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Autore: diciannovegennaio    31/03/2013    4 recensioni
Come il resto delle persone che conoscevano tutto di Emma, si chiedeva il perché: perché sopportava tutto? perché non chiariva niente? perché non reagiva? perché si limitava ad annuire? perché continuava a piangere? perché non si opponeva a quel dolore? perché non imparava ad amare se stessa?
Perché lei amava lui.
L'amava talmente tanto che non aveva tempo per pensare a se.
L'amava talmente tanto che tutto perdeva importanza di fronte e lui.
L'amava talmente tanto che avrebbe continuato ad amarlo rinunciando a tutto, anche se in cambio riceveva niente.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Leggere "Angolo Autrice"(importante)


Capitolo Uno.
 

 







 
24 Novembre
Ore 11:03
 

Si era sempre domandata che ruolo avesse in quell’ammasso di studenti che camminavano senza meta nei corridoi del suo Liceo.
Guardandosi attorno poteva riconoscere il gruppo di primine che se ne stava appollaiato in un angolo del corridoio tenendosi a debita distanza da l’altra ragazza con quell’eccentrica pettinatura per poter sparlare tranquillamente di lei. Le pareva di aver intravisto anche qualche suo compagno di classe e non poteva non aver visto il capitano della squadra di calcio mentre pomiciava in mezzo alla folla con la sua fidanzata, tenuta accuratamente all’oscuro delle numerose scappatelle del suo ragazzo. Non aveva mai capito come, dopo due anni, quella ragazza non si fosse ancora resa conto di nulla: forse, semplicemente, non voleva vedere.
Cosa stupida a parer suo: come potevi amare qualcuno che calpestava i tuoi sentimenti come fossero merda?
Che poi, lei doveva starsene zitta visto che era la prima ad essersi buttata in un amore non corrisposto. A volte le capitava di rendersi conto nella situazione in cui si era andata a mettersi, ma erano altrettante le volte in cui si rendeva conto che non poteva uscirne. Non più almeno, non dopo quasi un anno che quella situazione stava andando avanti. Tutte le sue amiche le avevano detto molteplici volte che si stava comportando da masochista, da stupida, che si stava facendo sfruttare: ma come poteva lei, Emma Santanelli, riuscire a scappare da quello che aveva sempre considerato l’amore della sua vita?
Non poteva semplice. Forse per ripicca, per testardaggine a parere della sue amiche, lei invece, aveva sempre usato la scusa dell’amore. Che poi non era neanche una scusa: lei lo amava davvero.
Non per scusa, non per abitudine, non per convenienza; semplicemente l’amava da quando aveva ricordo, l’aveva sempre amato e non vedeva antidoto a quel veleno
Si, veleno: quell’amore incondizionato la stava demolendo dall’interno e non riusciva a impedire che quel martello pneumatico attutisse il rumore delle macerie che, dentro di lei, non accennavano a smettere.
Vedeva cadere tutto intorno a sé, dalle banalità alle cose che per lei contavano davvero. Ogni azione, anche la più trascurabile, stavano diventando una palla al piede che non riusciva a non portarsi dietro.
Più volte – molte volte, moltissime – si era data della stupida, ma erano altrettante le volte che quel pensiero veniva messo da parte per lui.
