11)
Weird Reactions:
Scesero
le scale per arrivare in Sala Grande assieme, in formazione compatta.
Erano
diventate una squadra, loro quattro. Ne era stata la conferma
ciò che era
successo la sera prima e, soprattutto, il modo in cui
l’avevano affrontata:
insieme. Non ne era sorpresa. Lei e Rose erano sempre state una
squadra, era
sempre stata molto legata a Moira e la sua amicizia con Meg era sempre
stata
intensa e profonda dacché si era formata. Ora
però erano tutte e quattro
insieme ed era fantastico.
Entrarono
in Sala Grande muovendosi come un sol uomo. Meg aveva insistito per
scendere a
fare colazione, invece che andare a razziare le cucine: non voleva dare
a
Davies la soddisfazione di saperla troppo depressa per uscire dalla sua
stanza.
Loro tre l’avevano accompagnata senza nemmeno pensarci. Come,
senza pensarci,
si erano fermate a dormire nella stanza della Grifondoro la notte
prima.
Non
avevano parlato molto di quanto era successo. Avevano raggiunto in
camera una
Meg sconvolta e arrabbiata, che aveva nascosto il viso tra i cuscini,
troppo
orgogliosa per mostrare le proprie lacrime. Le si era seduta accanto,
le aveva
passato una mano tra i capelli rossi, tirandoglieli indietro e aveva
fatto un
cenno a Rose. Era il loro segnale convenuto: una sorta di
“dai il via al racconto
di aneddoti stupidi e divertenti sulla tua assurda, gigantesca
famiglia”. Moira
aveva sorriso e si era seduta dall’altra parte di Meg con un
fazzoletto in
mano, pronta a fare aggiunte sarcastiche ovunque fossero possibili.
Si
andarono a sedere tutte e quattro al tavolo di Grifondoro, Rose e Moira
ai lati
con Meg al centro e Daria dall’altra parte della tavola di
fronte a
quest’ultima.
“Daria,
avanti facci un rapporto dettagliato sui pettegolezzi del giorno. Non
voglio
avere sorprese”.
La
ragazza annuì con un sorriso e si concentrò sul
vociare che la circondava.
“Uhm, interessante.” Commentò riportando
l’attenzione e lo sguardo sulle
ragazze sedute di fronte a lei. “Al ha mollato Viperanda
davanti a tutti, ieri.
Subito dopo che ce ne siamo andate. Pare che lei fosse estremamente
scioccata:
non ha nemmeno ribattuto, se n’è rimasta
lì a fissarlo incredula e senza
proferir parola”.
Rose
battè le mani e si agitò sulla sedia,
visibilmente entusiasta. “E bravo Albie!
Ahahah! Che peccato essersela persa! Una scena così
dev’essere stata epica!
Chissà che faccia avrà fatto quella
stronza!?”
“Una
estremamente sconvolta e scioccata. Dev’essere stato un bel
trauma: essere
mollata in malo modo dal ragazzo che credeva di star ingannando.
Poveeerina, quasi
quasi mi fa pena”. Il tono sarcastico e velenoso di Moira
così come il suo
sguardo platealmente soddisfatto, però, dicevano tutto il
contrario.
“Tra
l’altro”, fece Daria, proseguendo imperterrita
nell’analisi dei dati da lei
appena raccolti. “ la cosa gioca a nostro favore: mollandola
così
pubblicamente, mini-Potter ha fornito ai nostri compagni un ottimo
oggetto di
pettegolezzi, distogliendo l’attenzione da te”.
“Me
la sarei cavata comunque senza problemi, ma devo ammettere che mi sento
sollevata. Se non facesse Potter di cognome, forse, lo
ringrazierei”.
Daria
scosse il capo divertita, rinunciando, per il momento, a ribattere e
farle
superare i pregiudizi sui fratelli Potter.
“Buongiorno”.
Quando
parli del diavolo…
“Ehi
Al!” Rose battè una mano sul tavolo con un gran
fracasso e sollevò l’altra a
palmo aperto. “Batti il cinque!”
Il
ragazzo fissò prima la cugina e poi il suo palmo alzato,
perplesso. “A cosa
devo tutto questo entusiasmo?”
Rose
non abbassò la mano, ma fece una smorfia seccata alla
mancanza di trasporto da
parte dell’altro. “Hai mollato la Corner! Davanti a
tutti!”
Albus
scrollò le spalle, indifferente. “Se lo
meritava”.
Daria
annuì, ma precisò. “Vero, ma se lo
meritava anche un mese fa. Cos’è
cambiato?”
“Mi sono stufato.
Te l’avevo accennato no?”
Spiegò, sedendosi accanto a lei, mentre una Rose contrariata
abbassava la mano
e sibilava un “guastafeste”.
Ha
senso, eppure… ci sta che lui,
dopo un mese di far “buon viso a cattivo gioco”, ne
abbia avuto le tasche
piene, ma… c’è qualcosa che non mi
torna. Per quanto Viperanda sia una stronza
e possa meritarsi trattamenti ben peggiori, Al non è il tipo
da lasciare la sua
ragazza a quel modo: è troppo buono e gentile. A meno
che…
Era un’ipotesi un po’ azzardata, ma era
l’unica che le venisse in mente,
quindi..
-
Ehi, mini-Potter, l’hai fatto
apposta, vero? –
-
Che cosa? –
-
Mollare Viperanda! –
-
Certo che l’ho fatto apposta! Non
è che si può mollare qualcuno per sbaglio.
–
-
Intendevo che l’hai lasciata
davanti a tutti di proposito. Perché sapevi che
così lei si sarebbe ritrovata
al centro dei pettegolezzi, distogliendo l’attenzione da Meg.
Mi sbaglio? –
Il
Grifondoro smise di fingere interesse per la conversazione delle
ragazze di
fronte a lui e si voltò a guardarla , sorpreso. – Come l’hai capito? – Daria
ricambiò lo sguardo senza rispondere
perché la risposta era, a parer suo, davvero scontata, e lui
alzò gli occhi
verdi al soffitto incantato della sala. – Giusto,
tu e il tuo intuito. – Tornò a
guardarla e prese a spiegare con calma. – Glielo
dovevo. Voglio dire.. eravamo un po’
nella stessa barca, no? Solo che lei era messa peggio: a me di Amanda
non
importa e non importava, mentre la sua situazione con Davies era un
po’
diversa. Quindi ho pensato che, forse, potevo aiutarla. Considerando
quanto la
Waterfall sia famosa per il suo orgoglio ho creduto che avrebbe potuto
apprezzare l’avere un po’ meno pettegolezzi e
pettegoli con cui fare i conti. –
Daria
lo osservò decisamente impressionata. Sapeva che Al Potter
era proprio quel
genere di ragazzo. Quello che fa qualcosa di incredibilmente bello e
generoso,
mostrando una tale disinteressata attenzione da lasciare una ragazza
senza
fiato e ne parla come se fosse qualcosa di normale e assolutamente
naturale,
perché per lui lo è.
