Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
Segui la storia  |       
Autore: Haruakira    22/03/2013    2 recensioni
Questa è una storia semplice, introspettiva. In questa storia due infelicità si incontrano.
E' veramente così semplice eppure... mi chiedo se resteranno per sempre infelici, se si separeranno o se resteranno insieme. E in questo caso riusciranno a sorridersi?
Storia di come un incontro può cambiare la nostra vita.
O forse no.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
1 long reborn
IL SENTIERO DELLE FOGLIE SECCHE



Qualcuno diceva: ha qualcosa addosso, come una specie di infelicità
(A. Baricco, Seta)


Per arrivare a scuola doveva percorrere un lungo viale alberato.
Durante l' autunno i rami degli alberi sembravano più lunghi, più scheletrici.
 A volte aveva come l' impressione che si allungassero su di lui nel tentativo di afferrarlo, che si muovessero.
Quel sentiero gli incuteva un certo timore, specie nelle giornate più uggiose e cupe, quando Namimori veniva coperta da un velo di nubi fuligginose.
 In realtà, se avesse fatto una fotografia a quella strada e l' avesse sviluppata, avrebbe potuto definirla bella. Un po' malinconica e un po' romantica. Di una dolcezza e di un torpore infiniti.
 Tuttavia ogni mattina Takeshi la attraversava a passo svelto, ignorando gli alberi e camminando a testa alta con lo sguardo fisso verso la fine.
 Sentiva scricchiolare le foglie secche sotto le scarpe da ginnastica.
Inizialmente quel rumore -quel crack che sapeva di rotto- lo infastidiva, poi aveva preso ad utilizzare un paio di cuffie aumentando al massimo il volume del suo mp4 un po' vissuto.
Il rumore delle cose che si rompevano -il vaso che cade per terra, un vetro che va in frantumi, la matita che si spezza- lo infastidiva profondamente.
Ciò che si rompe non può essere aggiustato, lo aveva capito da un pezzo.
Lo aveva capito da piccolo quando sua madre aveva fatto la valigia e se ne era andata senza guardarlo.
 In quell' occasione aveva guardato suo padre con un' aria interrogativa e preoccupata. Il genitore gli aveva regalato un sorriso malfermo dicendo di non preoccuparsi.
Gli aveva scompigliato i capelli scuri e gli aveva detto:- Tu li conosci gli eroi, vero Takeshi?
Aveva annuito e il padre allora aveva continuato.
-Bene, la tua mamma è come un' eroina. Lo è di sicuro. E lo sai, gli eroi non possono stare tanto a casa perchè il mondo ha bisogno di loro. Devono correre tutto il giorno qua e là, poverini. Oggi al Polo Nord e domani al Sud, a colazione sono in Russia e a pranzo in Turchia perchè c' è sempre qualcuno che chiede aiuto. La mamma proprio ieri è stata promossa per essere il capo di una squadra di eroi.
All' epoca non sapeva dove fosse la Turchia e nemmeno la Russia, ma aveva capito che erano posti lontani.
-E... quindi non viene più?- aveva domandato poco convinto.
-Se il mondo non ha bisogno di lei, verrà.- quel "verrà" gli era sembrato detto a denti stretti, in modo un po' forzato e stentato. Come se quella parolina non volesse uscire dalla bocca del padre- Devi essere orgoglioso della tua mamma. Non tutti i bambini possono dire di avere una super mamma che salva il mondo e noi non dobbiamo essere egoisti.
Takeshi aveva sospirato e ci aveva creduto.
 Quando accendeva la televisione sperava di vedere il volto della sua mamma mentre combatteva accanto a Batman o all' Uomo ragno.
Ma non era mai successo.
Un po' il cuore gli si era gonfiato di orgoglio ma di certo prevaleva un enorme dispiacere che si era andato sempre più accentuando col passare dei giorni e dei mesi. E poi degli anni.
Gli sarebbe bastato vederla anche solo una volta, per cinque minuti.
Ma un eroe è veramente così impegnato?
Allora aveva provato a chiedere aiuto. Gridava "Aiutami super mamma, aiutami!" ma non succedeva niente, quindi aveva pensato che forse doveva essere in pericolo per davvero e si era buttato nel fiume. Lo aveva salvato il suo papà che stava pescando sulla riva.
Era stata la prima volta in cui aveva visto l' uomo piangere. Non voleva più vedere suo padre soffrire.
 Quel giorno si era impegnato affinchè suo padre fosse felice, ed era stato sempre un bambino bravo, allegro e felice.
O così, almeno, pare.
Ah, non sapeva perchè la mamma non fosse arrivata e allora aveva capito, in qualche modo, che non sarebbe mai più tornata, ragion per cui aveva cercato di non pensarci più, dimenticandola.
Gli eroi, per inciso, non gli piacevano più.

