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Autore: LyraB    15/04/2013    2 recensioni
In un lussuoso collegio viene ritrovata morta la più brillante, carina e popolare delle ragazze. Il suo corpo ondeggia nell'aria ferma dell'auditorium dove stava provando lo spettacolo di Natale e la direttrice dell'Accademia si rifiuta di credere ad un assassino tra le sue studentesse. Ma mentre le feste si avvicinano e la città si riempie di luci, colori e carole natalizie, i poliziotti del CBI dovranno mettere da parte cenoni e regali e scontrarsi contro un ambiente che è solo all'apparenza sereno e di gran classe.
-- Seguito di "Pastelli Rossi"
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Al di là del rosso dell'arcobaleno'
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- La studentessa che riceve la scorta di sonniferi è Elizabeth Nardi. - Disse Teresa, aggiornando Grace e Wayne. - A questo punto dobbiamo incriminarla, sono troppi gli indizi a suo carico. -
- Ma capo, è una ragazzina, non può davvero essere lei. - Intervenne Grace.
- Abbiamo le mani legate. Aveva i farmaci che hanno trovato nel corpo di Scarlet, ha il movente... -
- Pare che abbia il movente. Non ne abbiamo la certezza. - Intervenne Patrick.
- È stata lei a dirci che non nutriva grande simpatia per Scarlet. - Replicò Teresa.
- Mentiva. Quale assassino dice di essere in cattivi rapporti con la vittima durante un interrogatorio? - Replicò Patrick.
Il silenzio fu la risposta alla sua domanda retorica, un silenzio tale da farlo sorridere con aria trionfante.
- Anche se hai ragione, non possiamo farci niente. Rigsby, telefona all'Accademia e dì alla direttrice che abbiamo abbastanza prove per incriminare la sua studentessa. Il capo si è raccomandato di tenerla aggiornata sul caso. - Replicò Teresa.
Wayne si guardò intorno per un momento, aprendo la bocca per replicare e tentare di levarsi il problema di affrontare la tremenda direttrice, ma al suo capo bastò uno sguardo per azzittirlo e farlo sedere dietro la sua scrivania con la cornetta in mano.

La mattina successiva il cielo turchese brillava su Sacramento e Teresa aveva appena fatto in tempo ad appendere la giacca all'appendiabiti quando la porta del suo ufficio si aprì.
- VanPelt, che ci fai qui a quest'ora? -
- Sono arrivata presto. - Disse Grace con aria distratta, avvicinandosi a lei mentre leggeva il foglio che aveva tra le mani. - Guarda cos'ho trovato nel fax. -
Il foglio che Grace le stava tendendo era formato da molti bigliettini stropicciati, aperti e posizionati in modo ordinato su un foglio più grande. Su ogni pezzetto di carta diverse grafie femminili scrivevano frasi poco carine rivolti a qualcuno.
- "Dovresti tornare dalla fogna da cui sei uscita", "non meriti un posto in questa scuola", "dovresti lustrare il pavimento su cui danziamo, non ballarci anche tu"... Che diavolo è? - Domandò Teresa, irritata dalla volgarità e dalla cattiveria di cui quei messaggi erano pieni.
- Non ne ho idea, ma dalla scrittura e dal tono dei messaggi direi che c'entra il caso alla Vince Academy. - Disse Grace.
- Sì, mi sembra chiaro. Ma mi chiedo chi sia a volerci dire queste cose... sono sicuramente state scritte da persone diverse, ma per la stessa persona. Quello che mi incuriosisce di più è il modo in cui sono arrivate, quasi di nascosto. -
- Se guardi, capo, in fondo al foglio c'è l'ora di ricezione e un numero di telefono. Posso utilizzarlo per risalire al luogo da cui è partito. -
- È un'ottima idea, VanPelt. Vedi cosa riesci a fare. -
Grace riprese il foglio e uscì chiudendosi la porta alle spalle, lasciando Teresa da sola nel suo ufficio.
La notte prima aveva dormito poco e aveva già i primi sentori del mal di testa che l'avrebbe tormentata per l'intera giornata. Per di più le poche ore di sonno di cui era riuscita a godere erano state interrotte da continui ricordi dei suoi Natali sereni in famiglia, o almeno di quei pochi che riusciva a ricordare. Si era svegliata di umore pessimo e con una gran voglia di accelerare i giorni che mancavano a Natale per poter evitare quella festa e continuare con il tran tran della vita quotidiana senza dover affrontare lucine, candeline e falsi buoni sentimenti.
