Teatro e Musical > Les Misérables
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Autore: Halina    17/04/2013    5 recensioni
[Les Miserables; AU – Parigi 2013 - College World]
[Enjolras/Grantaire; Marius/Cosette; Courfeyrac/Eponine; altri]
Parigi 2013, un nuovo anno accademico ha inizio e la society de "Les Amis" è pronta ad affrontare nuove crociate e sfidare la nuova riforma dell’istruzione che il governo vuole attuare. Il piccolo café Musain, a pochi isolati dall’università, diventa il quartier generale del club, il rifugio di cuori infranti e il tempio di nuove speranze. E’ tempo di tornare ad avere fiducia, tornare a credere, che se un cambiamento può avere luogo in noi anche il mondo può cambiare. E cambierà.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4 – POV Courfeyrac

Hei, Courgette! Da questa parte!”

Maledicendo mentalmente Marius Pontmercy in toni alquanto coloriti, Courfeyrac si stava sbracciando per attirare l’attenzione della ragazza tra la miriade di matricole che stavano sciamando fuori dall’aula di pedagogia generale. Una pioggia battente si stava riversando sull’università in quel gelido pomeriggio di novembre, e gli studenti si accalcavano attorno all’uscita, annaspando con cappucci e impermeabili.

Brandendo un grosso ombrello scozzese, si fece strada a suon di gomitate fino a raggiungere Cosette, che lo aspettava sorridente davanti alla porta: “Buongiorno, Courfeyrac!” lo salutò con il suo immancabile cinguettio, aggrappandosi al suo braccio con una manina sottile.

Suo malgrado Courf sorrise. Doveva ammettere che, nonostante i livelli allarmanti di glicemia che Marius scatenava ogni volta che ne parlava, Cosette era davvero adorabile. Era carina, ma non era tanto quello a colpire quanto il suo perenne sorriso, la sua gentilezza, e la dolcezza con cui aveva sempre una buona parola per tutti.

Quando Marius l’aveva portata al Musain per la prima volta, la settimana precedente, tutti erano immediatamente rimasti incantati. L’unico sorriso tirato alle presentazioni era stato quello di Eponine.

La cosa non era, ovviamente, sfuggita a Courfeyrac. Gli era bastato riempire il bicchiere un paio di volte di troppo ad un Grantaire già parecchio alticcio, per farsi confessare che la ragazza aveva avuto una cotta per Marius per anni.

La notizia lo aveva colpito come un sasso, non si sarebbe mai aspettato che una tipa tosta come Eponine potesse interessarsi a Monsieur-pesce-lesso-Pontmercy. La cosa gli aveva incredibilmente procurato un certo fastidio.  

Cercava di non pensarci troppo, facendo del suo meglio per essere un buon amico per tutti quanti, barcamenandosi tra Les Amis, il café e l’università con la sua solita giovialità.

“Dov’è Marius?” gli chiese Cosette, mentre i due attraversavano il cortile, diretti all’uscita.

“Il damerino è andato a cambiarsi,” rispose Courf alzando gli occhi al cielo “è uscito un po’ tardi da lezione e non ha fatto in tempo a passare dal bagno. Sapendo che eri senza ombrello ha spedito me a recuperarti, sarà qui tra poco.”

Cosette ridacchiò, coprendosi la mano con la bocca: “Si è cambiato solo per venire da me? Gli avevo detto di stare tranquillo! L’ho invitato per il the solo perché papà era curioso di conoscerlo; appena la mamma l’ha saputo ha insistito perché si fermasse anche a cena. Tutto qui.”

“E dici poco? Incontrare i genitori della tua ragazza è un’esperienza terrificante.” commentò Courf rabbrividendo “Lo capisco se ci tiene a fare bella figura, soprattutto con tuo padre. Sono sempre iperprotettivi nei confronti delle figlie e ipercritici nei confronti dei loro ragazzi. Il tuo ti viziava quando eri piccola?”

