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Autore: Jerry93    12/04/2013    5 recensioni
Dicono che siamo padroni del nostro destino. Non mentono.
Solo noi siamo i signori delle nostre decisioni e delle conseguenze di queste.
Hermione ha fatto la propria scelta, tramutando l'argine di un fiume. Draco non resterà a guardare.
Con la Guerra a fungere da scenario, la lotta per la sopravvivenza ha inizio mentre la ricerca degli Horcrux porta un gruppetto di ragazzi lontani da casa.
[Seguito di You and Me]
Genere: Avventura, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VII libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Becoming Us'
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Chap3 Chapter three, Choose: How to start living

Mangiamorte infestavano Hogsmeade. Non si esponevano, non ancora, ma era risaputo che entro le mura del Ministero, da settimane in mano a Voldemort, si stava covando, vipera in seno, una legge contro i Nati Babbani. Ad emanazione compiuta del decreto, i seguaci del Signore Oscuro, autorizzati a denunciare e imprigionare chiunque ritenessero avverso al regime, avrebbero gettato la società in uno spaventoso disordine.
Il Primo Ministro di Francia si era già mosso per tamponare la gravosa situazione, cercando di instaurare un’alleanza con i propri colleghi, ma ben pochi avevano risposto al suo appello. Aurore Leroy, chiedendo aiuto per la popolazione inglese, si era ritrovata completamente abbandonata ed esposta ad una ritorsione che non si era affatto fatta attendere. A distanza di un paio d’ore dalla sua richiesta pubblica di convocare il Concilio Plenario delle Nazioni Magiche Unite, assemblea in cui erano chiamati a presentarsi tutti i governatori degli Stati firmatari, suo marito, l’esimio e amatissimo Cyprien, da cui aveva assunto il proprio cognome, era stato freddato con un Avada Kedavra. Il responsabile, immediatamente individuato, privato del pesante cappuccio nero che gli copriva il volto, aveva rivendicato per il suo Lord l’uccisione e, poi, aveva posto fine alla propria esistenza gettandosi dalla finestra del Palazzo dell’Eliseo, dove Madame Leroy aveva richiesto che venisse condotto affinché potesse interrogarlo.
L’opinione pubblica si convinse che il decesso dell’amato l’avesse piegata, ma fu un errore di valutazione. Enorme.
Chiusasi nella propria dimora, ampiamente protetta da un folto gruppo di Auror fidati, vi rimase senza rilasciare alcuna dichiarazione fino ai giorni dei funerali del consorte.
La foto della signora di mezz’età, che, china sotto il peso di abiti scuri, percorreva il lungo viale fino alla lapide di Cyprien, fece rapidamente il giro del mondo magico e anche chi aveva delle riserve, stabilì la sua sconfitta su tutti i fronti.
Era rimasta per ore inginocchiata sul terreno appena dissodato della pietra sepolcrale, senza dire una parola e non permettendo a nessuno di avvicinarsi. La veletta nera che cadeva morbida dal suo cappello, parte integrante della sobria acconciatura, sviava lo sguardo dai suoi occhi arrossati. Teneva il pugno chiuso, stretto su un fazzoletto, premuto contro la bocca, quasi come se fosse decisa a trattenere quel singhiozzo in maniera perpetua. Qualcuno, misericordioso, le aveva coperto le spalle, lasciate nude dal semplice tubino, con un pesante cappotto. Il colore acceso dei suoi capelli castano ramati, ricchi di sfumature bordeaux, pareva sconvolgere l’equilibrio di quella scena, spezzando anche il lento ciondolare di quel pesante medaglione che, infilato in una lunga collana, pendolava dal collo affusolato della donna. Molti anni addietro, con quei due anelli, Aurore e Cyprien avevano suggellato il loro giovane amore.
Solo dopo ore, la donna si era alzata, scostando la giacca e restituendola al ragazzo cui apparteneva.
Gelida ed austera, si infilò un ampio paio di occhiali scuri, pronta ad affrontare la folla di giornalisti e di semplici cittadini che si era accalcata oltre il cancello d’ingresso del cimitero. No, lei non avrebbe abbandonato il suo popolo. Il suo cuore, quello che aveva pulsato al ritmo dei baci amorevoli del suo uomo, reclama vendetta.
Di nuovo, il ragazzo le si avvicinò, offrendosi per ripararla dalle impietose macchine fotografiche cui sarebbe andata incontro. Lei, però, rifiutò l’offerta, posando la propria mano sul braccio del suo assistente.
«Ho bisogno di te altrove, Aymon» esordì lei, facendo in modo d’ottenere la sua completa attenzione «Devi mettermi segretamente in contatto con Minerva McGranitt».
Quello annuì appena, voltandosi immediatamente e sparendo, dopo aver svoltato dietro un albero, smaterializzandosi.
Il Ministro, allora, si concesse un grande respiro. Alle domande su come si sarebbe comportata per far fronte all’ingiuria subita, avrebbe risposto solamente che si sarebbe presa un paio di giorni per piangere la dipartita di suo marito a causa di un tragico incidente. Avrebbe convinto l’opinione pubblica di aver deciso d’evitare di mettersi contro Lord Voldemort, emanando un ingiunzione contro tutti i giornali che avessero pubblicato notizie sulla situazione inglese o sull’attentato.
Si sarebbe finta domata, quando in vero sarebbe stata la fiamma della ribellione. Lei, a costo di rimetterci la vita, avrebbe impedito ad ogni costo che un essere così abietto dominasse il mondo, il Signore Oscuro avrebbe dovuto pentirsi amaramente d’aver colpito il Rubino di Francia.
***

I dati parlavano chiaro: era da anni che ad Hogwarts non si registrava un così basso numero di iscrizioni. Da che i Fantasmi dell’edificio ne avevano memoria, ciò accadeva solamente in circostante particolarmente drammatiche, cosa che non si facevano scrupolo a ripetere assiduamente. Del resto, per loro che tanto si rallegravano dal vedere tutte quelle giovani e vispe menti affollare i loro corridoi, un così sventurata novella non poteva che essere al centro dei loro chiacchiericci.
Raccontavano a chi volesse stare ad ascoltarli, e anche a chi si sarebbe flagellato pur di non farlo, che la più importante scuola di Magia e Stregoneria inglese non era così vuota dagli oramai remoti tempi in cui l’Europa tutta era devastata dai Conflitti Mondiali Babbani. Una simile prospettiva, poi, si era palesata anche durante la prima ascesa di Lord Voldemort, ma questa si era assestata su uno scenario ben più roseo. Per questo motivo, il tradizionale treno diretto ad Hogsmeade da Londra sarebbe rimasto pressoché vuoto, eccezion fatta per tutti quelli studenti che sapevano essere al sicuro dalle possibili angherie dei Mangiamorte. Slytherin, principalmente, e tutti noti per l’appartenenza ad una delle famiglie Purosangue. Del resto, Traditori del Sangue esclusi, tutta la nobiltà Magica era rinomata per i suoi stretti rapporti di parentela e per i frequenti matrimoni tra consanguinei.
