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Autore: Delyassodicuori    12/04/2013    0 recensioni
Ok, questa è decisamente l'idea più fasulla che mi sia venuta in mente. ricordate come avevo modificato il personaggio di Renesmee nella mia prima storia (the wolf story), facendola completamente innamorare della coppia Jacob/Leah? Bene, qui la vediamo alle prese con delle fanfiction da lei ideate e scritte per i nostri protagonisti, che ovviamente loro leggeranno ad alta voce le sue storie. quindi, in poche parole, è come un'insieme di capitoli extra, per l'appunto un Super Extra. Spero che vi piaccia, nonostante possa essere una roba da pazzi.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Leah Clearweater, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Seth Clearwater | Coppie: Jacob/Leah
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Wolf Story'
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SPECIALE: L’ANGOLO DELLE FANFICTION DI RENESMEE parte 1


Giorno gente, umani e non. Benvenuti nel mio angolo delle fanfiction (ok, angolo è decisamente esagerato, visto che uso la biblioteca sotterranea di casa Cullen). È qui che io mi metto sulla macchina da scrivere e faccio nascere delle storie intriganti sulla mia famiglia e sui miei amici. Perché? Non lo so, come a mio padre piace inventare nuovi pezzi per il piano, a me piace inventare storie. Sono nata 1 anno e mezzo fa, ma ho già la mentalità di una ragazza di 17 anni. Eppure sembro appena una di 14 (alcuni poi si confondono, visto come cresco veloce!). I miei un giorno mi hanno spiegato come nascono i bambini, quindi si gente, ho fatto anche storie a pallini rossi ed arancioni (Mi sono documentata, ma non ditelo a nessuno, altrimenti chi la sente mia madre?). Ma bando alle ciance! Quel giorno, prima che tutti partissero per cercare le pietre, avevo invitato Zio Jacob, Zia Leah, Zio Seth, Zia Cate e Cloe per farli visitare il mio “angolino”.
Avevo completamente riempito un bel po’ di scaffali, così quando ho mostrato a loro la mia collezione sono rimasti increduli.
-Aspetta…- fece zia Leah, a corto di fiato –Quanto hai impiegato a scrivere tutto ciò?-
-Uh… un mese, forse- risposi. Zia e zio Jacob mi fissarono increduli.
-E di che parlano?- chiese zio Seth, curioso, mentre Cate e Cloe guardavano gli scaffali affascinate.
-Di noi tutti- risposi –Ma in particolare della mia coppia preferita, ovvero Zia Leah e Zio Jacob!-.
Non saprei descrivere le facce dei due, ma vi assicuro gente che erano rossi come peperoncini! Sorrisi compiaciuta per la loro reazione e andai a prendere una delle mie storie su i due innamorati. Saltai in alto verso lo scaffale “F” e presi una pellicola. Scesi con grazia e tirai fuori dalla bustina con cura dei fogli scritti.
-Che ne dite di leggere questo? Ah, non fate caso al tema Medievale, ma sapete com’è, mi affascina da sempre!-
-Uh?- chiesero in coro i due, fissando il titolo della mia storia, The impossible love.
-Amore impossibile?- chiese zio Jacob, confuso.
-Si si, leggete su!- ordinai a loro. Mi fissarono per un secondo, si guardarono poi negli occhi e voltarono pagina per leggere la storia (che presenta un unico capitolo, perché era troppo breve per avercene di più! Tipo la Breve seconda vita di Bree Tanner! Dai, se avete letto i libri della saga avete letto anche quello, no?)
-Questa poi…- disse Leah, immersa nella lettura, seduta tra le braccia di Jacob sulla poltroncina color bordeaux (Awww, non sono teneri?).
-Uffa! E leggilo ad alta voce, sono curiosa!- fece Cloe, avvicinandosi alla madre. Leah guardò perplessa Jacob e lui annui, dandole poi un bacio veloce sul suo collo (ora mi intenerisco).
-Ok- disse lei, con il viso rossissimo, ed iniziò:
 
-<< Pioveva forte quel giorno, anzi, quella notte. Le gocce di pioggia picchiavano forte sui vetri del castello, quasi come se volessero frantumarli in mille pezzi. Una donna, sulla quarantina, naso adunco e sguardo da corvo si dirigeva verso le cucine del castello, per verificare che fosse tutto al suo posto. E sotto ordine del re doveva anche portare alla regina una bacinella d’acqua. La Regina Sarah, infatti, era molto malata, e la famiglia reale era disperata. “Povera donna” pensava la vecchietta “La mia povera regina. Di questo passo…”. Una lacrima scese dal volto di lei. Lei, che era sempre stata la balia della regina Sarah, Che si è sempre presa cura di lei. Arrivò alle cucine quando sentì la porta che portava al piccolo campo di raccolto sbattere. Qualcuno dall’altra parte bussava forte.
“Ma chi è a quest’ora?” si chiese la donna, confusa e seccata. Non aveva tempo per ospiti. Doveva pensare alla sua regina malata.
-Chi è?- chiese, ma nessuno rispose. Sbuffò ed andò ad aprire la porta. Per poco non cacciò un urlo di terrore. Davanti a lei, zuppi e fradici, due bambini stavano alla soglia. Un tuono illuminò i loro volti per un secondo. Una era di appena dieci anni, con i capelli neri e lunghi che le coprivano parte del volto consumato dal dolore nonostante la tenera età. L’altro era sulle spalle di lei, forse di cinque anni, piccolo, gracile, con le guance rosee ma sporche di sangue e fango e capelli neri e corti. Anche la bambina aveva il volto sporco di sangue e fango, sciolti però dalle sue incessanti lacrime. La piccola stringeva i denti, come se fosse affaticata, e aveva uno sguardo strano sulla donna. C’erano rabbia, rancore e tristezza, ma anche sollievo in quegli occhi color cioccolato fondente.
-La prego- disse a fatica la bimba, le braccia che reggevano il bambino e le gambe tremanti -…Per Favore… Lo… aiuti… Ci… aiut…-.
Non riuscì a finire la frase che la bimba chiuse gli occhi e si afflosciò a terra, esausta, assieme al piccolo bimbo.
-Oh Gesù!- urlò la donna, terrorizzata, e li portò dentro, chiudendo la porta. Li poggiò sul pavimento vicino al tavolo e corse verso le stanze della regina. La ritrovò esattamente come l’aveva lasciata. La regina, sdraiata sul letto matrimoniale, aveva il volto sudato, i capelli appiccicati alla fronte e il respiro affannoso. Il re, un uomo con i capelli lunghi e neri, era seduto accanto a lei, a stringerle la mano fredda e impallidita, con lo sguardo morto su di lei. I figli, un bimbo di dieci anni e due bambine più grandi, erano ai piedi del letto, i volti segnati dal dolore e dalla paura per la probabile ed imminente perdita.
-Maestà!- urlò la balia –Due bambini… ci sono due bambini feriti nelle cucine!-
-E curali, vecchia storpia!- urlò il re, fuori di sé. Due bambini sconosciuti erano i suoi ultimi problemi. Il figlio del re alzò la testa, asciugandosi le lacrime. Era simile ai due bambini. Capelli neri e corti e occhi color cioccolato fondente. La balia si scusò e uscì, tornando alle cucine. Prese dell’acqua, la portò al re e tornò dai due bimbi. Riempì una vaschetta d’acqua e sentì dei passi piccoli scendere le scale. Il principino aveva ancora il volto distrutto, ma più deciso.
-Altezza!- sbraitò la donna –Non dovrebbe essere qui!-
-Zitta Madama Gianna!- urlò il principino, furioso come il padre. Fissò i bimbi accasciati per terra, prese una coperta sudicia e li coprì con quella.
Prese due stracci ed assieme a Madama Gianna li inzuppò nella vaschetta. Con uno straccio pulì il viso della bambina, scostandole i capelli dalla fronte. Il bimbo rimase incantato, e rattristato allo stesso tempo. Come mai una bambina così bella era in quello stato? Le pulì il viso con cura e delicatezza, assieme al collo e alle braccia. Per i vestiti ( che ora erano più che altro degli stracci) non poteva farci niente, per il momento. Quando passò una seconda volta la fronte della piccola, lei aprì gli occhi. All’iniziò le parve tutto sfocato, ma poi vide chiaramente il viso di un bel bambino proprio sopra di lei. Lo fissò, incantata e confusa, gli occhi semi aperti.
-Meno male- disse sollevato il piccolo –Madama Gianna, lei è sveglia!-
-Sia lodato il cielo!- fece lei –Si sta svegliando anche lui!-.
La bambina era troppo confusa per capire cosa si stavano dicendo. Continuava a fissare perplessa il piccolo principe. –Stai bene?- chiese lui, un poco sollevato, porgendole appena un sorriso per incoraggiarla.
-Si…- disse lei, la voce debole –Ma… tu… chi sei?-
-Che maleducata!- sbraitò improvvisamente la balia –Lui è il principino, porta un po’ di rispetto!-
-Vecchia rimbambita, NON ORA!- urlò di rimando lui, chiedendosi in quale continente avesse preso le rotelle.
-P-principe?- fece la bimba, incantata.
-Per favore, chiamami Jacob- disse lui, sorridente appena –Tu come ti chiami?-
-L-Leah… rispose la bimba, le guance arrossate.
-E il piccoletto?- chiese Jacob.
-S-Seth…- rispose Leah e di colpo spalancò gli occhi, terrorizzata. –O mio Dio! Dov’è mio fratello?- urlò lei, alzandosi a sedere. Un dolore improvviso si fece sentire allo stomaco, costringendola a sdraiarsi.
-Sta calma, è qui- disse Jacob, indicandole il fianco. Il piccolo Seth teneva a malapena gli occhi aperti. Tremava e i suoi denti battevano forte.
-M…Mamma…- fece il piccolo, gli occhi pieni di lacrime –Papà…-.
Leah sentì come un taglio netto al petto e le guance ancor più bagnate. Abbracciò il fratellino e gli disse rassicurante:-Va tutto bene, piccolo, siamo salvi ora… Siamo al castello, ce l’abbiamo fatta!-.
Si, si diceva, ci erano riusciti. Era riuscita a mantenere la sua promessa…>>-

 
-Ma perché cavolo devo essere sempre io il più piccolo qui?- sbraitò Seth, interrompendo Leah. Lei alzò lo sguardo al cielo. Forse si stava chiedendo se dargli una manata in testa o meno.
-Zio, Taci!- fece Cloe, mentre io e lei eravamo sedute di fronte alla poltroncina con lo zio dietro di noi.
-Dai Seth, falla finire!- fece Cate, sedendosi accanto a lui. Leah tossì e riprese il racconto:
 