Cosette rispose dolcemente, con un sorriso sereno sul volto: “In verità, non è davvero mio padre. Sono cresciuta in un istituto finché mamma non ha trovato lavoro nella ditta di papà. Si sono innamorati e sposati, e lui mi ha adottata. Ci siamo trasferiti qui a Parigi tutti insieme quando avevo sette anni.”

Courf sbatté gli occhi un paio di volte, fermandosi sotto la pensilina dell’autobus: “Davvero? Non ne avevo idea! Non hai esattamente l’aria di una cresciuta in una casa di accoglienza.” le disse sincero, passando in rassegna gli abiti eleganti e di ottima fattura che la ragazza indossava con la sua innata grazia.

“Eccomi!” si sentì in quel momento l’annuncio di Marius alle loro spalle.

I due si voltarono quasi all’unisono, e Cosette piegò la testa sulla spalla, evidentemente soddisfatta del paio di pantaloni beige che il suo ragazzo indossava, abbinati ad un elegante maglione dallo scollo a V. Marius tirò a Courfeyrac un paio di jeans umidi e una stropicciata camicia a quadri, chinandosi a sfiorare le labbra di Cosette con un piccolo bacio, sufficiente a farla arrossire.

Courf stava appallottolando i vestiti Marius nel suo zaino, quando un coro di clacson si levò da tutte le auto in strada. Sollevò il capo giusto in tempo per vedere un ragazzino biondo, il cappuccio della felpa di qualche taglia troppo grande tirato sul capo, sfrecciare contromano a bordo di una bicicletta sgangherata. Zigzagò tra il traffico e passò rasente al marciapiede, sollevando da una pozzanghera un’ondata che si riversò dritto dritto sui pantaloni immacolati di Marius.

“No! Non ci credo!” esclamò lui dopo un attimo di incredulità, guardandosi inorridito “Neanche Bossuet è così sfigato, perché proprio a me? Perché proprio oggi?”

“Stai piagnucolando, Pontmercy!” lo prese in giro Courf con un sogghigno “E quello è il tuo autobus. Se non vuoi arrivare in ritardo, oltre che umido, ti conviene andare.”

Un attimo dopo i piccioncini erano spariti a bordo del bus e lui si stava avviando a passo tranquillo verso il Musain, dove aveva appuntamento con Feully.

Era ormai arrivato all’ultimo incrocio quando il cellulare gli vibrò in una tasca, segnalando un messaggio in arrivo. Sfilò il telefono e sospirò vistosamente: Feully doveva sostituire un collega e avrebbe avuto un’ora di ritardo. Ciò nonostante, esitò solo un istante prima di proseguire per la sua via. Non era troppo lontano da casa, ma Marius era da Courgette e Jean era a lezione di flauto traverso; l’idea di rinchiudersi nell’appartamento vuoto non lo esaltava per niente. Avrebbe potuto bere qualcosa e fare finta di studiare al Musain, dove c’era sempre la possibilità di incrociare uno degli altri.

Arrivato davanti alla porta del locale però si bloccò sconcertato, sul vetro era appeso un cartellino che recitava, nella calligrafia sbilenca di Eponine: “Pardon, siamo momentaneamente chiusi. Ripassate tra un po’.”

Alzò gli occhi al cielo, agitando minaccioso un pugno per aria: “Non si fa, Bossuet, non si fa! Non si riversa la propria sfiga sugli amici innocenti! Prima Pontmercy, poi Feully e ora il sottoscritto. Che ti abbiamo fatto di male?”

Stava per fare marcia indietro, ormai piuttosto bagnato e sulla buona via per essere anche piuttosto depresso, quando un rumore di cocci infranti e una voce famigliare lo fecero bloccare di colpo. Si mise in ascolto: non potevano esserci dubbi. La voce di Eponine, l’incazzatissima voce di un’incazzatissima Eponine, era decisamente distinguibile dall’interno.