Gli altri, invece, avevano ottenuto il permesso di raggiungere la scuola mediante altre vie, alcune delle quali non propriamente legali. Era stato il caso di alcuni coraggiosi Nati Babbani che, pur di poter accrescere le proprie conoscenze magiche, avevano accettato d’utilizzare una Passaporta non autorizzata, dalla forma di un vaso di terracotta sbeccato, che li aveva catapultati direttamente entro i confini scolastici. Mai, come in quel momento, l’undicesima serra, quella dei tuberi flatulenti, fu tanto trafficata.
Altri, invece, erano riusciti ad approfittare della speciale concessione che la popolazione di centauri della Foresta Nera aveva concesso alla neo-insediata Minerva McGranitt. Guidati da costoro, avevano potuto attraversare la fitta boscaglia rimanendo illesi. Fondamentale, poi, era stato l’intervento dei Maridi, i quali, in ricordo del molto compianto Albus Silente, avevano fornito una grande quantità di alga branchia e messo a disposizione i propri mezzi di trasporto per far risalire agli studenti il fiume emissario del Lago Nero. Non tutti, però, erano rimasti soddisfatti di quest’ultima tipologia, decisamente troppo bagnata e pericolosa.
Per i ricercati, ovvero Potter, i due Weasley e Malfoy, sotto imposizione di un non proprio entusiasta Horace Lumacorno, timoroso di possibili ritorsioni, era stata predisposta una corsia preferenziale: la Pozione Polisucco. Poiché in passato questa si era dimostrata sufficientemente efficace, avevano supposto che potesse affrontare a testa alta anche quelle ennesime difficoltà. Del resto, chi avrebbe osato intromettersi nelle violente pomiciate che Madame Pince e Mastro Gazza avevano continuato a scambiarsi lungo tutto il tragitto tra Hogsmeade e Hogwarts, coccolati dalla lenta andatura di una carrozza trainata da Thestral?
Decisamente meno gioiosi furono Ron e Draco, quando scoprirono di dover impersonare Hagrid e il professor Vitious, di ritorno da un viaggio infruttuoso a Diagon Alley, dove il professore di incantesimi aveva deciso di recarsi in cerca di un nuova scorta di piume per le sue lezioni. La storia, a causa del terrore che aveva investito il quartiere magico di Londra, era purtroppo molto realistica: ben poche erano le vetrine ancora allestite e, in generale, l’usuale folla che ne saturava le vie era completamente sparita.
Inizialmente, i due ragazzi aveva deciso di giocarsi a sorte chi impersonare, ma considerando l’espressione di Malfoy e che, in fondo, le vecchie abitudini sono sempre difficili da depennare, il rosso si offrì per vestire i giganteschi abiti del caro Rubeus. Con suo grande piacere, inoltre, scoprì d’essere stato il più fortunato: la sua pozione, nonostante l’ispido capello crespo, era quella con il sapore migliore. Biscotti Rocciosi bruciacchiati, con un retrogusto amaro simile all’odore del fumo di un caminetto scoppiettante.
Ovviamente, i ragazzi non erano stati abbandonati a se stessi. Appollaiata su un morbido cuscino di raso viola, una gatta sonnecchiò, anch’essa intontita dal moto lento della carrozza su cui viaggiavano i due fidanzatini, avendo l’accortezza, per decenza personale, di tenere il muso rivolto altrove.
Un falchetto, invece, procedette ad ampie spirali sul placido camminare dei due insegnanti di Hogwarts, i quali, dopo un iniziale imbarazzo, trovarono uno o due argomenti di conversazione che non destasse sospetti: Natale, nonostante fossero i primi di settembre, era alle porte ed entrambi erano già ansiosi a causa dei preparativi. Il coro, quest’anno, doveva essere perfetto e, nei propositi del Guardiacaccia, il numero degli abeti doveva essere il doppio, per compensare la grave carenza di studenti.
Fatto sta che, fin dal primo mattino, la scuola, solitamente abituata ad accogliere gli scolari all’imbrunire, era già gremita di buona parte degli ospiti attesi.
La nuova Preside, provata dall’estate trascorsa, aveva deciso, irremovibile, di accogliere personalmente chiunque fosse entrato dall’ampia porta della Sala d’Ingresso. I professori, suoi colleghi, erano presto giunti a farle compagnia e, man mano, anche gli studenti si erano appollaiati qua e là. L’apprensione era palpabile nell’aria: tutti stavano aspettando qualcuno, timorosi che il proprio amico avesse deciso di non frequentare la scuola, seguendo, solitamente, le preoccupate imposizioni dei propri genitori.
Alcuni, vuoi per fama, vuoi per timore, erano più attesi di altri. Come da tradizione, infatti, un segreto ad Hogwarts era tale solo se tutti ne erano a conoscenza.
Per questo motivo, una notizia apparsa tra gli annunci della Gazzetta del Profeta non poteva che essere sulla bocca di tutti: Daphne Greengrass era convogliata a nozze con Blaise Zabini, cedendo, secondo Betty Braithwaite, autrice dell’inserzione, ad una lunghissima serie di avances durata anni. Fortunatamente, nessun fotografo aveva ottenuto il permesso di assistere alla cerimonia, così da evitare che la notizia delle violenze subite divenisse di dominio pubblico. I due, però, essendo entrambi Slytherin Purosangue, avevano deciso di viaggiare con la comodità dell’Espresso e, per questo motivo, non erano attesi per almeno un altro paio d’ore. Similmente, nessuno si aspettava di assistere all’ingresso di Theodore Nott, il quale, sicuramente, da rinomato figlio di Mangiamorte, avrebbe avuto la coerenza d’essere l’ultimo ad entrare, vista anche la sua imminente posizione all’interno della sua Casata, gli Slytherin.
Questi ultimi costituivano, senza dubbio, il gruppo più sparuto, lì nella Sala d’Ingresso. Tacevano.
Il loro era un silenzio austero, pregno dell’eleganza che solo la distaccata freddezza può avere. Non chiacchieravano tra di loro, non si raccontavano aneddoti sull’estate trascorsa. Non c’era spazio per l’amicizia tra di loro, o, almeno, questo doveva suggeriva l’apparenza. Se ne stavano immobili, fissando a lungo e con insistenza un punto fisso, quasi a volerne svelare ogni segreto. Erano grandi amatori, il cui sguardo avrebbe stregato anche la dama più pudica, spingendola a far scivolare le proprie vesti sulle curve morbide dei fianchi.
Non erano che una dozzina e tutti, quasi a voler tacitamente affermare la propria superiorità, si erano disposti sull’ampio scalone. Draco Malfoy, tra gli altri, con i suoi capelli chiarissimi, riluceva di una bellezza difficile da comprendere. Aveva, infatti, l’aspetto di un ragazzo con indosso abiti da uomo: una transizione, un qualcosa in divenire, che non è più ciò che era, ma non può ancora essere ciò che sarà. Le sue mani, torcendosi vicendevolmente, penzolavano sotto il suo capo, mentre s’impuntava sulle ginocchia con i gomiti.