Con un sospiro rassegnato si avviò all'area relax per seguire le indagini di Grace con una tazza di caffè rovente e molto amaro tra le mani.
Quando il resto della squadra fu comparso in ufficio, l'agente era riuscita ad ottenere l'indirizzo del fax da cui era partito lo strano documento. Patrick si era appena seduto col suo tè sul divano quando Teresa gli comparve davanti.
- Forza, andiamo. - Gli disse con un cenno del capo. - Dobbiamo andare a scoprire chi ha mandato quel fax. -
- Quale fax? -
- Quello con i bigliettini minacciosi, lo leggerai in macchina. -
- Ma non ho ancora iniziato a bere il tè. -
- Lo potrai bere più tardi. - Fu la risposta. - Forza. -
- Non puoi portarti Cho? -
- Tu riesci a tirare fuori alla gente cose che non ha intenzione di dire e credo che avremo bisogno delle tue doti. Ora ti alzi o vuoi continuare a fare i capricci? - Aggiunse Teresa, esasperata.
Patrick si alzò, appoggiò il tè sulla scrivania e seguì Teresa fuori con aria sconfortata.
- Mi devi un tè. - Furono le sue uniche parole.

Il quartiere da cui era partito il fax era una delle tante periferie mediocri che circondano ogni grande città. Le vie erano ordinate e pulite ma tutte stranamente uguali, i palazzi si differenziavano solo per i diversi colori di cui erano tinteggiati. La gente si affaccendava per le vie senza fermarsi troppo a chiacchierare e non c'era neanche l'ombra di un negozio.
- Dove stiamo andando? -
- Copisteria Printable di Hugh Vault, 827 Washington Road. È da lì che è partito il fax. -
Il consulente aveva ancora tra le mani una copia del foglio ricevuto via fax: lo aveva fissato per lunghi minuti con una ruga profonda tra le sopracciglia, cercando di leggere in quel pezzo di carta tutto quello che si poteva capire dei suoi autori.
- Eccoci arrivati. - Disse Teresa, fermando l'auto.
Al di là del marciapiede stavano due grandi vetrine anonime su cui era stata applicata una scritta adesiva che riportava il nome della copisteria e la gamma di servizi che il negozio offriva. Teresa e Patrick entrarono e il tintinnio del campanello sopra la porta annunciò il loro arrivo al proprietario, uno uomo alto e allampanato con pochi capelli e la schiena curva di chi ha trascorso tutta la vita chino su una scrivania. Si avvicinò a loro dall'altra parte del lungo bancone che impediva ai clienti di girare tra le molte macchine da stampa che occupavano la sala, appoggiò i gomiti al tavolo e si allungò verso i due con un sorriso finto e incolore.
- Posso esservi utili? - La sua voce, sottile e viscida, era più untuosa dei suoi occhietti vitrei, che non avevano lasciato per un attimo la figura femminile che aveva varcato la soglia del suo negozio.
- Cerchiamo il signor Vault. -
- L'avete appena trovato. E con chi, di grazia, ho l'onore di parlare? - Disse il proprietario, lanciando uno sguardo poco amichevole all'uomo comparso alle spalle della ragazza.
- Agente Lisbon, CBI, lui è Patrick Jane. Vorremmo farle qualche domanda a proposito di questo fax. - Disse Teresa senza battere ciglio, porgendogli la copia del documento.
L'uomo la prese tra due dita e scosse la testa.
- Non mi dice niente, miss. - Disse restituendolo a Teresa. - Ma se posso compiacervi in altro modo... -
- Lo guardi meglio. - Disse di nuovo l'agente, spingendolo di nuovo sotto il suo naso affilato. - È stato mandato ieri sera alle 21 da questo posto. -
- Può darsi. Non tengo d'occhio tutti i clienti e di sicuro non mi curo di cosa mi danno da copiare. Basta che mi paghino. -
- Ci pensi bene. Sono certa che non sono molte le persone che passano all'ora della chiusura. - Lo rimbeccò Teresa.
L'uomo la guardò con un sorrisetto lascivo e si umettò le labbra prima di parlare.