­-<< Passarono due giorni. Il re diede il permesso alla balia di tenersi i bambini profughi. Il giorno dopo, però, l’anima della regina Sarah abbandonò il suo corpo. Il giorno successivo c’era tutto il regno al suo funerale. Dopo la cerimonia, Jacob andò a rintanarsi in un angolo del castello da solo. Leah, che teneva per la mano il piccolo Seth, decise di seguirlo, per fargli le condoglianze. Sia lei che il fratello sapevano cosa significava perdere un genitore. Voleva stargli vicino, consolarlo, fargli capire che non era da solo, ma una mano rugosa bloccò la sua spalla. –Dove pensi di andare, eh?-.
-Ma Jacob…- fece lei e la vecchia sguattera la strattonò per un po’. Il piccolo Seth si nascose dietro la sorella e Madama Gianna la guardò in faccia. Alzò il dito davanti al suo naso e disse, seria e severa:- Ricorda, giovane! Lui è il principe, chiaro? Noi siamo povere. Siamo sguattere, capisci? Non possiamo socializzare con la famiglia reale come se fossero persone comuni! Ricordatevi entrambi che dovete chiamarli sempre Altezza o Maestà, e dare a loro del lei  o del voi. Mai per nome! E non parlate se non siete interpellati! E non stringete con loro amicizia! Il vostro compito, d’ora in avanti, è servirli! Mi sono spiegata?-.
A Leah quelle parole facevano molto male. Non poteva parlare con lui? Doveva e Voleva farlo, lo sentiva, ma se non rispettava le regole del palazzo, lei e Seth erano finiti. Doveva rispettarle, per il bene del fratellino…>>-

 
-Certo che è stronza la tipa!- sbraitò Jacob indignato. E ti pareva?
-Anche tu, papà?- fece Cloe, furiosa, sul punto di esplodere.
-Posso continuare o devo essere interrotta?- chiese Leah, ansiosa. Il racconto era riuscito a prenderla, evvai!
-Vai Vai!- feci io con la mano.
-Bene- disse lei –Allora continuo… uh… qui la scena si sposta dopo 10 anni?-
-Si- risposi, dondolando impaziente.
-Ok… allora…. << -10 anni dopo->>
 
< -Torna qui, vigliacco!- urlò Madama Gianna dietro di loro, rincorrendoli, con in mano un mattarello infarinato.
-Cacchiooo!- urlava Seth, terrorizzato, mentre in bocca si teneva un pane.
-Razza di idiota!- sbraitò Leah. Si era tagliata i capelli e ora le arrivavano appena alle spalle.
-C’era proprio bisogno di rubare il pane oggi?- urlò lei, furiosa.
-Ma ho fame! Sono due giorni che non mangio!- rispose Seth –E tu perché scappi allora?-
-Quella donna fa paura!- rispose urlando Leah. Non si accorsero però che dall’angolo sbucò fuori davanti a loro la vecchia Madama Gianna, arrabbiata come un toro alla vista del rosso. Si fermarono appena in tempo ma lei diede ad entrambi una martellata in testa. I due caddero con le facce a terra e le fontanelle di sangue che uscivano dalle loro nuche…>>-

 
-Wow, come nei manga!- fece zio Seth –Brava, stai imparando l’arte del vivere alla Giapponese!- continuò, dandomi le pacche sulla spalla.
-Uh…- feci confusa, quando Cloe intervenne urlando:-Zioooo!-.
Gli diede un violento ceffone sulla nuca e lui cadde a terra proprio come i Leah e Seth della storia.
-Non rompere!- fece lei –Stiamo ascoltando!-
-Ma…-
-Niente MA!-urlò di rimando Cloe, schiacciandogli la testa.
-Uff… continua dai…- fece Cate, incitando la lupa.
Lei sbuffò nervosa e continuò:
 
-<< -Finalmente vi ho beccati!-.
-Seth, mannaggia, ridalle il pane!- disse Leah, massaggiandosi la testa e rimettendosi in piedi.
-Ma ho fame!- ripete Seth, mentre il suo stomaco brontolava di brutto. –Il borridge non lo prendi?- urlò Madama Gianna…>>-

 
-Borridge? C’era all’epoca?- chiese Jacob, interrompendo nuovamente il racconto. Leah sbuffò impaziente, prese un libro dallo scaffale alle sue spalle e urlò:-Taciii!-.
Un colpo violento in testa costrinse Jacob a tacere sul serio. Lasciò cadere la testa sul collo della lupa e lei arrossì di brutto, rimettendo il libro al suo posto.
-Renesmee, smettila con quei occhi a cuoricino- fece Cate, riportandomi alla realtà. Che pizza!
Leah riprese il racconto:
 
-<<-No che non lo prendo!- urlò Seth –Fa schifo!-.
-E allora?- urlò Leah, fuori di sé per quella assurda situazione:- Anche io lo trovo disgustoso, ma lo mangio uguale!-.
A Seth brontolò di nuovo lo stomaco più forte. Madama Gianna sbuffò seccata e disse:-Bene, prendi solo un pezzo, ma pretendo che tu mi restituisca gli altri-.
-Grazie vecchia pirla!- urlò Seth di gioia e, prima che la vecchia potesse solo rispondere, le diede gli altri pani, tenendosi quello che aveva addentato, e scappò ridendo.
-I giovani, tsk!- fece Gianna, indignata. Leah sbuffò. A suo fratello piaceva mangiare bene. Sin dai suoi 5 anni non digeriva il borridge. Entrambi erano stati educati severamente da Madama Gianna, ma nonostante ciò Seth era sempre Seth…>>-
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-Che?- chiese urlando Seth. Gli diedi una gomitata in pieno naso.
-Qualcun altro vuole rompere mentre leggo per tutti?- chiese Leah, irritata. Scuotemmo le teste in segno di “no”, mentre Cate riaggiustava il naso al lupetto.
-Leah, quando ti sei stufata fai leggere a me?- chiese Jacob.
-Si certo- disse lei, dandogli un bacio tenero e dolce sulla guancia, a mo’ di scusa per la botta di prima.
-Oh! Voi due!- urlai, puntando contro loro il dito –Sulle labbra con tanto di lingua la prossima volta!-.
-NESSIE!- sbraitarono loro, rossissimi.
-Vuoi finire, per favore?- chiese Cloe, stufa delle solite interruzioni.
 
-<< Madama Gianna aveva dato a ciascuno un ruolo: Seth era incaricato a comprare i prodotti, caricarli nel carro e portarli al palazzo, per poi pulire le stalle e dar da mangiare ai cavalli. Leah, invece, era la sguattera del castello, assieme ad altre donne, ovviamente. La differenza, però, era questa: essendo stata educata dalla vecchia in persona, era lei quella che dormiva in cucina assicurandosi che andasse tutto liscio e non solo: era diventata anche la balia della principessa Rachel, una ragazza più grande di lei, che portava sempre gli occhiali sul naso e un libro sotto il braccio e sul petto…>>-
 
