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Autore: MissNothing    01/04/2013    3 recensioni
«..Ti salvo io.» Esordì timidamente il più piccolo, e se non fosse più o meno sicuro di non averlo mai granché fatto in vita sua, avrebbe potuto giurare di essere arrossito. Era difficile fare considerazioni quando Gerard era così, perché le situazioni di sbocco erano tre: o finivi per sentirti un completo idiota, o finivi per sentirti un completo genio, o, come era accaduto poco prima in via straordinaria, finivi a letto con lui. Frank sperava in un misto fra le ultime due, ma d'altronde non c'era da biasimarlo. «Quanto potrà mai essere difficile?» Domandò, chiedendo mentalmente a sé stesso se mai la sua voce fosse suonata così stridula in vita sua, se mai le sue gambe fossero state così intorpidite, se mai si fosse sentito così lontano dalla realtà e dalla concretezza che lo circondavano.
[Dall'inizio, una storia il più realistica possibile.]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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15. You're down for selling me in while I play dumb and it's cool cause I let you



 

Il drink si chiamava Artemisia Bohemian e Gerard non aveva idea di quanti ne avesse bevuti a quel punto, ma era quasi sicuro che non fosse altro che Assenzio.Per prepararlo si dovevano versare 25 millilitri della bevanda in un bicchiere di forma conica, porre sopra di esso un cucchiaio e lasciarlo in bilico sui bordi con sopra una zolletta di zucchero imbevuta di Assenzio. Poi la si doveva lasciar sciogliere un po' con una fiamma ossidrica, e in seguito spegnere il fuoco prima che lo zucchero si caramellasse, colmando il bicchiere con dell'acqua calda così da far sciogliere definitivamente la zolletta. Ma d'altronde a Gerard non importava di tutte quelle stronzate: sapeva solo che era alcolico da morire, e gli andava bene così.
La testa gli girava da morire mentre barcollava per il locale: sbandava avanti e indietro, a destra e a sinistra tra la folla, e, fra un conato e un capogiro, cominciava persino ad avere freddo. Aveva freddo mentre tutte le persone intorno a lui sudavano e ballavano con dei sorrisi così enormi ma al contempo così finti che sembravano quasi tirati da due mollette invisibili, e l'unica spiegazione possibile era che forse stava davvero male. Il posto, poi, faceva completamente schifo: un angusto buco sotterraneo la cui acustica faceva sì che la musica di qualsiasi gruppo stesse suonando rimbombasse il doppio nelle sue orecchie. Bastava amplificare tutto più o meno altre dieci volte per colpa dell'effetto dell'alcool e fare il conto per ottenere un numero che non si avvicinava nemmeno lontanamente a quello delle testate che Gerard avrebbe voluto dare contro il muro.


Cercò infondo a sé stesso tutta la motivazione e la forza che gli sarebbero servite per arrivare di nuovo fino al bar dopo almeno venti minuti in mezzo al pogo; venti minuti durante i quali aveva semplicemente sperato che, con lo stesso metodo con cui era riuscito a farsi trascinare fino in prima fila, potesse riuscire ad arrivare anche al bancone.

Purtroppo il piano non funzionò granché: nonostante tutte le preghiere Gerard era ancora contro la barricata, appoggiato ad essa quasi nel terrore che se l'avesse lasciata sarebbe svenuto, mentre continuava ad essere spinto in avanti da chissà quanti altri corpi e la cassa sua cassa toracica veniva ripetutamente pressata contro il ferro dai loro movimenti. Gli sembrava quasi che, ad ogni cambio di canzone o assolo di chitarra con conseguente delirio del pubblico, i suoi organi si stessero pian piano compattando l'uno con l'altro. Che i riflettori non gli avessero mai fatto bruciare tanto gli occhi e che non si fosse mai trovato così a disagio in una stanza piena di gente, così disorientato e senza la minima idea di ciò che stava accadendo intorno a lui.

Era lì, almeno fisicamente, ma era sicuro che sarebbe potuto non esserci e sarebbe stata la stessa identica cosa. Certe volte si pentiva di quella sua scelta di essere completamente passivo di fronte al mondo intorno a lui e nient'altro che un nulla per chiunque sprecasse il tempo standogli vicino, ma alte volte, invece, non credeva ci fosse altro modo per tirare avanti; un po' come quelle volte in cui vedeva la gente intorno a lui sorridere e divertirsi davvero e si chiedeva se mai avesse provato le stesse cose, se mai qualcuno lo avesse osservato da lontano e avesse pensato esattamente ciò che in quel momento pensava lui mentre, con la testa piena di un qualcosa che riconosceva lontanamente come “gelosia”, immaginava di essere parte di qualcosa.