Senza farsi troppi problemi, posò la mano sulla maniglia e socchiuse la porta. Sbirciò dentro, attento a non esporre la faccia abbastanza da offrire un bersaglio a un eventuale lancio di piatti in corso: “Heilà, ‘Ponine? Sono Courf…”

Lo spettacolo che gli si presentò davanti agli occhi era ben diverso da quello che si aspettava. Eponine, in piedi accanto al bancone, teneva in mano due fogli; davanti a lei, seduto su un tavolo con i piedi a penzoloni e lo sguardo chino, stava il teppista che aveva schizzato Marius davanti all’università.

Senza rispondere, Eponine afferrò una sedia e ci si lasciò cadere a peso morto, chinando il capo fino a poggiare la fronte al pianale del tavolo più vicino.

“’Ponine?” chiese di nuovo Courf, entrando e chiudendosi delicatamente la porta alle spalle. La ragazza sollevò il capo, le guance rigate di lacrime, e Coufeyrac sentì una stretta al cuore. Eponine era una tipa in gamba, non si era fermata davanti a niente, non si era piegata davanti a niente, nonostante la vita non fosse stata particolarmente gentile con lei. Per essere ridotta in quel modo doveva essere successo qualcosa di davvero grave.

“Che cosa c’è che non va?” le chiese, avvicinandosi.

“Da dove vuoi che inizi?” chiese lei, retorica, sollevando un foglio in ogni mano “Dalla maestra o dall’assistente sociale?”

“Come, scusa?”

Lei sospirò, passandosi una mano sugli occhi: “Ho un padre in galera e una madre che lavora in nero, prendendo il sussidio di disoccupazione. Ho fatto domanda per avere mio fratello sul mio stato di famiglia e toglierlo ai miei, e ora scopro che ha praticamente tutte le materie insufficienti a scuola. Se lo bocciano di nuovo lo metteranno nel sistema nazionale di affidamento e potrebbero spedirlo ovunque in Francia…”

La voce le si spezzò mentre stringeva un pugno fino ad avere le nocche bianche, rabbia e impotenza fuse in un’espressione disperata. Il ragazzino si mosse a disagio sul tavolo, senza alzare lo sguardo dal pavimento.

Courf alternò lo sguardo tra i due, iniziando a mettere insieme i pezzi: “Aspetta un secondo questo.. è tuo fratello?” chiese stupito, osservandolo con più attenzione. Aveva capelli biondicci, cresciuti selvatici fino a sfiorare le spalle, un paio di jeans troppo corti e una felpa troppo grande.

“Certo” gli rispose Eponine, amara “cosa credevi? Che l’avessi pescato mentre cercava di rubarmi un croissant? Si chiama Gavroche.”

Courf evitò di confermare che il suo primo pensiero era stato esattamente quello, e si avvicinò al ragazzino allungandogli una mano: “Piacere, Gavroche. Io sono Courfeyrac.”

Gavroche alzò su di lui un paio di sveglissimi occhi azzurri e lo fissò per qualche istante dritto in volto, senza dar segno di voler prendere la mano tesa. Infine sternutì sonoramente.

“Santo cielo!” esclamò Eponine “Sei fradicio, ‘Roche! Fila di sopra a farti una doccia calda e poi torna qui che ti faccio una cioccolata.” Il suo tono si era addolcito, e lo sguardo si era fatto preoccupato, mentre seguiva il fratellino saltare giù dal tavolo e sparire nel retro.

“Andarsene in giro così a novembre senza neanche una giacca sotto questo diluvio … se non gli viene una broncopolmonite è un miracolo.”

Borbottò per poi spostare l’attenzione su Courf: “Mi dispiace che tu abbia dovuto vedere tutto questo, non è da me crollare in questo modo, ma sono vagamente disperata. Uno ce la mette tutta per uscire dalla merda in cui si ritrova e puntualmente finisce per caderci dentro sempre di più…” confessò alzandosi, e facendo per raccogliere vassoio e tazze dal pavimento.

