Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: LilithJow    04/04/2013    5 recensioni
[..] Gli occhi di Johanna mi fissavano ancora e - non per mia impressione - si erano avvicinati parecchio al mio viso, più di quanto avessero fatto giorni prima, a scuola.
Ma, proprio come quella volta, qualcosa accadde: ancora quelle ombre rosse che le attraversarono l'iride. Più forti, più scure, più continue: le vidi chiaramente, e non era né un riflesso di luce né una mia fantasia né, tanto meno, per via di una botta in testa. Li fissai, incredulo, ma allo stesso tempo incuriosito: a cosa era dovuto? Non ne avevo la benché minima idea. Forse internet mi avrebbe dato delle risposte, oppure – cosa molto più probabile – riempito di ansie, paure e paranoie.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Lullabies Saga'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 15
"Trust"



Si dice che la fiducia viaggi di pari passo con la speranza e che spesso queste due cose siano legate l'una all'altra a filo doppio e che si rafforzino a vicenda.
L'essere umano, tuttavia, non è mai molto propenso a donare la propria fiducia, che solitamente vive in un cerchio ristretto; a volte talmente ristretto che rimane fisso nella singola persona.
Fidarsi di qualcuno risulta un enorme sforzo per qualcuno. Capita anche di trovare soggetti refrattari alla fiducia e, in quel caso, il rapporto tra le due persone viene interrotto quasi automaticamente, senza che nessuno dei due se ne renda conto.

Io ero quel tipo di ragazzo che riponeva la fiducia in chiunque e qualunque cosa. Mia madre mi diceva sempre che ciò dipendeva dalla mia età, che col tempo avrei imparato come dosare la mia fiducia, a donarla solo a chi la meritava. Ma lei non aveva mai ragionato sul fatto che essa fosse compagna della speranza e io, di quella, ne avevo tanta.
Fu per tale motivo che mi fidai ciecamente di Tamara, sebbene, di fatto, non la conoscessi. Lei rappresentava la mia speranza, colei che mi avrebbe aiutato a trasformare Hazel in un'umana, che avrebbe trovato un modo per farlo, colei che avrebbe concretizzato la mia felicità.
Alzando scudi e muri a difesa, di certo non avrei ottenuto nessun risultato.

Iniziai a trascorrere molto tempo con la ragazza dai capelli rossi. Dal momento che non volevo che né Hazel né Martha scoprissero ciò a cui stavamo lavorando, approfittavamo della loro assenza mentre erano fuori a nutrirsi, il che accadeva ogni due giorni, per un'ora e mezza. Quando erano presenti, invece, comunicavamo tramite e-mail o sms.
Non che ci fossero molte informazioni da condividere, poiché ogni nuova strada che trovavamo, era un vicolo cieco e privo di senso. Ero comunque pronto a fallire, più di una volta: Tamara mi aveva avvisato. C'erano numerose leggende riguardo ai Divoratori di Anime, conoscerle e rintracciarle tutte era un'impresa da titani, poiché molte non erano conosciute nemmeno dai Divoratori stessi.
Io non ero molto bravo a mentire, anzi, ero pessimo, e nascondere ciò che stavo facendo – soprattutto ad Hazel – fu atroce. Ma non potevo rivelarle nulla, perché lei mi avrebbe chiesto di interrompere le ricerche perché troppo pericoloso, di non immischiarmi in cose più grandi di me e io, mio malgrado, sarei stato costretto a darle retta.

«Tanto prima o poi lo scoprirà» si era lamentata Tamara «insomma, è pur sempre della sua natura che stiamo parlando!».

In fondo, aveva ragione. Tuttavia, preferii continuare ad avere quel segreto, almeno per un po', convincendomi che era tutto a fin di bene.