Fu solo quando riconobbe finalmente le prime note di una qualche cover (o almeno Gerard pensava fosse una cover, perché nonostante non riuscisse a ricordare il titolo della canzone originale, era troppo famosa per essere stata scritta dai ragazzini appena-appena maggiorenni che aveva sotto gli occhi) che si rese conto che forse non era ancora parte di qualcosa, non proprio, ma sicuramente per un po' si sarebbe sentito come se lo fosse stato. Improvvisamente non gli importava di non appartenere a quel posto o di non avere nulla a che fare con la gente intorno a lui, perché conosceva tutte le parole a memoria riusciva ancora a ricordarle e ripeterle sotto voce, come una preghiera. Come se quelle parole fossero, in qualche modo, anche un po' sue.

Jesus Christ, that's a pretty face
The kind you'd find on someone I could save
If they don't put me away
Well, it'll be a miracle

Gerard le recitò come se non fossero passati anni dall'ultima volta che le aveva sentite, attento a non emettere nemmeno il più flebile dei suoni perché quello era un momento che apparteneva solo a lui; quella canzone era esattamente quel tipo di canzone che conosci a memoria, ma che per qualche motivo non hai mai avuto sul tuo mp3. Né ne hai mai conosciuto il titolo, né sai chi è stato a scriverla e comporla, ma non ti importa perché in qualche modo è semplicemente giusto che sia così. Quella canzone era quel tipo di canzone che non è giusto ti appartenga finché non hai un pretesto per renderla tua, un particolare momento a cui collegarla. Un po' un momento come quello.

Do you believe you're missin' out
That everything good is happening somewhere else?
But with nobody in your bed
The night's hard to get through

Quel tipo di canzone che semplicemente non puoi apprezzare davvero finché, anni dopo dalla prima volta che l'hai ascoltata, non comincia a descrivere tutto ciò che sei. Allora all'inizio la apprezzi perché chissà, magari ti fa sentire in un determinato modo o è orecchiabile, chi può dirlo, ma è quando cominci a scrivere i suoi versi ovunque -è in quel momento- che la apprezzi ad un livello totalmente nuovo, la apprezzi da un altro punto di vista e da mille diverse prospettive. Ed era così che Gerard la stava apprezzando in quel momento: sentiva che sarebbe stato capace di tatuarsi quelle parole sulla pelle, se non fosse stato un completo cagasotto.

Se c'era qualcos'altro che sentiva, però, era che doveva sedersi. E in fretta.

Attese giusto fino alla fine di quel pezzo per farsi finalmente strada a gomitate fra tutti i volti sconosciuti intorno a lui e grazie a Dio trovò un posto libero al bar per sedersi. Con un colpo improvviso di fortuna riuscì a sedersi sullo sgabello senza farlo cadere all'indietro e rimase in silenzio e a testa bassa almeno per i dieci minuti successivi, un po' imbarazzato per via dello sguardo impietosito del barista che riusciva praticamente a sentirsi addosso (era la sesta volta che si recava lì in tre ore, non poteva biasimarlo) mentre tracciava contorni immaginari sulla superficie di metallo laccato del bancone. Era gelido, e Gerard ebbe appena il tempo di ricordarsi del freddo che sentiva prima di buttarsi nella mischia, che subito sentì una voce familiare che ordinava due Adminal. D'altra parte voci come quella non le avrebbe semplicemente dimenticate con uno schiocco di dita, né erano così comuni che le sentiva tutti i giorni, ma sicuramente ad un certo punto aveva imparato a distrarsi da esse, per esempio concentrandosi sui dettagli più stupidi della frase ed ignorando completamente il resto. “Adminal” poteva fare al caso suo, in quel momento, perché almeno a primo impatto non faceva accendere nessun allarme: per prepararli si doveva versare del liquore Cherry, del Gin e il succo di mezzo limone in uno shaker. Si doveva aggiungere del ghiaccio e agitare bene, per poi filtrare tutto in due coppe da cocktail. E immediatamente Gerard si sentì la gola asciutta, quasi tentato di parlare e ordinarne uno anche per lui, perché anche se non si poteva dire che stesse proprio bene, se era ancora capace di riconoscere la voce di Frank, allora non stava male abbastanza. Non male quanto voleva. E se riusciva ancora a concentrarsi su quei dettagli che prima era riuscito a lasciar perdere e ricordarsi che il motivo per cui aveva ordinato due drink se al bar c'era solo lui era perché quella sera aveva un appuntamento con chiunque-fosse-quella-tipa, bhè, allora doveva stare proprio una meraviglia. Una favola.