L’anno scolastico, ufficialmente, non era ancora iniziato. Per questo motivo, aveva ritenuto di poter indossare la divisa senza una cura meticolosa: la camicia era leggermente sbottonata, con le maniche avviluppate sull’avambraccio, e, non sopportando l’afa, aveva allentato il nodo della cravatta. A malapena, nascosta dal tessuto leggero, si intravvedeva una catenina risaltare sul pallore della sua pelle.
La barba era sfatta da un paio di giorni e ancora rada a causa della giovane età: una sfumatura più scura di biondo con cui le sue labbra, d’un acceso rosso sangue, disegnavano l’affresco d’un paesaggio estivo.
Nel suo respiro, calmo e regolare, si avvertiva chiaramente la nota acre lasciata dall’ultima sigaretta, fumata non più di un’ora prima. Le nocche bianche suggerivano una tensione che, però, non riusciva a risalire la sua anima fino agli occhi. Cenere d’un rogo spento da un acquazzone, scrutavano con attenzione chi varcava la soglia.
Solo, su di un altro piccolo pianeta. Era lontano da quell’edificio, distante dai suoi tormenti. Eseguiva quel compito che, svelata la verità, si era imposto da sé, nascondendosi dietro la bugia di un ordine imposto. Così, stanco, usava la piccola fiammella, alimentata dalla sua stessa ansia, per accendere e spegnere quella luce che, lo sapeva benissimo, non avrebbe rischiarato nulla. Ogni minuto aveva il proprio tormento, un principio ed un esaurimento. Inseguiva la speranza di giungere alla fine, così da potersi fermare. Si sarebbe seduto sul morbido manto erboso di quel minuscolo astro, lasciandosi poi cadere all’indietro. Giunta la notte, avrebbe finalmente potuto dormire un sonno tranquillo: in un sogno irreale, guardando una stella con il proprio telescopio, qualcuno gli avrebbe detto che, secondo la somma scienza, la continua intermittenza luminosa dava il nome di cefeide a quel corpo celeste, non sapendo che, in realtà, su quel lontano asteroide, abitava, indaffarato come lui, un suo collega lampionaio. Allora, disilluso e intimorito, si sarebbe svegliato di soprassalto, accecato dall’alba, e avrebbe spento il suo lume. E, sconsolato, avrebbe atteso il tramonto.
Alle spalle di Malfoy, distante solo un paio di scalini, vi era Forsyth. Tra i due, nascosta dalla breve distanza fisica, ve ne era un’altra, più spirituale, difficilmente commensurabile. Fu per questo che, stanco di quell’attesa infinita, Logan si staccò dall’ampio corrimano di marmo bianco cui si era appoggiato, cominciando a scendere i gradini, dirigendosi verso l’esterno. La sua bocca portava l’evidente marchio di un segreto taciuto. Il leggero gonfiore del labbro inferiore, una piccola ferita che suggeva continuamente rimarcata da una piccola goccia di sangue, un sorriso nascosto a fatica. Erano solo indizi che avrebbero ricondotto un attento osservatore ad un bacio passionale. Nulla avrebbe potuto suggerire la verità: non il suo ostentare sicurezza, non il suo obbligarsi a non guardare quella persona per cui il suo spirito si disperava. Avrebbe solo voluto annullare quella loro distanza, afferrarlo per il colletto con entrambe le mani e baciarlo. Senza dolcezza, anzi, senza timidezza. Voleva sentirlo, avvertirlo. Eppure, qualcosa lo frenava. Perché nonostante tutti i ghirigori che la sua fantasia aveva costruito su un fragile castello di carte, lui era conscio di non poter far nulla. La sua famiglia gli avrebbe voltato le spalle, se avesse saputo che si era innamorato di qualcuno diverso dalla sua promessa sposa: un Gryffindor, un Mezzosangue, un ragazzo. Sarebbe divenuto lo zimbello della Comunità Magica, se qualcuno avesse saputo che fremeva ogni volta che le mani di un essere così tanto inferiore a lui lo toccavano. Suo padre avrebbe voluto la sua testa.
***

Spinse una delle ante della grande porta d’ingresso e si insinuò all’interno dell’edificio. Il suo gesto non era stato plateale o strafottente, anzi. Alcuni, nonostante il drastico taglio di capelli, la riconobbero e, rapidamente, si diffuse la convinzione, tra chi ne era al corrente, che quella era la stessa Hermione di sempre: più magra e con un trucco più marcato attorno agli occhi, ma con lo stesso sorrise gentile con cui era sempre stata disponibile per tutti.
Il suo viso, tuttavia, rimase impassibile: non corse ad abbracciare Ron ed Harry, i suoi compagni di disavventure, non saltò al collo di Ginny, la sua migliore amica. Senza voltarsi, chiuse l’uscio.
Osservò tutti i presenti, soffermandosi su ognuno di essi per alcuni istanti. Molti non ressero il confronto, i restanti, per il troppo dolore, si costrinsero a concentrarsi su altro.
Non indossava la divisa, cosa che, negli anni passati, si era sempre premurata di fare, prima di entrare nell’edificio scolastico, ma una gonna a balze nera e una semplice camicetta bianca.
L’attenzione di tutti, immediatamente, si focalizzò sul suo avambraccio sinistro che, lasciato volutamente scoperto, confermò ciò che molti pensavano fosse impossibile: era divenuta una Mangiamorte.
Attendevano che lei facesse qualcosa, qualsiasi cosa.
Amy, discretamente, mise la mano sulla bacchetta. Drew si staccò dolorante dalla parete a cui si era appoggiato, stanco e provato. La McGranitt provò a muovere un passo o a dire qualcosa, ma la voce le morì in gola. Aprì la bocca e la richiuse immediatamente, come intimorita dall’idea che, parlando troppo forte, avrebbe infranto il silenzio di quel luogo, facendo rovinare al suolo una terrificante, e al tempo stesso maestosa, statua di cristallo.
Lei mosse alcuni passi. Harry pensò che volesse salutarli, Ginny fu sul punto di piangere per la felicità, Ron strinse con forza la mano della sua finalmente ritrovata Denise.
La Granger si avvicinò ancora. Potter le accennò un sorriso, ma non trovò risposta.
Il rumore dei tacchi, troppo alti e volgari per una studentessa modello come Hermione, si interruppe solo quando fu ad un passo dal professor Kennan.
Lo guardò negli occhi e sul suo viso si dipinse un’espressione di ribrezzo che, presto, evolse in un ghigno beffardo. Crudele.
«La prossima volta, non sbaglierò».
La Preside, finalmente, riuscì a compiere un passo in avanti, desiderosa di dire qualcosa.
«Hermione?». Non era stata lei a parlare.
Dal folto gruppo di Gryffindor, fino a pochi minuti prima brulicante di chiacchiere, uscì allo scoperto Daniel Alleyn. I suoi occhi, profondi e leggermente lucidi, non celavano nulla: avrebbe voluto domandarle tante cose, a lei che lo aveva guidato e aiutato, a lei che aveva saputo confortarlo e ascoltarlo. Avrebbe voluto scuoterla, fino a costringerla a svelargli il perché di una simile follia.
La ragazza non diede prova d’averlo sentito e, non appena ruppe il contatto visivo con Drew, riprese a camminare, dirigendosi verso l’ampio scalone.