-Occhiali?-
-TACI JACOB!-
 
-<< -Tu non hai da fare?- chiese Gianna alla ragazza.
-Ho fatto tutto, a dir la verità- rispose Leah –proprio ieri pomeriggio-.
-Leah! Finalmente!-. la ragazza si voltò, ritrovandosi davanti ai suoi occhi Rachel. –Oh, altezza!- fece lei, inchinandosi un poco al suo cospetto. Gianna annui, approvando il suo modo di salutare la principessa, mentre quest’ultima sbuffava indignata. Odiava vederla fare questo.
-Senti Leah- fece Rachel –Non è che mi accompagneresti da mio fratello?-.
-Principe Jacob?- fece Leah, facendole riaffiorare il ricordo del loro primo incontro. Dal funerale della regina non si erano più parlati. Si erano incontrati solo di vista, ma niente di più.
La ragazza ebbe un nodo alla gola. –Certo, altezza- rispose invece, seguendola per il corridoio. Camminarono per un po’, finché Rachel non disse:-Senti, d’accordo che potrebbe avertelo imposto lei, però non esagerare!-.
-Oh, certo- disse Leah, finendo lì il discorso. Arrivarono davanti ad una porta in legno. Dall’altra parte si sentivano rumori di macchinari strani. Le due entrarono in una grande stanza, con tanto di  tavoli, macchinari, strumenti meccanici, chiavi inglesi, martelli, ecc…
Qualcuno dall’altra parte della stanza stava battendo un pezzo di ferro, o almeno così sembrava di sentire Leah. Camminarono verso quella parte, ma una figura umana, con in testa uno strano copricapo di ferro, balzò davanti a loro. In mano teneva un pezzo di ferro battuto e un martello. Le due ragazze urlarono per lo spavento. La persona con il copricapo rise divertito.
Leah non resistette e gli diede un calcio nei marroni. Il ragazzo si piegò in due dal dolore e lei gli pestò la testa più volte, urlando:-Pezzo di idiota, COME OSI SPAVENTARE SUA ALTEZZA?-.
-L-Leah!- urlò Rachel, bloccandola –Quello è Jacob, fermati!-. A Leah ci vollero ben cinque secondi buoni per capire la gravità della cosa. Alzò il piede dalla sua testa e il ragazzo si tolse il copricapo. Alla sguattera si mozzò il respiro. Visto così da vicino era ancora più bello di quanto ricordasse. Jacob si massaggiò la nuca, nel punto esatto dove era stato pestato. –Ahia- fece lui –Stavo solo scherzando io!-.
La ragazza si pietrificò per il terrore. Aveva appena pestato il principe? Madama Gianna l’avrebbe picchiata a sangue. Per di più era lo stesso bambino che era corso per soccorrerla dieci anni fa!
Si inginocchiò a terra e cominciò ad implorare:-Mi perdoni, mi perdoni, mi perdoni, non accadrà più!-.
-Ok, tranquilla- fece il ragazzo, bloccandole la spalla per evitare che si chinasse di nuovo.
-Sei perdonata, anzi, perdonami tu, vi ho spaventate!-.
-Come sempre!- si lamentò Rachel.
-Sorella, qual buon vento?- la salutò Jacob, alzandosi.  Anche Leah si alzò ma rimase in disparte con la testa bassa, lo sguardo sui suoi piedi e i capelli corti che coprivano a malapena il viso.
-Il tuo tutore vuole che tu ti metta a studiare questi invece di giocherellare con i macchinari- disse a mo’ di saluto la principessa, porgendo al fratello un libro.
-Uffa- sbraitò Jacob –Edward sceglie sempre gli argomenti più noiosi!-.
-Se tu ti impegnassi di più non sarebbero noiosi!-
-Ma cavolo, ho 20 anni!-
-C’è gente che studia ancora a quest’età! Ah, un’latra cosa…-
-Dimmi- sbuffò lui.
-Ti ho portato qualcuno per aiutarti a mettere in ordine questo posto- rispose Rachel, indicando con un semplice gesto della mano Leah. Lei alzò la testa, leggermente confusa. Doveva aiutare chi?
-Oh, grazie mille- sorrise soddisfatto il principe. Leah inarcò un sopracciglio, chiedendosi il motivo di tanta felicità.
-Bene, a dopo allora- li salutò Rachel, ma venne bloccata dalla sua balia:-Un attimo, vostra Altezza, cosa dovrei fare qui?-.
-Aiutalo- rispose semplicemente la principessa, chiudendosi dietro la porta. Per la prima volta, si rese conto Leah, erano da soli in una stanza. Le si mozzò il respiro una seconda volta.
E ora? Madama Gianna era stata chiara con lei dieci anni fa: 1) non stringere con loro amicizia; 2) abbassarsi davanti a loro di livello; 3)Darli sempre del lei o del voi e chiamarli sempre “altezza” o “maestà”.
-Allora, non vieni?- chiese lui, indicando il fondo della stanza. Leah si ricordò allora di un’altra regola:4)Non parlare con loro se non si è interpellati.
-Oh, certo… altezza…- rispose lei, seguendolo. Jacob grugnì, dicendo:-Non chiamarmi altezza, ok?-. Leah non rispose. Anche su questo Madama Gianna era stata espressamente chiara: 5)Non ascoltarli quando dicono una frase simile.
Leah fissò il principe dopo dieci anni. Indossava dei pantaloni neri e una t-shirt bianca-grigia. Aveva poi notato che con il tempo aveva sviluppato i suoi muscoli ed era persino più alto di lei. Arrossì, ma poi scosse la testa per non pensarci.
Arrivarono infondo all’enorme stanza, dove vi erano degli scaffali pieni di libri.
-Ok, mentre io rimetto a posto il tavolo, tu puoi riordinare i libri sugli scaffali per favore?- chiese Jacob, indicando il mucchio sparso sulle sedie accanto.
-Certo, altezza- rispose lei, alla quale non le sfuggì un grugni di assenso da parte di lui. Salì la scala con tre volumi pesantissimi in braccio, cercando di rimetterli al loro posto, purtroppo per lei, a fatica. Provò a rimettere al suo posto il terzo libro, ma lo rimise dentro talmente a fatica che quando lo rilasciò sentì l’equilibrio vacillare come il suo corpo. Provò ad aggrapparsi alla scala ma fu troppo tardi. Cadde nel vuoto e chiuse gli occhi. Sentì poi qualcosa stringerle forte per la schiena e le gambe. Aprì gli occhi di scatto. Jacob la teneva in braccio e il suo viso era vicinissimo a quello di lei, quasi a sfiorarsi i nasi. Sentirono entrambi i loro cuori battere forte e le loro guance accaldarsi sempre di più. Ognuno si era completamente immerso negli occhi dell’altro.
-Stai bene?- chiese Jacob, sempre fissando la ragazza tra le sue braccia. Lei arrossì il doppio, rendendosi conto solo ora di quel che stava succedendo. Scese dalle sue braccia, si sistemò la gonna fingendo che fosse tutto nella norma e rispose:-Si, certo…-.
-Sicura?- chiese lui, avvicinandosi. Lei si rivoltò dall’altra parte per non vederlo in faccia. No, non poteva nemmeno rivolgergli la parola se non era interpellata.
-Si- rispose secca lei, abbandonando ogni buona educazione. Si avviò da sola verso l’uscita, prima che Jacob potesse dire solo una A. Uscì e chiuse forte la porta. Si appoggiò ad esso e cominciò a riprendere fiato, ancora con il cuore fortemente agitato.
Dopo un giorno Leah non riusciva ancora a toglierselo dalla testa. Il ricordo di come il principe l’aveva salvata, stringendola forte a sé, le rimbombava nella mente, quasi a stuzzicarla. E anche il suo cuore tendeva a farle dei pessimi scherzi. Quel giorno, comunque, doveva andare a lavare i panni. Camminava per il castello con in mano un enorme cesto, con dentro una montagna di vestiti da lavare. La vaschetta per lavare i panni era al piano superiore rispetto a dove si trovava lei. Cercò di salire pian piano le scale per evitare di cadere di nuovo, quando una voce troppo famigliare la distrasse:- Leah! Eccoti finalmente!-.
-Vostra altezza!- le uscì dalla bocca al solo pensiero di Jacob, che era proprio sotto la grande gradinata dietro di lei. Fu talmente distratta che mise male il piede sul gradino e scivolò. Ancora qualcosa la afferrò, stavolta circondandola tutta. La sensazione di vuoto finalmente cessò, ma un paio di panni caddero addosso a lei, assieme agli altri. Dopo due secondi circa si accorse di essere sdraiata su qualcosa di duro e caldo. Il suo orecchio era poggiato su quella strana superfice e sentiva uscire da essa dei strani battiti.
-Tutto bene?- chiese la voce di Jacob sopra la sua visuale. Alzò un poco la testa. I loro volti erano nuovamente vicinissimi, forse un po’ più della scorsa giornata. Lei era sdraiata sopra di lui e il principe con un braccio la stringeva a sé, con l’altro cercava di rialzarsi. Di nuovo arrossirono e Leah sentì la schiena percossa da brividi enormi. Si staccò da lui bruscamente e disse, agitando le mani:-Mi Scusi, mi dispiace!-.
-Oh, non preoccuparti- rispose lui, sedendosi. La ragazza provò allora a scappare via, ma la mano di lui le afferrò saldamente il polso. Si sentì trascinare da lui e in un attimo il principe stringeva forte a sé la sguattera in un abbraccio caloroso, bloccandole la schiena con le sue enormi braccia. Lui appoggiò la testa di lui sulla sua spalla e fece oscillare la sua sul collo di Leah. La balia di Rachel sentiva il cuore batterle ancor più forte e il viso raggiungere i 40°C, forse i 42. Alla peggio 44!
Le braccia di lei erano completamente bloccate, incastrate tra i loro petti quasi attaccati. Jacob le accarezzò dolcemente i capelli, assaporando il suo dolce profumo. Poi le sussurrò:-Per favore, non scappare-.
-A-altezza…- fece lei, a corto di fiato, ma Jacob la zittì:-Non chiamarmi così!-.
Dopo due secondi e mezzo disse, dolce e triste allo stesso tempo:-Mi sei mancata tanto-.
Leah sentiva il bisogno di piangere. Voleva ricambiare l’abbraccio, dirgli che gli mancava tanto anche a lei, che ogni singolo giorno della sua esistenza non faceva altro che pensare a lui. Ma non poteva. Una lacrima le scese lungo la guancia. Jacob la strinse ancor di più, quasi come se non la volesse liberare. Voleva tenersela così per sempre. Voleva restarle accanto per sempre, sentirla sua, sapere che era sua. Si staccò leggermente da lei, poggiando la fronte su quella della sguattera. Le asciugò la lacrima e i due si fissarono negli occhi, rapiti.
-Jacob!- Sentirono urlare la principessa Rebecca da lontano.
-Dove sei? Ho bisogno di parlarti!-.
“Oh no!” pensarono i due e Leah si staccò subito da lui a forza. Raccolse in fretta e furia i panni sporchi, li infilò nel cesto e corse con essa su per le scale, sbirciando dai vestiti, mentre il suo cuore accelerava sempre di più e il principe la fissava andarsene, con lo sguardo triste…>>-
 

 
-Uffa! Rebecca deve sempre rompere!- sbraitò Jacob.
Leah alzò gli occhi al cielo per l’ennesima volta e se li stropicciò. –Leggo io?- chiese il lupo rosso alla lupa bianca. –Uhm- rispose lei, passandogli il foglio e mostrandogli la riga da dove deve leggere per riprendere la storia.
 
 
-<< Nelle due settimane seguenti aveva sempre cercato di stargli lontano. Quel giorno erano entrambi vicini a varcare quel limite, quel limite che non dovevano superare. Le sue parole le rientravano in testa, ad ogni ora: ”Mi sei mancata tanto!”.
-Ehi, sorellona- la richiamò Seth, seduto alla guida del carro.
-Eh?- fece lei, risvegliandosi dai suoi ricordi.
-Vuoi sbrigarti a caricare dentro quei cetriolini?-.
“Cacchio” pensò Leah, ricordandosi che teneva in mano un cesto di cetriolini. Seth quel giorno doveva distribuire un po’ di merce alla popolazione che non era in grado di permetterseli.
Caricò il cesto nel carro strapieno poi, accarezzando il collo del cavallo, chiese al fratello:-Entro quanto pensi di tornare?-.
-Mah, non dovrei metterci molto spero- disse lui ed agitò le rendini, facendo partire il carro. Da lontano urlò a Leah:-A stasera!-.
-Stai attento!- urlò lei, agitando la mano per salutarlo.
Continuò a fissare il punto dove era sparito Seth. In quel momento aveva in testa il ricordo pungente di come, 10 anni fa, era stato ferito brutalmente…
 
-No, lascialo stare!- urlò la piccola Leah, con il braccio insanguinato.
-Oh, anche tu ti metti contro di me?- ringhiò furioso l’uomo che stringeva il piccolo Seth per la gola. Leah prese un bastone che si trovava a terra e lo sbatte forte sulla testa dell’uomo. Lui urlò di dolore e mollò la presa su Seth, che cadde con un tonfo a terra. Lei lo raggiunse e provò a sollevarlo.
-Sore.... lona… -sospirò il piccolo, ricoperto di sangue e fango.
-Non temere!- disse Leah, quasi urlando –Ho fatto una promessa, ricordi? Riusciremo a salvarci!-. alzò la testa e sgranò gli occhi per il terrore. L’uomo teneva sempre lo stesso  bastone di Leah in alto, pronto a colpirli…
 
-Oh, il piccoletto lavora, allora!-.
Leah si voltò e il suo volto assunse una smorfia di disgusto puro. Sam, comandante dell’esercito del re, era forse la seconda persona che più odiava al mondo. Lo aveva sempre odiato, sin dal loro primo incontro. Infatti, la faccia del comandante era uguale a quella dell’uomo di quella notte.
-Certo che lavora- sputò a terra lei –al contrario di una certa persona!-
Non lo avesse mai detto. Sam assunse uno sguardo furioso, come se la volesse uccidere da un momento all’altro. Le prese a forza il braccio, stringendolo, fino a farle male sul serio.
-Devo ricordarti cosa avevo fatto quella volta alla vostra cara cuginetta?- chiese con un ringhio lui. Leah per poco non si sentì strozzare. Dopo cinque anni di soggiorno al castello, i due fratelli avevano scoperto che assieme a loro lavorava la loro cugina. Emily. Cercò di scacciare via il ricordo di come aveva trovato il comandante sopra la cugina di Leah, intento a penetrarla…>>-