«Ciao.» Gli disse il più piccolo con un'espressione che non celava nemmeno un minimo di tutto il suo evidente imbarazzo, e Gerard per poco non gli rise in faccia. Non quel tipo di risata cattiva, né una vera e propria risata- più quel tipo di risata sconsolata, quel tipo di risata che sta quasi a dire “che cazzo fai”. Era ridicolo. Era ridicolo che gli dicesse “ciao”. Due come loro non si dicevano “ciao”. Due come loro era già abbastanza strano che si fossero trovati, che qualche stupido scherzo del destino li avesse accoppiati e praticamente ammanettati insieme, figuriamoci poi quanto potesse essere giusto il loro ostinarsi a parlare e quel loro scambio di saluti di circostanza.

Lo fissò dal suo sgabello mentre, senza aver nemmeno ricevuto una risposta, Frank era ancora bloccato in una fila così lunga che era quasi ridicolo che la gente continuasse ad aggiungercisi. Lo fissò e si rese conto per la prima volta che forse nemmeno lui avrebbe voluto salutarlo. Si rese conto di quanto fosse brutto riuscirgli a leggere in volto che non aveva mai desiderato qualcosa tanto quanto non desiderasse allontanarsi da lui in quel preciso momento e per più tempo possibile, e sapere che era esattamente quello che aveva voluto, -nient'altro che frutto di quel piano che aveva maniacalmente organizzato e portato a termine con sfrenata dedizione- poi, era ancora peggio. Gerard si portò una mano alla bocca per tapparsela prima di cominciare ad urlare, mordendosi le unghie e strappando pellicine senza nemmeno curarsi del fatto che probabilmente gli avrebbero cominciato a sanguinare le dita. Riusciva a capire perfettamente il motivo per cui quella sera Frank era lì con quella tipa, qualunque fosse il suo nome: non ci voleva molto a capire che stava ricominciando da zero, che stava tappando la sua solitudine. Non ci voleva molto nemmeno a rendersi conto che era la cosa giusta, quel suo rimettersi in gioco, che quello era semplicemente il naturale scorrere dei fatti e che non poteva chiedere che Frank gli rimanesse accanto per sempre, che Gerard aveva miseramente fallito nel tentativo di farlo sentire amato o almeno un po' felice anche quando ancora si sforzava a provarci e che ancora una volta era tutta colpa sua se adesso era lì a guardare lui, poi a guardare lei, poi di nuovo lui senza riuscire nemmeno a rendersi conto di come due persone così fossero finite insieme. Se c'erano due persone più sbagliate di lui e Frank, forse erano proprio Frank e quella tipa. E non per gelosia, eh. Figuriamoci.

Gerard ammetteva di passare la maggior parte del suo tempo immerso fino al collo in quel sentimento, e proprio per questo poteva dire di conoscerlo bene: poteva dire di saper riconoscere almeno il perché della sua gelosia, e poteva dire di essere sicuro che il motivo di essa non era assolutamente il loro stare insieme.

Sapeva di non essere geloso di Frank solo perché adesso poteva contare su di lei, né perché per qualche stupido motivo le persone innamorate come lui non riuscivano proprio a dimenticare continuavano a covare uno strano senso di possessività nei confronti della persona amata e bla, bla, bla. Se c'era qualcosa per cui era geloso di Frank non era il fatto che fosse andato avanti: era la sua capacità di innamorarsi così facilmente di ogni cosa. Della prima tazza di caffè della giornata, della pasta al dente, degli antidolorifici che funzionavano in fretta e certe volte anche delle persone. Dei loro vuoti, delle loro debolezze. Era geloso di Frank perché, al contrario, lui aveva sempre avuto paura di qualsiasi cosa riguardasse anche solo lontanamente la parola con la “a”.