- Può darsi. Forse qualcosa mi sta venendo in mente... ma è un ricordo molto sfocato. -
- Non si faccia pregare, signor Vault, o la incrimino per intralcio alle indagini. -
- Non me lo dica con tanto fervore, signorina... o potrei continuare a tacere solo per lasciarmi ammanettare da lei. -
La risatina di Patrick alle sue spalle fu la goccia che fece traboccare il vaso: tra gestori pervertiti, odore di polvere e cerchio alla testa che iniziava a farsi feroce, l'ultima cosa di cui Teresa sentiva di aver bisogno erano le allusioni del suo consulente: lo fulminò con uno sguardo colmo di tanta ferocia che Patrick tornò immediatamente serio.
- Se non ha niente da dirci, signor Vault, togliamo il disturbo. - Disse Teresa, allungando una mano per afferrare di nuovo la copia del fax.
La mano fredda dell'uomo si posò sulla sua con incredibile rapidità.
- Che modi. Se me lo chiede con un po' più di gentilezza potrei anche ricordare qualcosa. -
Stringendo la mano sul foglio e allontanandosi dal tocco dell'uomo come se fosse stata colpita da una scarica elettrica, Teresa si voltò e uscì dal negozio in una frazione di secondo, sbattendosi la porta alle spalle con ferocia.
Raggiunse a grandi passi l'automobile e si fermò contro la portiera, respirando a fondo.
Era arrabbiata, irritata e frustrata all'idea di non essere riuscita a combinare niente... ma soprattutto era furibonda per non essere riuscita ad affrontare la cosa con la sua solita freddezza.
- Tutto bene? -
La voce di Patrick alle sue spalle la fece trasalire e l'agente si voltò verso di lui pronta a una sfuriata davanti al suo sguardo malizioso o al sorriso divertito sempre dipinto sul suo volto. Ma il viso del suo consulente tradiva solo sincero interesse e velata preoccupazione.
- Che tipo orribile. - Fu la risposta di Teresa.
- Non essere così drastica. Ti trovava carina, avresti dovuto sentirti lusingata. -
Lo sguardo di fuoco di Teresa fu una risposta che non aveva bisogno di altre parole.
- Oho, non ti scaldare! E comunque qualcosa di buono l'abbiamo tirato fuori: dopo la tua plateale uscita di cena aveva tanta voglia di vedermi sparire da dirmi quello che volevamo sapere. -
- E quindi? -
- E quindi la nostra mittente misteriosa è una donna sulla quarantina, che probabilmente abita nei dintorni perchè la vede passare molto spesso presto alla mattina e verso l'ora di chiusura. Sai cosa significa questo? -
- Che basta trovare tra i dipendenti dell'Accademia chi abita qui? -
- Oltre che carina sei anche intelligente. Pensi che dovremmo rientrare a dirglielo? - Disse Patrick allegramente.
- Va' al diavolo, Jane. - Sbottò Teresa salendo in macchina e prendendo il telefonino per avvertire Grace dello sviluppo delle indagini.

Quando arrivarono al CBI, la ragazza aveva già controllato due volte l'intero archivio di dipendenti della Vince Academy senza risultati.
- Non c'è nessuno che abita da quelle parti. - Aveva spiegato - Ho controllato gli indirizzi fino a due fermate di autobus di distanza dal quartiere, ma non ho trovato niente. Cameriere, inservienti, insegnanti... ho controllato perfino le donne delle pulizie e le giardiniere, che pure sono dipendenti di altre agenzie: abitano tutti in altri quartieri della città. -
- Praticamente siamo a un punto morto. - Disse Teresa con un sospiro.
Fissava il pannello su cui erano appuntate la foto di Scarlet, il referto del medico legale e gli appunti sulle altre prove che avevano trovato cercando di capire quale potesse essere il passo successivo, il dettaglio che le era sfuggito e da cui si poteva ripartire per avere qualche nuovo indizio.
Era completamente immersa nei suoi pensieri, riflettendo su come si potesse arrivare a uccidere una coetanea solo per invidia, quando Kimball le si avvicinò.
- Capo, la signorina Vince ti aspetta nel tuo ufficio. - Disse.