«Non mi rispondi neppure?». Era stato un urlo.
Il giovane Gryffindor, colpito tanto intimamente da sembrare essere sul punto di versare qualche lacrima, fu l’unico a riuscire ad infrangere quell’atmosfera tetra ed intoccabile che la Granger aveva fatto scivolare in quella stanza con il suo ingresso. Ma dipinse quella situazione, lui che pareva essere in grado di tinteggiare di gioia anche la più tetra delle oscurità, con un fioco grigio d’abbandono e sofferenza.
Eppure, non ottenne alcuna risposta, se non la preoccupazione dello sguardo di Logan.
La Gryffindor, gelida ed imperscrutabile, prese a salire gli ampi gradoni. Passò di fianco a Draco, ma, nuovamente, fece finta di non vederlo. Ad uno schiocco di dita, lo aveva annullato dalla propria esistenza.
Aveva assistito inerme. Fino a quel momento.
Non accettò che lei non lo degnasse neppure di uno sguardo. Non poteva farlo, lui non glielo avrebbe permesso. Non anche questa volta.
Le afferrò il polso con forza, pentendosene subito per il timore d’averle fatto del male. Hermione si fermò, uno scalino più in alto di lui.
«È questo che sei diventata? La versione squallida di te stessa?» le domandò, con una cattiveria che, pur sapendo d’aver covato a lungo in sé, sperava di saper controllare meglio.
Rise.
«No, Draco, io sono diventata la versione migliore di te. Magari un giorno diventerai un uomo e lo capirai» gli rispose, interrompendo il contatto tra i loro corpi «Ma se le cose andranno come credo, sarai morto molto prima».
La ragazza riprese la salita verso il suo dormitorio, senza dargli la possibilità di replicare. D’improvviso, però, s’arrestò. Non gli concesse l’onore di guardarle il viso.
«Dimenticavo». Nella sua voce, c’era un qualcosa di divertito. «Tu zia Bella mi ha detto di portare a te e a tua madre le sue condoglianze per la dipartita di tuo padre».
Tutta Hogwarts, in quell’istante sprofondò in un mondo errato, in un universo parallelo profondamente sbagliato. Lucius Malfoy, che tutti ritenevano al sicuro tra le fredde mura di Azkaban, era morto.
«È stata una splendida esecuzione: ha strisciato, pur d’aver salva la vita».
In quell’istante, l’idea che tutti avevano di Hermione sparì: stava infierendo con cattiveria su un ragazzo che aveva appena perso il padre, provando un dolore simile a quello che aveva vissuto lei. Non c’era pietà, nel suo agire. Era come se qualcuno le avesse strappato il cuore dal petto.
Era diventata un’arma nelle mani di Voldemort.
Il rumore pesante dei suoi passi, che lentamente si allontanava dal Salone d’Ingresso, rimbombò nelle teste dei presenti. Lentamente, con l’aumentare della distanza, l’eco si fece meno tonante, si affievoliva. Allo stesso modo, il cuore di Draco pareva essere sul punto di smettere di pulsare.
Qualcuno, con mani forti e viso dagli zigomi aristocratici, gli fu vicino, obbligandolo a sedersi.
***
Il viso di Minerva McGranitt era rimasto impassibile, sebbene lei per prima, e forse sola, aveva realmente compreso la gravità della situazione. Aveva permesso tutto ciò, ben conscia dei pericoli in cui sicuramente sarebbe caduta, ma non sapendo d’essere stata tanto sciocca ed avventata.
Fin da quando aveva messo piede in quell’ampia camera ministeriale in cui avrebbe dovuto contrattare per la nomina di Preside di Hogwarts, l’anziana donna era stata consapevole che non avrebbe potuto ambire a tale titolo senza qualche rinuncia. Il suo obbiettivo, fin da subito, era stato cercare di ridurre al minimo l’intrusione di Lord Voldemort all’interno delle antiche mura del castello e, per ottenere ciò, aveva dibattuto strenuamente. Era riuscita ad evitare che fosse il Ministero a stabilire a chi venissero attribuite le cattedre vacanti, onde evitare che il corpo docente fosse formato, per l’ennesima volta, da insegnanti incompetenti o schierati, seppur sotto mentite spoglie, con il Signore Oscuro. Purtroppo, giunta ad un bivio in cui la propria coscienza non poteva che farle intraprendere un percorso, aveva dovuto cedere terreno: pur di poter aprire l’ampio portone di ferrò battuto della scuola anche ai Nati Babbani, aveva dovuto accettare che tutte le sue decisioni passassero al vaglio di un Tribunale del Controllo, opportunamente costituito. Dodici eminenti personalità, di cui lei aveva potuto scegliere solo tre candidati, tutte facenti rapporto ad un innominato Giudice Eccelso, avrebbero osservato con attenzione il suo operato, potendo porre il veto sui suoi provvedimenti e, quindi, obbligandola a riformulare gli editti da lei emessi.
Per esempio, nel corso dell’estate aveva cercato di annullare, per ovvi motivi, le uscite ad Hogsmeade, ma la cosa, per chissà quale motivo, non era piaciuta ai suoi Controllori e si era vista costretta a mediare, ancora, autorizzando le visite alla cittadina magica, oramai molto desolata, solo per coloro i quali la media dei risultati ottenuti nelle varie materie era pari o superiore a “Oltre Ogni Previsione”.
L’anziana, nonostante tutto, era rimasta dov’era, ancora desiderosa di dare il benvenuto ad ogni suo studente. Apparentemente, cercò di mostrarsi tutt’altro che turbata da quel tatuaggio sul braccio di quella che, da anni, era la sua studentessa preferita, nonché una delle migliori in tutta la scuola. Eppure, quella era Hermione Granger.
Cambiata nell’esteriorità, senza dubbio, ma con il medesimo portamento fiero e a tratti superbo. Aveva anche lo stesso orgoglio negli occhi, quello che un tempo aveva riversato nelle sue lotte sociali contro la disparità tra Razze. Eppure, lei che per anni aveva sofferto per i maltrattamenti subiti in quanto Sanguesporco, si era schierata proprio dalla parte di chi, primo fra tutti, aveva fomentato quel grande astio tra simili.
La McGranitt aveva visto Drew, sofferente, perdere terreno contro quella ferita non ancora guarita perfettamente e lo aveva pregato di andare a riposarsi in vista della cena con cui il nuovo anno scolastico sarebbe stato inaugurato e durante la quale lui avrebbe avuto un ruolo importante, non temendo di dover utilizzare la sua nuova autorità. Stranamente mansueto, il giovane uomo aveva accettato senza opporsi, chiedendo anzi alla sua giovane collega, Amelia Fay, di accompagnarlo nella sua stanza.
Quando i due se ne andarono, un incantesimo parve spezzarsi, rompendo l’ordine segreto della Convinzione e liberando da pesanti legacci molti dei presenti. I primi ad allontanarsi furono i pochi Slytherin presenti, quasi indignati dal comportamento deplorevole di Malfoy. Il ragazzo, dopo aver spintonato Logan Forsyth, che lo aveva obbligato a sedersi dopo aver appreso del decesso del padre, tenne tutti a distanza. Il suo sguardo, fisso in un punto non precisato, non lasciava trasparire alcuna emozione: vani furono i tentativi dei professori, Preside in testa, di smuoverlo, così come altrettanto futili furono le parole che Harry gli rivolse.