 
Jacob si bloccò in quel punto e, sia lui che Leah, fissavano la riga, impietriti e scioccati, le bocche ad O. Mi guardai intorno e anche gli altri avevano la stessa espressione.
-Che c’è?- chiesi imbarazzata.
-Renesmee Carlie Nessie Cullen- fece Jacob, fissandomi come se avessi appena commesso un crimine –Hai guardato per caso YouPorn, te l’ha spiegato Embry, o i tuoi?-
-I miei cavolo!- sbraitai –Ho la mente di una diciasettenne, non rompete!-
-C-continua…- fece Leah, appoggiando la sua testa sul collo di Jacob, mentre lui appoggiava la guancia sulla suo nuca.
-Nessie, non sbavare- fece Seth, e io mi pulì la bava. Cavolo.
-Non ti facevo tanto pervertita sai?- fece Cloe –Mi chiedo cosa ne penserà Nahuel…-
Una botta in testa da parte della sottoscritta bastò a zittire la lupacchiotta. Arrossì e il mio cuore balzò forte al pensiero dell’ibrido.
-Ehm…. <  
<<-Posso farlo benissimo anche con te- continuò Sam. La ragazza si sentì sbiancare completamente. –Lasciami!- urlò lei, cercando di liberare il suo braccio dalla stretta. Improvvisamente qualcuno sbucò fuori alle spalle di Sam e gli diede un ceffone sulla nuca. Il comandante si voltò, urlando:-Chi cazz…- per poi bloccarsi. Jacob lo fissava con un aria omicida. Leah sospirò di sollievo, ma subito dopo si sentì accaldata ed agitata. Lui  qui?
-Altezza- tremò Sam. Jacob sibilò:-Lasciala stare-. Sam obbedì e corse via, terrorizzato ed infuriato.
Leah rimase immobile, a fissare il ragazzo davanti a lei, mentre lui ricambiava lo sguardo.
-Grazie…- disse lei, a testa bassa e arrossata. Riusciva ancora a sentire sulla sua pelle il calore dolce ed affettuoso del principe. Lui la prese d’istinto per mano e le disse:-Seguimi senza fiatare-. Leah annui, imbarazzata, e Jacob la trascinò dietro di sé, fino ad un piccolo magazzino dove tenevano la scorta per l’inverno. Lui si chiuse la porta dietro di sé a chiave e prese la ragazza per i fianchi, incastrandola tra lui e la parete di legno.
Lui avvicinò il viso al suo.
-Perché continui a scappare ogni volta che arrivo io?- chiese il ragazzo, lo sguardo serio e profondo sugli occhi di lei.
-Altezza, per favore…- cercò di dire Leah, ma Jacob la bloccò al muro per le spalle:-Dimmelo, insomma! Perché, voglio saperlo!-.
Leah ci pensò su due volte o forse più mentre fissava negli occhi scuri del principe, carichi di curiosità. Il volto della ragazza si fece più serio, teso e scuro. Strinse forte i denti e disse, con una voce calma e severa, non sua:- Allora le dirò una cosa, principe, ma è bene che stia molto attento, perché non ripeterò una seconda volta-.
-Ti ascolto- fece lui, le orecchie tese, nervoso. Quello sguardo non era suo, lo sapeva bene. Dopo quella notte, 10 anni fa, prima che la regina Sarah lasciasse la terra, aveva stretto amicizia con Leah, l’unica con la quale avesse avuto un rapporto molto affettuoso, quasi alla pari delle due sorelle. Una volta, poi, quando lei aveva saputo che sua madre era sul punto di morire, lo aveva abbracciato forte. Quella volta aveva di fronte a sé una Leah che, nonostante il trauma vissuto assieme al fratello, riusciva ancora a sorridere, non per sé stessa, ma per gli altri. Forte, coraggiosa, sorridente. E felice quando stava con lui e Seth. Ogni volta che lei sorrideva lui si sentiva bene. Ma ora, chi aveva di fronte a sé? Chi era quella ragazza? Possibile che fosse la stessa bimba di dieci anni fa?
Doveva essere successo qualcosa, chiaro. Altrimenti in quel momento non avrebbe assunto uno sguardo duro. Leah riprese fiato e disse, con un tono asciutto:-Io e lei siamo troppo diversi. Siamo di una classe sociale diversa. Un principe ed una sguattera non dovrebbero mai abbracciarsi in quel modo. Siamo stati fortunati che nessuno ci ha visti, ma sarebbe splendido se non riaccadesse più una cosa del genere-.
Lei stessa si vergognava da sola per qualche strana ragione di quelle stesse parole. Ma sperò che questo potesse far chiarire le idee a Jacob. Provò ad andarsene a testa bassa, ma lui la bloccò di nuovo. Le parole di Leah gli avevano lasciato dell’amaro in bocca. Ora anche il suo sguardo era duro e scuro come quello della sguattera.
-Te l’ha imposto quella vecchia rincitrullita una regola simile?- chiese lui.
Leah provò a non guardarlo negli occhi. Sapeva che se lo avesse fatto avrebbe perso la lucidità.
Non era già abbastanza il fatto che in quel momento il suo cuore battesse così forte?
-Anche se non lo fosse, varrebbe comunque- disse secca lei.
-E secondo te a me importa?- chiese lui, quasi urlando.
-Dovrebbe!- rispose Leah, cercando di mantenere il tono asciutto. Passò un minuto di silenzio, dopo di ché Jacob riprese il discorso:-Ricordi cosa ti avevo detto l’altra volta? Tu mi sei mancata tanto Leah, e mi manchi ora!-.
Si fissarono negli occhi. Lo sguardo di lui era triste e la cosa metteva a disagio lei. Leah cercò di capire il senso dell’ultima parte della frase. Lo sguardo della ragazza era simile a quella volta che dopo dieci anni lui l’aveva abbracciata. Ora Jacob nei suoi occhi (come l’altra volta) riusciva a rivedere la stessa bimba di allora. Almeno questo lo sollevò un po’. Dopo tutto era sempre la stessa. Ma in quel momento di qualche giorno fa aveva subito capito una cosa che lo aveva rattristato parecchio.
-Capisci cosa ti dico?- fece Jacob – Mi manchi ora, e lo sai il perché? Ci sei fisicamente, ma sembra quasi che davanti abbia un’altra persona. Mi spieghi dov’è finita la bimba di un tempo? Quella con la quale avevo stretto amicizia? Quella che per me era più di una sorella?-.
Leah si immobilizzò, il respiro mozzato e il cuore a mille. Sentì gli occhi bruciare, ma batte varie volte le palpebre per non piangere. Non voleva fare la stessa figuraccia una seconda volta. Anche a lei mancavano quei brevi, ma piacevoli momenti. Ogni neurone del suo cervello le diceva di abbracciarlo forte. Lo voleva in un certo senso, ma soffocò subito questo desiderio impossibile.
-Non è mai esistita- disse lei, distogliendo lo sguardo da lui, ma Jacob disse subito:-Bugiarda!-.
Lei si voltò e lo fissò negli occhi. Bugiarda?
-Ti si vede dagli occhi che menti- continuò – tu sei sempre la stessa, solo… ti nascondi… e non mostri la vera te stessa. Ed è questo che mi manca, capisci? Mi manchi, Leah!- prima che lei potesse solo aprire la bocca, lui la strinse forte a sé. L’abbraccio era dolce e caldo come l’altra volta. Jacob assaporò il profumo dei capelli di lei, mentre Leah sentiva dal suo collo l’odore di lui. Non c’era nessuno a guardarli. Erano completamente da soli. Leah non ce la faceva più. Mille emozioni le bruciavano nel cuore e non sapeva a quali dar retta.
Abbracciarlo, o cacciarlo via? Urlargli contro o dire la verità? E se qualcuno fosse entrato in quel momento? Cosa avrebbe fatto la persona? Quale scusa avrebbe usato Leah?
Tutte queste domande le facevano solo scoppiare il cervello. Non ce la faceva proprio.
-Ti prego- fece Jacob al suo orecchio –Non scappare. Ho bisogno di te-.
Silenzio. Nella stanza si sentivano soltanto i battiti forti dei loro cuori. Quelle parole la rendevano sia felice che triste. Chiuse gli occhi e decise di lasciar fare al suo corpo per una volta. Le sue braccia si alzarono tremanti sotto le ascelle del ragazzo e avvolsero a fatica tutta la sua schiena, grosso com’era. Gli strinse l’enorme giaccone rosso che si portava sempre dietro e fece sprofondare la testa su di lui, tra la spalla e il collo. Jacob sorrise e la abbracciò ancor di più, tanta era la paura di lasciarla scappare ancora.
-Non… non…- fece Leah, la voce strozzata e sul punto di singhiozzare. Cosa stava facendo? Se solo Madama Gianna lo avesse scoperto, lei e il fratello…
-Shh…- fece Jacob, accarezzandole i capelli e annusandoli ancora –Possiamo ancora parlarci, sai? Come due persone normali. Sarà il nostro segreto-.
Senza nessuna ragione logica, a Leah piacevano molto quelle parole. Perché no? Infondo anche a lei mancava lui. Bastava solo non farsi scoprire. E poi, non voleva rivedere Jacob triste solo perché lei non poteva esserci. Non doveva e non poteva, ma lo voleva, con tutto il cuore.
-O…ok…- disse lei, stupita dalla sua stessa affermazione. Tanto era solo per chiacchierare come buoni amici. Niente di più, niente di meno. A lei bastava solo questo.
-Grazie- rispose lui, staccandosi un poco da lei e fissandola negli occhi, sorridente –Però non chiamarmi “Altezza” quando siamo da soli e dammi del tu!-.
-Ma…- stava per ribattere la ragazza, ma Jacob la zittì con una mano sulla bocca.
-Non voglio sentire storie- disse lui, serio. Lasciò andare la sua bocca. Leah sospirò e sorrise. Già, dopo tanto tempo, stava sorridendo davvero, e non per grazia.
-E va bene, Jacob- disse lei, con un tono dolce.
-Ora ti riconosco- disse lui, ridendo.
Si diresse verso la porta, ma poi si bloccò. Tornò da lei e la riabbracciò ancora. Leah ricambiò, senza nemmeno rendersene conto. Una parte di lei la stava prendendo in giro: “Solo chiacchierare, eh?”.
La ragazza zittì quella sua voce interiore insopportabile e continuò ad abbracciarlo. Per una volta voleva stringerlo a sé, sentirlo parte di lei, il suo calore, il suo profumo…
 