Lui che per anni si era sempre comportato da amico, era diventato la sua causa innegabile di dolore. Dolore che adesso non sopportava più ma del quale non riusciva, in qualche modo, a farne a meno.
Incosciente, stupida, masochista, priva di rispetto per se stessa. Ecco cos’era diventata, ecco cosa nascondeva quella sua maschera di felicità alla quale ormai credevano tutti. Sempre solare, sempre attiva, sempre disponibile con tutti, sempre disposta a mettersi da parte per far star bene gli altri.
E allo stesso tempo sempre malinconica, sempre triste, sempre in lacrime, sempre sofferente, sempre con un grosso male allo stomaco che a volte le faceva mancare il fiato.
Aveva quella strana abitudine di tenersi tutto dentro, di apparire sempre come gli altri si aspettavo, di non raccontare niente  a nessuno, di piangere da sola, di non mostrarsi debole, mai.
E nessuno lo notava.
Per questo motivo, mentre osservava distrattamente il flusso di adolescenti spostarsi da un punto ad un altro della scuola, si chiedeva se davvero era così brava a mentire. Si provò ad immedesimare nell’ottica dei suoi coetanei: se qualcuno l’avrebbe guardata in quel momento, probabilmente avrebbe visto solo una sedicenne con dei lunghi capelli scuri che si guardava intorno con uno sguardo impenetrabile ma allo stesso tempo espansivo e pieno di luce. Luce che in realtà lei non si sentiva sua.
Probabilmente qualcuno avrebbe sorriso, contagiato da quella voglia di vivere che emanava, oppure c’era chi la giudicava strana o infantile solo perché sfruttava ogni occasione per ridere e non pensare a quelle sue ferite che lei si preoccupava sempre di curare ma che poi finivano con il sanguinare lo stesso.
Sospirò, scoraggiata al massimo per quella situazione dalla quale non poteva – e non voleva – uscirne. La cosa strana, poi, era che l’unica cosa che le veniva in mente per stare meglio era proprio la causa del suo dolore: e quella causa – comunemente chiamato Marco Corsi - stava tranquillamente sorridendo alla sua ragazza senza neanche preoccuparsi di nascondersi alla vista di Emma che in quel momento, avrebbe voluto tanto vomitare tutte le lacrime che, lo sentiva, la stavano affogando.
     < Non puoi andare avanti così. >
A distoglierla dai suoi pensieri era stata la voce della sua amica Marika, con la quale aveva passato la maggior parte della sua vita e la stessa alla quale raccontava ogni cosa senza – come sempre – far trasparire la sua sofferenza.
     < Non so di cosa stai parlando. > rispose distogliendo lo sguardo da quel quadretto odioso. Marika, dal canto suo, la guardò dritta negli occhi trasmettendole tutta la sua perplessità.
Lei, come il resto delle persone che conoscevano tutto di Emma, si chiedeva il perché: perché sopportava tutto? perché non chiariva niente? perché non reagiva? perché si limitava ad annuire? perché continuava a piangere? perché non si opponeva a quel dolore? perché non imparava ad amare se stessa?
Perché lei amava lui.
L'amava talmente tanto che non aveva tempo per pensare a se.
L'amava talmente tanto che tutto perdeva importanza di fronte e lui. 
L'amava talmente tanto che avrebbe continuato ad amarlo rinunciando a tutto, anche se in cambio riceveva niente.