***


Quel pomeriggio era uno di quelli in cui Martha e Hazel erano assenti, entrambe protette dai loro amuleti anti-Sebastian, in giro chissà dove, a nutrirsi. Probabilmente erano dall'altra parte del mondo, in quel momento, sebbene Chicago non fosse propriamente in carenza di suicidi.
Io ero concentrato a fissare la rossa che decifrava codici vecchi di secoli, in una lingua che, a mio parere, era morta una decina di volte. Avrei voluto chiederle se c'erano novità ogni due secondi, ma ero pressapoco sicuro che mi sarei beccato un calcio negli stinchi se solo avessi aperto bocca e l'avessi deconcentrata – e già era successo. Così mi limitai a giocherellare distrattamente con una matita in mano, mentre lei rimaneva piegata su un grosso libro dalle pagine consumate con sopra strane tracce di inchiostro – l'alfabeto della lingua morta e a me sconosciuta, in pratica.

«Puoi, per favore, stare fermo con quella matita?» quasi urlò Tamara. «Qualcuno sta cercando di decifrare un codice antico di millenni».

Sbuffai, poggiando i gomiti sul tavolo. «Riesci a capirci qualcosa?» osai chiedere.

«Sto cercando di farlo».

«Ma...».

«Ma non credo che io possa riuscirci, se continui a parlarmi».

«Ho tenuto la bocca chiusa fino ad ora».

«Bene, fa' lo stesso per un'altra mezz'ora!».

Feci una smorfia, pronto a ribattere, perché, sì, anche i battibecchi facevano parte del pacchetto “passa il tempo con Tamara”; avevamo proprio l'aria di fratello e sorella, ad attaccarci su tutto, senza motivo. Tuttavia, non ne ebbi propriamente il tempo, poiché lei scattò in piedi, cominciando a fare su e giù per l'ampia cucina. «Non posso crederci» mormorò, tra sé. «Non posso crederci!».
Mi alzai anche io, di riflesso, cercando di seguirla in quel camminare privo di logica, ma mi arresi quasi subito, rimanendo fisso in un punto, a osservarla solo compiere quei movimenti frenetici. «Cosa? A cosa non puoi credere?» domandai.
Tamara si fermò di scatto di fronte a me. «Sono un genio!» esclamò. «Sono un dannato genio!». Sospirai appena. «Lieto di scoprire che la tua autostima ha superato di gran lunga i livelli consentiti» commentai.

«Oh, certo che lo sei, perché l'ho trovato!».

«Che hai trovato?».

«Ho trovato come rendere i Divoratori umani, razza di idiota!».

Un sorriso mi si delineò sulle labbra a quelle parole, mentre una strana sensazione mi attanagliò lo stomaco, la stessa che capitolava solo in presenza di Hazel. Fui estremamente e irrimediabilmente felice, tanto che ascoltai in modo palesemente distratto il proseguire del suo discorso. «Qui dice che si tratta di una leggenda, ma considerati gli ultimi avvenimenti, sappiamo quanto possano essere di fatto vere. Non è complicato, insomma, dice che è qualcosa che c'entra con l'amore umano o robe simili. E' una cosa graduale, molto graduale, come una lenta iniezione di sentimenti nel corpo della creatura oscura. Non si sa come questo processo venga innescato, né perché, e non può capitare a tutti, ma parla di alcuni soggetti che sono realmente cambiati e hanno vissuto una splendida vita umana, per cui è tutto...».
Non le diedi il tempo di finire. La mia gioia era troppo per essere contenuta, così mi buttai, letteralmente, addosso a lei, facendole cadere il libro di mano, e la abbracciai, stringendola forte e non smettendo di sorridere.