“Lascia” si affrettò a bloccarla Courf, posandole una mano su una spalla “ci penso io. E’ normale crollare ogni tanto, ‘Ponine, e non per questo significa che ti arrenderai e ti lascerai sommergere, no?”

Eponine gli sorrise, e un improvviso svolazzare di farfalle riempì lo stomaco di Courfeyrac. Mentre la ragazza si calmava e armeggiava con il bollitore, raccolse il disastro da terra.

Il pensiero che gli corse a casa, a sua madre che serviva la colazione ogni mattina ai quattro fratelli Courfeyrac. La cucina si affacciava sul giardino, oltre il quale la campagna si estendeva a perdita d’occhio. Suo padre sarebbe sceso di corsa dalle scale, avrebbe scompigliato loro i capelli, preso le chiavi della macchina e sarebbe corso in paese, dove avrebbe trascorso il resto della giornata dietro il banco della farmacia.

Pensò alla solitudine di Eponine, ai vestiti fuori misura di Gavroche e strinse i denti: “Non succederà, ‘Ponine. Non ti porteranno via tuo fratello, ti daremo una mano noi … io.”

La ragazza si voltò, posando sul bancone due tazze e rifilandogli un’occhiata stupita: “Non è che non apprezzi il tuo ottimismo, Courf, ma come…”

“Gli daremo ripetizioni, lo aiuteremo a mettersi in pari. Sono una capra in matematica e scienze ma potremmo chiedere a Joly, o ad Enjolras, per le altre materie posso pensarci io. Potresti dimostrare che può vivere da te, e quando tu hai da fare posso fargli da babysitter. Ho tre fratelli maggiori che si sono sempre presi cura di me, ed ero un bambino terribile, ne so qualcosa!”

Eponine lo guardò stupita, un accenno di speranza sul viso: “Davvero? Credi che sia possibile? Oddio, grazie!” Eponine si lanciò oltre il bancone e gli gettò le braccia al collo, posandogli un bacio su una guancia. Courf deglutì, ringraziando mentalmente la presenza del bancone tra di loro.

Si sedette ad un tavolo con la sua tazza e il suo libro di storia moderna, mentre Eponine riapriva il café e qualche avventore faceva capolino. Qualche minuto dopo, Gavroche ricomparve; indossava ancora i suoi jeans troppo corti, ma abbinati ad un paio di pantofole e un maglione di Eponine, caldi e asciutti.

Dopo aver scambiato qualche parola con la sorella, e recuperato una cioccolata gigante, attraversò la stanza e si sedette di fronte a Courf, intrecciando le mani sul tavolo. Courf posò il libro, restituendo lo sguardo.

“Lo fai perché ti vuoi portare a letto mia sorella?” gli chiese serio Gavroche.

Courfeyrac rischiò seriamente di strozzarsi con il the che stava mandando giù e tossicchiò per due minuti buoni, in cui il bambino continuò a fissarlo, serio e imperturbabile.

“Quanti anni hai?” gli chiese infine, boccheggiando.

“Dieci.”

“Ah, wow. Comunque no, non lo faccio per… hem… ” si schiarì la voce e continuò “Mi ricordi com’ero io alla tua età. Odiavo andare a scuola. Passavo tutto il giorno a girovagare per i campi finché uno
dei miei fratelli non mi prendeva per le orecchie e si sedeva a fare i compiti con me. E alla fine ero contento quando avevo dei compiti da fare, perché voleva dire che uno di loro avrebbe trovato il tempo di prendersi cura di me, e perfino studiare diventava divertente.”

Nessuno dei due aggiunse altro, rimasero solo lì a fissarsi, prendendosi le misure.

Quando infine Gavroche ruppe il silenzio disse una parola soltanto: “Merda.”

Courfeyrac sbatté le palpebre un paio di volte prima di rendersi conto che non era rivolto a lui. Il bambino stava guardando oltre le sue spalle, probabilmente qualcuno che era entrato dalla porta. Si voltò, vedendo un uomo imponente, con corti capelli brizzolati e larghe spalle, fissare un’ignara Eponine dietro il bancone.

