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Autore: Avah    02/04/2013    1 recensioni
Los Angeles, 2000. Una tranquilla famiglia che vive nella grande metropoli americana viene improvvisamente distrutta dal dolore quando un'esplosione porta via con sé una persona fin troppo cara. Le speranze si dissolvono con il passare degli anni, le illusioni sono sempre più frequenti, i miraggi sempre più lontani. Ma sarà veramente così, o c'è sotto qualcosa di più?
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Forse il cielo aveva bisogno di te

Ho sofferto molto nella mia vita, fin dalla tua nascita, piccola mia. Se ho continuato a lottare lo facevo solo per te, perché riuscissi ad avere una vita degna di questo nome. Non te l’ho mai dimostrato, ma ero orgogliosa di te, della mia bambina coraggiosa e testarda. Solo di una cosa avevo sempre avuto paura: che un giorno te ne andassi, all’improvviso. Me l’ero sempre detto: nessun genitore dovrebbe sopravvivere ai propri figli.

La ragazza stava tornando a casa, seppur a malincuore. Sapeva che lei c’era sempre, che per qualsiasi problema l’avrebbe ascoltata, ma non poteva passare intere giornate a casa sua. E poi, a quell’ora doveva andare al lavoro.
Con le cuffie bianche dell’mp3 nelle orecchie, salì sull’autobus che in meno di dieci minuti l’avrebbe portata dalle parti dove abitava sua nonna; pensò che poteva andare a fare un salto da lei, intanto che c’era. Durante il tragitto guardò sempre fuori dal finestrino, a parte in un momento che aveva posato lo sguardo su una donna con un bambino di forse sei anni, seduto in grembo alla madre; quella vista le provocò una stretta fortissima al cuore, tanto da farle venire le lacrime agli occhi, che respinse con forza.
Quando l’autobus si fermò, scese e andò diretta a casa di sua nonna, fermandosi solo un momento per prendere due paste da condividere con lei. Con il sacchetto in mano e lo zaino in spalla, approfittò del momento in cui stava uscendo un uomo dal palazzo per entrare; salì i gradini uno alla volta e, arrivata sul pianerottolo, bussò alla porta. Aspettò che venisse ad aprire, sempre con la sua lentezza da donna di mezza età.
-Ciao tesoro- disse la donna, non appena la vide.
-Ciao nonna- la ragazza si chinò a baciarle le guance, poi le porse il sacchetto.
-Mi fa piacere vederti. Dai, entra dentro- prese il sacchetto e lo aprì, assaporandone il profumo, poi si scostò e la fece passare -Tutto bene a scuola?- le chiese poi, mentre si dirigeva in cucina per prendere due tovaglioli.
-Il solito- sbuffò, lasciando cadere lo zaino su una sedia, accomodandosi poi su una poltrona.
La donna tornò indietro con un vassoio su cui aveva posato due bicchieri, le due paste, un paio di tovaglioli e una bottiglia d’aranciata.
-Come stai?- le chiese, sistemando con cura il cibo sul tavolino posto davanti al divano.
-Come vuoi che stia, nonna- rispose, andandosi a sedere di fianco a lei -E’ sempre la stessa storia-.
-Lo so, tesoro-.
Rimasero per un po’ in silenzio, mangiando lentamente, ognuna assorta nei propri pensieri.
-Senti Hayley, dal momento che tra poco è l’anniversario di tua madre…- iniziò a dire, ma la ragazza la interruppe bruscamente.
-Nonna, per favore. Non ho voglia di parlare ancora di lei- disse con voce dura.
-Ma tesoro- replicò l’altra, leggermente stupita dal comportamento della nipote -Fammi finire di parlare-.
-Lo so cosa vuoi dire, nonna- sbuffò, con l’appetito che tutt’a un tratto era sparito -Vuoi che pensi a qualcosa di carino da dire per ricordarla il giorno della funzione. E’ così tutti gli anni, ormai, e dovete capire che io non ho un bel niente da dire!- le ultime parole furono quasi urlate.
-Hayley…- iniziò la donna, ma la ragazza ormai aveva perso il controllo.
-Che dovrei dire, che era una brava donna dedita al lavoro e alla famiglia? Non sono altro che stronzate, le solite che sento tutti gli anni. Se n’è andata, mi ha abbandonato, non mi ha mai voluto!-.
-Questo non è affatto vero- rispose con durezza la donna, alzandosi in piedi -Tua madre ti ha sempre amato, e lo sai anche tu!-.
-No nonna, io non so niente!- si alzò in piedi anche lei -Io non so se mi abbia mai voluto bene davvero, e se era così perché se n’è andata!-.
-Credi che davvero abbia progettato di morire, quel giorno? E’ stato un incidente, Hayley-.
-Sapevo che sarebbe stata una perdita di tempo venire qui- la ragazza recuperò lo zaino e si diresse verso la porta d’ingresso -Pensavo che per una volta sarebbe stato diverso, ma mi sbagliavo-.
Uscì di lì, sbattendo con forza la porta, poi si catapultò letteralmente giù dalle scale, mentre le lacrime si facevano di nuovo sentire, ma stavolta non ebbe la forza di respingerle e lasciò che le rigassero, calde e saline, le guance.
“Mamma, perché devo passare questo inferno per colpa tua?” si chiese, mentre correva via verso casa. “Perché non sei rimasta con me quando ne avevo bisogno? Perché sei morta?”