 

***

 




24 Novembre
ore 17:17
 

Guardò l’orologio con attenzione, ricordandosi del detto che diceva che se ti facevi scrociare le dita il tuo desiderio si avverava.  Non aveva mai creduto a cavolate del genere; per lei non c’era nessun Dio, non c’era nessuna superstizione alla quale credeva e che evitava.
Per lei le cose accadevano perché era così e basta ma adesso tutto stava prendendo un’altra sfumatura, un altro senso.
Se l’anno scorso avrebbe visto un orario del genere oppure una striscia di fumo di un aereo nel cielo, non ci avrebbe fatto molto caso. Eppure le cose cambiano, le persone cambiano ed Emma si era ritrovata a incrociare le dita ogni volta che trovava l’ora uguale, fumava per ultima una sigaretta ricevuta e si accostava se un gattino era stato più veloce di lei. Non basava la sua vita su questo, certo che no, però aveva incominciato a credere che tutto quello che le stava capitando, forse era la sua punizione per aver preso sottogamba certi giochetti. Per questo si era messa di impegno per crederci davvero ogni volta che doveva esprimere un desiderio.
Le era riuscito da subito facile suonare convinta, nella sua testa. Questo perché lo desiderava talmente tanto silenziosamente che ammetterlo a se stessa non l’aveva sorpresa. Tutto quello che voleva se lo ripeteva nella mente ogni volta, anche quando non c’erano strisce di fumo.
Lo voleva, lo voleva così spudoratamente che non ce la faceva a non desiderarlo ogni sera prima di andare a dormire, o ogni mattina prima di affrontare un’altra giornata. Non poteva che ascoltare il suo cuore ogni volta che il volto di lui le appariva nitido e incredibilmente bello.
C’era qualcosa di sbagliato nel voler essere amata dalla persona che più si ama al mondo? Evidentemente si.
Presa dallo sconforto, continuò a guardare silenziosamente e intensamente quelle due cifre. Sentiva nelle orecchie il suono dei secondi passare  e subito le calò addosso un senso di oppressione che le tappò le orecchie.
Ancora una volta si piegò alla disperazione e chiudendo gli occhi desiderò l’unica cosa che le veniva in mente.
Lui.
     < Ehi bellezza, sei con noi? >
Prima di rispondere a quella domanda, Emma aprì gli occhi.
1... 2… 3…
I numeri sul display della sveglia cambiarono: 17:18. Appena in tempo.
Sospirando si voltò con un sorriso verso Marika che la guardava confusa e Linda, l’altra sua migliore amica, che ridacchiava sapendo già cosa frullava nella testa della mora.
     < Ovvio. > disse mettendosi seduta sul materasso morbido di Marika. La ragazza si stava mettendo uno smalto rosa evidenziatore sulle dita dei piedi. Un colore troppo eccentrico per Emma che la guardava silenziosamente, sperando che quelle fottutissime due cifre le mandassero almeno una cosa buona.
Marika Bellocci era sempre stata una bambina molto appariscente. Non voleva attirare le attenzioni delle persone ma ci riusciva sempre. Era il suo modo di essere, di apparire e chissà come intimoriva tutti con la sua aria da dura che però nascondeva un animo docile e da bambina. Il suo aspetto rispecchiava alla perfezione la sua personalità: fitti boccoli rossi e occhi verdi come smeraldi a contrasto con la pelle pallida.
Linda Grassi invece non nascondeva niente: nei suoi occhi azzurri era evidente l’animo innocente di una sedicenne innocua e timida. Il rossore che appariva sulle sue guance faceva impazzire coloro che venivano attirati dalla sua chioma bionda. Al contrario di Marika che cercava le avventure e scappava dalle storie serie, Linda Grassi era alla disperata ricerca del principe azzurro.
Emma avrebbe voluto dirle che non l’avrebbe trovato, che si sarebbe dovuta accontentare. Ma adorava i suoi occhi quando si illuminavano al pensiero di una vita da fiaba. Non aveva il coraggio di ferirla.
Lei si stava accontentando. Ma anche perché non provava neanche a cercare di meglio.
    < Lo vuoi? > domandò Marika, porgendole lo smalto.
    < No grazie. Quel colore mi fa schifo. > scherzò  Emma, ridacchiando.
Le sue amiche risero e lei beccò un cuscino da parte della rossa.
    < Allora, che facciamo? Usciamo? > domandò poi, sventolandosi una mano sui piedi.
    < Non piove neanche. > intervenne Linda guardando fuori di finestra.