Quel giorno a scuola era arrivato un nuovo ragazzo. Si chiamava Hayato Gokudera ed era italiano. A guardare il nome non si sarebbe mai detto, la sua famiglia -giapponese- si era trasferita nel paese del sole un paio di generazioni prima. Persino il suo aspetto non diceva nulla riguardo alla sua provenienza. Aveva un incarnato chiaro e occhi verdi, lo si sarebbe potuto dire nordico, infondo.
Quando era arrivato in classe aveva guardato tutti e nessuno senza particolare interesse.
 Aveva l' aria annoiata. Un po' triste.
Takeshi pensò che dovesse essere una persona triste.
La tristezza è una cosa che si vede.
Gli occhi di una persona infelice hanno un che di torbido, una precoce stanchezza della vita.
L' infelicità diventava un laccio intorno all' anima, la succhiava rubandole tutte le emozioni. Inevitabilmente ti cambiava rendendoti più cinico, più disincantato, meno ingenuo.
Takeshi lo sapeva perfettamente.

 Era una tiepida mattinata di metà autunno quando era arrivato, il cortile era pieno di foglie secche da giorni e le nuvole sembravano correre veloci nel cielo.
Hayato Gokudera trovava quella cittadina incredibilmente stretta.
Ah, ora che ci pensava si era detto la stessa cosa di tutti i posti in cui era stato negli ultimi anni.
 Per qualche motivo nessun posto sembrava adatto ad accoglierlo.
Ogni luogo era o troppo vuoto o troppo pieno, troppo rumoroso o viceversa silenzioso, con troppo verde o troppo asfalto.
 Era sbagliato.
 Hayato non apparteneva a niente e a nessuno, si sentiva come la pallina di un flipper, sempre sbattuto alla ricerca frenetica e ossessiva di qualcosa. Avrebbe proprio voluto saperlo, cosa? Cosa cercava? Cosa gli mancava?
Che doveva fare per sentirsi parte di qualcosa?
Non si sentiva nemmeno parte dell' umanità, certe volte.
 Guardava la gente con quel distacco un po' superiore che caratterizzava il suo modo di fare.
 Forse il problema stava nel fatto che fosse  un genio. Non c' era materia in cui non eccellesse, non c' era argomento che non conoscesse.
Era anche un po' troppo cervellotico a dirla tutta e anche piuttosto impulsivo. Ed egoista.
Odiava la gente. Tendenzialmente la evitava. Non gli piacevano le file, i luoghi affollati, gli autobus, la musica assordante e le feste studentesche e più in generale i luoghi in cui era costretto a stare a stretto contatto col vicino di turno.
Aveva un' idea di spazio personale piuttosto ampia.
Non è che avesse paura della gente o altro, semplicemente, riteneva la maggior parte degli essere umani... stupidi.
 Tutti quelli che lo circondavano sembravano essere impegnati a parlare di scemenze.
"Oh, quando finiamo devo correre immediatamente a casa che sta per incominciare X", gemette la ragazzina al suo fianco guardando tristemente l' orologio sul display del cellulare.
 Aveva confemato la sua tesi.
Durante la pausa pranzo se ne era stato seduto tranquillo al suo banco per i primi cinque minuti, poi una mandria di pecore impazzite -i suoi compagni di classe- lo aveva accerchiato guardandolo come si guarda un essere esotico e cercando, con scarsi risultati, di fare conversazione.
-Lo segui il Grande Fratello? L' ultima entrata è troppo gnocca!
Gokudera si era voltato verso il ragazzo che aveva espresso una simile perla di saggezza, la studentessa al suo fianco aveva ridacchiato:- Già s' è fatta il fratello della sua migliore amica che era entrato prima di lei.
Gokudera si chiese, giustamente, se per caso sapessero cosa stava accadendo nel mondo. O almeno cosa fosse un telegiornale -e anche lì, c' era da andarci con i piedi di piombo, almeno dalle sue parti-
-Scommetto che una di voi vuole fare la ballerina- tirò a indovinare sorridendo mellifluo.
Ci fu uno squittio provenire da più parti.
Gokudera si alzò sbuffando e uscì fuori dalla classe lasciando più pecore assai interdette.
Quegli idioti stavano violando impunemente il suo spazio vitale. Come se avesse bisogno di loro.
Nei corridoi si scontrò con un ragazzino con la faccia da pesce lesso. Quello cadde a terra gemendo come una donnetta, poi, rialzandosi, si scusò balbettando. Forse era stato perchè Gokudera lo aveva guardato torvo. Lo vide correre emettendo un suono molto simile a un "hiii"
Il ragazzo ridacchiò, quello lì stava praticamente scappando!
Aveva deciso di salire sul terrazzo, se gli andava bene poteva stare due minuti da solo. Camminando vicino alle finestre vide due ragazzi suonarsele di santa ragione, gli studenti della scuola li accerchiavano incuriositi, qualcuno stava correndo verso l' interno, probabilmente per chiamare qualche professore.
L' italiano ghignò accendendosi una sigaretta. Da lì avrebbe potuto godersi lo spettacolo. Indegno ma pur sempre spettacolo. Probabilmente non era raro che quelle due teste vuote facessero a botte per un pezzo di quartiere in cui segnare il territorio -magari pisciando negli angoli come i cani.
Ah! Ma uno dei due lo conosceva! Non era quel suo compagno dalla faccia idiota? Sì, quello seduto dietro di lui?