Lo sapeva, eppure
certe cose continuavano a colpirla profondamente.
Forse
perché, alla fine dei conti, faccio
fatica a tenere a mente che non sono la
sola ad avere il vizio di mettere sempre prima gli altri. Non ci sono
abituata.
In
ogni caso era una bella sensazione, una sensazione magnifica. La faceva
sentire
serena e leggera, una sorta di piacevole calore all’altezza
dello stomaco: era
fantastico. Quindi gli sorrise grata. – Grazie,
Al. Davvero. E Meg apprezza moltissimo la cosa, te lo garantisco. Solo
che..
non è tipo che ringrazia granché. –
Il
rumore di una forchetta che cadeva sul tavolo attirò la sua
attenzione e Daria,
sollevando lo sguardo si ritrovò a fissare gli occhi azzurri
di Rose,
spalancati e sorpresi. Si voltò di scatto per scoprire il
motivo di una simile
reazione. Ciò che vide sorprese anche lei: Scorpius Malfoy
stava entrando in
Sala Grande mano nella mano con Christine Baston.
“Oh
già” Fece Al che, come lei, si era voltato.
“È la novità della giornata: stanno
assieme”.
“E
da quando?”
“Da
ieri sera. È successo poco dopo che ve ne siete
andate”. Si passò una mano tra
i capelli, parendo vagamente confuso. “Non so”.
Fece, rispondendo all’occhiata
interrogativa della ragazza accanto a lui. “Non me
l’aspettavo. Avevo il
presentimento che a Chris piacesse Scorpius, ma lui non aveva mai dato
segno di
essere interessato”.
Poco
dopo che ce ne siamo andate vuol dire poco dopo aver baciato Rose.. che
boccino
sta succedendo? Sapeva del bacio perché le
condizioni in cui aveva trovato
Rose e Scorpius parlavano da sole, ma la rossa non le aveva detto
niente e lei
aveva scelto di non chiedere. Se la
riempissi di domande ora, l’unica cosa che otterrei sarebbe
farmi mandare a
qual paese. Aspetterò.
Daria
spostò il proprio sguardo sull’amica, preoccupata.
Rose era rimasta stranamente
rigida per qualche secondo, negli occhi uno sguardo confuso, arrabbiato
e anche
un po’.. ferito. Solo per qualche secondo però,
perché poi riprese il pieno
controllo sulle proprie espressioni e la maschera fredda e distaccata
che
indossava spesso tornò inesorabilmente sul suo viso.
“Avrà
capito che non può sperare di avere nulla di meglio che
quella sciacquetta. Si
meritano a vicenda, direi”.
Piuttosto,
io direi che ho buoni
motivi per iniziare a preoccuparmi, vero Rosie?
Sospirò
e riprese a concentrarsi.
Al
momento non c’è nulla che possa
fare per lei.. quindi.. tanto vale fare qualcosa per l’altra
rossa.
Aveva
notato che Davies non si vedeva in giro e voleva capirne la ragione.
Scoccò
un’occhiata a James e Fred qualche posto più
avanti e storse il naso: un’idea
sul motivo dell’assenza ce l’aveva.
….E
infatti…..
“Sembra
che Davies sia finito in infermeria. Dicono che ieri notte, mentre
tornava
dalla festa, sia stato picchiato a sangue e che poi qualcuno
l’abbia
affatturato pesantemente durante la notte. Ovviamente
l’occhio nero di Jam, il
labbro rotto di Scorp e la guancia tumefatta di Freddie non hanno nulla a che fare con
l’accaduto, vero?
Così come” Proseguì rivolgendosi
direttamente a due delle sue amiche. “il fatto
che voi due ieri siate sgattaiolate fuori di nascosto è solo una coincidenza, no?”
Rose
le rivolse un sorriso innocente e falso quanto l’oro dei
lepricani. “Ti pare
che noi potremmo mai fare una cosa simile?”
Moira
annuì. “Se avessimo saputo che lo avevano
già picchiato loro, avremmo usato
qualche fattura in meno”. Fece finta di pensarci un momento
poi aggiunse:
“Forse”.
Daria
alzò gli occhi al cielo, mentre Meg commentava.
“In infermeria, eh? Bel lavoro,
ragazze”.
“Oh
è stato un vero piacere,
Maggie”.
“Non
ne dubito”.
“Ce
una cosa che non capisco, però. Che motivo avevano Potter,
Weasley e Malfoy per
picchiare Ethan? Non che mi dispiaccia, sia chiaro”.
“Come
che motivo? Cioè Waterfall sei seria?”
Meg
gli lanciò un’occhiata sinceramente sorpresa.
“Perché non dovrei esserlo,
Potter? Come mai sei così sorpreso?”
Al
si voltò a guardare Daria, perplesso quasi a chiederle
“scherza vero?”, lei
scosse la testa e gli rivolse un piccolo sorriso.
“Cos’è
questa? Un’invasione di Serpeverde”.
Cos’hanno
questi Potter? Un gene
speciale che gli permette di comparire quando si parla di loro?
“Ciao
anche a te, Jam”. Rispose lei, fingendosi scocciata dal
mancato saluto.
Il
ragazzo sorrise e si sedette accanto a lei, dall’altra parte
rispetto al
fratello minore. “Scusa. Buongiorno splendore” Fece
schioccandole un sonoro
bacio sulla guancia. Lanciò uno dei suoi migliori sorrisi
stordenti e aggiunse:
“Rosie, Kirson”, poi si voltò, cambiando
espressione, il sempiterno sorriso si
incrinò appena e i suoi occhi si velarono di una
preoccupazione difficile da
decifrare per chiunque non lo conoscesse abbastanza.
“Waterfall, dormito bene?”
Rose
e Moira lo salutarono distrattamente, ciascuna presa dai propri
pensieri,
mentre Meg rimase in silenzio, rivolgendogli solo un vago cenno della
testa e
senza alzare gli occhi ambrati su di lui.
Daria
vide la preoccupazione prendere per un attimo il sopravvento sulle
espressioni
dell’amico, prima che il solito sorriso indifferente tornasse
a splendere sul
suo viso. “Come mai qui, fratellino?” Chiese,
notando solo in quel momento la
presenza di Al. “Non dovresti essere al tavolo di Corvonero
insieme alla tua
fantastica ragazza?”
“L’ha
mollata, Jam! Al ha mollato la stronza!” Fece Rose ritrovando
l’entusiasmo e
sperando, probabilmente, in una reazione più intensa di
quella avuta dal
diretto interessato.
“Davvero?