Pareva essersi rinchiuso in bolla di silenzio e rimorso. Ammutolito come il più violento dei folli, pronto a tutto per ottenere pace e vendetta. Il giudizio, sasso pesante lanciato nell’acqua, pareva aver abbandonato il suo corpo, suicida. Un corpo stanco lanciato con forza oltre il limite di una rupe, spinto, da un’illusione d’amore, a compiere il balzo di Saffo.
In meno di un’ora, il Salone d’Ingresso si era quasi completamente svuotato, eccezion fatta per l’anziana donna, Potter e i Weasley, i quali trovarono, però, anche la compagnia di alcuni elementi dell’Esercito di Silente. Pochi, i più fedeli, quelli che ancora credevano negli ideali che erano stati le fondamenta di quel gruppo ma che, dopo il voltafaccia della Granger, la quale più di tutti aveva spinto per la creazione dell’organizzazione segreta, si erano mostrati con la loro reale ed effimera figura.
Neville e Luna, comunque, trascorsero la maggior parte del tempo a parlottare tra di loro, lanciando occhiate sospettose a Logan Forsyth. Risoluto, lo Slytherin era rimasto dov’era, sebbene Malfoy avesse chiarito esplicitamente, non con parole gentili, che non apprezzava la sua presenza. Ai due ragazzi, infatti, non era sfuggita l’espressione preoccupata che si era dipinta sul volto di Daniel Alleyn, quando il giovane Sanguepuro, scostato bruscamente da Draco, era caduto al suolo, ruzzolando per un paio di scalini. Se non fosse stato ideologicamente inaccettabile e, di conseguenza, impossibile sul piano pratico, avrebbero affermato che i due si conoscevano. Il motivo per cui Luna s’attardava, facendo ritardare anche Paciock dal raggiungere la Sprite nelle serre, era quindi tentare di svelare che tipo di relazione li legasse, desiderosa, grazie a quello spirito di reporter che la accumunava con suo padre, di risolvere un misterioso intrigo che, in realtà, esisteva solo nella sua mente. Forse.
La situazione, fatta solo di sguardi circospetti, proseguì ancora per qualche tempo, fino a quando, Daniel, stanco d’essere osservato con tanta insistenza, salutò i presenti, la cui maggior parte aveva conosciuto nel proprio dormitorio, e si congedò con educazione dalla Preside. Quando, salendo le scale, i due coetanei, appartenenti a due Case diverse, non si rivolsero neppure un cenno, cosa normale tra i Gryffindor e gli Slytherin, la Lovegood se ne uscì con un’esclamazione soddisfatta e corse a scrivere a suo padre, dopo aver dato un rapido bacio sulle labbra a Neville, che, in risposta, arrossì irrimediabilmente.
Anche Malfoy, colpito da quel gesto tanto quanto il pupillo dell’insegnante d’Erbologia, uscì per pochi istanti dal suo stato catatonico per domandarsi quale malsana idea fosse entrata in rotta di collisione con il cervello della Lunatica.
Alla fine, anche gli ultimi Sanguepuro, rigorosamente appartenenti alla Casata di Salazar, arrivarono a scuola. Non c’era nessuna folla ad accogliergli, ma solo sguardi sospetti, riservati alla quasi totalità di loro.
Il gruppo di studenti, meno esiguo di quanto la Preside sperasse, riservò a tutti i presenti, McGranitt compresa, un’espressione superba, che variò in scherno quando l’oggetto delle loro angherie divenne Malfoy. Theodore Nott gli dedicò una risata crudele, quando gli passò vicino.
Anche lui, considerando che l’anziano padre era un Mangiamorte, doveva sapere del lutto che lo aveva colpito.
A chiudere il gruppo, distaccati dagli altri principalmente a causa dell’inesistente solerzia di Blaise, vi erano i coniugi Zabini, i quali camminavano vicini, ma senza toccarsi. Eppure, chiunque, guardandoli, avrebbe detto che non c’era bisogno di un contatto fisico per essere certo del forte rapporto che intercorreva tra i due.
Quando vide l’amico in quello stato, Daphne corse ad abbracciarlo, sfiorandoli il viso con il tocco gentile delle sue mani e costringendolo ad alzare lo sguardo affinché i loro occhi si incrociassero.
«Che succede, Draco?».
Non ricevette risposta. Fu Ginny a spiegare loro la situazione.
Blaise lo issò con forza, rimettendolo in piedi mentre la sua consorte faceva loro strada verso i sotterranei.
Mai, da quando si trovava ad Hogwarts, aveva visto una Sala Grande così vuota. Eppure, erano molti anni che, prima da studentessa e, poi, da insegnante, affollava i corridoi di quell’antico edificio. Minerva McGranitt non poté che limitarsi ad auspicare, in cuor suo, che ciò non si ripetesse anche negli anni venturi e che la situazione si risolvesse in un tempo minore di quello che lei avrebbe trascorso nell’ufficio del Preside.
Le grandi tavolate non erano un continuo alternarsi di giovani testa scalmanate. Molto del cibo preparato dagli Elfi, rifletté, sarebbe andato sprecato.
Spinse indietro la sedia, issandosi in piedi e allontanandosi dagli altri docenti per avvicinarsi al leggio da cui avrebbe tenuto il suo discorso inaugurale. La stanza, fatta esclusione di qualche Slytherin irrispettoso, ammutolì. Non vi fu alcun rumore, se non quello della sua lunga veste che strusciava sul prezioso tappeto di fattura Veela. La sua voce, sicura, venne amplificata dalla magia.
«Studenti di Hogwarts, benvenuti!» nella sua voce, c’era reale gioia. Strinse con più forza le mani attorno al legno massiccio, cercando un sostegno. Era troppo anziana per un peso così grande, ma non avrebbe permesso ad un lurido verme di strappare il futuro alle generazioni venture. A lei, prima che ad altri, era richiesto di combattere strenuamente, così da dare un lieto avvenire a tutti quei giovani che aspettavano in silenzio una parola di conforto.
Avrebbe voluto parlare senza censura, criticare aspramente il governo, da mesi in mano a Lord Voldemort, e denunciare quella spregevole situazione, ma non poteva farlo. Non sapendo perfettamente che, al suo primo passo falso, si sarebbe ritrovata bandita dalla scuola. Cercò la Granger con lo sguardo, trovandola isolata dagli altri compagni di Casa. Fiera, sembrava attendere di sentire ciò che lei, povera vecchia, aveva da dire.
In quel momento seppe di non poter tacere su tutto.
«Avrei tante cose da dirvi, molte delle quali sono costretta a tacere. Ritengo, tuttavia, che tutti voi ne siate, in forma più o meno esaustiva, al corrente» fece una pausa, durante la quale trasse un forte respiro «Hogwarts nacque come un luogo per riunire i giovani maghi, così da poterli istruire e proteggere dal male. In questo, tutti noi insegnanti, l’anno scorso, siamo stati sconfitti: non sapevamo all’epoca, fino a quanto si sarebbe spinto il nostro avversario, nel suo reclutamento» guardò fisso Hermione, sulla cui persona, quasi immediatamente, si era concentrata l’attenzione di tutta la platea.