“Chi è?” chiese a Gavroche.

“Lo sbirro che ha messo dentro papà.”

“Maledetto Bossuet…” bofonchiò Courf al soffitto, tenendo sott’occhio la scena.

L’uomo si era avvicinato alla cassa, Eponine si era voltata con un sorriso, ben presto pietrificato in un’espressione risoluta: “Ispettore Javert” lo apostrofò con un piccolo cenno del capo “A cosa devo l’onore? Niente più che una pausa caffè spero.”

“In realtà temo di no.” rispose l’uomo, tranquillo “Come sai gestisco il fascicolo della tua famiglia e ho avuto una segnalazione che hai chiesto lo spostamento di tuo fratello sul tuo stato di famiglia. Ho un mandato della Finanza per controllare il tuo contratto e i registri dell’attività.”

Courf si alzò, affiancandosi al poliziotto al bancone con apparente noncuranza: “Abbiamo un problema?”

“Questo dipende da lei” rispose Javert, indicando Eponine “Tu chi saresti?”

Monsieur Courfeyrac” rispose il ragazzo “Sono il professore di ripetizioni di Gavroche, aiuto Eponine a prendermi cura della sua istruzione.”

Lo sguardo che Javert rivolse ad Eponine a quelle parole era uno di approvazione: “Hai già preso provvedimenti? Bene…” commentò.

Eponine drizzò il mento, orgogliosa: “Certo, è mio fratello. Non mi sottovaluti, Ispettore. Non sono mio padre, né mia madre. Vado a prenderle i registri, e non troverà una paglia fuori posto.”

Courf rimase al bancone, mentre Javert si prendeva tutto il suo tempo per esaminare con cura i documenti. Quando infine li restituì alla ragazza lo fece con un accenno di sorriso sulle labbra: “Sembra essere tutto a posto.”

Detto questo esitò un istante prima di togliere un biglietto da visita dalla tasca della giacca: “Ecco, tieni. E’ il numero di telefono del mio ufficio alla Centrale. Se dovesse succedere qualcosa, o se dovessi avere bisogno di qualcosa…” si interruppe, quasi imbarazzato. Quindi attraversò la stanza spedito, puntando alla porta.

Aveva già un piede fuori quando Eponine lo fermò: “Hei, Ispettore! Se hai tempo per una pausa caffè mi trovi qui dal lunedì al sabato dalle 7 alle 7.”

Javert le rivolse un’occhiata da sopra la spalla: “Grazie” le rispose esitante “Ben fatto, ragazza…” concluse rapidamente, affrettandosi ad uscire, sbattendosi la porta alle spalle.

Eponine scoppiò a ridere di cuore: “L’ha detto davvero?”

“Che ti prende, ‘Ponine!” si intromise a quel punto Gavroche, a metà tra il perplesso e l’arrabbiato “Quello ha messo dentro papà!”

“Già” rispose Eponine, tornando seria “E non lo ringrazierò mai abbastanza per averlo levato dalla circolazione. Preoccuparsi per te, cercare di aiutarti, dirti che c’è quando hai bisogno, darti la sua approvazione… queste sono le cose che un padre dovrebbe fare, ‘Roche. E’ così che funziona una famiglia, e prego solo che un giorno io possa essere in grado di dartene una.”

Dopo un attimo di silenzio, Courfeyrac si sentì tirare per una manica e abbassò lo sguardo, Gavroche gli stava accanto, osservandolo serio, le braccia incrociate: “Sono ancora convinto che ti vuoi portare a letto mia sorella; ma sembri uno a posto, per cui, se lei ti vuole, per me va bene. E se vuoi farmi da fratello grande va bene anche quello. Ti prendo in prova, vediamo se sei bravo e poi decido se ti voglio tenere.”