- Chi? -
- La direttrice. L'hai chiamata tu? -
- No. Jane? - Disse Teresa, domandandosi se fosse l'ennesimo scherzo di cattivo gusto del suo consulente.
- Perchè quando succede qualcosa di inaspettato ti rivolgi sempre a me? -
- Mah, non so. Secondo te? - Rispose Teresa, avviandosi verso il suo ufficio per scoprire cosa volesse l'austera direttrice.
Quando entrò, vide che miss Vince era in piedi davanti alla sua scrivania accanto ad Elizabeth, seduta su una sedia con gli occhi bassi. Quando l'agente comparve sulla porta la guardò con una evidente aria di sollievo dipinta sul viso.
- Ho saputo cosa è emerso dalle indagini, agente Lisbon, e voglio che Elizabeth sia immediatamente allontanata dalla mia scuola. -
- Elizabeth è solo una sospettata, non è ancora la colpevole... -
- Non mi importa! Lei non sa cosa significa per il buon nome della scuola avere una presunta omicida tra le studentesse! Metterei in pericolo tutte le altre, non avrei più iscritte, tutto quello che la Vince Academy rappresenta sarebbe irrimediabilmente compromesso! -
- Non abbiamo ancora le prove per dire che è stata lei. E poi credo che in gioco ci sia molto più del buon nome della sua scuola: non possiamo trattenere senza motivo una ragazza di sedici anni. -
- Il motivo c'è ed è più che valido. Meglio un innocente in manette che un colpevole a piede libero! -
- Le ho già detto che non siamo certi che sia lei la colpevole! -
- Nessun altra delle mie studentesse avrebbe potuto fare una cosa del genere! -
- E perchè lei dovrebbe essere diversa dalle altre? -
La direttrice fulminò la ragazza al suo fianco con gli occhi, poi si sistemò gli occhiali sul naso e sentenziò:
- Non importa. Quello che è veramente importante ora è tenerla lontana dalle altre studentesse. Mi auguro che non vi siano altri contrattempi che impediscano la chiusura dell'indagine. La questione va archiviata il prima possibile. -
- L'indagine verrà chiusa nel momento in cui avremo tutto il necessario. - Rispose Teresa, fredda.
- Avete l'arma, avete il movente, avete il colpevole... cosa vi manca? - Esclamò spazientita la direttrice.
- Scoprire cosa ci manca è un nostro compito, miss Vince. - Sbottò Teresa. - Ora, se non le dispiace, vorrei tornare a lavorare. Se toglie il disturbo... -
Irrigidendosi, la direttrice strinse a sè borsetta e soprabito.
- Me ne vado immediatamente. Ma lei non la riporto a scuola. Da ora in poi è sotto la vostra responsabilità. - Disse, scoccando alla ragazzina uno sguardo glaciale.
Senza dare il tempo di replicare all'agente, miss Vince uscì dall'ufficio chiudendosi con violenza la porta alle spalle.
Imbarazzata, Teresa si rivolse ad Elizabeth: proprio non sapeva come comportarsi.
- Non preoccuparti, Elizabeth. Scopriremo il colpevole. - Le disse con un sorriso rassicurante. - Vuoi un tè? O magari qualcosa da mangiare? -
La ragazzina scosse la testa.
- Possiamo accompagnarti dalla tua famiglia? -
Elizabeth scosse ancora la testa.
- No? Perchè no? -
- Non possono prendersi cura di me. -
- Sono occupati? -
- Sì. -
- C'è qualcuno da cui possiamo portarti? -
- No. -
- Non puoi rimanere qui. -
- Voglio tornare all'Accademia. -
Con un sospiro di sollievo, Teresa accennò a un sorriso.
- La tua direttrice non potrà impedirti di tornare, non finchè sei innocente. -
- Non adesso. - Disse Elizabeth, alzando gli occhi verso Teresa e guardandola con una determinazione e una vivacità che non aveva mai tirato fuori prima. - Voglio tornarci quando non avrò più la colpa: non sono stata io. - Disse.
A quelle parole, così piene di convinzione, Teresa non ebbe dubbi: Elizabeth era sicuramente innocente. La voglia di proteggere quella ragazzina incastrata in un caso con cui non aveva niente a che fare si moltiplicò al pensiero di avere finalmente occasione di dare alla direttrice Vince quello che si meritava: una buona dose di sana umiltà.