Riguardo Frank e quella ragazza non era geloso, no: era solo scoraggiato. L'unica cosa che sentiva riguardo quella loro situazione era un semplice sentimento di impotenza e, ancor più specificamente, di tristezza. Una tristezza che non riusciva ad allontanare ogni volta che pensava che a Frank non interessava altro che avere qualcuno, non lei, mentre invece a lei non interessava nessun altro se non Frank stesso, che invece con lei cercava semplicemente di sentirsi un po' meno sperduto nel mondo. Tristezza dovuta al fatto che non avrebbero mai potuto darsi tutto quello che meritavano, al fatto che non avrebbero mai saputo come cedersi totalmente ciò che erano.

Dovuta al fatto che quell'intera situazione era colpa sua.

Perché adesso ci sarebbe potuta essere una ragazza felice in più, un ragazzo afflitto in meno, e, in secondo piano, magari anche lui sarebbe stato felice. Sinceramente, in quel momento non importava: la sua felicità, dopo quello che aveva fatto, poteva anche rimanere in secondo piano. E doveva rimanerci, almeno finché non fosse uscito dal labirinto in cui lui stesso si era murato vivo: aveva rovinato con le sue stesse mani ciò che aveva disperatamente cercato di proteggere, e solo in quel momento lo aveva capito. E, oltre a rovinare sé stesso -che infondo ne aveva tutto il diritto-, stava rovinando probabilmente tante altre persone. Stava facendo preoccupare gli unici che gli erano rimasti intorno e stava facendo illudere chi provava ad avvicinarglisi. Non c'era niente di bello in tutto quello. Niente di giusto in quella situazione. Niente che si fosse salvato come aveva promesso a sé stesso. Si era fatto autogol, per così dire. Si era sbarrato il percorso da solo.

Però c'era sempre un modo per rimediare.

Poteva impegnarsi per mandare di nuovo la palla in porta e, se non vincere, almeno pareggiare.

Poteva scavalcare tutti i muri che lui stesso aveva costruito, ma ovviamente doveva cominciare dai piccoli gesti. I più subdoli.

E già rassegnato a tutto il male che avrebbe dovuto compiere, lo capì: Gerard faceva parte di qualcosa, se non del mondo che aveva intorno, almeno del suo.

Si alzò con il cuore che gli martellava il petto e la testa che improvvisamente pesava svariati chili più del solito, e cominciò a vivere dopo un bel po' di tempo.

Aveva tutte le intenzioni di impegnarsi come non aveva mai fatto.

 

**

 

Frank non sapeva esattamente cosa fosse successo.

Sapeva solo che un secondo prima stava ordinando da bere per lui e Jamia e che un secondo dopo quest'ultima era passata da occhi “a cuoricino” ad occhi da “ti spezzo le gambe”, tutto nel giro di massimo dieci minuti in cui il ragazzo era sicuro di non aver fatto niente di male.. a meno che respirare e camminare non fossero diventate due cose che davano particolarmente fastidio alle ragazze, che cazzo ne sapeva lui, mica ne aveva mai capito nulla della mente femminile.

Allora si era trovato da solo in uno degli angoli un po' più tranquilli del locale, fra le mani quei due drinks che aveva pagato anche un po' troppo e nella testa tutta quella confusione che non riusciva a gestire. E siccome si sentiva particolarmente in vena di non sprecare, quella sera, decise di berli entrambi. E fu un po' in quel momento che tutto fece click, che i tasselli tornarono a posto.

Ricordava di aver visto Gerard al bar. Un secondo prima gli aveva detto “ciao” e un secondo dopo era andato via senza nemmeno salutare. Magari non erano le persone a sparire o cambiare idea troppo in fretta ma era solo lui ad essere lento, però, ora che ci pensava, poco prima di tornare da Jamia aveva visto il più grande praticamente scappare via. Quindi le cose erano due: o stava correndo fuori a vomitare -cosa che ormai era all'ordine del giorno-, o aveva fatto qualcosa. Qualcosa che lo aveva fatto vergognare tanto, o almeno qualcosa che non voleva si scoprisse opera sua.

Click.

Frank uscì dal locale con la stessa velocità con la quale era riuscito a farlo l'altro dieci minuti prima, e come volevasi dimostrare, lo trovò ancora lì.