Courf sorrise, chinandosi e tendendogli la destra: “Affare fatto.”

Questa volta il bambino la prese, stringendola vigorosamente, regalandogli un primo, sdentato, sorriso.


Due settimane dopo, l’ultimo giovedì del mese, sarebbe stata la prima occasione per Courfeyrac di mostrare le sue doti di babysitter. Con le ripetizioni se la stava cavando anche meglio di quanto avesse sperato. Né Eponine né Gavroche avevano ancora avuto un appunto da fargli, e doveva anche ammettere che stava iniziando ad affezionarsi al marmocchio. Aveva preso l’abitudine di andare a prenderlo a scuola, e spesso facevano una passeggiata per i boulevard mangiando caldarroste o andavano a giocare a calcio al parco quando il tempo era clemente. Infine si rifugiavano al Musain, dove Eponine li accoglieva con gran sorrisi e gran tazze di cioccolata con panna.

I due fratelli Thénardier si erano intrufolati nella sua routine quotidiana con naturalezza, e Courf li aveva accolti a braccia aperte, iniziando inconsapevolmente a vederli davvero come una famiglia. Con gran stupore di tutti, anche l’ispettore Javert aveva fatto un paio di rapide comparse – “Giusto un caffè” aveva detto con quel suo modo un po’ burbero – dopo la sua prima visita.

Courf si lasciò cadere su una sedia al solito tavolo, dove les Amis stavano iniziando ad arrivare, osservano Enjolras raccogliere con gesti precisi e meticolosi le tavole di tabelline e far spazio a petizioni e quotidiani. Il biondo aveva accettato con piacere di dare una mano, e aveva preso l’abitudine di fare un’ora di lezione di matematica a Gavroche tutti i giovedì prima delle riunioni, Joly faceva lo stesso con scienze i martedì.

Il quasi-medico era costantemente tartassato dal bambino che, appena intuite le paranoie dell’ipocondriaco, non perdeva occasione di fargli credere di essere stato colpito da malanni terminali. Con Enjolras invece era stato amore a prima vista. Gavroche lo guardava con occhi adoranti, seguendolo come un’ombra ovunque, al punto che Grantaire aveva iniziato ad essere vagamente possessivo e, molto meno vagamente, geloso.

“Tieni, campione” stava dicendo in quel momento Enjolras, allungando a Gavroche gli appunti “sono le nove in punto, sei libero!”

Il bambino esitò, serio come solo lui, dall’alto dei suoi dieci anni, riusciva ad essere: “Capo, posso stare anche io alla riunione questa sera?”

Enjolras si lasciò scappare uno dei suoi rari sorrisi e Grantaire, che passava nei paraggi con un vassoio carico di pasticcini e tisane, inciampò in una sedia, rischiando clamorosamente di finire lungo e disteso sul pavimento.

Mmmm, non lo so” rispose il biondo “bisogna chiedere il permesso della baby-sitter. Che dici, Courfeyrac? Può restare?”

“Ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego!” implorò Gavroche.

Courf scambiò un’occhiata complice con Enjolras e cercò di non sorridere: “Guarda che può diventare pericoloso, ‘Roche. Non hai idea di che cosa succede qui dopo le nove. Sorge la luna piena e al capo spuntano i canini e il pelo. Inizia ad ululare a destra e manca e se qualcuno sgarra lo sbrana. Sicuro di voler restare?”

Enjolras reclinò il capo all’indietro, esponendo la gola e scoppiando in una sonora risata. Grantaire, che tornava verso il bancone, sbatté sonoramente contro un tavolo e si rifugiò dietro il registratore di cassa zoppicando e massaggiandosi un ginocchio, guadagnandosi un’occhiata impietosita da Combeferre, che aveva appena fatto il suo ingresso.

Poco dopo, la riunione ebbe inizio, con il nome di Gavroche orgogliosamente aggiunto all’appello. L’unico assente era Marius, che era stato nuovamente invitato a cena dai genitori di Courgette.