Il ragazzo stava tornando a casa, con lo zaino sulle spalle e tanti pensieri per la testa. Mentre era in ufficio da suo padre, si era ricordato che tempo qualche giorno e sarebbe stato il decimo anniversario della morte di sua madre. Come tutti gli altri anni da quando avevano scoperto la verità, si sarebbe dovuto sforzare per trovare qualcosa da dire su di lei il giorno della funzione in sua memoria; lui però non era bravo con le parole, non lo era mai stato. Avrebbe comunque provato a buttare giù qualche idea, ma era sicuro che sarebbe stato tutto inutile: era più bravo con la matita, che con la penna da scrivere.
Sospirò, cercando di non pensarci; non era quello il momento, quando sarebbe tornato a casa avrebbe trovato sua sorella e avrebbe dovuto parlarle, come tutte le volte che avevano litigato. Se solo la loro madre fosse stata ancora viva, se quel giorno non fosse mai arrivato, forse in quel momento non avrebbero passato tanti guai e casini.
Quando era ormai arrivato, vide una ragazza correre verso di lui, con gli occhi coperti dalle mani per non far vedere le lacrime che le stavano rigando il viso; lui cercò di scansarsi, ma lo scontro fu inevitabile.
-Hayley, che è successo?- chiese lui allarmato, quando si accorse di chi aveva davanti.
La ragazza si tirò su e cercò di nascondere almeno un po’ le guance rigate di nero a causa della matita che le lacrime le avevano portato via dagli occhi.
-Matt non guardarmi!- si schermò il viso con le mani per non farsi vedere in che stato pietoso si trovava.
-Hayley, sei mia sorella!- le scostò delicatamente le mani dal viso e notò subito gli occhi gonfi e rossi -Che è successo?- tornò a chiederle.
Lei non rispose; si gettò su di lui e affondò il volto nel suo petto, scoppiando di nuovo a piangere.
-Andiamo a casa, è meglio- disse, cercando di calmarla e aprendo il cancello.