La Preside, sollevando l’orlo del suo vestito, prese a scendere i pochi scalini che separavano il tavolo dei professori, leggermente rialzato, da quelli degli studenti.
«Lo sappiamo ora, dopo che, a tradimento, la nostra luce più luminosa è stata spenta. Un assassinio, avvenuto per mani di persone insospettabili o in cui lo stesso Silente riponeva la sua totale fiducia». La McGranitt, si avvicinò istintivamente ai Gryffindor, sfiorando i suoi studenti.
«Non accadrà più» continuò sicura, spostandosi verso il tavolo dei Ravenclaw «Non accadrà più, perché io non permetterò che ciò avvenga nuovamente. Non fino a quando avrò forza a sufficienza per stringere la mia bacchetta e, credetemi, la mia mano non trema ancora. Combatterò per voi, come Albus avrebbe voluto che facessimo. Hogwarts vi proteggerà, vi renderà streghe e maghi degni di questo nome e vi permetterà di battervi per ciò in cui credete».
Così dicendo, con passo fiero, ritornò verso i suoi colleghi.
«Noi saremo per voi una perfetta fattura e un eccelso incanto scudo, ve lo prometto».
Qualcuno iniziò ad applaudire, trascinando presto nella foga anche i propri vicini. Ben presto, tre delle quattro casate accolsero con entusiasmo la nuova Preside, mentre tra gli eredi di Salazar solo qualcuno, particolarmente intrepido, osò tanto. Daphne, guardando con sfida i propri compagni, osò persino alzarsi in piedi, imitando qualche collega Hufflepuff.
Hermione Granger, invece, rimase immobile: quelle parole sarebbero giunte all’orecchio del Signore Oscuro.
Aveva atteso che il clamore si placasse per poi ricominciare a parlare.
«Per ovvi motivi, il corpo docenti ha subito delle modifiche» scandì bene, pacata «Il professor Lumacorno, già insegnante di Pozioni, dopo il triste abbandono del nostro “beneamato” Piton, è divenuto il Direttore degli Slytherin». Un boato di disapprovazione si alzò dal tavolo dei diretti interessati, non dispiaciuti tanto dall’avere il pacato Horace a capo della propria Casata, il quale assicurava loro la completa assenza di qualsiasi forma di punizione, ma quanto per l’epiteto, chiaramente ironico, con cui la McGranitt aveva appellato l’oramai ex docente.
«Nessuno vi trattiene, serpi. Non accetterò che in questa scuola, la mia scuola, il nome dello spregevole assassino di Albus Silente venga anche solo nominato senza essere pronunciato come un insulto. Un giorno anche Severus Piton pagherà per le sue colpe e, aprite bene tutti le orecchie, mi assicurerò che la sua morte sia così tremenda da fargli desiderare il Bacio del Dissennatore». Anche un sordo, guardando il cipiglio severo delle sue labbra, contornate da rughe, avrebbe intuito che la sua minaccia non doveva essere presa alla leggera. Con quella mossa, ovviamente, la Preside non aveva fatto altro che peggiorare la sua posizione, ma era giunta alla conclusione che, se proprio doveva peccare, lo avrebbe fatto nel miglior modo possibile. Poco le importava, fondamentalmente, di dover mantenere la sua facciata severa: l’argomento la toccava profondamente, minando sì la sua integrità morale, ma facendole anche dolere il petto per la forte sofferenza. Lei aveva perso un amico ed un maestro. E qualcuno, per questo, avrebbe dovuto pagare.
Non vi fu alcun rimbecco da parte dei diretti interessati, forse veramente intimoriti da quella donna.
«Lei è ancora viva solo perché il Signore Oscuro non la ritiene neppure un ostacolo, per i suoi progetti».
Quella voce. Un brivido corse lungo la schiena della Preside.
«Signorina Granger, non sfidi la mia pazienza solo perché si è fatta marchiare come una bestia incapace d’intendere» la risposta della McGranitt fu immediata. Il suo viso non fu attraversato neppure dall’ombra di un’emozione «Lei, in questo momento, è ancora viva solo perché temo che la sua infantile superbia possa essere contagiosa. E, ora, ci faccia il piacere di ritirarsi nelle sue stanze, così da non appestare questa situazione felice con la sua spiacevole presenza».
Piccata, Hermione non poté fare altro che obbedire. Alzatasi in piedi, osservando l’anziana signora negli occhi, si sistemò sul petto la spilla da Caposcuola, rimarcando ancora una volta il grande errore che la donna aveva compiuto. Molto prima che sapesse di quel risvolto inatteso, Minerva l’aveva candidata per quel ruolo.
Il Tribunale del Consiglio aveva accettato la sua proposta, senza contestare, sebbene avessero avuto da ridire sui ragazzi che aveva suggerito per le altre Case. Ora sapeva per quale motivo: aveva dato autorità ad una Mangiamorte. A nulla sarebbe valso un suo tentativo di cambiare quell’editto oramai stipulato.
Le due donne, appartenenti a generazioni molto distanti tra di loro, si scambiarono un sorriso, crudele da una parte e gelido dall’altra, prima che la figura snella della più giovane sparisse dietro la pesante porta che conduceva al Salone d’Ingresso e, quindi, alla scale.
Per la prima volta, Drew Kennan cominciò a dubitare della propria scelta di far divenire Hermione una Mangiamorte: lui stesso, oramai, non sapeva se potersi fidare completamente di lei.
La McGranitt aveva ripreso a parlare poco dopo.
«Vi pregherei di accogliere con un applauso fragoroso l’erede della mia cattedra, la signorina Amelia Fay, la quale si occuperà anche della direzione della Casata dei Gryffindor».
La diretta interessata non seppe come reagire a questa pubblica declamazione e, improvvisando, si alzò in piedi, sorridendo. Accennò un saluto ai suoi studenti, simile a quello con cui l’anziana Regina Madre soleva salutare gli astanti. A tale mossa, un rumoroso sbattere di piedi si sollevò dai Grifoni, cui lei ringraziò prodigandosi in gesti poco consoni per il ruolo autoritario che doveva investire. Indispettita, la McGranitt rivolse un’occhiata severa prima alla giovane e, poi, agli studenti, ottenendo un silenzio immediato. Amy, abbassando gli occhi, si portò una mano alla fronte in un perfetto saluto militare e si rimise a sedere. Rimaneva la certezza, comunque, che la prima impressione fatta era ben più che positiva.
«Sarò io la loro professoressa preferita, Kennan» sussurrò, rivolgendosi al vicino che chinò appena il capo per poter sentire le sue parole. Era divertita da quella situazione ed entusiasta all’idea di cominciare le lezioni.