“Settimana prossima” iniziò Combeferre, scartabellando tra un plico di fogli, “abbiamo in programma una serie di incontri per sensibilizzare vari gruppi collaterali al nostro. Ho finito di stilare l’elenco di tutte le associazioni che ci hanno dato l’ok insieme alla loro disponibilità oraria, vediamo di incastrarci in modo da coprirli tutti entro giovedì prossimo.”

A quel punto, Combeferre iniziò a distribuire i vari compiti. Courf se ne stava seduto tranquillo, come sempre dall’altro lato di Enjolras, in paziente attesa di sapere dove sarebbe stato mandato.

Gavroche gli sedeva in braccio, concentratissimo, senza perdersi una parola di quello che veniva detto e senza dare cenno di stanchezza, nonostante l’orologio ticchettasse ormai verso le undici.
Infine il bambino camuffò uno sbadiglio e tirò Enjolras per una manica: “Hei, capo! E noi? A noi dove ci mandi?” gli chiese accennando a Courf.

Il biondo diede un’occhiata ai fogli scarabocchiati da Ferre e piegò la testa sulla spalla: “Mi rimangono da coprire il Sindacato degli insegnanti, il Consiglio di Amministrazione dei musei cittadini e il
Comitato di quartiere di Montmartre. Il sindacato è sulla linea della metro di Montmartre e hanno entrambi disponibilità di mercoledì, riusciresti a farcela in tutti e due, Courf?”

Il ragazzo aprì la bocca per rispondere ma Gavroche lo precedette: “Certo che ce la facciamo! Non ci fermeremo davanti a niente! E ora andiamo a letto. Buonanotte, capo!” Disse orgoglioso, saltando giù dalle ginocchia di Courf e guardandolo in attesa: “Vieni?”

Courf sorrise: “Sono da te tra 10 minuti. Inizia a mettere il pigiama e lavare i denti!”

Il bambino salutò i ragazzi e si incamminò verso il retro, ed Enjolras sospirò: “Sicuro di farcela, Courf?”

“Certo, non ci fermeremo davanti a niente!” confermò il ragazzo, facendo da eco a Gavroche.    

“Grazie. Infine ci manca solo il Consiglio di Amministrazione dei Musei. Ci andrei io, ma lunedì ho lezione fino alle 6 e voi siete già tutti strapieni. Speravo di chiedere a Marius, ma è decisamente troppo latitante e troppo poco affidabile ultimamente. Temo che dovremo disdi…”

“Hei, Apollo. Hai dimenticato me.” si fece sentire la voce di Grantaire. Aveva chiuso il locale e se ne stava appoggiato al muro, il grembiule ancora attorno ai fianchi e le braccia incrociate, osservando Enjolras dritto in volto.

Il capo restituì lo sguardo, sorpreso: “Tu? Stai cercando di dirmi che vorresti andarci tu?”

Grantaire sorrise: “Non c’è posto migliore di un museo per un artista, no?”

“Non si tratta di guardare dipinti, Grantaire. E’ questione di spiegare perché ci opponiamo alla Riforma, motivare le nostre azioni, chiedere il patrocinio del consiglio e difendere la nostra causa.”

Grantaire sbuffò: “Grazie, Apollo. La tua fiducia nei miei confronti è sempre commovente.”

Dietro le spalle del biondo, Courfeyrac e Combeferre si scambiarono un occhiata che valeva più di mille parole. La storia andava avanti da ormai troppo tempo perché potesse passare inosservata.

Grantaire cercava in tutti i modi l’approvazione di Enjolras, ed Enjolras si trincerava dietro l’apparente noncuranza di Grantaire per non dargli peso. E più Enjolras non gli dava peso, più Grantaire si intristiva e beveva. E più Grantaire si intristiva e beveva, meno Enjolras gli dava peso.

“Ti darò fiducia quando te la meriterei, Grantaire.”  

