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Autore: Haruakira    02/04/2013    2 recensioni
Questa è una storia semplice, introspettiva. In questa storia due infelicità si incontrano.
E' veramente così semplice eppure... mi chiedo se resteranno per sempre infelici, se si separeranno o se resteranno insieme. E in questo caso riusciranno a sorridersi?
Storia di come un incontro può cambiare la nostra vita.
O forse no.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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c. 2 il sentiero...
C' erano dei giorni in cui Hayato si sentiva incredibilmente vuoto, tutto gli appariva privo di senso, persino la sua stessa esistenza.
Avrebbe voluto fare grandi cose ma in realtà sapeva benissimo che era destinato ad essere una goccia come tante nel mare del mondo. Non tutti siamo destinati a diventare eroi, pochi sono gli eletti che scriveranno la storia del mondo.
E' il nome dei grandi uomini che viente impresso nelle pagine dei libri e marchiato nella memoria dei secoli, le masse sono destinate ad essere trainate in un destino deciso non da un dio superiore ma da un semplice uomo come loro.
Gokudera era un genio ed era ricco. Ne era cosciente e aveva grande considerazione di sè.
Aveva le carte in regola per diventare grande e forse gli sarebbe anche piaciuto.
Ma gli mancava la volontà, era troppo pigro per essere grande.
Poteva andargli bene il suo microcosmo fatto di una vita normale. Lavorare, sposarsi, fare dei figli. Era questo lo scopo di ognuno, no?
Non si vedeva molto neppure in questa categoria tuttavia non credeva ne esistessero altre: o la grandezza o l' anonimato.
Era certo che in entrambe non avrebbe trovato ciò che cercava.
Che poi ancora doveva capirlo lo scopo della sua vita, il senso dei suo giorni.
Gli mancava qualcosa.
Qualcosa e qualcuno sono termini assai generici. Non era mai riuscito a restrinegere la sua ricerca a categorie più definite.
La logica della sua mente arguta non ne era mai stata in grado.
Trascorreva dei giorni lenti trascinandosi dietro una gioventò vecchia e malandata che non aveva mai vissuto davvero.
Solo una volta nella sua vita aveva provato dei brividi, aveva fatto ciò che fanno gli adolescenti della sua età.
Abitava ancora in Italia e tutto era incominciato con una telefonata che gli era stata fatta per sapere di un qualche compito.
Lui si chiamava Daniele ed era stato una pennellata di colori accessi sui suoi giorni grigi.
Non ricordava più come era successo ma da quel giorno si era ritrovato impegnato in lunghe telefonate fatte di tutto e di niente che lo avevano assorbito per pomeriggi interi. Andava al secondo anno del liceo classico.
Al terzo in qualche modo Daniele gli aveva detto che lo trovava interessante. Che gli piaceva.
Lo aveva spiazzato.
Si ricordava che anche quello era successo per telefono.
Un po' gli veniva da ridere se pensava che la maggior parte delle cose che erano successe tra di loro, per lo meno nel primo periodo, erano passate per le linee telefoniche.
Nonostante tutto non gli era mai sembrata una cosa priva di emozioni, non gli era mai parso che si nascondessero dietro lo schermo di un telefonino perchè incapaci di comunicare viso a viso. Non era da loro, non era per le loro anime un po' antiche e un po' moderne, fatte di libri e poesia e di un velo di cinismo.
Vivevano lontani, tutto qui. All' epoca Hayato abitava in un paesino a una decina di chilometri dalla città e Daniele... e Daniele non era mai andato a trovarlo.
Forse era troppo pigro, forse non gli piaceva abbastanza.
Nonostante tutto la loro storia gli sembrava quasi romantica, quasi dolce.
Non si erano mai detti ti amo, anzi, Daniele gli ripeteva spesso il contrario.
-Io non voglio prederti in giro, se ti dicessi ti amo mentirei. Però ti voglio bene. Ti voglio un bene immenso. Anche dirti ti voglio bene mi sembra riduttivo.
Per questo non gli diceva spesso neppure quello.
-Nemmeno io ti amo- rispondeva Gokudera fumando quel che restava delle sue prime sigarette consunte. In realtà gli faceva male, avrebbe voluto sentirsi dire almeno un ti voglio bene smozzicato qualche volta. Daniele era schietto e lo feriva ma allo stesso tempo non poteva non accettare quella sincerità disarmante. Non voleva fargli male, semplicemente, non voleva illuderlo.
In realtà, e questo lo avrebbe capito in seguito, anche Daniele mentiva a sè stesso e inevitabilmente agli altri. Più che altro si cullava nelle sue indecisioni. Daniele era grigio, proprio come lui, forse persino di una tonalità più scura.
Eppure quelle loro vite opache e chiazzate di colori cupi intrecciandosi si erano in qualche modo illuminate, colorate di tonalità pastello. Avevano bisogno l' uno dell' altro.
Ammettere la propria omosessualità per Hayato non era stato un grosso problema. Con Daniele ogni cosa sembrava andare oltre, trascendere i limiti, stava talmente bene che non gliene importava niente, che non si era mai posto il problema se fosse giusto o sbagliato.