Il tempismo non era mai stato mio compagno, anzi, il più delle volte gli piaceva ficcarmi in situazioni ambigue e fraintendibili, proprio come accadde in quel momento, quando Hazel e Martha tornarono e videro l'abbraccio, ai loro occhi privo di senso.
Ero troppo su di giri per inventare altre bugie, per cui, staccandomi da Tamara, mi limitai a continuare a sorridere e salutai entrambe con un – quasi patetico – «Hey!».
Tamara si affrettò a raccogliere i libro e i fogli da esso caduti da terra e, distrattamente, la aiutai. Scorsi di poco e di sfuggita il viso di Hazel, su cui si era stampata un'espressione strana, assente, che mai le avevo visto addosso.
Tuttavia, non mi impuntai troppo. Appena avrei avuto la conferma della leggenda trovata dalla strega – sì, avevo bisogno di conferme o almeno di una rilettura che non comprendesse la mia troppa euforia che mi faceva perdere il senno - le avrei raccontato ogni cosa. Per il momento, però, mi convinsi a tacere.
Lo feci per tutto il resto della giornata e non fu nemmeno difficile. Quando Tamara se ne andò, nessuno più aprì bocca. Nemmeno Martha, che si limitava, dall'altra parte del salotto, a lanciarmi occhiatacce piuttosto minacciose – a suo parere; dal mio punto di vista, non avrebbe mai potuto intimorire nessuno con gli occhi da cerbiatta che si ritrovava.
Hazel, invece, rimase sulle sue, con le cuffie dell'Ipod nelle orecchie, stesa sul divano, e sguardo rivolto al soffitto. Che se la fosse davvero presa per quell'abbraccio?

Il cellulare che mi ostinavo a rigirare tra le mani, tanto per avere qualcosa da fare, squillò, mentre cercavo un modo per interagire con lei.
Era un messaggio da parte di Tamara: “Ho tradotto la parte della leggenda che mi mancava. E' tutto vero, ma per completare la trasformazione serve una chiave, che il libro, purtroppo, non specifica. Continuerò a cercare. Ti tengo aggiornato”.

Abbandonai il telefono sopra la poltrona e raggiunsi Hazel sul divano, inginocchiandomi al suo fianco. Tirai con un dito il filo degli auricolari e le tolsi una cuffia dall'orecchio, così che potesse sentirmi parlare. A quel punto, tenere il segreto non era più una via ottimale. “E' pur sempre della sua natura che stiamo parlando”. La mia coscienza citò Tamara, imitando palesemente il tono della sua voce.

«Stai bene?» chiesi. Domanda assolutamente formale e, di nuovo, al limite del patetico. Non che avessi fatto realmente qualcosa di male, ma forse il fatto di averle mentito per giorni interi, seppur a fin di bene, poneva un grosso e pesante peso sulle mie spalle.

«Benissimo» replicò lei, rivolgendomi distrattamente lo sguardo.

«Sicura? Non mi parli da tutto il giorno, a stento mi guardi. Ho fatto qualcosa di sbagliato?».

«No, non hai fatto niente di sbagliato».

Da come si comportava, dava tutta l'impressione di essere gelosa e, per un attimo, mi venne da ridere. Tuttavia, più di un sorriso non riuscii a fare, poiché, pian piano, sebbene Tamara me lo avesse confermato per messaggio, la parola “leggenda” svaniva dalla mia mente, per lasciar posto alla realtà. Vera realtà, tangibile realtà.
Seppur non bello, la gelosia era un sentimento, complesso e fin troppo distante dalla natura dei Divoratori. Se qualche parte di me era scettica nei riguardi di quella vecchia leggenda – una parte molto razionale - in quell'istante si convinse del contrario.

E se fossi stato io ad innescare i suoi sentimenti? Se fossi io ad infonderglieli a poco a poco? Del resto, Hazel me lo aveva sempre detto, che ero a farla sentire umana.
Forse mi stavo dando troppa importanza, ma era una soluzione così semplice, bella e soprattutto dannatamente concreta per ritenerla falsa. 
I miei ragionamenti, tuttavia, vennero interrotti da lei che si alzò, bruscamente e camminò veloce verso la camera da letto. La seguii, quasi fossi la sua ombra, ignorando ulteriori occhiatacce da parte di Martha.

Hazel era molto più rapida di me. Quando entrai nella – ormai nostra – stanza, lei stava in piedi, di spalle a me, accanto al letto, con lo sguardo rivolto alle pareti che riprendevano il profilo di New York, di notte. Osservai la sua schiena lasciata scoperta dalla maglia grigia che indossava e le sue gambe esili.