«Molti di voi lo conoscono già … », stava dicendo intanto la Preside « … ma da quest’anno non si occuperà solo del corso speciale per gli studenti più promettenti, per il quale verrà affiancato dalla professoressa Fay, ma anche dell’insegnamento della sottile arte, fondamentale in momenti come quello che stiamo vivendo, della Difesa contro le Arti Oscure. Vi prego di riservare un applauso anche per Drew Kennan, che ora, in qualità di nuovo Vicepreside, si occuperà dello smistamento dei ragazzi».
In questo caso, il fragore provenne da tutti i tavoli indistintamente. Anche gli Slytherin dovevano ammettere, a malincuore, che averlo come insegnante era quanto di migliore potesse capitare loro, dopo Piton. Si diceva, infatti, che, sebbene i suoi metodi fossero inusuali, era uno dei maghi più dotati e potenti viventi. Senza contare che, non era affatto un mistero, il suo passato trasudava anche magia nera.
«Dicevi?» domandò, fintamente ingenuo, alla sua interlocutrice, mentre, prendendo l’elenco dei nuovi studenti, ben pochi, raggiungeva il polveroso Cappello Parlante.
***
La stanchezza traspariva dai loro volti. Era stata una giornata dura per tutti, sebbene alcuni, allo scoccare della mezzanotte, avrebbero realizzato d’essere stati colpiti con più ferocia di altri. Non riuscivano ancora a comprendere l’inspiegabile e repentino cambiamento di Hermione per quanto si sforzassero, per quanto tempo avessero avuto per affrontare la questione con le proprie coscienze. Nelle loro teste, continuavano ad essere approfondite, sviluppate come monumentali castelli di carta, ipotesi senza fondamento ma che, comunque, al loro cuore apparivano più realistiche di quanto gli occhi mostrassero loro.
Se qualcuno avesse chiesto loro di definire la parola “verità”, quella sera, solo uno di essi avrebbe saputo fornire una risposta valida e di senso compiuto. Solo uno di loro, quella sera, aveva smesso di combattere Lord Voldemort, preoccupato da altro.
Così, esausti e assonnati, dopo l’abbondante cena, come da accordi presi in precedenza, quando ancora la maggioranza di loro si trovava ospite sotto il tetto dei coniugi Zabini, si ritrovarono nella Stanza delle Necessità. Il primo ad arrivare, Harry, aveva chiesto un luogo in cui fosse possibile parlare senza timore d’essere uditi da orecchie indiscrete e in cui fosse anche possibile trovare un po’ di quiete.
Oltre la soglia, comparsa per magia lungo il corridoio del Terzo Piano, si sviluppò un salotto accogliente.
Un ampio finestrone, inserito in un arco trilobato, lasciava che la luce di quella luna di tarda estate filtrasse all’interno, disegnando giochi di ombre e riflessi luminosi. La stanza, non molto grande, era pregna di un piacevole tepore, alimentato dal fuoco scoppiettante nel camino. Anche il pavimento, ricoperto da un parquet massello di legno Wengè, sul cui colore scuro risaltavano le comode poltrone di un accesso carminio, era caldo. Su un piccolo tavolino di design, creato dall’intarsiarsi di tre lastre di vetro dalle forme curvilinee, erano appoggiati dei fogli di carta con una penna stilografica. Potter si lasciò cadere, sedendosi di peso e occupando uno dei posti più vicini al fuoco. In silenzio, mentre attendeva che i minuti trascorressero, scanditi da un orologio a pendolo dall’aria antica, formulò nella propria mente la richiesta che quel luogo fosse inaccessibile per Hermione Granger e per chiunque, come lei, non era desiderato all’interno.
Il salotto, oramai, era ricolmo.
Draco si era allontanato dagli altri e se ne stava appoggiato alla fredda parete, con le pietre a vista, poco distante dalla finestra. Daphne, invece, perfetta nell’apparire ed elegante nonostante l’ora tarda, aveva occupato una delle poltrone, sedendosi con una grazia tale che, per alcuni istanti, Ginny pensò che non fosse completamente umana. Con le gambe incrociate, ben definite da un sobrio paio di pantaloni neri a sigaretta, e con una mano presa a volteggiare dalle sue labbra carnose al posacenere, sfiorava distrattamente i capelli di Blaise, il quale si era seduto sul pavimento, a ridosso dei vertiginosi e immancabili tacchi che sua moglie non aveva potuto esimersi dall’indossare una volta liberatasi dell’uniforme scolastica. Gli occhi del giovane Zabini, tanto pesanti da sembrar non poter rimanere aperti, sottolineavano chiaramente la sua sonnolenza e il suo forte desiderio d’essere altrove, magari sotto l’abbraccio caldo delle coperte del suo letto. O della sua donna.
La più giovane dei Weasley, invece, si era seduta sul bracciolo della poltrona su cui si era insediato il suo fidanzato. Le fiamme rendevano i suoi capelli morbidi un qualcosa d’estremamente attraente e terribile nella medesima quantità: una creatura mitologica, un drago sfuggito da un antico libro di fiabe le cui squame cremisi parevano essere in grado di emettere una luce propria. Infine, forse i più tranquilli del gruppo, persi a cincischiare e a raccontarsi le molte cose vissute durante l’estate, vi erano Denise e Ron. Su volontà dello stesso Potter, il quale sapeva che l’amico non avrebbe sopportato di tenere con la quasi fidanzata un segreto tanto grande, il celebre portiere della squadra di Quidditch, il membro più spontaneo del Trio, oramai non più tale, aveva rivelato alla Millay la missione che Silente aveva affidato loro.
La Ravenclaw, che dopo il supposto tradimento di Hermione aveva cominciato a sentire un grosso peso sulle sue spalle, in quanto ragazza più brillante del gruppo, aveva trascorso tutto il suo tempo libero a documentarsi sul Signore Oscuro, attirando attenzioni non molto desiderabili, e sugli Horcrux. Le sue ricerche, in fin dei conti, avevano dato buoni risultati.
Finalmente, Harry decise di prendere la parola.
«Hermione ci ha traditi».
Quelle parole erano necessarie: tutti avevano bisogno di sentirsele dire, di percepire il loro suono pronunciato ad alta voce. Senza disincanti o bugie, senza domande, senza dubbi.
Per un attimo, il silenzio si fece di cemento armato.
«Almeno ora sappiamo chi ha rivelato al Signore Oscuro il piano per il tuo trasferimento» constatò Ron, riportando quella notte tremenda alla mente di tutti coloro che vi avevano partecipato e anche di chi era stato solo testimone di un racconto. Sulla coscienza della Granger, lo realizzarono per la prima volta in quell’istante, pesava la vita di Malocchio.
Eppure, la ragazza pareva non essere neppure lontanamente toccata dai sensi di colpa. Quasi come se fosse stata Imperius.
«E sappiamo anche chi ha svelato ai Mangiamorte la data del matrimonio di Bill e Fleur» aggiunse Ginny, provando una forte sofferenza, comunque, per quelle parole. Lei era pur sempre la sua migliore amica.
«Quindi è stata lei ad attaccare Drew» concluse Daphne, osando sottintendere, per la prima volta, quanto pericolosa la Granger era divenuta, se era stata in grado di sconfiggere Drew. «Hai ancora intenzione di partire?» continuò poco dopo la bionda.