Per tutto il mese la vita della sguattera si svolgeva allo stesso modo: Assicurarsi che il fratello torni con il guadagno del giorno, rispettare le solite e noiose regole di Madama Gianna, pulire il castello. Ah già, e naturalmente in quel poco tempo libero che aveva riusciva a parlare con Jacob.
Lui la invitava sempre nella sua stanza con i macchinari con la scusa che gli serviva un’assistente. Ed era così che passavano il tempo insieme: lei aiutava lui in alcuni lavori ( come tenere fermi pezzi di ferro, riordinare i libri di meccanica e fisica, pulire il tutto) e intanto parlavano allegramente, come due buoni amici. Infondo lo erano diventati. Stavano per far rinascere la loro amicizia, in letargo da dieci anni. Delle volte prendevano in giro Madama Gianna, delle altre parlavano dei loro interessi e di tante altre cose. Tutto ciò che in un decennio, insomma, non si erano mai raccontati.
-Io sono sempre stato appassionato di queste cose- diceva il principe, mentre stringeva le viti di un pezzo grosso di metallo –Mi è sempre piaciuto costruire macchinari ed inventare strumenti utili alla mia gente, ma Edward, il mio tutore ed insegnante, continua a dirmi che spreco tempo e che dovrei star più concentrato sulle azioni del governo, come se non lo fossi già!-.
-Insistente come Madama Gianna, allora- fece Leah, assistendo alla sua opera.
-Forse anche peggio- fece Jacob, prendendo un'altra vite –Tu invece?-
-Io cosa?- chiese la ragazza, confusa.
-A cosa sei interessata?- chiese di nuovo Jacob, fissandola, in attesa di una risposta. Leah ci pensò su più di una volta. C’erano dei giorni in cui riusciva a vedere dei combattenti che duellavano tra loro a suon di spade, come i soldati Quil ed Embry, al servizio di Sam.
Le erano sempre piaciute le spade. Le loro lame, che brillavano alla luce del sole, la incantavano sempre da dieci anni.
-Forse combattere- rispose lei, tranquilla. Jacob alzò un sopracciglio.
-Ho sempre voluto imparare a farlo- continuò –Mi ha sempre affascinata, non so il perché…-.
-Forte, una dama che ama la guerra- fece lui, scherzoso, tornando ad avvitare l’attrezzo.
-No, la odio- rispose lei, seria –Ma voglio imparare… più che altro per difendere la gente e le persone a cui voglio più bene-.
Jacob smise di lavorare e la guardò, con uno sguardo curioso.
-Che c’è?- chiese lei.
-Non mi hai mai raccontato di voi- spiegò Jacob –Perché quella notte tu e Seth eravate feriti? Cosa vi era successo?-.
Leah non rispose. Il ricordo le pungeva troppo, trattenne a fatica il groppo in gola, nervosa. Non riusciva neanche a parlarne. Né con Madama Gianna, che glielo aveva chiesto più di una volta, né con Seth. E con il fratello era anche peggio. Nemmeno lui ne voleva parlare, ma si arrabbiava di brutto se la vecchia sguattera glielo ricordava senza farlo apposta.
Leah ricordò come (quando lei aveva 16 anni e suo fratello appena 11) il fratello aveva stretto la forchetta quella sera all’ora di cena. Con la posata aveva infilzato il tavolo di legno, bucandolo appena. Madama Gianna si era arrabbiata molto per la sua reazione, e così avevano finito col litigare.
-Posso capirlo se non me lo vuoi dire- disse Jacob, riportandola alla realtà.
-Oh, scusa, è che…- fece lei, ma venne zittita dal principe:-No, tranquilla, sono io che mi devo scusare-.
Jacob tornò al suo aggeggio, mentre lei lo fissava pensierosa ed amareggiata. Se l’era preso? Sperò di no con tutta se stessa.
-S-se vuole…- disse Leah –Posso raccontarle qualsiasi altra cosa voglia…-.
-Ok, ma basta con il lei!- fece esasperato lui, alzando la testa verso il soffitto. Lo riabbassò e guardò la ragazza negli occhi:-Perché Sam ti infastidisce? E cos’è successo a tua cugina?-.
“Ahia” pensò Leah. Forse doveva stare muta. Ma ormai non aveva più scelta. Sospirò e cominciò a raccontare, presa intanto dal suo flashback:
 
-Era successo tutto quasi cinque anni fa, o forse quattro. Stavo lavorando la terra assieme a mio fratello, quando nel castello rientravano i soldati del re. Tra di loro c’erano molti ragazzini, le nuove generazioni. Mi ero allontanata un attimo per ammirare le loro armature, che splendevano sotto i raggi del sole. Fissavo soprattutto le loro armi: spade, lance, frecce, scudi di tutti i tipi. Ne ero affascinata come sempre. Quando tornai, però, mio fratello stava per essere preso a bastonate da un ragazzino armato, più grande di me. Mi intromisi tra i due e fermai Sam con il braccio, guadagnandomi però un livido. Mi scostai leggermente da lui, posizionandomi davanti a Seth per fargli da scudo.
“E tu che cavolo vuoi?” mi sgridò, come se avessi appena interrotto il suo gioco preferito.
“Non bastonare mio fratello, razza di buffone!” gli urlai io di rimando.
Lui grugnì e provò a darmi un cazzotto, ma parai il colpo.
“Perché te la prendi con Seth, eh? Che ti ha fatto di male?”
“Tsk!” fece lui “ E’ solo uno sporco poveraccio che non sa che altro fare per guadagnarsi da vivere. Ho sentito dire che pulisce persino il culo dei cavalli!”.
“Sei veramente un buffone!” gli urlai, provando a dargli un ceffone, che lui schivò con troppa facilità. Andò avanti così per un ora, finché Madama Gianna non ci separò. Ogni volta che ci incontravamo, lui faceva i dispetti più assurdi, come sporcare il pavimento appena pulito o robe simili. L’ho sempre odiato, e lo odio tutt’ora. Quando gli passava per la testa, poi, maltrattava Seth e ovviamente toccava a me far finire la disputa.
Un giorno stavamo tornando alle cucine dopo la solita litigata e Sam mi aveva colpito ovunque, quindi sentivo dolori per tutto il corpo. Fu in quel momento che incontrammo per la prima volta nostra cugina, Emily. Era arrivata qui da dodici anni, quindi era al servizio della famiglia reale da molto più tempo di noi. Ma solo in quel momento eravamo riusciti ad incontrarci. All’inizio non riuscivo nemmeno a crederci che fosse lei. Ma dopo qualche tempo, sia io che Seth avevamo sempre lavorato assieme a Emily, e così abbiamo recuperato il tempo perso. Un giorno, però, quando io e lei eravamo ormai sedicenni, stavamo pulendo le finestre, quando arrivò Sam e mi fece cadere a terra a suon di pugni. Emily aveva preso così le mie difese, e lo aveva sgridato, dicendogli che era un disgraziato buono a nulla. Non lo avesse mai fatto. Lui infatti la prese di mira e la schiaffeggiò. Avevo provato a fermarlo e ci ero riuscita solo a malapena. Quando se ne andò, cercai di consolare la mia unica sorella in tutti i modi e la avvertì di che razza di persona era Sam. Dopo una settimana non c’erano state più risse tra me, Seth e il comandate del cavolo, ma poi arrivò quel momento…- (Leah sospirò e riprese, con il groppo in gola)-… Stavo cercando mia cugina da ormai tutto il pomeriggio. Stavo per arrendermi, quando avevo sentito dei strani versi provenire dallo stanzino delle scope. Il tempo per appoggiare la mano sulla porta che avevo sentito un urlo di donna. Era disperata e terrorizzata. Così aprì la porta, sbattendola contro il muro. Avrei voluto vomitare, sul serio. Quel… gran …. Figlio di puttana! Stava stuprando Emily, e lei urlava dal dolore e dalla disperazione, mentre gli chiedeva pietà. Piangeva anche! Non ho resistito, così entrai, presi una scopa, e la sbattei forte più volte contro la testa di Sam, ma lui continuava e continuava a farla soffrire… solo alla fine ci riuscì. Lui si era alzato da sopra il didietro scoperto di lei, mentre Emily si copriva subito con la gonna, sudata e terrorizzata. Sorpassai Sam e mi inginocchiai al fianco di mia cugina, stringendola forte a me, sperando di interrompere così i suoi singhiozzi. Perdere la verginità in quel modo… era spregevole, e disgustoso! Sam stava per andarsene quando tornò indietro e mi diede un calcio sullo stomaco. Mentre mi piegavo in due dal dolore, lui disse: ”Ora che ho finito con lei, posso farlo anche con te!”. Ricordo ancora lo sguardo che aveva su noi due. Un pervertito, ecco cosa sembrava. O forse anche un pazzo che si divertiva a far soffrire la gente. Si era leccato le labbra e aveva tirato fuori il coltello.
“No!” aveva urlato Emily, ma era troppo tardi… Sam mi afferrato per i capelli e con la lama aveva fatto un taglio netto ad essi. Caddi a terra e davanti a me non c’erano più le ciocche lunghe che possedevo. Mi aveva tagliato i capelli, e ora arrivavano fino  a sotto il mento…-(E con quella si arrotolò con il dito una ciocca di capelli, che erano cresciuti fino a metà collo, quasi vicino alla spalla)-Ovviamente dopo Madama Gianna ed Emily me li avevano sistemati, ma da allora abbiamo imparato ad evitarlo. Però… ogni volta che lo incontrava, lei si nascondeva dietro di me o dietro ad un'altra sguattera per il terrore. E questo è tutto…-.
 
Leah abbassò la testa, stringendo i pugni e ringhiando. Lo odiava troppo, da sempre, ormai. Le adorava i suoi capelli lunghi… e anche i suoi li adoravano…
 
-Oh- fece Sue, pettinandole i capelli –Visto come ti stanno bene?-
-Si mamma!- rispose allegra la piccola Leah, mentre accarezzava il pancione della madre.
-Sai un piccolo segreto?- fece Sue al suo orecchio –Agli uomini piacciono le ragazze con i capelli lunghi e ben pettinati!-.
-Davvero?- chiese Leah, con gli occhi grandi e luminosi.
-Certo!- si aggiunse il padre, Harry –Per questo ho sposato tua madre, no?-.
Sue gli diede una piccola gomitata e lui le baciò la fronte ed il pancione. –Ovviamente mi sono innamorato anche di altre tue qualità, Sue-.
-Vorrai dire della mia cucina?- chiese lei, spiritosa. Leah sorrise e continuò ad abbracciare la madre ed il pancione, mentre Harry abbracciava le due, accarezzando il grembo della moglie.
 
Jacob la fissava, amareggiato e disgustato. Come poteva un uomo trattarla così? Per di più tagliarle la chioma lunga che lei adorava. Avvicinò un dito al suo viso, accarezzando la sua guancia. Leah si risvegliò dall’ennesimo flashback e fissò gli occhi del ragazzo, mentre lui passava le dita sui suoi capelli.
-E non ti ha…- chiese lui, con l’amaro in bocca, temendo una risposta non piacevole.
-No, no…- fece lei, scuotendo la testa –Ma…-
-Cosa? Chiese lui, mollando il suo cacciavite.
-Se… se tu non fossi arrivato, quella volta…- disse –molto probabilmente…-.
Silenzio. Lui fissava lei, sollevato, ma anche arrabbiato. Lo odiava a morte, quel Sam.
Istintivamente circondò la sua schiena con il braccio, afferrandole la spalla sinistra. La attirò a sé e la strinse in un abbraccio incoraggiante. Lei si lasciò coccolare da lui, anche se la sua parte ragionevole continuava a dirle di staccarsi dal principe. Non l’ascolto.
Jacob le massaggiò la schiena dolcemente e le baciò i capelli. Leah si sentì avvampare.
-Non glielo permetterò- disse Jacob, stringendola più forte. Il profumo di lei lo invase, dandogli dei brividi piacevoli.
-Non ti avrà mai- confermò, serio. Leah si sentì stranamente sicura. E anche felice. Ricambiò l’abbraccio, facendosi guidare nuovamente guidare dal suo corpo. Poggiò la testa sul petto di lui, ascoltando il battito frenetico del suo cuore. Assaporò il suo dolce profumo, avida. Sorrise senza nemmeno rendersene conto.
-Lo sai?- disse il principe –Stai molto bene anche con i capelli corti. Certo, eri bella anche con i lunghi, ma da corti… non so… direi che sei perfetta!-.
Leah arrossì. Un ragazzo alla quale piacevano anche i capelli corti?
 