-Yamamoto Takeshi- sibilò Hibari.
-Mi morderai a morte?- l' altro lo precedette canzonatorio- l' ho sentita questa. L' ho sentita Kyoya.- il moro portò  la mazza da baseball sulla spalla destra picchiettandola lievemente- e cosa avrei combinato questa volta, uhm?
-Hai picchiato l' intero comitato disciplinare.
Takeshi si indignò:- Comitato disciplinare un cazzo. Siete una specie di yakuza giovanile. Ohi Hibari, lo sai che questa potrebbe farti molto male?- domandò indicando la mazza.
Il disciplinare tirò fuori i tonfa:- Anche questi.

Takeshi sapeva che battersi con Hibari era un' idea stupida, tuttavia lo aveva fatto. L' istinto, l' adrenalina e una buona dose di avventatezza avevano rinchiuso il suo cervello in un sacchetto di plastica e lasciato a marcire in un angolo.
Forse, se i professori non fossero intervenuti, ora avrebbe più di un braccio rotto, più di  un paio di costole incrinate, l' occhio destro gonfio come una mongolfiera e la mascella decisamente viola.
Ridacchiò, seppur con fatica, ritenendo che l' elenco minuzioso dei suoi mali fisici assomigliasse vagamente alla lista della spesa.
Oh sì, sarebbe potuta finire decisamente peggio.
La cosa positiva, che in un certo senso lo rendeva orgoglioso di sè, o almeno un po' più soddisfatto e meno abbattuto, era che anche Hibari aveva avuto la sua giusta dose di legnate. Non quante ne aveva ricevute lui, bisogna dirlo, ma l' atleta si era fatto valere.
Non è che Takeshi si sentisse masochista... o si diceva sadomaso? O sadochista? O... com' era quel termine? Non se lo ricordava proprio.
Insomma non è che gli piacesse farsi picchiare, ecco.
Nemmeno gli piaceva particolarmente fare a botte, però se veniva sfidato apertamente non si tirava indietro.
Mai e in nessuna cosa. Potevano sfidarlo persino, per esempio, a giocare a tennis -cosa in cui era una schiappa fatta e finita- ma lui non si sarebbe tirato indietro. Si sarebbe preso qualche giorno per imparare, semmai, per poi giocare, gareggiare, battersi con tutte le sue forze.
Ora, sapeva che Hibari era dannatamente forte, che se avesse picchiato il comitato disciplinare -cosa che in effetti aveva fatto con un certo piacere- il loro capo lo avrebbe di sicuro pestato, tuttavia era una cosa a cui non era riuscito a sottrarsi.
Gli piaceva aiutare gli altri e aveva ritenuto quella di picchiare il comitato disciplinare sicuramente una buona azione.
Il comitato disciplinare era una specie di dittatura scolastica. Se non si faceva ciò che era stabilito da loro -dal "non correre nei corridoi" fino a "dammi i tuoi soldi del pranzo"- si incorreva necessariamente in gravi punizioni.
Nel corso dell' anno Yamamoto li aveva stuzzicati con scherzi innocenti, come la colla sulle sedie oppure il barattolo di vernice sulla porta. Era un modo per dire a quegli stronzi patentati che gli studenti -o per lo meno alcuni- non avevano paura.
L' unica pecca era che finiva spesso nello studio del preside ma era disposto a sopportarlo, non aveva assolutamente importanza se poteva rendersi utile.
E poi era un modo come un altro per riempire le giornate vuote e condurre una vita adolescenziale normale e spensierata.






_______________________________________________________________________________________
NOTE: Riposto "Il sentiero delle foglie secche" - sono io, Haru, la ma coinquilina pazza non c' entra niente 'sta volta- dopo vari tentennamenti e finalmente col primo capitolo decente e completo. Non so che direzione prenderà la storia, credo comunque che il raiting si manterrà arancione. Se ogni tanto spunta vun verbo al presente, non preoccupatevi, è che mi piace fare così.
Ci sono un paio di ripetizioni relative alla parola tristezza nella presentazione di Gokudera, assolutamente volute.
Mi scuso per evetuali errori ma nelle ricorrezioni dei capitoli sono una schiappa.
DISCLAIMER: Katekyo Hitman Reborn e i suoi personaggi non mi appartengono. La storia non è scritta a scopo di lucro.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn / Vai alla pagina dell'autore: Haruakira