E poi tanto non lo doveva sapere nessuno. All' epoca non si era posto neppure questo genere di problema, non gli interessava renderlo noto, passare su un percorso minato da sofferenze inutili dovute all' ottusità umana.
Stava davvero bene e tutto il resto poteva aspettare.
Erano passati dalle telefonate ai pomeriggi chiusi nella stanza di Daniele a parlare di discorsi fatti di nuvole e a baciarsi stretti sul letto troppo morbido. Non erano andati oltre, Gokudera non se la sentiva, non subito almeno.
Non seppe mai dire cosa lo bloccasse visto che ogni nervo del suo corpo sembrava gridargli di assecondare i tocchi dell' altro.
Si sentiva piccolo in realtà e stupidamente voleva aspettare il proprio compleanno.
Daniele lo aveva lasciato dopo un paio di mesi dicendo che era senza motivazioni, che non poteva renderlo felice.
Gokudera lo aveva accusato spesso di non andare mai a trovarlo, che non poteva andare sempre lui in città ma a Daniele questo da un orecchiogli  entrava e dall' altro gli usciva. Aveva pensato, da ragazzino quale era, che fosse quello il problema. Forse lo aveva asfissiato?
Si erano lasciati per telefono.
Gokudera aveva pianto come un bambino come non gli accadeva da anni. Gli aveva detto che non era necessario che andasse a trovarlo se non ne aveva voglia.
Si era umiliato senza rendersene conto.
Poi, giorni dopo, aveva sorriso dicendo che andava tutto bene, che potevano essere ancora amici.
Era un' amicizia che faceva dannatamente male, che non riusciva a capire.
Era fatta di baci rubati, di giornate passate abbraciati nella stanza di Daniele mentre lui gli parlava di altra gente, di altre cotte.
A un certo punto non ne aveva potuto più, quel legame lo stava distruggendo.
In una giornata soleggiata di Marzo, mentre il ragazzo che piaceva a Daniele passava davanti a loro con la sua ragazza, seduti su una panchina del parco in quella mattina di sciopero, gli aveva detto che non ne poteva più.
Era come se una molla fuori controllo fosse scattata nella sua testa.
-Ohi- lo aveva chiamato indolente fissando un albero verde smosso dal vento- forse è meglio se la finiamo qui. Io non ce la faccio più. Ti rendi conto che non è normale? Baci me e poi mi parli di Andrea.
Daniele lo aveva guardato:- Parli sul serio?
-Sul serio.
Era capitato altre volte un discorso del genere e tutte le volte Hayato lo chiamava un paio di giorni dopo per tornare da lui con la coda tra le gambe, quel giorno però era diverso. Si chiese se Daniele lo avesse capito.
-Non è giusto e io non ce la faccio più.
-Lo so che è sbagliato ma io... io non lo so cosa provo per te.
-No, la verità è che con me sei tranquillo. Pensi sempre che starò lì a scodinzolare per te.
-Non hai capito un cazzo, Dera. Te l' ho detto cosa provo per te. Te l' ho detto un milione di volte, sono sempre stato chiaro. Non ti ho mai preso per il culo.
-Va bene- aveva annuito- posso essermi rotto il cazzo allora? Te l' ho detto, finiamola qui. Ora come ora non riesco ad esserti nemmeno amico.
Daniele avava annuito arrabbiato e si erano alzati prendendo due strade diverse.
Quel giorno era veramente finito tutto.
Era il compleanno di Daniele e il braccialetto d' acciaio che gli aveva comprato era rimasto ben chiuso dentro lo zaino.
Vi erano incise due lettere, la D. e la H.
Daniele e Hayato.
Oppure Daniele Hagen.
Ironia della sorte. Proprio un bello scherzo, no? Tutto da ridere.
Nei mesi successivi l' unico amico di Gokudera, un amico a cui però non confidava di certo i suoi redonditi segreti, lo aveva trascinato per pub e locali, gli aveva fatto conoscere gente, lieto che il compagno di banco avesse finalmente deciso di aprirsi un po'. Sapeva persino essere divertente, Gokudera, e spensierato. Non lo avrebbe mai detto.
Poi si erano tresferiti e il pensiero di Daniele si era fatto di giorno in giorno sempre più sbiadito, sempre più raro.
Ma non era sparito.
Il braccialetto era chiuso in una scatola assieme a tutto quello che aveva significato.
Daniele lo aveva cambiato, aveva rafforzato quella parte scura del suo carattere che era andata espandendosi sempre di più, come una macchia d' olio dentro l' anima.
E se prima era solo un po' timido e imbronciato, a tratti pessimista e realista al tempo stesso, oggi era una persona pià cinica, più disincantata, un estraneo tra gli uomini, un adolescente col cuore di ghiaccio e l' anima ben serrata in una gabbia.
Era come se cuore e cervello non comunicassero più, o comunicassero male trasmettendosi vicendevolmente solo emozioni negative.


   
 
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