-E se invece non fosse sempre così?- chiese Leah, mentre il padre le rimboccava le coperte.
-Cioè?-
-Che agli uomini piacciono solo quelle con i capelli lunghi- spiegò la bimba.
-Beh- disse Harry –Non tutti sono così. Ma fai una cosa. Se trovi un uomo che gli piaci anche con i capelli corti, nonostante lui li preferisca lunghi, sposatelo! Perché vuol dire che ti trova perfetta da ogni punto di vista-.
 
Il giorno dopo, però, era già passato un mese da quando avevano ripreso il loro rapporto iniziale. Ma quel giorno Madama Gianna era più severa del solito. Aveva riunito tutte le sguattere del castello, all’alba, persino Seth, per una riunione. Una cosa che non accadeva da decenni ormai.
-Ma che succede?- chiese sottovoce Leah ad Emily.
-Forse tra pochi giorni si terrà una cerimonia, chi lo sa- rispose lei, sistemandosi la sua lunga treccia nera.
-Zitte!- urlò la vecchia, facendo cadere il silenzio. Sbatte i piedi a terra come un sumo, si mise ritta con la schiena all’attenti e, con la testa alta e lo sguardo fiero, disse ad alta voce:-Voi tutti, ascoltatemi bene! Tra un mese si terrà un gran ballo voluto dal re per il compleanno della principessa Rachel, quindi questo castello dovrà essere pulito. E quando dico pulito, intendo dire PULITO! P. U. L . I. T. O! se vedo anche una sola macchia o uno strato di polvere, ve la vedrete con me!-.
Le ragazze bisbigliarono tra di loro. Madama Gianna le zittì con lo sguardo e puntò il dito su Seth:- Tu, giovanotto! Pulisci le stalle e i cavalli! Guai a te se vedo che la stalla è sporca!-.
-Ma se cagano sempre…- fece lui, ma la vecchia lo picchiò sulla nuca:- Niente ma! E prima di questo dovrai andare al villaggio a vendere i nostri prodotti e regalare il resto ai poveri delle strade malfamate. Visto che abbiamo fretta, ti accompagnerà Leah per una volta-.
Punto poi il dito alla sorella:- Tu aiuta tuo fratello ed assicurati che faccia il suo lavoro. Deve portare soldi sufficienti per comprarci il pane! Dopo, quando tornate, dovrai pulire tutta, e ripeto TUTTA la sala della cerimonia. Deve essere impeccabile. E dopo dovrai aiutare le altre a pulire il resto del castello, chiaro?-.
-Si…- fece seccata Leah. Pulire da sola una sala intera? Non era da Gianna!
Con tutto quel da fare poi… quando avrebbe rivisto Jacob?
Subito dopo si ritrovarono fratello e sorella fuori palazzo, alle stalle. Seth collegò un cavallo marroncino al carro e lo portò vicino al campo di verdure. Leah lo aiutò a caricare la roba, poi salirono sul carro al posto di guida e Seth fece partire il cavallo, verso il villaggio del regno di La Push.
Arrivarono dopo un quarto d’ora davanti al negozio dell’armeria, scaricarono la roba, sistemarono il “bancone delle vendite” e aspettarono i clienti. In tutta la giornata ne erano arrivati solo dieci. E con tutti, notò la ragazza, Seth sorrideva, incoraggiandoli a comprare le loro verdure. Più volte le vecchiette si incantavano, osservando il sorriso sghembo del 15enne, per poi comprare gran parte delle verdure. Ogni volta, poi, lui le salutava con un largo sorriso, facendo arrossire tutte le donne.
-Ah, ora capisco come fai!- scherzò Leah, dandogli le gomitate.
-Funziona sempre- ammise lui, alzando le spalle.
Voltò la testa e di colpo cambiò espressione. Leah notò che stava anche arrossendo. Guardò verso l’oggetto dell’interesse del fratello. Più che oggetto, era una ragazza. Basetta, con i capelli rossi, lisci e lunghissimi. Il viso sembrava fatto di porcellana, le guance rosee quasi sul color fragola e gli occhi di un color verde smeraldo molto luminosi.
Lei sorrise non appena vide Seth, e lui ricambiò il sorriso, gli occhi scuri illuminati al solo vederla. La ragazza si avvicinò al bancone e il ragazzo potte sentire il suo profumo. Come sempre, sapeva di pesche e fiori.
-Buongiorno Seth- lo salutò lei, con una voce delicata e soave, dolce.
-B-buongiorno Caterina…-la salutò Seth, rossissimo.
-Oh, andiamo, lo sai che preferisco farmi chiamare…-
-Cate! Lo so, scusa- fece il ragazzino, ancor più rosso, grattandosi la testa –volevo essere solo un po’ più cortese di fronte ad una bella fanciulla…-.
Cate arrossì a quella affermazione. “Bella fanciulla?” pensò Leah, fissandoli, incuriosita sempre di più. Fin ora Seth non si era mai comportato così. Era sempre gentile con tutti, questo è ovvio, ed aveva anche un carattere dolce, ma non lo aveva mai visto arrossire in quel modo. Per lei era una novità.
-Già…- fece la rossa, con il viso arrossato, quasi alla tonalità dei suoi capelli –sapevo che lo avresti detto…- e con quella mostrò ai due fratelli la sfera di cristallo che nascondeva dentro al suo cesto.
-Oh giusto!- rise Seth, imbarazzato.
-Ok… ehm… potresti…?- fece lei, ma Seth la anticipò, porgendole un chilo di ciliegie.
-Uh… grazie…- fece Cate, mettendo il chilo nel cesto –e due…-.
Neanche il tempo di finire la frase che Seth le porse due mele verdi. Lei arrossì, e prese anche quelle. Stava per tirare fuori i soldi, ma lui la bloccò, con uno sguardo serio.
-Per favore, Seth, non puoi sempre regalarmeli!- sospirò la ragazza.
“Regalarle?” pensò Leah, stupita. Questo spiegava tutto, ad esempio perché nonostante la merce venduta, il guadagno non risultasse abbastanza positivo, o equo.
-Non se ne parla!- fece Seth –E’ gratis oggi!-.
-Non l’ha detto però al vecchietto di prima- fece sottovoce Leah. Il fratello le diede una gomitata isterica. La sguattera rise di gusto, divertita per la reazione del piccoletto o come lo chiamava lei, mentre Cate tentava di dargli le monete. Continuarono così, finché la sorella non li interruppe, diede una spintonata a Seth e si sporse verso la ragazzina:-Lascia perdere Romeo, dà!-.
-Oh, grazie Leah!- fece lei, dandole le monete.
-Come…?-
-L’ho semplicemente visto- spiegò la veggente.
-Ma… Leah!- sbraitò Seth, offeso.
-Chiudi il becco, moccioso!- lo sgridò Leah, dandogli un pugno leggero sulla nuca.
-Sei sua sorella, giusto?- chiese Caterina.
-Si, e tu devi essere la sua fidanzata, vero?- chiese la sorella, con uno sguardo provocatorio, intenzionata a farli arrossire. E ci riuscì alla perfezione. Cate balbettò qualcosa e lo stesso fece anche Seth, finché contemporaneamente non dissero:-Siamo solo amici, a dir la verità!-.
-Oooh, capiiiiscoooo- fece lei, sorridente. Bingo! I due si piacevano molto, lo sentiva.
-Ehm… ci vediamo Seth…- lo salutò la ragazzina, rossissima, dirigendosi verso il fiumiciattolo.
-Ciaooo…- fece lui, gli occhi su di lei, rapito. Si appoggiò con i gomiti sul bancone, appoggiando poi il mento sui palmi delle mani, fissandola, rosso in viso e con uno sguardo sognante.
-Ti piacciono le rosse, eh?- fece Leah, scherzando.
-Siiii…- rispose in un primo momento lui, ancora sognante, per poi scuotere la testa, arrossato, e risponderle con un tono isterico (cosa che non era normale da lui, per niente):-Cioè, aspetta, no! Ti sbagli, è solo un amica!-.
-Certo!-
-Leah!-
-Si?-
-Rompiscatole!-
-Ah, grazie!-
-Scusate ragazzini- fece una voce roca e profonda, che costrinse i due fratelli a chiudere lì il discorso e a voltarsi verso la fonte della voce. L’uomo era alto e grosso, il mantello nero che lo copriva tutto, nonostante il caldo della giornata, e il cappuccio che gli copriva il viso fino al naso. Il mento era coperto da una barba grigia quasi rasata, in fase di ricrescita.
Leah e Seth tremarono di fronte a quella persona, non tanto per l’aspetto misterioso, bensì per quella voce roca e profonda, famigliare… per qualche ragione ai due ricordava molto l’uomo che aveva distrutto le loro vite quella notte di 10 anni fa…
-Sapete per dove si va alla reggia?- chiese l’uomo, impaziente. Ci vollero ben dieci secondi o forse più perché la ragazza potesse rispondere, cercando di rimanere con un tono asciutto, sperando di non far vedere all’interlocutore la paura che le stava salendo lungo la schiena:-Si… sempre dritto per quella salita. Se prende un cavallo potrebbe metterci solo un quarto d’ora, se invece va a piedi ci impiegherebbe dieci minuti in più…-.
L’uomo fissò la strada che portava al castello da lei indicata, pensieroso, per poi rivolgersi nuovamente ai due:-Voi lavorate per la famiglia reale?-
-Si…-rispose secco Seth, con le braccia tremanti. Il giovane non aveva mai parlato con quel tono fino ad ora, neanche quando litigava con Madama Gianna. Entrambi avevano completamente gli occhi fuori dalle orbite, ma allo stesso tempo cercavano di mantenere i nervi saldi. No… non poteva essere lui…
-Bene- disse l’uomo con il mantello –potreste consegnare questa lettera da parte di Ser Levi Uley a sua maestà?-.
L’uomo, mentre parlava, tirava fuori dal suo indumento una bustina ingiallita e la porse a Leah. La mora la prese, le mani che tremavano. Al solo contatto con quella carta sentiva le dita bruciare, come se invece di lavarle con l’acqua calda le avesse lavate con della lava incandescente. Le bruciavano così tanto da far male, così tanto da desiderare di strappare quella busta o di buttarla in faccia all’uomo incappucciato. Ma il nome che aveva appena nominato lui la bloccava del tutto. Era davvero lui? Più ci pensava, e più sperava che non lo fosse… ma aveva seri dubbi su ciò. La voce… il nome… che sia proprio quel mostro?
Si fece coraggio, mandò giù la saliva, si ricompose e chiese, con aria di sfida:-Scusi signore, ma se vuole che consegniamo la lettera, ci necessita vedere il suo volto-.
-Oh, giusto- rispose seccato ed impaziente l’uomo, scoprendo la testa.
Non una, non due, ma più di mille lame affilate perforarono i cuori dei due fratelli. La cicatrice che avevano sempre cercato in quei dieci anni di curare si stava riaprendo di colpo. Sembrava quasi che il sangue fuoriuscisse da quella ferita dolorosa. Rimasero immobili, impietriti, le bocche semiaperte e gli occhi spalancati. Per poco non sussultarono alla visione di un uomo con i capelli grigi, gli occhi scuri e piccolissimi e il volto segnato da leggere rughe. Se non fosse per l’invecchiamento, sarebbe stato uguale al comandante che entrambi odiavano a morte.
Levi Uley li fissava da capo a piedi, confuso per i loro sguardi quasi omicidi su di lui. Li fissò per bene, e per qualche strana ragione il viso delicato della ragazza e il volto dolce del ragazzino, soprattutto quei loro occhi di un color così scuro che potrebbe andare dal cioccolato fondente al nero gli ricordarono due bambini… gli stessi bambini che li aveva dati per morti…
-Glielo consegnerete si o no?- chiese Levi, seccato e nervoso per la loro reazione e per quella assurda somiglianza. No, quei due bambini sono morti da ormai dieci anni… per lui era assolutamente assurdo… sarà solo un caso, pensava.
-Certo- rispose amara ed acida la ragazza, come mai fino ad ora.
-Perfetto- disse secco l’uomo. Si rimise il cappuccio, girò i tacchi e sparì dalla circolazione.
Silenzio.
-Quel… maledetto…- fece Seth, ringhiando, stringendo i pugni. A forza di stringerli le sue nocche si erano impallidite e le sue unghie avevano quasi infilzato la carne. Il ragazzino riusciva a sentire per poco il calore del suo sangue sulla mano.
Leah strinse i denti. La busta che teneva ancora in mano continuava a bruciarle, anzi, ora le stava ustionando le dita. Sembrava quasi che quella busta non fosse fatta di carta pregiata, ma di acido corrosivo. Voleva buttar via la lettera per non sentir più quel dolore insopportabile… ma allo stesso tempo era tentata dal leggerlo. Voleva sapere che cosa aveva scritto per il re quel mostro patetico… ma non poteva fare nessuna delle due cose. Non era sua la lettera. Doveva consegnarla alla famiglia reale. Era suo compito.
Di una cosa però ne era certa: se non fosse stato per la presenza del fratello, avrebbe volentieri preso il coltello che lo nascondeva sempre sotto la gonna tenuta dalla giarrettiera (un arma che usava come anti-Sam), per poi saltargli addosso e tagliargli la gola. Godeva alla sola idea di tagliargli la carne, vedere il suo sangue schizzare via dalla sua giugulare, e la sua anima schizzare via dagli occhi…
Trattenne i suoi istinti omicidi, in quel momento decisamente allettanti, e strinse i pugni. Purtroppo, al momento, non poteva far altro. E per qualche strana ed inspiegabile ragione, sentiva il bisogno di avere accanto a sé Jacob. Voleva sentirsi nuovamente sicura tra le sue braccia, come si era sempre sentita fin ora. La voglia di rivedere il principe era aumentata di colpo. Si maledisse per quel pensiero tanto osceno e batte la mano sulla fronte, cercando di calmare i suoi spiriti bollenti.
 
