, né un no, ma l'abbraccio che
gli regala dopo, fa ben sperare John per un proseguo. E per adesso, va
bene così ad entrambi.
Click
- La mamma sarà molto felice di vedere queste foto, Sherlock.
- La mamma si ritroverà con un figlio maschio in meno, se non
torni immediatamente a letto e la smetti di spiarmi come un voyeur di
quarta quategoria!
- Sei così suscettibile, Sherly. Sono sicuro che John saprà come farti tacere. Vero, Dottore?
- ... avrei dovuto pregare Moran di prendere una buona mira per tuo fratello, Sherlock.
Ps. I'm a Serial Addicted
[1] Una semi-citazione del film "la mummia 2".
[2] Ed eccoci alla spiegazione del titolo. Direi che la frase di John è piuttosto esplicativa, no?
Ci ho messo una vita, ma l'ho finita. In questo capitolo non ho dato molto spazio agli agenti del BAU, ma oh, a questo punto - dopo tutto questo tempo - sento tutto molto distaccato e non l'ho finita come vorrei (nonostante ovviamente, le piccole comparse di Rossi e Reid). Ci sono ancora molti punti in sospeso, e forse la parte thriller non l'ho sfruttata al meglio, per cui non ne sono molto soddisfatta. Comunque, è assolutamente colpa mia, perché è passato troppo tempo. Vi chiedo scusa, e vi ringrazio come sempre per essermi stati attaccati come manguste, in questa specie di esperimento. Vi amo tutti immensamente!
Jess