- E secondo te chi è stato? - Domandò Teresa, sedendosi accanto a lei e sorridendole.
Elizabeth abbassò di nuovo gli occhi, posandoli sulle sue ballerine azzurre.
- Elizabeth. - Tentò di nuovo l'agente. - Possiamo aiutarti. Ma se sai qualcosa devi dirmelo. Puoi fidarti di me. -
La ragazzina però non rispose, nè alzò gli occhi. Rimase immobile, con lo sguardo fisso a terra e le mani intrecciate in grembo. Dopo qualche istante Teresa si alzò e raggiunse gli altri nell'open space: non appena ebbe annunciato loro che Elizabeth Nardi era nel suo ufficio, chiusa in un mutismo ostinato dopo essersi dichiarata innocente, Patrick si alzò in un balzo dal divano.
- Dove stai andando? -
- Preparo un tè per la nostra ospite. -
- Non lo vuole. -
- Scherzi? Nessuno rifiuta un tè! - Gridò lui, avviandosi verso la sala relax.
- Jane! - Lo richiamò Teresa, più per abitudine che per farsi ascoltare: sapeva alla perfezione cos'aveva in mente il suo consulente, e sapeva altrettanto bene che non c'era modo di fargli cambiare idea.
- Facciamo il punto. - Disse, appoggiandosi al tavolo e incrociando le braccia sul petto. - Scarlet si alza alle sei e va in auditorium. Mentre prova beve dalla sua bottiglietta, che qualcuno ha riempito di sonnifero. L'assassino la raggiunge quando è priva di sensi, la uccide e simula il suo suicidio. -
- Accanto a tutto questo abbiamo il registro della farmacia che dice che i sonniferi sono di Elizabeth e un fax di bigliettini minatori mandato da una copisteria periferica alle ventuno, da una donna apparentemente estranea alla vita dell'Accademia. - Aggiunse Grace.
- Giusto. Come facciamo a collegare la prima parte dei fatti alla seconda? -
- Se riteniamo che sia stata Elizabeth a ricevere quei bigliettini, possiamo dire che aveva un movente per uccidere Scarlet. - Propose Wayne.
Teresa gli lanciò un'occhiataccia spontanea.
- Questa versione dei fatti l'abbiamo già valutata. Se la escludessimo e provassimo a pensare ad altro? Le indagini a senso unico non portano mai a niente. -
- C'è una cosa che non mi convince. - Disse Kimball, allontanandosi dalla scrivania e rileggendo per l'ennesima volta il rapporto sulla scena del crimine. - Come ha fatto l'assassino a mettere il sonnifero nella bottiglietta di Scarlet? -
- Buona domanda, Cho. - Disse Teresa, sollevata all'idea di avere un appiglio per continuare le indagini. - Tu e VanPelt andate a fare un sopralluogo all'Accademia, controllate se ci sono telecamere di sicurezza, sorveglianti o cose del genere. VanPelt, tu cerca di procurarti la lista delle camere, magari salta fuori qualcosa di interessante. -
- Certo, capo. -
- Io vado a vedere cosa sta combinando Jane. - Disse Teresa.
Prima di entrare nel suo ufficio, però, si fermò a sbirciare dalla veneziana. Patrick ed Elizabeth erano seduti sul divanetto con due tè in mano ed Elizabeth parlava a ruota libera, animatamente, con gli occhi accesi dalla stessa vivacità che lei aveva visto brillare per un istante quando si era dichiarata innocente.
Trattenendo un sorriso, Teresa decise che era il momento di prendersi un lungo attimo di relax, di godersi un buon caffè e di lasciar lavorare il suo consulente, per una volta.









Vi annuncio - magno cum gaudio - che il caso è chiuso!
Sono riuscita a finire questa storia in cui mi sono impelagata mio malgrado,
ma mi sento più euforica che mai...
Perdonate il ritardo nell'aggiornare, ma ho avuto due esami in due settimane
e i libri di sociologia e diritto avevano la capacità di polverizzare il mio estro creativo.
Mi auguro che l'indagine vi stia coinvolgendo e che abbiate già qualche sospetto...

Al prossimo capitolo (stavolta presto, davvero)
Tanti baci a tutti, grazie per esservi fermati a leggere!

Flora


   
 
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