Finalmente anche tu inizi a fare cose sensate, fratellino! Sono
così fiero di
te! Bravo!” Allungò il braccio oltre Daria per
poter stringere la mano al
fratello. Poi, approfittando del contatto e posando una mano sulla
spalla della
ragazza, li strinse l’uno contro l’altra.
“Adesso continua sulla strada giusta,
continua a rendere orgoglioso il tuo fratellone, invita Daria ad
uscire,
forza!”
Lei
per niente sorpresa dal gesto gli tirò un pizzicotto sulla
gamba, abbastanza
forte da fargli mollare la presa, e continuò imperterrita a bere il suo tè.
“Comunque”,
proseguì James, massaggiandosi la parte lesa,
“quando è successo? E perché io
lo scopro solo ora? Da Rose, per di più! Dovevi dirmelo tu!
Subito, no anzi
prima ancora di farlo, cosicché io potessi essere presente e
godermi la scena!”
“È
successo ieri sera e te lo avrei anche detto prima se fossi riuscito a
trovarti”. Rispose Al, con tono un po’ seccato.
“Invece sei sparito. In realtà
siete spariti tutti, persino Dom, Lils, Fred e Hugo. A proposito
dov’eri finito?”
Jam
scrollò le spalle e rispose laconico “Avevo da
fare”.
Daria
nascose con la mano un sorrisetto molto
Serpeverde e si scambiò un’occhiata
d’intesa con Rose.
“Potter”,
si voltò di scatto a guardare Meg
che fissava James con un’espressione inquietantemente seria e
aveva sfoderato
la bacchetta.
Cioè
fatemi capire, non l’ha
degnato di uno sguardo da quando è arrivato e ora gli punta
la bacchetta
addosso? Ma che boccino hanno tutti quanti oggi?
Poteva
sentire il battito di James accelerare per la sorpresa e la
preoccupazione e
non le riusciva difficile immaginare i suoi pensieri.
Si
starà sicuramente chiedendo come
abbia fatto Meg a capire che ieri sera ci ha spiate per un bel pezzo.
Solo che
io sono sicura che Meg non ne sa assolutamente nulla. Altrimenti ora
starei
organizzando un funerale.
Poi
Meg mosse la bacchetta e mormorò una formula che non
conosceva. L’istante
dopo, il livido
sull’occhio di James era
sparito. Il ragazzo si portò una mano all’occhio,
esterrefatto, e lanciò alla
compagna un’occhiata decisamente confusa.
“Non
so per quale motivo tu l’abbia fatto e non mi interessa, ma
credo di doverti
ringraziare”. Lo sguardo di Meg era di nuovo ostinatamente
rivolto altrove e la
voce forzatamente fredda e distaccata, però lo stava
ringraziando e quella,
secondo lei, era una cosa decisamente positiva.
La
rossa, poi, si alzò da tavola e, senza un’altra
parola, si allontanò. Le tre
Serpeverde si affrettarono a seguirla e l’italiana si
lasciò scappare una
risata. Conosceva la Caposcuola abbastanza da sapere che se avesse
avuto anche
solo il minimo sospetto delle reali motivazioni di James avrebbe avuto
una
reazione completamente opposta. Forse l’avrebbe affatturato
in modo grave e
spedito in Infermeria a tenere compagnia alla sua vittima, giusto per
dimostrargli di essere perfettamente in grado di difendersi da sola. In
ogni
caso restava il fatto che Margaret Waterfall, colei che non
ringrazierebbe
nemmeno sotto Cruciatus, aveva appena ringraziato James Potter.
Ripeto:
ma che boccino hanno tutti,
oggi?
Mentre
uscivano dalla Sala Grande incrociarono un paio di ragazzi di Corvonero
del
settimo anno. Aveva un’aria abbastanza malconcia e Daria
represse a stento
un’altra risata.
“Ma
quelli non erano gli amici di Davies?” Chiese Moira,
perplessa.
“Già..
ed erano pieni di lividi..”
“E
menomale aggiungerei!” Tutte e tre le sue amiche si voltarono
a guardarla, la
stessa espressione stupita in viso. “Che
c’è?”
“Tu”
Iniziò Rose lentamente, “sei contenta che
mostrassero chiaramente i segni
dell’aver partecipato molto recentemente ad una
rissa?”
“Certo.”
Fece lei, tranquilla riprendendo a camminare. “Vuol dire che
quando Jam e gli
altri hanno pestato Davies c’erano anche loro”.
“E
la cosa ti rende felice..” Rose la afferrò per un
braccio e le mise una mano
sulla fronte. “Niente febbre, strano”.
“Io
direi di portarla comunque da Madama Lones. Non si sa mai”.
Daria
scrollò via la mano dell’amica, ancora sulla sua
spalla. “Più che felice sono
sollevata. Se James, Scorpius e Fred avessero riportato dei lividi dopo
un tre
contro uno sarei stata costretta a disconoscerli come miei
amici”.
***
***
Nascose
uno sbadiglio col dorso della mano e si sistemò meglio la
Firebolt sotto al
braccio. Era davvero esausta. La notte precedente aveva dormito
pochissimo per
tenere compagnia a Meg, prima, e andare ad affatturarne
l’ex-ragazzo, poi.
Lei
e Daria stavano arrancando, stanchissime, su per il parco, di ritorno
al
castello dopo un massacrante allenamento. Alla prima partita della
stagione,
Grifondoro contro Serpeverde, mancava una sola settimana e Dave stava
dando
prova di una notevole isteria.
Capisco
che sia in ansia perché è la sua
prima partita come capitano, ma questo non lo giustifica né
a metterci due
allenamenti al giorno, né, soprattutto, a farci sudare come
animali.
“Non
è che hai qualche pozione rilassante nelle tue scorte, eh
italiana? No perché
Dave ne ha davvero un disperato
bisogno”.
L’altra
scosse la testa, ma non rispose. Faceva così da dopo
colazione: era distratta e
partecipava poco alle conversazioni. Sembrava assorta in
chissà quali
impegnativi pensieri. Rose
sentì un
brivido scenderle lungo la schiena: quando Daria si comportava in quel
modo non
era mai un buon segno.
Il
più delle volte ne veniva fuori che stava partorendo una
qualche teoria
assurda, che, però, a lei sembrava assolutamente sensata.
Oppure, ipotesi
ancora peggiore, stava analizzando una situazione, a suo personalissimo
avviso,
altamente preoccupante e architettando una soluzione geniale, sempre e
solo
secondo lei.
E
al momento l’unica situazione
problematica a cui cercare una soluzione mi sa che è proprio
la mia.
Anche
se, in realtà, lei
trovava che ci non
fosse proprio nulla di problematico nella sua situazione. Nulla di
problematico, nulla di preoccupante, nulla di cui discutere. Assolutamente nulla.
“Sai
Rose credo proprio che tu abbia ragione”.
Lei
si voltò a guardare l’amica, confusa.