Fece per proporre di andare al corso ma le arrivò un messaggio.
    < Chi è? > domandò Marika.
    < Dammi tempo. > rispose ridacchiando.
Si sfilò il telefono dalla tasca mentre le altre due ragazze riprendevano a parlare di cose futili. Guardò il display e quasi l’apparecchio non le sfuggi di mano.
Con cinque minuti di ritardo ma il destino era arrivato a bussarle alla porta.
Due giorni durante i quali non si era fatto sentire perché troppo impegnato con l’altra, ma in quel momento sullo schermo c’era scritto il suo nome. Un messaggio.
Lo aprì e lesse mentre le mani tremavano.
Dove sei?– chiedeva.
Con le bimbe.– rispose subito.
Forse avrebbe dovuto farsi desiderare almeno un po’, tanto per vedere cosa sarebbe disposto a fare pur di stare con lei. Ma quei due giorni erano stati i più lunghi della sua vita, aspettando una chiamata, un messaggio solo per vedere che lui non si era scordato di lei. E in quel momento era troppo felice per tirarsela. Voleva vederlo, doveva vederlo, altrimenti sarebbe impazzita.
Vieni?– nuovo messaggio.
Farsi desiderare? Fargli notare che non sempre ci sarebbe stata?
Arrivo.
Lei ci sarebbe stata sempre.
    < E’ lui? > domandò Linda, guardandola con un sorriso dolce.
    < No. > seppe di essersi fregata da sola quando il sorriso della bionda si allargò accompagnato da un risatina. < Si è lui. > borbottò alzando gli occhi al cielo.
    < Ci hai parlato? > domandò Marika mentre osservava l’amica raccogliere tutta la sua roba.
    < Di cosa? > chiese mentre si infilava il giacchetto.
    < Come di cosa? Di questa situazione: di lui, di te, dei tuoi sentimenti, della sua stupidità a livelli cosmici e di quello che passi continuamente mentre aspetti un suo fottuto messaggio! >
Marika si innervosiva sempre quando parlavano di Marco ed Emma. Odiava vedere la sua amica piangere – anche se era capitato rare volte –, odiava restare ferma a guardarla mentre si faceva sfruttare da uno che non la meritava.
    < Non c’è niente di cui parlare, Marika. >
Odiava anche il fatto che nonostante tutto quello che le faceva passare lei continuava a difenderlo. Ogni volta che Marika esponeva la sua opinione – che alla fine era sempre la stessa – Emma si irrigidiva e rispondeva con quel tono freddo che non aveva mai usato con loro. Ma questo prima che Marco entrasse in quel modo nella sua vita.
     < Me ne vado. > disse prendendo la sua borsa.
     < Non esci con noi? > chiese Linda.
     < No, vado da Marco. >
     < Ecco vai da lui, fatti prendere ancora per il culo. > sibilò Marika guardandola con rabbia.
Emma si bloccò con la mano sulla porta per poi voltarsi lentamente incrociando lo sguardo della sua amica. Linda se ne stava immobile, seria in viso senza intervenire ne cercare di calmare le acque. Assisteva a queste scenate troppo spesso, ultimamente e anche quella volta si sentì completamente inutile guardando lo sguardo di Emma: i suoi occhi riuscivano sempre ad essere così luminosi, così caldi, così intensi e amichevoli, ma adesso era davanti ad una Emma arrabbiata, ferita, stanca, illusa che non accettava la verità che le stava davanti gli occhi, quegli occhi che bruciavano di un sentimento represso da tempo, che esprimevano tutto quando ma con contegno, diventando freddi e impenetrabili, taglienti come lame. Uno sguardo di chi non ce la fa più ma che continua a farsi male.
     < Stanne fuori. > e bastarono quelle due parole sussurrate con odio che Marika, per l’ennesima volta, ebbe la conferma che non avrebbe mai accettato la verità.
Emma si voltò di nuovo, aprì la porta e uscì sbattendosela alle spalle talmente forte da far tremare le pareti.
Scappò da quelle parole che voleva evitare, che non voleva ascoltare. Fuggi dalle uniche persone che cercavano di farla ragionare. Ci avrebbero riso su se Emma non ci soffrisse così tanto; ci avrebbero scherzato se Emma non avesse pianto così tanto. Ma lei stava male, male dentro, tanto male da farsi mancare il fiato. Lei ci sperava che per lui fosse più di quello che le loro amiche dicevano, e si aggrappava a quella speranza con le unghie, all’illusione di contare molto più di una semplice scopata occasionale come diceva Marika.
Lei era molto più. Era molto più di questo.