«Passi molto tempo con Tamara, ultimamente» disse.

«Già» sussurrai, indugiando sulla soglia della porta. «Non vuoi che resto solo, per cui...».

Si voltò e si morse piano il labbro inferiore. «Ti piace?» mormorò.

Non avevo sbagliato sul fatto che fosse gelosa, ma non sapevo più se ciò fosse un bene o un male.

Avanzai nella sua direzione, fino a ridurre a pochi centimetri la distanza tra noi. «Non è esattamente il mio tipo» cercai di rassicurarla.

«Davvero? Perché... Perché lei è umana e... E può darti un sacco di cose che io non posso darti e di certo non ha messo la tua vita in pericolo più di una volta».

Vidi i suoi occhi farsi lucidi e il petto tremarle appena.

«Pensi davvero che mi importi di una cosa del genere?».

«Perché non dovresti? E' ciò che gli umani desiderano: una vita sicura, felice, con una propria famiglia».

Sospirai. «Sei gelosa».

«Cosa?».

«Sei gelosa di Tamara».

«Non dire sciocchezze, non posso esserlo».

«E invece, a quanto pare, sì». Presi un ulteriore respiro profondo e feci un passo avanti, fino ad arrivare a cingerle i fianchi con entrambe le mani. «Ricordi quando mi hai detto che ho fatto nascere le tue emozioni?» mormorai.

Annuì. «Sì, ma... E' qualcosa di surreale e impossibile».

«Non lo è. E' per questo che, ultimamente, ho passato molto tempo con Tamara. Le ho chiesto di aiutarmi a trovare un modo per renderti umana, perché so quanto lo desideri».

«Tu hai fatto cosa?».

«Non prendertela, okay? Volevo solo...».

«E' pericoloso, Simon».

«Ho fatto solo qualche ricerca su dei libri. Anzi, io non... Non ho fatto un bel niente, perché è tutto scritto in una lingua che non conosco e...».

«Perché lo hai fatto?».

«Perché voglio stare con te». Feci una breve pausa, spostando le mani sul suo viso e asciugai con i pollici le lievi lacrime che le avevano rigato le guance. «Parli della mia felicità, ma non ti è mai passato per la testa che tu lo sia? Se non è successo, te lo dico ora: tu sei la mia felicità, Hazel e non c'è altra persona che possa farmi stare così bene, non c'è altra persona che vorrei al mio fianco per tutta la vita, se non te».

Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale mi lasciò poggiare la fronte sulle sua. «Esiste davvero... Un modo per farmi essere umana?» biascicò.

«Esiste davvero e stai già diventando umana, a poco a poco».

«Come può accadere? Io non...».

«Non lo so. Non lo so, ma... C'è davvero bisogno di una spiegazione?».

Scosse appena la testa e portò le mani sulle mie guance, ad accarezzarmi con i polpastrelli.
Forse avrei dovuto aggiungere che sarebbe occorsa una chiave, prima o poi, se i miei ragionamenti erano del tutto veri, ma preferii rimandare quella parte del discorso.

«Non dovremo più preoccuparci di Sebastian» sussurrai «non dovremo più preoccuparci di niente e potremo tornare a casa».

Lei mi sorrise, dolcemente. «Chi devo ringraziare per averti trovato?» mormorò.

«Mh, mia madre, credo. Tecnicamente, è lei che mi fatto nascere, anche se, senza mio padre, la cosa non s...».

Hazel rise. «Era una domanda retorica, Simon».

«Oh». Feci una smorfia, mordendomi piano il labbro inferiore, mentre un mezzo sorriso ebete mi si dipingeva in faccia, facendo spuntare le mie odiate fossette. «A volte la mia parte idiota è fin troppo evidente» commentai.
Fece cenno di no e si sporse nella mia direzione, appoggiando piano le labbra sulle mie, per uno dei nostri baci, quelli lievi e delicati, che erano capaci di togliermi il fiato, ciò che accadeva solo ed unicamente con lei.

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: LilithJow