“Eh?”
“A
non volerti innamorare, intendo. Amare è pericoloso. Prendi
Meg e Moira: una
ridotta ad uno straccio perché stava con uno stronzo,
l’altra distrutta perché
non corrisposta. Mi sono resa conto che amare vuol dire, soprattutto,
essere
completamente disarmati e vulnerabili, in balìa
dell’altra persona, che ha un
potere totale su di te e può condizionarti. La gioia, il
dolore, la rabbia,
l’euforia, la tristezza.. tutte le tue emozioni
più intense dipendono
all’improvviso solo da un’altra persona. Tu
dipendi completamente da un’altra persona”. Daria,
che fino a quel momento
aveva lasciato vagare il suo sguardo e continuato a camminare, si
fermò e si
voltò verso di lei, rimasta un paio di passi indietro.
“Non permetterò mai a
nessuno di avere un simile potere su
di me. Mai”. E suonava
tanto come una
promessa.
La
osservò per un po’, sorpresa. Non si aspettava un
simile ragionamento da lei,
non con tutti i romanzi romantici che l’italiana divorava in
continuazione.
Eppure eccola lì a dire cose che, ne era certa, non erano
frutto di un istinto
momentaneo. Era abbastanza sicura che fossero quelli i pensieri che le
avevano
occupato la mente per tutta la giornata e che ne aveva parlato con lei
solo
perché credeva davvero nelle conclusioni a cui era giunta. “È a
questo che hai pensato finora?”
L’altra
annuì, tornando a guardare il paesaggio umido che le
circondava, e Rose sospirò
di sollievo.
Vuol
dire che posso stare tranquilla,
senza dovermi guardare da ramanzine “risolutive” o
sguardi preoccupati.
“Non
ci avevo mai pensato prima, ma quello che è successo ieri mi
ha aperto gli
occhi. L’amore ha sicuramente molti aspetti positivi, non lo
metto in dubbio,
ma, a mio avviso, ha soprattutto un’enorme difetto: rende
vulnerabili e
dipendenti da qualcun altro”. Gli occhi blu si posarono di
nuovo sui suoi e la
castana le rivolse un sorriso. “Inutile dire che la cosa non
mi piace nemmeno
un po’”.
Rose
rispose al sorriso e annuì. Quella
era
una cosa di cui lei era sempre stata convinta. “Su questo mi
trovi
assolutamente d’accordo. Io l’ho sempre pensata
così e non ho mai avuto la
benché minima intenzione di cadere in
quell’incredibile trappola che la gente
chiama amore.” Fece un paio di passi, raggiungendo
l’altra e proseguì: “Mai
avuto il minimo problema: l’amore richiede fiducia e io non
mi fido di nessuno,
quindi va da sé che non posso innamorarmi, no?”
Daria annuì alle sue parole,
convinta.
Rose
non ne era poi così stupita, non più almeno: in
realtà non era così raro che
loro due fossero d’accordo su simili argomenti. Sebbene non
ai suoi livelli,
nemmeno l’altra era tipo da concedere la sua fiducia troppo
facilmente. Anzi,
sembrava fin troppo abituata alla falsità e
vacuità della gran parte dei
rapporti umani.
Nonostante
questo, però, si affeziona
abbastanza facilmente e molto in fretta. Quando vuole bene a qualcuno
non ha
mezze misure e questo un po’ mi preoccupa.
“Come
pensi di fare, tu?” Chiese, infatti. “Per me
è facile, ma non so quanto lo sarà
per te. Sei troppo buona”.
Lei
scosse la testa, facendo ondeggiare un paio di ciocche ricce sfuggite
alla sua
treccia bassa. “Non penso che avrò tutti questi
problemi, sai? Capisco troppo
bene gli altri, è così difficile colpirmi o
sorprendermi. Persino attirare la
mia attenzione, non è facile”.
Le
afferrò un mano fredda e iniziò a camminare verso
il castello. “Te lo ricordi
Paolo?”
Rose
si scostò, con la mano libera, i capelli color fuoco che il
freddo vento di
novembre continuava a sbatterle sul viso e annuì con una
smorfia: come poteva
non farlo? Era il bastardo per cui la sua amica si era presa una cotta
qualche
tempo prima. Quello che aveva rischiato di farla soffrire.
Cosa
che non è successa solo perché, a
quanto pare e per fortuna, avevamo sopravvalutato i sentimenti di
Daria. Ma
resta il fatto che ci è andato vicino e che lo odio per
questo.
“Certo
che me lo ricordo! Ha ancora l’uso di entrambe le gambe solo
perché non eri
davvero coinvolta. Se tu avessi versato anche solo una lacrima per
colpa sua,
adesso girerebbe in sedia a rotelle”.
L’altra
sorrise e la tirò leggermente per la mano, facendo scontrare
le loro spalle.
“Lo so Rosie: lo ripeti ogni volta che viene nominato. Comunque è
proprio questo il punto: non ero
coinvolta. Lui era il tipo giusto per me, fatto quasi su misura e io
non
provavo nulla di profondo”.
“Fatto
su misura?! Ora non esagerare. È uno stronzo”.
“Era
il ragazzo adatto a me, lo sai. Avevamo interessi simili con opinioni
abbastanza diverse per dare luogo a discussioni stimolanti, conosceva
un sacco
di lingue straniere e persino le sue eredità erano
complementari alle mie.
Giusto per me, anche per un mare di altre ragioni, lo sai”.
Già,
la famiglia. Mpf!
Lei
sbuffò. “Complementari una pluffa! Solo
perché poteva percepire, vagamente, le
menti altrui. Non leggerle o trasmettervi i propri pensieri, solo
percepirle e
pure male!”
Daria
scossa ancora la testa e alzò gli occhi al cielo.
“Su questo non saremo mai
d’accordo, vero Rosie?”
“Mai”.
Concordò lei, ostinatamente.
L’altra
sospirò e tornò a guardarla. “Comunque
lascia che ti spieghi la mia teoria: se
non mi sono innamorata di lui e se in sedici anni non mi sono mai
innamorata di
nessuno, allora, forse, sono davvero immune a certi sentimenti. E anche
se così
non fosse, se in sedici anni non ho mai avuto questo genere di
problemi, non
vedo perché dovrei averne proprio ora che ho deciso,
coscientemente, di voler
stare il più lontano possibile
dall’amore”.
“Non
fa una piega”. Disse annuendo convinta. Quel ragionamento, a
parer suo, era
assolutamente sensato.
Se
non è successo prima, quando lei non
aveva nulla in contrario, perché dovrebbe accadere ora?
Senza
contare che quella presa di posizione la tranquillizzava moltissimo:
ora poteva
smettere di domandarsi cosa avrebbe fatto se quella da consolare la
notte prima
non fosse stata Meg, ma Daria.