 

 

***



 

 
Camminava a passo svelto verso quella casa che conosceva meglio della sua. Camminava lasciandosi dietro quel battibecco con Marika alle spalle, verso colui che non vedeva da due giorni. Camminava con il riflesso di un sorriso sul volto, vedendosi già tra le sue braccia.
Arrivò davanti alla porta di legno e senza indugi suonò al campanello sentendo le gambe tremare di impazienza e il cuore battere forte. Fino a che quella stessa porta non si aprì mostrando la persona più bella che esistesse al mondo. La guardava sorridente con addosso solo un paio di pantaloni di una tuta, i capelli biondi scompigliati li ricadevano sugli occhi color oceano. A curva del suo sorriso che scopriva quei denti scintillanti.
    < Sei arrivata. > disse allungando una mano verso di lei che subito si sentì incapace di fare qualcosa di diverso da amarlo sempre di più.
La sua mano sfiorò quella di Emma, intrecciandosi in una morsa forte ma dolce allo stesso tempo. Si fece trascinare dentro e quando la porta alle sue spalle si chiuse, il silenzio che li circondava era rotto solo dal suono del suo cuore che le rimbombava nel petto. Lui continuò a tenerla per mano mentre la portava nella sua stanza e quando alla fine arrivarono non fece in tempo a battere le ciglia che subito Marco le si parò di fronte.
I loro respiri si mescolarono subito, fronte contro fronte fino a che Emma si mosse fino a baciarlo. Una scossa forte percorse il suo corpo quando le loro labbra si toccarono. Per due giorni quelle labbra le erano apparse in sogno mille volte, il pensiero di toccarle ancora una volta le faceva vibrare l’anima, come in quel momento.
Un bacio dolce che si plasmò in passione pura, desiderio ardente fino a che le loro lingue non si sfiorarono, finché i loro denti non morsero quelle forme.
Portò le sue mani sul suo petto, sentendo la pelle calda e pallida a contatto con le sue dite gelide. Percorse con i polpastrelli tutto il suo corpo fino a stringere fra le mani i suoi capelli morbidi. Tremò quando le possenti mani di lui si attaccarono al suo corpo in una morsa forte e intensa, mentre anche le sue mani incominciarono a sfiorare ogni lembo di pelle sotto la sua maglietta fino a che entrambi avvertirono il bisogno di scoprirsi.
I vestiti caddero a terra come se fossero stati strappati, i loro corpi caddero su quel materasso accogliente mentre si riscaldavano.
Avrebbe voluto acontinuare ad accarezzare quella pelle fino a consumarsi le dita delle mani, avrebbe voluto marchiarla perché quella pelle era solo sua. Avrebbe voluto mordere, baciare, leccare quelle labbra e quella lingua fino a sentire il sangue nella sua bocca. Avrebbe voluto continuare a fissare quegli occhi che li erano sempre sembrati infiniti, quasi come un buco nero solo pieno di luce e di merdaviglie inesplorate. Avrebbe voluto passare le mani tra quei capelli morbidi e lucenti che cambiavano colore al sole. Avrebbe voluto poter dire che lui era solo suo. Solo suo. Sempre.
Illimitato avrebbe voluto che fosse il tempo: infinito come la voglia di tenerselo stretto mentre per l’ennesima volta lui la faceva sua. Sussurrava il suo nome mentre l’amore esplodeva come una bomba infuocando tutto quello che trovava attorno. Era in quei momenti con lui, dove i loro corpi si fondevano diventando uno solo, che sentiva il peso di quelle lacrime scivolargli addosso perdendo di importanza. Avrebbe sofferto altre mille volte se poi veniva ricompensata in quel modo perché non c’era cosa più bella che sentirsi sua anche se per lo spazio di un minuto. Non c’era cosa più bella che sentir sussurrare il suo nome nelle orecchie mentre in entrambi tutto trema. Non c’era cosa più bella di sgraffiare quella pelle, di morderla e di amarla.
Avrebbe patito tutte le sofferenze ma mai avrebbe scambiato quelle emozioni, neanche per tutta la felicità del mondo. Perché lui era esattamente quello che voleva, esattamente con chi voleva essere.
Amore, solo amore sentiva dentro di se mentre lui la stringeva forte prima di fermarsi a riprendere fiato.
Solo infinita gioia mentre con le dita lo accarezzava come se fosse la cosa più bella del mondo: e lo era, lo era davvero.
     Minuti, ore. Quanto tempo fosse passato non lo sapeva, ma per lei era stato troppo poco, passato troppo poco lentamente.
Uno di fianco a l’altra riprendevano fiato mentre lei di fiato già non ne aveva più. Zitti e immobili, spalla contro spalla, chiusi in un silenzio che gridava. O almeno per lei era così. Perché se prima la tristezza veniva annientata dai suoi baci, in quel momento aveva voglia di morire perché sapeva che non ci sarebbe stata nessuna carezza dopo, nessun bacio dopo, nessuna parola dolce. Perché loro non stavano insieme, lui non era suo, per lui era solo sesso anche se per Emma era l’amore più puro che potesse esistere.