Quel pomeriggio aveva lavorato sodo. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che pulire la sala da cerimonia. Era una sala abnorme, perfetta per farci entrare tutto il ragno e la metà di un altro magari, di forma ovale. Le enormi vetrate correvano lungo i muri, ora splendide. Le tende rosse erano state tutte lavate per bene ed ora non erano più di un rosso mattone sbiadito, ma di un color scarlatto che si intonava perfettamente con il pavimento bianco marmoreo e quasi perlaceo, lucidato alla perfezione. Anche le tovaglie dei tavoli rotondi erano state lavande e da grigie erano tornate bianche, ma di un bianco splendente, come se fossero state ricavate dalla luce di una stella. Anche i quattro troni, d’orati con le imbottiture rosse, erano state lavate e pulite alla meglio. L’oro dei ricami e dell’incorniciatura dei troni era tornato a splendere come un tempo e le imbottiture era diventate dello stesso color scarlatto delle tende. Anche i divani erano stati lavati alla stessa maniera e brillavano di luce propria come i troni che si ergevano sugli scalini in fondo alla sala, coperti da un baldacchino gigantesco color bordeaux.
I raggi del tramonto illuminavano il pavimento, rendendo la stanza ancor più calda.
Leah si asciugò la fronte, sudata ma soddisfatta, fissando con un aria orgogliosa il pavimento luminoso che aveva appena finito di lucidare, assieme a tutta la sala, ovviamente.
Il suo sorriso scomparve non appena ripensò all’avvenimento di quella mattina. La lettera che teneva nella tasca del grembiule chiuso intorno alla vita sotto il corpetto marrone bruciava attraverso la stoffa dei vestiti.
Il volto dell’uomo che aveva distrutto la vita ai due fratelli le rivoltava le budella. Avrebbe vomitato da un momento all’altro, se avesse continuato a pensarci.
Sbuffò e andò a sdraiarsi un attimo sul divano rosso che dava di spalle alla grande vetrata.
Poggiò la testa sul suo braccio e chiuse gli occhi, stanca e nervosa.
 
-Quello stupido di un insegnate!- si lamentò Jacob, camminando per i corridoi, stufo. Aveva già litigato con la famiglia sua, ci mancava solo il suo tutore. E purtroppo per lui, Edward dava ragione al re e alla principessa Rebecca. Rachel invece era la sola della famiglia ad essere d’accordo con il fratello minore. Almeno per questo ne era grato. Aprì il portone del salone da cerimonia. Sapeva che Leah quel pomeriggio ci doveva lavorare e ci beccò: tutta la sala brillava di luce propria, una cosa che non accadeva da ormai dieci anni. Sembrava infatti ritornata allo splendore di quei tempi. Entrò nella sala e trovò la mora addormentata sul divano, un ciuffo nero che le copriva la fronte. Si avvicinò a lei e solo in quel momento notò che la sua espressione non era felice. Forse era la più triste che avesse mai visto. Si sedette al suo fianco, accarezzandole la testa e la guancia. Era davvero bella, quando dormiva, nonostante la sua espressione. Potte osservarla meglio tranquillamente dopo un decennio. I suoi capelli, neri e corti, erano soffici e morbidi al solo contatto. Jacob sentiva sempre il bisogno di accarezzarli e sentire il loro profumo. Per qualche ragione, nonostante fosse una sguattera (quindi una ragazza che non si metteva addosso profumi o robe del genere) i suoi capelli, il suo collo, tutta lei stessa sapeva di cioccolato, miele e pini. Sapeva di dolcezza e semplicità. Il viso della mora aveva dei lineamenti delicati, e la sua carnagione era bronzea come quasi tutti quelli del regno, famiglia reale compresa. Le sue ciglia erano nere e folte, perfette, e le labbra erano carnose al punto giusto. Ogni volta che le fissava il ragazzo sentiva il bisogno di sentire il loro sapore, di assaggiarle…
Arrossì a quella pazza ma piacevole idea e scosse la testa. Si accorse il quel momento che una lacrima stava scivolando dall’occhio sinistro di lei e stava scivolando lentamente lungo la sua guancia. Jacob si chinò su Leah, appoggiando le mani ai lati del suo busto, il viso a tre dita di distanza dal suo. Si abbassò ancor di più e baciò la sua guancia, bagnandosi le labbra con la lacrima di Leah, dolciastra. Era un bacio lento e dolce allo stesso tempo sufficiente a risvegliare la ragazza da un probabile ed imminente epilogo del suo incubo.
Lei aprì gli occhi, stranita. Li roteò, guardandosi intorno, e vide con la coda dell’occhio il braccio di Jacob al fianco dei suoi seni. Voltò di scatto la testa ed il busto, ritrovandosi faccia a faccia con lui, a pochi millimetri di distanza. Arrossì, non appena pensò che fosse bello, mentre si immergeva nei suoi occhi scurissimi. Il principe le sorrise, felice di rivedere finalmente dopo una giornata stressante quegli iridi color cioccolato fondente, in quel momento luminosissimi.
-Buongiorno, bella addormentata- disse, con la voce dolce e suadente allo stesso tempo. Lei sgranò gli occhi, arrossì ancor di più e per poco non perse la capacità di respirare. Erano così vicini da sentire il suo alito, caldo e dolce. Leah si maledisse per la sua pazza voglia di sentire quell’alito mischiato al suo.
Provò a sedersi e anche Jacob si staccò da lei, permettendole di ricomporsi.
-Sc-scusa…- fece lei, imbarazzata. Si era addormentata su un divano? Non se lo poteva mica permettere un lusso simile! Provò ad alzarsi in fretta e furia, ma Jacob le afferrò il polso e la bloccò lì, per poi stringerla in un abbraccio affettuoso. Possibile che ad entrambi mancava il calore dell’altro dopo solo mezza giornata? Possibile che entrambi volevano drogarsi di quel calore?
-Ti ho cercata ovunque, lo sai?- sussurrò lui al suo orecchio. Ed in effetti era vero. Aveva mandato completamente a quel paese il suo insegnate e i suoi macchinari solo per cercarla. Quando lo aveva chiesto alla vecchia, Madama Gianna aveva risposto: “E’ al villaggio con suo fratello a vendere la merce, altezza. Visto che fra non molto ci sarà la cerimonia, abbiamo dovuto far accelerare un poco i lavori”. E mentre se ne stava tornando nel suo studio per chiedere scusa ai suoi attrezzi, suo padre era venuto a cercarlo e gli aveva parlato di una cosa per niente piacevole. Per questo, quella stessa mattina, e anche alcuni giorni fa, aveva litigato con la famiglia.
Il ragazzo sentiva tutta la sua rabbia di oggi svanire nel nulla, e il tutto grazie al solo contatto con il corpo slanciato di Leah.
-E-ero con mio fratello al villaggio…- fece lei, imbarazzata.
La ragazza si rese conto, però, che per qualche ragione il tono del principe non era felice come era il suo solito. Non capì. Cos’aveva?
Lui la strinse forte, assaporando il suo profumo, mentre ripensava alla litigata con il padre. Sarà anche un compleanno, ma per lui quella cerimonia era la sua rovina. La rovina di tutto. Non riusciva neanche a pensare ad una vita senza Leah. La sentiva parte di lui, della sua stessa vita, ormai.
Leah notò che la sua stretta era più strana del solito e così si staccò un poco da lui e lo fissò negli occhi con un sopracciglio rialzato.
-Va tutto bene?- chiese lei, con la voce addolcita. Lo sguardo del principe era diverso. Sembrava stufo di tutto, della sua vita stessa.
Come se da un momento all’altro potesse succedere qualcosa di brutto.
Lui sorrise, un sorriso falso che a lei non piaceva. A lei piaceva il suo vero sorriso, quello sincero, che le diceva che la vita era bella così com’era con tutti i suoi difetti.
-No, va tutto bene, non preoccuparti- disse lui, fissandola allegro, sempre in modo falso, ingannevole.
Leah non ci cascò, ma decise di lasciar fare a lui. Sarebbe stato Jacob a dirle tutto quanto, quando sarà arrivato il momento. O meglio quando se la sentiva. Ricominciò a sentire la lettera bruciare tra la stoffa del grembiule e dell’abito (che per di più sembrava uno straccio per la gonna). Dopo aver finito il lavoro del giorno si era ripromessa di andar a consegnare la busta a qualcuno della famiglia reale. Lo tirò fuori, consegnandola a Jacob, che la prese con un aria incuriosita, mentre fissava il mittente.
-Da parte di un cavaliere per il re- disse secca lei. Non aveva proprio voglia di parlarne di quella mattinata, per niente. Era solo un ricordo da buttare nel caminetto con il fuoco acceso.
-Levi Uley?- fece lui, incredulo, mentre apriva la busta –Strano. Non abbiamo notizie sue da un decennio ormai-.
Leah non rispose e cercò di non pensarci. Jacob aprì la busta e lesse la lettera ad alta voce:
 