Dopo
quel discorso anche l’altra sembrava più
tranquilla, come se si fosse tolta un
peso. Perciò oltrepassarono il portone d’ingresso
parlando si argomenti
decisamente più leggeri.
Rose
guardò con sconforto la prima delle tante rampe di scale,
che le avrebbero
portate al dormitorio dei Caposcuola. “Ti ho mai detto quanto
sono grata del
fatto che il nostro dormitorio stia nei sotterranei?”
L’altra,
in evidente sintonia coi suoi pensieri, rispose: “No, e io ti
ho mai detto
quanto invidio i babbani e i loro ascensori?”
“Andiamo,
va’. Queste scale non si saliranno da sole!” Fece
iniziando a tirare l’amica su
per la prima rampa.
“Hai
ragione!” Esclamò lei, lasciandosi trascinare.
“Invidio anche le loro scale
mobili!”
“Ma
davvero? Ai purosangue è consentito invidiare i
babbani?”
“Se
sono più intelligenti che ci posso fare?”
Ridacchiarono entrambe, poi Daria
esclamò: “Ehi, Rose, guarda chi
c’è: mini-Potter!”
Effettivamente
Al stava camminando nella loro direzione, in divisa da Quidditch e con
la scopa
in spalla.
Si
scambiarono un’occhiata complice e, appena gli furono
abbastanza vicine,
urlarono in
coro:
“Ciao Al!”
Il
ragazzo scosse la testa con un sorriso rassegnato, quasi se lo fosse
decisamente aspettato. “Cos’è? Sperate
di assordarmi per non farmi partecipare
alla partita e avere una minima chance di vittoria?”
Rose
sbuffò e ribbatté immediatamente. “Ma
fammi il piacere! Come se avessimo
bisogno di simili mezzucci! Possiamo battervi ad occhi
chiusi”.
“Esatto!
Ricordami, mini-Potter, chi l’ha preso il boccino
l’anno scorso?”
Al
la fulminò con un occhiataccia, orgoglioso come sempre e
ritorse, senza vera
malizia: “E l’anno prima? Chi l’ha preso,
De Lupo?”
Rose
decise che quella discussione su chi aveva preso più volte
il boccino doveva
chiudersi all’istante. L’altra opzione era che i
due cercatori andassero avanti
fino all’alba del giorno successivo e non le pareva proprio
il caso. Così posò
una mano sulla spalla di Al e una su quella di Daria e riassunse, con
tono
pacato, l’esito di quattro anni di partite.
“L’avete preso due volte per uno,
lo sappiamo. Siete in parità”.
“Ancora
per poco”. Specificò Al, gli occhi ridotti a due
fessure.
“Puoi
scommetterci, mini-Potter”. Rispose l’altra con la
voce ridotta a un sibilo.
Vedendoli
così presi dalla loro rivalità agonistica, Rose
non ebbe cuore di ricordargli
che, essendo quella la loro quinta partita, era ovvio,
scontanto e inevitabile che non sarebbero più
stati in
parità e che quindi, come minaccia, era un po’
vana.
Solo
un po’, eh.
“Ti
ho detto un milione di volte di non chiamarmi
così!” Borbottò Al, mettendo su
un buffissimo broncio da bambino contrariato. “è
irritante”.
“Al
contrario. Io direi che è divertente”.
“Non
lo è per niente! Questa cosa del mini, mi sminuisce come
maschio. Fa pensare ad
un orsacchiotto di peluche”.
“Sminuirti
come maschio? Mpf! Cosa c’è da sminuire scusa? E
poi tu lo sei. Tenero e dolce
come un peluche, intendo. Quindi non vedo dove sia il
problema”.
Albus
arrossì violentemente all’affermazione della De
Lupo e ribatté, imbarazzatissimo
“Smettila con questa storia del peluche! Sono un ragazzo io,
non un bambino di
cinque anni! Non sono tenero e dolce, capito?” Poi Al
incrociò lo sguardo
palesemente divertito della cugina e le scoccò
un’occhiata contrariata. “E tu
non osare ridere!”
“Chi?
Io? Non oserei maaai, lo sai”. Rispose ironica, convincendo
il cugino a
lanciarle un’altra occhiataccia. Appena si fu voltato per
redarguire Daria, che
stava ridacchiando indisturbata, Rose lasciò libero il
sorrisetto malizioso che
aveva mal trattenuto fino a quel momento. Starsene beatamente
appoggiata al
muro e osservare il suo cugino preferito venire messo impietosamente in
imbarazzo da quella che era, per quanto ne sapeva lei,
l’unica ragazza che il
Grifondoro considerasse attraente le stava decisamente risollevando la
giornata
e l’umore.
“Non
vedo perché dovresti sentirti in imbarazzo”, stava
dicendo Daria, mentre Al
tentava disperatamente di tenersela lontana perché lei non
potesse mettersi a
scompigliarli i capelli o fargli pat-pat sulla testa. “Non
c’è nulla di cui
vergognarsi nell’essere dolci e teneri, orsacchiotto. Vero,
Rosie?”
Lei,
incurante dell’occhiata ammonitrice prontamente lanciatale
del cugino, annuì e
allargò il ghigno. “Assolutamente nulla”.
Albus,
con entrambe le mani sulle spalle di Daria per tenerla a distanza,
emise una
specie di gemito sconfitto e sospirò. “Non ti ci
mettere anche tu, Rose ti
prego. Questa pazza basta e avanza”. Poi si voltò,
verso la pazza in questione,
che, infastidita, dall’aggettivo gli aveva tirato un
pizzicotto sul braccio.
“Daria, smettila, per favore. Immagina cosa direbbe James se
scoprisse che mi
chiami “orsacchiotto”?”
L’ultima
parola fu sputata con tono piuttosto disgustato.
Rose,
ignorando bellamente la preghiera che le era appena stata rivolta,
infierì con
tono malefico. “Preoccupato che la tua virilità
venga messa in discussione,
cuginetto?”
Lui
fece una smorfia, ma ribatté con tono stanco.
“Più che altro mi atterrisce
pensare a quali idee malsane potrebbe farsi venire in mente
quell’idiota”.
Daria,
all’ultima frase del moro, lo lasciò andare,
smettendo di importunarlo seduta
stante. “Prospettiva agghiacciante”
Asserì, rabbrividendo visibilmente. “Niente
più “orsacchiotto” per te, mi
dispiace”.
“Sono
terribilmente addolorato, ma credo proprio che me ne farò
una ragione”. Sorrise
smagliante e si piegò per raccogliere le scope, la propria e
quella dell’amica,
cadute durante l’ “assalto” della ragazza.
L’italiana
si aprì in un sorriso smagliante e un po’
canzonatorio e si affrettò a
“rassicurarlo”. “Non ti preoccupare,
posso ancora chiamarti mini-Potter!”