«Gerard.» Frank gli urlò dall'altro lato del parcheggio deserto, sperando che non facesse finta di non sentirlo anche quella volta e che la smettesse di dargli le spalle. «Gerard!» Disse più forte, e quest'ultimo accelerò il passo. Frank allora fece la stessa identica cosa: era ridicolo che dovesse rincorrerlo per parlargli, ma non c'era modo. Non c'era più modo per stargli intorno. Non c'era mai stato altro modo per amarlo, anche se, prima di quel momento, il suo “correre” era stato sempre e solo metaforico. «Gerard.» Lo afferrò per la spalla, bloccandolo con una forza della quale non si credeva capace. Riprese fiato, guardandolo negli occhi per la prima volta dopo tanto tempo. Sul fatto che fossero diversi non c'era dubbio, ma così tanto non avrebbe mai pensato.

«Frank.» Rispose l'altro, casuale come non mai.

«Che cazzo hai fatto?» Chiese, un tono quasi implorante. Lasciò la presa, continuando ad attendere un qualsiasi tipo di risposta. Gli dispiaceva che non fosse capace di considerare le conseguenze delle sue azioni, ma certe volte non riusciva a credere che fosse davvero così incurante. Certe volte non riusciva a non pensare che, magari, quel personaggio che si era creato non fosse altro che un pretesto per fare sempre ciò che voleva. Gerard sospirò, guardando a terra. Frank capì che era davvero dispiaciuto per qualsiasi cazzo di cosa avesse fatto quella volta (o che almeno si stava impegnando per farglielo credere, in quel caso A«), e ancora una volta la sua rabbia calò considerevolmente. «Gerard..» Disse, questa volta quasi come se stesse cercando di consolarlo.

«Volevo solo che me ne parlassi, prima di vederla.» Rispose, e Frank non riuscì a credere che la ragione fosse semplicemente quella. «Volevo che sapesse che voi due non eravate destinati a stare insieme.» Continuò, e nonostante stesse cominciando letteralmente a delirare, il più piccolo non riuscì a non dargli ragione. Aveva semplicemente fatto ciò che un giorno avrebbe dovuto fare lui. Gli aveva risparmiato l'ennesimo ostacolo, ma ancora una volta gli aveva tolto ogni possibilità per ricominciare. Aveva murato l'unico foro dal quale vedeva provenire uno spiraglio di luce, e Frank non riuscì ad ignorare il fatto che forse, per quanto gli fosse grato di avergli risparmiato l'immagine di Jamia con le lacrime agli occhi per colpa sua, bhè, probabilmente era qualcosa che avrebbe semplicemente meritato. Probabilmente doveva farlo lui, era come una specie di rito di passaggio, un modo per dire a sé stesso che era finalmente non aveva più bisogno di nessuno. Che era capace di organizzare da solo la sua vita. «Tu non sei suo e le non è tua.»

«Ma cosa significa tutto questo, Gerard?» Frank prese un respiro profondo ad occhi chiusi, cercando di dimenticare la tensione e fermare le sue stupide e inappropriate lacrime prima che scendessero.

«Che lei non era adatta a te.»

«Questo, se permetti, avrei dovuto deciderlo io.» Cominciò, esponendo l'innegabile realtà dei fatti. «Nemmeno io credo che quel tipo sia adatto per te, e per quanto io abbia provato a fartelo capire non mi sono mai messo in mezzo. E l'unica volta che l'ho anche solo guardato mi ha picchiato a sangue. Nemmeno io credo che ti faccia bene sniffar-» Continuò, e dopo aver detto quella fantomatica parola, gli occhi di Gerard si fecero enormi. «Credi sul serio che non lo sappia? Ormai lo sappiamo tutti. E proviamo ad aiutarti, ma tu non vuoi l'aiuto di nessuno, giusto? Tu sei forte. Fortissimo, no? Lo hai detto tu, e allora noi ci fidiamo. Io mi fido.» Disse, fermandosi per tirare su col naso. «Io mi sono sempre fidato di te e adesso guarda che situazione del cazzo.» Frank disse, e nel dirlo, vide una lacrima rigare il volto dell'altro.

«Io non vedo altra via d'uscita, dimmi- dimmi- dimmi tu cosa dovrei fare.»