Harry si spostò in avanti, facendo attenzione a non sbilanciare Ginny. Le sue mani si giunsero, posando i gomiti sulle ginocchia.
«Ora sono ancora più intenzionato di prima. Dobbiamo fermare Lord Voldemort, Silente ci ha lasciato questa missione» disse, scandendo chiaramente «Ho già detto alla McGranitt che dovrò andarmene e che, forse, qualcuno di voi verrà con me».
Draco, per la prima volta, si scostò dal muro avvicinandosi agli altri. Anche Blaise, in quel momento, parve particolarmente attento.
«Non mi ha fatto domande, ma mi ha promesso che ci avrebbe aiutati ad uscire dal Castello e a superare Hogsmeade inosservati» continuò Potter, sistemandosi gli occhiali sul naso «Ora devo saperlo: qualcuno di voi mi seguirà? Io avrò bisogno di tutto l’aiuto possibile».
Cercò conferme, forzandosi di non guardare verso la propria fidanzata, del cui pensiero era già a conoscenza. Proprio per questo motivo, tentava di evitarla. La Weasley, tuttavia, fu ben salda sulle proprie convinzioni.
«Io e Ron lo seguiremo. Lo abbiamo sempre fatto e, fino ad ora, non ha mai avuto torto».
Il fratello di lei si limitò ad annuire.
«Io resterò qui, vi sarò molto più utile dove mi è possibile consultare la biblioteca, piuttosto che in un possibile scontro». Non era quello il vero pensiero di Denise, ma Ron, in questo caso, era stato irremovibile: lei non li avrebbe accompagnati. Troppi pericoli.
Per questo motivo, la ragazza si era impegnata per escogitare un sistema di comunicazione, così da poter restare sempre in contatto con loro. Il metodo non era altro che una variazione, riuscita in maniera migliore, di quello con cui avevano spiato Marcus Belby. Si trattava, infatti, di una coppia di diari, legati tra loro da un incanto affinché ciò che veniva scritto su uno comparisse anche sull’altro. La particolarità era, però, che l’inchiostro spariva dopo un paio di ore se nessuno leggeva quel passaggio. Una contromisura necessaria, che avrebbe fatto sì che, per la maggior parte del tempo, i due volumi non sarebbero stati altro che un insieme di pagine bianche.
«Sarei venuto con voi solo per Hermione» sussurrò Draco, constatando un fatto ovvio «E lei ora non è qui. Dovrete fare a meno di me».
Il gruppo iniziale, così come era stato concepito, aveva subito la prima variazione quando la Granger li aveva abbandonati e, ora che anche Malfoy aveva deciso di restarsene ad Hogwarts, il recupero degli Horcrux pareva una missione quanto mai impossibile. Anche i lasciti di Albus, infatti, venivano ad essere separati.I tre Gryffindor, guardandosi, lessero la certezza che avrebbero dovuto fare a meno degli Slytherin nei visi degli altri. Daphne e Blaise non avrebbero mai abbandonato Draco.
Il ragazzo biondo mormorò un saluto ed uscì. Sembrava che la questione non lo interessasse, che, in qualche modo, non lo toccasse personalmente. Eppure, aveva appena appreso che il Signore Oscuro aveva ucciso sua padre.
Aveva forse deciso di deporre le armi?
«Io resto. Draco ha bisogno di noi».
Queste furono le parche parole con cui anche Zabini, includendo la giovane moglie, evitò di partire. Tutti avevano dubbi su di lui: la sua natura non era quella di un avventuriero, come tutti ben sapevano, e l’unica fedeltà che conosceva era rivolta a sua moglie.
Gli sguardi di tutti, meno che quello di Blaise, si concentrarono sulla Greengrass.
La ragazza, istintivamente, aveva smesso di giocare con i capelli di Zabini, quando lui aveva parlato.
Per un attimo, quel suo parlare anche per lei le aveva fatto perdere un battito. L’aveva ferita.
Neppure suo padre la lasciava mai esprimere il proprio giudizio. Era rimasta per anni rinchiusa, prigioniera di regole violente e di credenze tanto sciocche da essere assurde. Per anni.
Aveva accettato di sposarlo. Si era venduta a lui.
«Senza la Granger, due tonti come voi si ritroverebbero morti prima ancora di uscire dal portone di Hogwarts. E Ginny non può difendervi entrambi» aveva parlato senza pensare, lasciando che fosse la sua stessa coscienza a parlare. Non impedendo, per la prima volta nella sua vita, al suo desiderio di libertà di urlare contro il mondo.
«Verrò con voi».
Per la prima volta, Daphne Greengrass aveva messo i suoi bisogni per primi.
Non quelli di sua madre Beth o di sua sorella Asteria. Non quelli sbagliati del padre Ladon.
Non quelli di Draco. Non quelli di Blaise.
Sentiva di dover agire e lo avrebbe fatto: avrebbe combattuto per cominciare a vivere.
Ginny corse ad abbracciarla, mentre i restanti si prodigarono in un applauso.
Tutti tranne Blaise.
Il giovane Zabini sorrideva, soddisfatto.


Note dell’Autore
Imperdonabile, lo so, ma sono rientrato in crisi. Esco ed entro dalla stasi mentale con una rapidità tale da farmi spesso supporre d’essere affetto da grave forma di Disturbo dell’Umore. Magari sono solo bipolare.
Eppure, sono qui. Ancora una volta.
Questo, per me, è il capitolo degli anniversari. Sono passati circa tre anni da quando mi sono iscritto ad Efp e, sì, per quanto molto sia cambiato da allora, mi fa ancora piacere pubblicare qui. Non sono uno di quegli uomini romantici, tanta stima per loro, che si ricordano a memoria le date importanti – e me ne duole –, ma è sempre meglio arrivare tardi, piuttosto che non arrivare mai.
Io ci sono, finalmente XD
Vorrei ringraziare tutti di cuore. Dalla prima persona che ha cominciato a leggere You and Me, all’ultima che ha intrapreso la lettura di Just Give me an Hug.
Per alcuni non sarà un traguardo importante, ma, poiché lo è per me, voglio rendervi partecipi del fatto che il primo capitolo di Y&M ha superato le 10000 visite. È un numero enorme.
Quella pagina è stata aperta per diecimila volte, stento ancora a crederci. Per diecimila volte io sono entrato in contatto con perfetti sconosciuti grazie a ciò che ho scritto. Quindi, ancora, fino a che avrò fiato (o, in questo caso, forza per colpire le lettere della tastiera), grazie.
Ora, rendetemi contento :3
Mipiacciate il capitolo, se vi è piaciuto. Mipiacciate la mia pagina autore, se vi piace come scrivo. Mipiacciate la mia pagina Facebook, se volete mettervi in contatto con il sottoscritto.
E recensite, se vi va, perché, come per ogni altro autore, avere un riscontro di chi legge è quanto di più importante ci sia nel processo di scrittura. È un carburante, è una soddisfazione, è un sorriso. Sempre, anche quando la recensione è negativa.
Insomma, manifestatevi con un segno della vostra presenza :3
Sperando di avervi regalato qualcosa,
a presto.

Jerry


   
 
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