Lui
fece una smorfia di dolore e lanciò uno sguardo pieno di
desiderio alle scale
dietro di loro. “Ci avrei scommesso la scopa. Ora scusatemi,
ma devo
assolutamente andare, o farò tardi agli
allenamenti”.
Rose,
impietosita, si spostò per farlo passare e tirò
di lato anche l’amica. “Ci si
vede a cena, cugino”.
“Buon
allenamento, Al”.
Albus
le salutò con un sorriso e un cenno della mano.
L’attimo dopo era già svanito
dietro l’angolo.
“Non
trovi che la sua fretta fosse un po’ insensata?
Cioè, il suo capitano è James!”
“Più
che altro, io credo stesse scappando da noi, italiana”.
“Dici?”
“Dico,
dico”.
***
***
Se
ne stava con la schiena appoggiata al muro e gli occhi blu incollati
alla porta
chiusa di fronte a lei, la borsa stracolma di libri abbandonata tra le
sue
gambe leggermente divaricate. Era in attesa.
La
porta si aprì con un cigolio e ne uscirono alcuni ragazzi
del settimo anno.
Salutò con un cenno del capo un paio di ragazzi della sua
casa e fulminò con lo
sguardo il compatto gruppetto di Corvonero.
Staccò
la schiena dal muro e si chinò a raccogliere la borsa
pesante, solo quando vide
uscire una coppia di studenti col cravattino rosso-oro. James stava
chiacchierando a ruota libera e la ragazza accanto a lui stranamente
sorrideva.
“Jam,
Meg”.
“La
mia Serpeverde preferita! Mi sei mancata!” Esclamò
il ragazzo moro tirandosela
contro per avvolgerla in un abbraccio spacca-ossa.
“Ci
siamo visti ieri sera”. Obbiettò lei districandosi
dalla presa micidiale
dell’amico.
“Appunto!
È da ieri sera che non ti vedo! Non sei venuta a
colazione!”
“Sbagliato”.
Lo corresse Meg, continuando, però, a sembrare divertita.
“Lei a colazione
c’era. Sei tu che sei arrivato in ritardo, Potter”.
Il
ragazzo assunse un aria oltraggiata e incrociò le braccia
davanti al petto,
scoccando all’amica un’occhiata di puro biasimo.
“C’eri e non mi hai aspettato
per salutarmi?”
Daria
alzò gli occhi al cielo, esasperata. Quante volte avevano
già fatto quella
conversazione? “Non ho intenzione di rovinare il mio record
di puntualità solo
per salutare un ritardatario come te
tutte le mattine, visto che, comunque, ci vediamo tutti i
giorni a
pranzo”.
James,
saltando come al solito di palo in frasca, le lanciò
un’occhiata confusa e
chiese: “Il record di puntualità?” Poi
si voltò verso la collega e continuò.
“Credevo lo detenessi tu!”
Meg
lo fulminò con lo sguardo, tornando improvvisamente seria.
“ E così era fino
all’anno scorso, quando un deficiente a caso mi ha fatto
arrivare in ritardo un
milione di volte per via dei suoi scherzi idioti”.
È
così tutte le sante volte. Vanno
d’accordo senza problemi e Meg sembra anche divertirsi, poi,
all’improvviso
realizza con chi sta parlando e diventa scontrosa.
Jam
si passò una mano tra i capelli, evidentemente in imbarazzo.
“Ehm.. ecco..
io..”
“Quasi
dimenticavo! Ho visto Fred poco fa, ti stava cercando Marmellata.
Faresti meglio ad andare da lui”.
“Ok
grazie. Allora… io vado. A dopo!” Potter le
sorrise grato e si dileguò.
Daria
emise un lungo sospiro e lanciò un’occhiata
all’amica ancora intenta a fissare
la schiena di James in rapido allontanamento.
Questa
situazione va risolta. Meg
deve capire che divertirsi in compagnia di James non vuol dire essere
impazzita
e lui deve imparare che ci sono cose che farebbe meglio a non dire se
vuole
sopravvivere.
“Possiamo
fare un salto in bagno, prima di andare a pranzo?”
L’altra
annuì, ancora assorta nei propri pensieri.
“Certo”.
Il
bagno delle ragazze era, come al solito, pienissimo e furono costrette
a fermarsi
appena entrate. Un gruppetto di ragazze intralciava loro la strada.
“Scusate,
dovrei passare”.
Una
di loro, una Grifondoro del suo stesso anno si voltò verso
di loro. Le squadrò
dall’alto in basso e sulle sue labbra comparve un ghignetto
di superiorità.
“Toh, guardate qui chi c’è! La nostra
Caposcuola e la straniera!”
Daria
rispose al ghigno lasciandosi scivolare sulle labbra un bel sorriso,
negli
occhi una punta di ironia. “Grazie davvero! Mi stavo per
dimenticare chi sono,
meno male che me l’hai ricordato tu”.
La
Grifondoro – Daria proprio non ricordava come si chiamasse
– storse il suo bel
nasino incipriato. “Vedi di darti meno arie, De Lupo. Ti
credi chissà chi solo
perché Jamie ti ha portata al ballo”.
Oh
Zeus, ancora con questa storia?
Sinceramente inizia a stancarmi.
“Già!”
Intervenne un’altra ragazza dello stesso gruppo.
“Lui l’ha fatto solo per
pietà. Non montarti la testa. Una come te non è
alla sua altezza né lo sarà
mai!”
“Sei
un’approfittatrice, interessata a lui solo per..”
“..
i soldi e la fama! Sono una persona orribile!” Concluse lei,
sorprendendo le
ragazze che la fronteggiavano. “ Oh, Maggie guarda: sembrano
sconvolte. Dici
che ho sbagliato la battuta?”
Il
volto della rossa si aprì in un sorrisetto malandrino,
quando commentò: “Forse
dovevi dire “le ricchezze e il buon nome della sua famiglia!
Sono una ragazza
disgustosa!”
“Dici?
Secondo me così è troppo..”
“Piantatela
di prenderci in giro!” Urlò la Grifondoro-di cui
non ricordava il nome, la
prima ad essersi ripresa. Era paonazza in viso ed era evidente stesse
per avere
un attacco di isteria. Daria, che alla fine dei conti era una persona
gentile,
decise che poteva risparmiarglielo.
“Sentite,
lo ripeterò per l’ultima volta. Non. Sono.
Interessata. A. James. Potter.” Fece,
scandendo bene ogni parola. Voleva essere certa che il concetto
entrasse in
quelle loro zucche vuote una volta per tutte. “Siamo amici.
A-M-I-C-I. Lui non mi piace e non me ne frega niente né
della sua fama, né dei suoi soldi. Anzi,
tra me e Jam quella ricca sono io. Quindi, semmai, sarebbe
più plausibile il
contrario”. Senza
aggiungere altro,
oltrepassò il gruppetto di ragazze ancora scioccate dal suo
discorso e si
diresse finalmente in bagno.