"vostra maestà,
maggior parte del vostro regno non è riuscito a pagare le solite tasse. tuttavia le seguenti famiglie che avevano in affitto le sue terre sono state costrette a restituirle a lei. le famiglie che ora nominerò sono familgie di contadini che erano al suo fedele servizio.
sono:
la famiglia young
la famiglia ateara
la famiglia call
la famiglia lahote
la famiglia clearwater...."
 
 
Jacob continuò a leggere, ma Leah non riuscì a sentire altro. La famiglia… Clearwater… la sua famiglia… venduta una terra? La loro terra? La spiaggia venduta? Era un oltraggio!
La sua terra non era mai stata restituita al sovrano… perché era stata completamente distrutta! Finita in fiamme! Di quella terra ormai c’era solo cenere!
Non riusciva più a sentire niente intorno a lei. La voce di Jacob in quel momento le sembrava lontana, quasi irraggiungibile.
Vedeva solo le immagini del suo passato, suo padre che cadeva a terra privo di vita, il volto di sua madre coperto di sangue, che le diceva di mantenere la sua promessa, il volto distrutto dal dolore del giovane e piccolo Seth, che era fin troppo piccolo per poter sopportare un dolore simile, la loro casa bruciare, assieme a tutto ciò che avevano e ai corpi dei loro genitori, mentre Levi ghignava soddisfatto…
-Leah-
La sentiva ora. Una voce si sentiva, sfocata.
-Leah! Leah cos’hai?-
Ora era più chiara… sembrava… in pensiero?
-Leah! Dammi un segno di vita!-
Le tremarono le mani. I suoi occhi erano fuori dalle orbite. Riusciva a sentire Jacob, ma non riusciva ad aprire bocca. Lui le afferrò il braccio e la riportò alla realtà, alla sala da cerimonia che lei stessa aveva risistemato con cura. Leah fissò Jacob con uno sguardo fuori dal comune, non suo. Sembrava quasi sul punto di scoppiare…
-Leah?- fece lui, preoccupato ed ansioso.
-E’ un bugiardo…- disse lei, con un filo di voce.
-C-come?- disse il principe, mettendo in tasca la lettera.
-E’ un bugiardo- ripete, alzando di più la voce, man mano che parlava:-E’ un bugiardo, un bugiardo, UN BUGIARDO!-
Tutta la calma che possedeva la perse in un colpo. Si strinse la testa fra le mani, come se potesse esplodere da un momento all’altro.
Le solite e fastidiose immagini non la volevano abbandonare.
Jacob la sentì urlare, mandare a quel paese qualcuno, per poi urlare ancora.
Le lacrime uscivano dai suoi occhi come cascate, incontrollabili. Si agitò troppo e per poco non prese a pugni il cuscinetto del divano.
-Calmati Leah!- supplicò il ragazzo, afferrandole i polsi. Ma cos’aveva? Perché tutt’a un tratto reagiva così? Provò a tenerla ferma. La rabbia della ragazza crebbe.
Alzò la testa e urlò:-E’ UN BUGIARDO DI MERDA!-.
-Ma…-
-CHE COSA VUOI?- urlò, in faccia al principe. Silenzio totale.
Lei fissò i suoi occhi, rendendosi conto di come lo aveva sgridato. Sussultò ed abbassò piano la testa. Si coprì il volto con le mani e cercò di far cessare la cascata dolciastra che scivolava sai suoi bulbi oculari.
-Leah…- fece lui, calmo, con un tono di voce dolce e triste.
-Scusatemi…- fece invece lei, singhiozzando, maledicendosi per la sua figuraccia.
-Tranquilla- disse Jacob, abbracciandola, posando la sua testa sulla spalla di lui.
Lei lo strinse a sé e finalmente ricominciò a respirare, piano. Smise finalmente di piangere. Si sentì nuovamente al sicuro tra le sue braccia. Ormai era da sempre così. Un sorriso le comparve a malapena sul suo volto. Lui le accarezzò i capelli e li baciò con tenerezza ed affetto.
-Non ce l’ho con te- disse lui –anzi, ti ringrazio. Almeno ora so che puoi arrabbiarti con me e non comportarti sempre come una cameriera timida-. Lui sorrise e lei alzò la testa. Si fissarono nelle loro iridi. I loro occhi erano più luminosi, carichi di tenerezza.
Lui asciugò la guancia di lei.
I raggi caldi del tramonto illuminavano a metà i loro volti da dietro il divano.
Jacob le afferrò il viso delicatamente.
Stessa cosa lo fece anche Leah.
Lui fece avvicinare il viso di lei al suo.
Si sfiorarono i nasi, per poi toccarseli.
Chiusero contemporaneamente gli occhi.
Jacob poggiò delicatamente le sue labbra su quelle di Leah. Come immaginava, erano morbide, delicate e calde. Leah ricambiò il bacio e aprì ancor di più la bocca e lui ci infilò dentro la sua lingua, ce trovò facilmente quella della ragazza. Le loro lingue ballavano insieme, infuocate, in un bacio appassionato. I loro aliti caldi si mischiarono e sentirono entrambi subito il bisogno assaporarsi ancora a vicenda. I loro cuori non erano mai stati tanto pulsanti e le loro guance non erano mai state tanto bollenti fino ad ora. Lui spostò le sue mani dal viso di lei al suo collo, liscio e caldo, per poi arrivare alle sue spalle scoperte, ed infine ai suoi fianchi. Lei invece passò le sue mani sui capelli di lui, corti e selvaggi, afferrandoli ed attirandolo così ancor di più a sé.
Jacob spostò una mano sulla sua nuca, affondando le sue dita tra la chioma della ragazza, nera e corta, trascinandola così verso di lui. Si strinsero sempre più a vicenda, tanto da avere i loro petti a contatto tra di loro. Lui prese la schiena di lei e la fece appoggiare delicatamente sui cuscinetti rossi, appoggiando i gomiti ai lati delle sue spalle. Staccarono un attimo le loro labbra per riprendere fiato, rimanendo però al contatto tra di loro attraverso le lingue, per poi ricominciare il bacio. Jacob le accarezzò i capelli, mentre lei circondava il suo collo con le braccia. Piegò le ginocchia, per poi circondare la sua vita con le gambe. Facendo così, però, la sua gonna lunga scivolò all’ingiù, scoprendole le cosce. Mentre continuavano a baciarsi, lui passò una mano sulla sua coscia, liscia , calda e nuda, dandogli dei brividi piacevoli lungo la schiena man mano che con la mano saliva fino ai fianchi, passando a fatica le dita sotto quel corpetto, in quel momento per lui di un assoluta inutilità. Si strinsero sempre più a vicenda. In quel momento sembrava quasi che i loro problemi esterni non esistessero. Come se la differenza tra le classi sociali non fosse mai esistita. Non erano più la sguattera e il principe, ma semplicemente Leah e Jacob, due persone normali che in quel momento stavano sfogando i loro più profondi sentimenti. Jacob se ne era reso conto da ormai molto tempo, ma adesso ne era certo.
Si era innamorato di Leah.
Non voleva nessun’altra. Voleva solo Leah.
Leah e basta!
La ragazza, intanto, sentiva il suo cuore scoppiare.
Lo voleva. Lo desiderava. Solo allora se ne rese conto, ma forse lo sapeva già. E fin ora aveva provato a non ammetterlo a sé stessa.
Si era innamorata di Jacob.
Lui, che era un principe…
Spalancò gli occhi di colpo. Cosa stava combinando? Stava amoreggiando con un principe? No, non poteva. Non doveva nemmeno. Eppure lo voleva. Quel limite che voleva superare, ma che allo stesso tempo temeva… lo aveva appena superato. Diede dei colpetti sul petto di lui, poi lo spinse via a forza, interrompendo così il bacio. Si fissarono negli occhi come sempre, ma stavolta la situazione era diversa. Molto diversa.
Lui era confuso per la reazione di Leah.
Lei era incredula e sconvolta.
Scivolò via dalla sua stretta, finendo in ginocchio sul pavimento.
Jacob stava per inginocchiarsi al suo fianco, quando lei urlò:-No! Lasciami stare!-.
Si alzò di colpo e corse verso la porta. Jacob provò a raggiungerla, ma ormai Leah era uscita dalla sala. Correvano entrambi per i corridoi infiniti del palazzo, lei con le lacrime agli occhi e i denti stretti. Superò una porta di legno, dalla quale uscì fuori Edward, che fermò il principe.
-Che cavolo c’è?- urlò Jacob, infuriato, verso il tutore. Non aveva tempo da perdere con lui. Voleva raggiungere la ragazza che stava correndo via, la ragazza che amava.
-Il re sua maestà la vuole, altezza- disse serio il suo insegnante. Il ragazzo osservò la sguattera correre via verso le cucine, con il cuore a pezzi. L’aveva spaventata? Si, ne era certo. La conosceva. Lei stessa gli aveva detto che non potevano e non dovevano frequentarsi. E ora che avevano fatto quel passo da gigante…
Sbuffò, amareggiato. Avrebbe voluto inseguirla, ma non poteva. Forse era meglio lasciarla nei suoi pensieri. Forse era meglio lasciare che sia lei a raggiungere lui. L’avrebbe aspetta. Sempre.
 

 
Fine prima parte.
 
 
Angolo autrice: e rieccomi con questo Super Extra! Si, è luuuungo come capitolo iniziale, e per questo mi scuso infinitamente! Spero vi sia piaciuto! Alla prossima!
   
 
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