«Stai. Con. Me.» Disse Frank, scuotendolo per le spalle e scandendo con maniacale precisione ogni parola così che, almeno quella volta, il messaggio arrivasse forte e chiaro. L'altro rimase a bocca aperta nel vero senso della parola, e il più piccolo cominciò giusto un po' ad iperventilare. «Io lo so che sono banale. Lo so, non puoi immaginare quanto ne sia consapevole, però non è colpa mia. Non è colpa mia se mi sono posto tanti obiettivi che non sono riuscito a raggiungere, se mi sono detto che un giorno sarei riuscito a scalare tutte queste montagne, a riempire tutti i tuoi vuoti. Non è colpa mia e non è nemmeno colpa tua.» Disse, prendendogli le mani quando lo vide abbassare il capo per nascondersi. «Però adesso possiamo ricominciare da qui, e non importa se sei lontano.» Disse, liberando le loro mani da quell'intreccio e abbracciandolo come non faceva da troppo tempo. «Qui.» Disse di nuovo.

Frank non era mai stato nulla per nessuno. Era una cosa difficile da descrivere perché di solito, se ne parlava con qualcuno e gli esponeva sinceramente tutte quelle sue preoccupazioni, c'era sempre quell'amico che gli diceva che aveva lui. Che aveva i suoi genitori. Che aveva tanta gente che gli voleva bene e nemmeno si rendeva conto che per Frank non era abbastanza. Che forse Frank stesso non era abbastanza, e non lo era mai stato.

Perché infondo cos'era stato?

Un “bravo ragazzo” che non aveva mai avuto voti abbastanza buoni a scuola per essere considerato un prodigio, che non era mai andato abbastanza bene in nessuno sport per essere considerato un atleta, che non era mai stato abbastanza alto secondo il pediatra, che in un periodo era come tutti gli altri e non si sentiva abbastanza per i suoi standard personali e in un altro decideva improvvisamente di comportarsi come cazzo gli pareva e non era più abbastanza per gli altri. Poi era arrivato lui, e nonostante Frank capisse quanto ridicolo fosse il fatto che avesse avuto bisogno di un'altra persona per sentirsi finalmente, per l'appunto, abbastanza, non era qualcosa che poteva cambiare, a quel punto. E le cose erano semplicemente andate così. Si aggrappò ancor di più al corpo immobile davanti a lui quando lo realizzò, ma prima che potesse aprire nuovamente bocca, l'altro si staccò dalla presa e andò via.

Ma quella volta Frank non avrebbe corso.

Affatto.

Quella volta le gambe facevano male quasi quanto il cuore all'idea che non c'era più nulla da fare.

 

**

 

Altro capitolo corto. Ungh. Fa nulla, perché onestamente con tutte le cose che sono successe nell'ultimo periodo è già tanto così.

Intanto, prima cosa, lo scioglimento del gruppo

Penso ci siate rimaste tutte di merda come me e su questo possiamo concordare, no?

Cioè, non me la sentivo proprio per nulla di scrivere qualsiasi cosa riguardante loro perché ogni cinque minuti continuavo a pensare che almeno come band non esistevano più, quindi okay, non ho idea, davvero. <3

Starei qui ore intere a parlare di quei primi tre giorni post-breakup ma mi pare proprio inutile <33333

Quindi, umh.

Se devo essere onesta credo anche di aver ucciso la grammatica italiana ma non ho più la forza di star qui a correggere e rimuginare qualcosa che nemmeno mi aggrada tanto,ma sappiate che il prossimo capitolo è già scritto e mi piace più di questo, quindi esultate con me UoU (oddio cosa cazzo è)

Ah, ho anche incominciato a scrivere altra roba che non c'entra niente con questa storia, giusto perché avevo bisogno di staccare un po' la spina e poi, alla fine, tutte le bozze mi sono cominciate seriamente a piacere, dunque stay tuned perché anche se questa storia è quasi al culmine potrei anche postarle, un giorno di questi \m/

E niente, dai <3

La canzone che viene spezzettata nel testo della storia è "Jesus Christ" dai Brand New, ed è talmente bella che credo che prima di nascere dovrebbero farla ascoltare a qualsiasi neonato, proprio come requisito per vivere sulla terra (ergo: vi conviene sentirla) <3

Il titolo del capitolo è tratto da “The ballad of sal villanueva” dei Taking Back Sunday e cazzo, mi rendo conto solo ora che per colpa di questa maledetta fanfiction sto sviluppando delle conoscenze in argomenti un po' strani (?) (Vedi anche: preparazione di superacolici e iniziative per il recupero dei tossicodipendenti)

Alla prossima -il prima possibile-, e fatevi sentire (??????) <3

   
 
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