Appena
uscite, mollò la borsa a terra e si accasciò
contro un muro, sospirando
esausta. “Sono davvero, davvero stanca. Non ne posso
più di tutta questa
storia. È così difficile capire che io e Jamie
siamo solo amici? Cioè se non è
successo nulla in tutti questi anni di amicizia quasi simbiotica, direi
che
potrebbero anche piantarla di preoccuparsi e prendersela con
me”.
Per
esempio, avrebbe più senso se
se la prendessero con te. Quantomeno tu sei una potenziale minaccia.
Anche se,
a dir la verità, sarebbe tempo
sprecato
in ogni caso: Jam non le degnerebbe comunque nemmeno di
un’occhiata.
“Questo
non è completamente vero, D”.
“Eh?”
Alzò lo sguardo sull’amica, trovandosela di
fronte, alla sua stessa altezza.
Meg si era accucciata, con le ginocchia chiuse piegate, una mano
appoggiata a
terra a sostenere il suo peso, mentre con l’altra tormentava
l’orlo della
gonna. Il suo linguaggio del corpo parlava da sé: Meg era
sulle spine, a
disagio.
“Il
tuo primo bacio. Te l’ha dato James Potter”.
Spiegò, distogliendo lo sguardo e
lasciando che le sue parole si depositassero tra di loro. Poi,
imbarazzata,
aggiunse: “Cioè.. non che mi interessi.. ecco..
l’aveva detto Rose ad Hogsmeade
e..”
E
tu hai continuato a pensarci,
Maggie?
“Jam
è estremamente geloso e protettivo nei confronti di tutte le
persone che gli
sono care. Non riesce nemmeno a concepire l’idea che qualcuno
possa farci del
male” Spiegò, pratica. “In
più ha una sorta di talento innato per farsi venire
idee assurde e malsane”.
“E
questo cosa c’entra, scusa?” La rossa continuava a
non guardarla, impedendole
di decifrarne le espressioni, ma dal tono secco sembrava abbastanza
irritata.
Che fosse irritata con lei perché stava prendendo la
questione alla larga o con
se stessa per averla tirata fuori, la questione, Daria proprio non
sapeva
dirlo.
“Tutto,
Maggie, c’entra tutto. Il mio primo bacio è stato
merito di uno dei suoi
discutibilissimi colpi di genio e ti assicuro che non ha mai
significato nulla
per nessuno dei due”. Le lanciò
un’occhiata valutativa, aspettando una risposta
che non venne.
Se
non me lo chiede lei, lo
proporrò io. D’altra parte è quello che
so fare meglio, capire le richieste non
espresse degli altri.
“Se
vuoi posso mostrarti com’è andata”.
L’altra
scosse il capo, tenendo ostinatamente lo sguardo rivolto altrove. “Non mi interessa,
davvero”.
Sì
certo e dovrei crederti? In ogni
caso non mi va di diventare oggetto di insensata gelosia in futuro,
quindi..
“Però
ci terrei a mostrarti, posso?” Chiese, con un sorriso gentile
La
Grifondoro scrollò le spalle, con simulata indifferenza.
“Se proprio devi”.
“Jam
non c’era bisogno che mi
venissi a prendere, te l’avevo già detto.
È stata solo una banale influenza”.
Daria era appena uscita dall’infermeria dopo una settimana
passata lì dentro e
aveva trovato James
fuori dalla porta ad
aspettarla.
“So
che te la cavi da sola e non
hai bisogno d’aiuto, tranquilla”. Rispose lui,
blandendola con un sorriso e una
carezza tra i ricci castani. “Infatti sono qui per
un’altra ragione… Oggi,
sentendo parlare alcune ragazze, ho scoperto una cosa e..”
“E?”
Gli chiese alzando il viso per
guardarlo negli occhi color cioccolato.
“E
c’è una cosa che devo fare”.
Gli
lanciò un’occhiata confusa, ma
non fece in tempo ad esplicitare la domanda a voce, perché
si trovò
all’improvviso le labbra occupate.
La
stava baciando. Il suo primo
bacio.
Non
era niente di che: Jam aveva
solo appoggiato le proprie labbra chiuse sulle sue, ma comunque non
accennava a
staccarsi.
Daria,
dunque, trovò opportuno
pestargli un piede con forza, per obbligarlo ad allontanarsi, e
incrociare le
braccia al petto, in attesa di una valida spiegazione. Non
andò nel panico,
colta dall’improvviso terrore che l’amico nutrisse
per lei sentimenti diversi
dall’amicizia. Semplicemente sapeva che non era possibile.
Se
provasse qualcosa per me, me l’avrebbe fatto capire da un
pezzo e non mi
avrebbe baciata a quel modo, come bambini dell’asilo, mi
sarebbe saltato
addosso.
Quindi
si limitò a lanciargli
un’occhiata oltraggiata – quello che le aveva
rubato restava comunque il suo
primo bacio – e a chiedergli con tono secco:
“Allora? Che significa?”
Lui
le sorrise smagliante,
l’immagine perfetta e falsa dell’innocenza.
“Ho scoperto che voi ragazze date
molto peso al primo bacio. Sarebbe potuto capitare con chiunque, con
qualcuno
che potrebbe farti soffrire”. Fece una smorfia a
metà tra l’oltraggiato e
l’arrabbiato, come se la sola idea fosse per lui
intollerabile. “È stato molto
meglio che a dartelo sia stato io, no?”
“No!”
Obbiettò lei, dandogli uno
spintone, con gli occhi lucidi d’indignazione e rimpianto.
“Insomma James! Era
il mio primo bacio! Ridammelo! Lo rivoglio indietro!”
Meg,
che finalmente era tornata a guardarla, le rivolse
un’occhiata piena di
profonda comprensione e solidarietà.
Situazione
familiare, vero Maggie?
“Quando
è successo?” Tra tutti i modi in cui la rossa
poteva interrompere il suo
imbarazzatissimo silenzio – non era esattamente un ricordo
che adorava condividere, lo trovava
piuttosto imbarazzante e mortificante – quello era proprio
l’ultimo che si
aspettava.
La
trovava una domanda abbastanza insensata, richiesta di un dettaglio
decisamente
irrilevante. Non la capiva, ma rispondere non le costava nulla quindi..
“Al mio
terzo anno”.
L’altra
annuì senza grossa partecipazione, quasi indifferente, come
se non fosse stata
lei a chiederglielo nemmeno un minuto prima. E davvero Daria non
capiva.
Le
capitava spesso ultimamente di non riuscire a capire e non si riferiva
solo
alla ragazza che aveva di fronte. Era strano proprio perché
le accadeva un po’
con tutti, indiscriminatamente.