     < Fra un ora Virginia sarà qui. >
Era un chiaro invito a togliersi di mezzo e anche se il suo corpo divenne pesate Emma si tirò su a sedere, senza vergognarsi di esser nuda davanti a lui. Nascose il suo volto tra o capelli mentre raccattava la sua biancheria intima e se la infilava. Sentì i movimenti di Marco imitarla: rimettendosi le mutande e i pantaloni per poi preoccuparsi di rifare il letto e eliminare ogni traccia della presenza di Emma in quella stanza.
Il dolore atroce che provava in quel momento lo riconobbe come la canzone del suo MP3 che ascoltava sempre. La sapeva a memoria, sapeva ogni nota, ogni punto, ogni virgola e così valeva lo stesso per quel dolore.
Sapeva il punto in cui avrebbe colpito, l’intensità con cui l’avrebbe fatto, il modo e persino la cura. La cura che era anche la causa.
Sentì Marco uscire dalla stanza e scendere la scale, lasciandola sola. Aveva bisogno di piangere, di gridare ma questo poteva farlo solo da sola. Non in quella casa, non quando lui avrebbe potuto capire quello che le stava succedendo. Al contrario di quello che le consigliava Marika, lei non si azzardava nemmeno a confessare i suoi sentimenti a Marco: la paura di perdere anche quel poco che aveva la uccideva.
Si vestì più in fretta possibile perché ogni volta accedeva che si sentiva mancare l’aria e per questo aveva bisogno di andarsene.
Anche se poi tornava sempre.
Si sistemò il trucco e i capelli per poi afferrare la sua borsa e voltarsi. Guardò il letto perfettamente fatto, con i cuscini sistemati alla perfezione e nemmeno una grinza su quel lenzuolo che li aveva avvolti poco prima. Virginia non avrebbe mai pensato che in quel letto lei ci passasse i momenti migliori della sua vita.
I flash di quello che era successo poco fa le riaffiorarono alla mente e i brividi presero a scuoterla fino a che il riflesso dell’ultimo sorriso di Marco la colpì come un pugno nello stomaco: il sorriso che le diceva ‘abbiamo finito’.
Ancora una volta il suo copro e la sua mente la implorava di uscire da quella stanza mentre il suo cuore le gridava di rimanere per sempre.
Dovette cedere e con un groppo alla gola uscì dalla stanza per poi raggiungere Marco al piano di sotto. Lo trovò intendo a preparare due creps e questo non fece altro che aumentare il peso allo stomaco. Una non era destinata a lei e vedere la dolcezza del suo sorriso mentre cucinava le faceva venire voglia di vomitare.
    < Io vado. > annunciò attirando la sua attenzione.
Marco alzò lo sguardo e le sorrise. < Ci vediamo domani a scuola? >
    < Ovvio. > rispose sorridendo. < A domani. >
Si avviò verso la porta sentendo la sua maschera scivolarle di dosso.
     < Emma! > la richiamò. Si voltò che aveva la mano sulla maniglia, lo guardo passarsi una mano fra i capelli e sorriderle dolce.
Dillo. Dillo che per te non è stato solo sesso, dillo che anche il tuo cuore esplodeva insieme a tutto il resto, dillo che mentre mi toccavi anche tu ti sentivi in pace con l’intero universo, dillo che non ti basta più, dillo che mi vuoi in tutti sensi anche i più banali. Dimmi che mi ami. – pensò.
      < Grazie. > disse. E c’era sincerità nei suoi occhi, la stava ringraziando per davvero, come una puttana.
Non rispose, sorrise e basta per poi uscire e camminare con finta calma verso le uniche persone che l’avrebbero stretta senza dire niente. Appena superata qualche abitazione corse con tutta l’energia che aveva finché non arrivò dove voleva arrivare. Bussò alla porta con furia quasi violenta, la sua faccia era una maschera di rabbia paurosa e quando l’innocente Linda aprì la porta non poté che sobbalzare.
In silenzio la fece entrare mentre chiamava a gran voce Marika. La rossa fece appena in tempo a scendere l’ultimo scalino che Emma scivolò lungo la parete fino a terra e piangere mentre le mani le coprivano il viso.
Le  braccia delle sue due migliori amiche l’avvolsero come si fa con un cucciolo abbandonato mentre i singhiozzi le uscivano dalla gola come lame, mentre le lacrime le bruciavano sul viso, mentre tutto intorno a se crollava come la speranza di valere qualcosa. Qualcosa di più. Qualcosa che si avvicinava anche di poco a quello che valeva lui per lei.











 

Angolo Autrice.
Ecco a voi il primo capitolo.
Le vostre recensioni decreteranno il continuo. 
Se questo capitolo non riceverà determinate recensioni,
sarò costretta a eliminare la storia.
A voi c:

Elena xx

   
 
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