I due uomini uscirono dalla sede della Polizia Scientifica senza nemmeno guardarsi; ognuno dei due era immerso nei propri pensieri e non badava molto all’altro. Salirono in auto e fecero ritorno verso il comando, sempre senza guardarsi.
-Senti Ben, mi dispiace per prima- fece l’uomo sul sedile del passeggero, interrompendo il silenzio -Sono stato troppo duro con te-.
L’altro non rispose; rimase concentrato sulla strada che si srotolava davanti a sé e continuò a guidare.
-Non pensavo davvero quello che ho detto. Il fatto è che sono ancora troppo scombussolato, e non sono sicuro di riuscire a reggere questa situazione ancora per molto-.
-Allora perché non ti decidi a prendere almeno un giorno libero?- rispose infine l’altro.
L’uomo sospirò -Se mi sono comportato così fino adesso l’ho fatto per Mathew e Hayley. Volevo che fossero forti e che riuscissero ad andare avanti, perciò ho pensato che magari se fossi stato forte io lo sarebbero stati anche loro- fece una pausa -Ma ora sono grandi, e io non sento più quel dovere che avevo dieci anni fa-.
-Ho capito- disse dopo un momento di silenzio -Secondo me dovreste passare un po’ di tempo insieme-.
-Lo vorrei tanto, ma presto sarà il suo anniversario e… Non penso di farcela-.

Il cielo era stranamente sereno, anche se qualche nuvola faceva capolino all’orizzonte. I fucili spararono a salve e le trombe suonavano una musica triste e bassa, accompagnando il feretro avvolto nella bandiera a stelle e strisce americana verso il suo destino.
Il gruppo di persone, chi con le lacrime agli occhi e chi con un groppo in gola, guardavano con sguardo vuoto la fossa davanti a loro, appena sotto a una semplice lastra di granito scuro con incise poche, semplici parole, oltre a un nome e due date.
Le corde iniziarono ad allungarsi lentamente all’interno della fossa, mentre all’orizzonte la luce iniziava a scarseggiare e i bagliori dei lampi accecavano l’azzurro scuro del cielo.
Un tuono accompagnò l’uomo con un cesto di rose bianche che porse a ogni presente; i primi a gettare i fiori nella fossa, sopra la cassa di legno chiaro, furono l’uomo inginocchiato di fianco ai due bambini, stretti a lui, poi seguirono tutti gli altri. Quando la parte superiore del feretro fu coperta di petali bianchi, la terra si abbatté all’interno della fossa in grandi badilate, lente ma costanti. I presenti iniziarono ad andarsene, senza una parola, mentre al loro posto sopraggiungevano a una velocità spaventosa grandi nuvoloni neri e lampi accecanti, che regalavano un po’ di luce a quella giornata nera.
Una donna si avvicinò all’uomo con i due bambini, mentre le lacrime le correvano lungo le guance.
-Aveva sempre desiderato conoscere suo padre- disse -Ora sono sicura che potrà farlo-.
-Si era sempre sentita responsabile per quello che era successo in passato- rispose l’uomo, alzandosi in piedi e tenendo i due bambini per mano -Credo che ora capirà che si sbagliava-.
I due rimasero in silenzio a contemplare la lastra grigia davanti a loro. A un certo punto, l’uomo si voltò verso un’altra donna che era rimasta in disparte dietro di loro e le affidò i due bambini.
-Portali a casa con te- disse -Voglio rimanere un po’ da solo-.
La donna annuì; prese in braccio la più piccola e per mano il fratello maggiore, poi si avviò lungo il sentiero ghiaiato.
-Vorrei che accettassi questa- l’uomo porse alla donna la bandiera che fino a poco prima avvolgeva il feretro -E’ tua-.
La donna lo respinse -No, dovresti tenerla tu. Non ha senso che la prenda io-.
-Era tua figlia- le mise in mano il drappo -E’ l’unica cosa che è rimasta di lei. A me bastano i nostri ricordi-.
La donna non disse niente; fissò la bandiera che aveva in mano e annuì, sentendosi un groppo in gola, poi se ne andò, senza più voltarsi.
Le nuvole si fecero più vicine e la pioggia iniziò a scivolare giù, coprendo quel poco di luce; l’uomo alzò lo sguardo al cielo e lasciò che le gocce si confondessero con le sue lacrime.
  
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