Che
poi Meg sia un caso di
incomprensibilità acuta resta un dato di fatto puro e
semplice.
“Potter
è un deficiente”. Le disse poi, mostrando una
notevole empatia. Quello sì che
era il tipo di reazione che si aspettava da lei.
Quindi
sorrise dolce e pronta a mettere in buona luce l’amico,
perché se l’aspettava e
sapeva come reagire, era preparata. “Verissimo.
Però ha anche un gran cuore,
sai? Quando si è reso conto di aver fatto una cazzata,
c’è rimasto malissimo e
mi ha chiesto scusa un milione di volte. Era davvero
mortificato”.
“Tipico
di Potter. Prima fa, poi pensa”. Sentenziò
l’altra asciutta, ma con l’ombra di
un sorriso sulle labbra.
***
***
Era
una scena buffa vedere la figura contrariata, alta e scura di Dave
Zabini
avvicinarsi recalcitrante al tavolo di Serpeverde seguito da
vicinissimo da
quella risoluta, minuta e pallida di Moira Kirson.
“Ho
delle cose da fare, Mo! Te l’ho detto un milione di volte.
Non ho tempo da perdere
mangiando. Alla partita manca pochissimo”.
Rose
trovava notevole la naturalezza con cui Dave, pur essendo innamorato di
lei, si
comportava in sua presenza. Così diversa dal comportamento
un po’ impacciato di
As con Daria o dall’atteggiamento da sbruffone buffone che
suo cugino aveva
tenuto a lungo con Meg. Supponeva avesse molto
a che fare col fatto che, prima di tutto, loro era amici e lo erano da
un sacco
di tempo.
“Alla
partita ci arriverai su un lettino dell’infermeria, se
continui a rifiutarti di
mangiare”. Lo riprese Moira, lapidaria e pragmatica come
sempre.
Dave
infilzò una salsiccia con veemenza, quasi fosse tutta colpa
sua. “Devo
escogitare nuovi schemi e strategie. La squadra di Grifondoro
è…”
“Molto
forte. Al vostro stesso livello e sarà una partita
impegnativa”. Concluse la
mora, suscitando l’irritazione dell’amico.
“Ed è una perdita di tempo, Dave.
Tanto dipende unicamente da chi tra Daria e Al prenderà per
primo quella
benedetta pallina dorata”.
Rose,
all’espressione terribilmente scioccata del ragazzo, non
poté fare a meno di
lasciarsi scappare una risata. “Credo che tu stia solo
peggiorando le cose,
Mo”. Un grugnito proveniente dalla montagna immusonita, che
una volta
rispondeva al nome di Dave, le diede ragione. Scoccò
all’altra un bel sorriso
soddisfatto e vittorioso. “Visto?”
Moira
scosse il capo, facendo ondeggiare i capelli scuri. “Davvero
non riesco a
capire cosa ci troviate in quella sottospecie di sport. Rischiare
l’osso del
collo su una scopa volante, schivando palle impazzite che fanno di
tutto per
disarcionarti. Cosa c’è di divertente?”
Dave
si risollevò per rispondere, entusiasmato probabilmente
dalla possibilità di
far cambiare idea all’amica. “Un sacco si cose!
Il..”
“Dave”.
Lo interruppe impietosa la mora. “Era una domanda retorica.
Non lo stavo
chiedendo davvero. Riprendi a
mangiare, su”.
L’occhiataccia
e la probabilissima serie di proteste del ragazzo, le furono
risparmiate
dall’arrivo trafelato di una Daria col fiato corto e una
strana espressione in
viso.
“Italiana,
tutto bene?”
“Sì,
sì certo. Ero in biblioteca a fare una ricerca e non mi sono
resa conto
dell’ora”.
Una
ricerca? Daria?
Rose
la osservò con attenzione mentre si sedeva a tavola e
cominciava a servirsi da
mangiare. Quell’aria strana, perennemente a metà
tra l’assorto e il preoccupato,
costellata da frequenti scatti di stizza… era da un
po’ che la vedeva addosso
all’amica.
Da
più di un mese, credo.
Decise,
quindi, di essere più che legittimata a preoccuparsi.
Daria
alzò lo sguardo notando così il suo. Scosse il
capo e abbozzò un leggero
sorriso. “Davvero Rose sono solo pensieri e..”
“E?”
“E
un brutto presentimento”. Rispose l’altra cauta.
Rose,
allora, decise di essere decisamente molto
legittimata a preoccuparsi. Perché, come diceva sempre
Moira, l’istinto di
Daria non sbagliava praticamente mai.
***
***
Il
vento freddo le fischiava nelle orecchie e frustava il viso, mentre la
pioggia
fitta e incessante rendeva scivoloso il manico della scopa e le
ostacolava la
visuale.
Erano
in casi come quello che Daria ringraziava tutti gli dei del Pantheon
per averle
fatto dono di un buon equilibrio e riflessi pronti.
La
partita era iniziata da quasi un’ora e mezza e né
lei né Al avevano ancora
intravisto il boccino. Con quella pioggia si stava rivelando
estremamente
difficile persino vedere i suoi compagni.
Poi
i suoi occhi scorsero, vicino alla porta di Rose, un bagliore dorato.
Schizzò
in quella direzione, tenendo lo sguardo ben incollato sulla minuscola
pallina
alata. Un attimo dopo sentì qualcosa sfiorarle una spalla:
Al. Erano pari.
Volavano a tutta velocità verso l’alto, sopra alla
porta di Serpeverde.
C’era
quasi. Il boccino era a meno di un metro da lei, mentre il Grifondoro
era
qualche centimetro più indietro. Allungò il
braccio sinistro, reggendosi alla
scopa con una mano sola. Stese le dita, ancora un pochino…
solo un altro po’..
fino a sfiorare la superficie metallica del boccino…
Nello
stesso istante in cui le sue
dita gelate si chiudevano sulla pallina dorata, la scopa che volava
accanto alla
sua diede un fortissimo strattone. Forte abbastanza da disarcionare il
suo
proprietario. Vide Al precipitare nel vuoto, senza che nessun
incantesimo
arrivasse a fermarlo. La pioggia era troppo fitta.
Innanzitutto
ci tengo a ri-precisare che il
soprannome “mini-Potter” non è mio ma
delle fantastica Dirareal, qui il link
per la storia in questione: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=387973&i=1
In
secundis….. Altro capitolo di passaggio, beh a
parte il finale.. non uccidetemi.. Comunque ho deciso che
d’ora in avanti, se
riesco a mettere un freno alla mia logorrea, mi asterrò dal
commentare i
capitoli. Quindi spero che vi sia piaciuto! Ci rivediamo nelle
recensioni o nel
prossimo capitolo
Ah
non ho fatto di revisione, quindi segnalate gli
errori che provvederò a correggerli
Un
bacio
AiraD