Ma ‘Taire era decisamente troppo sobrio per lasciarsi liquidare in quel modo: “E come faccio a meritarmi la fiducia del grande Apollo, se il grande Apollo non mi da la possibilità di poter fare qualcosa di più utile di cucinargli torte vegane e comprargli il latte di soia?”

Enjolras aprì la bocca per ribattere e la richiuse di scatto, osservando il moro con occhi nuovi. E Courf capì che Grantaire aveva vinto quel round. Si sporse dietro la schiena di Enjolras, ancora troppo assorto a guardare ‘Taire, e scambiò un silenzioso e discreto high-five con Combeferre.

Quindi si alzò, stiracchiandosi soddisfatto: “Va bene, gente, vado a imbrandare il pargolo e vi saluto. Buonanotte!”

Un coro di “’Notte, Courf!” gli rispose dal tavolo e, con una strizzata d’occhio a Grantaire, il ragazzo si infilò nel retro, salendo la stretta scala che portava alle due stanze che Eponine occupava al piano di sopra.

Era buio, Gavroche era sommerso da una pila di coperte, acciambellato sul divano, abbracciato al cuscino: “Ti stavo aspettando” disse a Courf quando lo vide entrare.

Il ragazzo si lasciò cadere sulla poltroncina lì accanto e gli scompigliò i capelli. “Sono qui, piccolo. Ora di mettersi a dormire.”

Poco dopo il bambino era crollato. Respirava piano nel sonno, e Courf lo guardava dormire, vegliandolo con affetto. Era assolutamente determinato ad aspettare Eponine sveglio. All’una, la ragazza non aveva ancora dato segni di vita, e Courfeyrac iniziava ad avere un sonoro mal di schiena e continui colpi di sonno. Si alzò e scese al piano di sotto con l’idea di farsi un caffè.

Stava per entrare nel Musain, quando la sua mente annebbiata realizzò che qualcosa non andava. Le luci erano ancora accese e c’erano voci nella sala. In punta di piedi si affacciò dalla porta e un’espressione allibita gli si dipinse sul viso.

Enjolras brandiva un cucchiaino, gesticolando con la sua immancabile prosopopea. Parlava a voce troppo bassa perché Courf riuscisse a capire cosa stesse dicendo ma, a giudicare dall’entusiasmo, era probabilmente politica. Davanti a lui giaceva una fetta gigante di torta alla frutta, abbondantemente sbocconcellata da entrambe le estremità. Il proprietario del secondo cucchiaino sedeva al capo opposto del tavolo, ascoltando in religioso silenzio, con aria adorante: era Grantaire.

Courfeyrac dovette premersi entrambe le mani sulla bocca per impedirsi di urlare, e dovette costringere i piedi a sgattaiolare di nuovo di sopra invece di improvvisare una danza della vittoria.

Non aveva alternative: privato della caffeina, riprese la sua postazione sulla sua poltroncina e si addormentò. Venne svegliato da una mano gelida che gli sfiorava il collo. Sobbalzò e sbatté gli occhi nel buio, mettendo a fuoco la sagoma scura di Eponine, in pigiama, che gli stava appoggiando una coperta sulle spalle. Era bellissima, i capelli scuri che incorniciavano il viso rotondo, dall’aria dolce.

“Scusa, non volevo svegliarti” gli sussurrò.

Courf si alzò, indolenzito e stravolto: “Figurati, non c’è problema. E’ stato un angioletto e dorme come un sasso… Io vado allora.”

Eponine sorrise, guardando il fratellino: “Sono quasi le quattro, puoi restare qui fino a domattina se vuoi.”

Il ragazzo storse il naso, massaggiandosi il collo: “Non vorrei sembrare scortese, ma qualche ora di sonno in un letto valgono lo sbatti di tornare fino a casa.”

“Ho un letto matrimoniale, Courf, direi che c’è decisamente abbastanza spazio.”

Courfeyrac sgranò gli occhi, la famigliare sensazione di farfalle nello stomaco che tornava a farsi sentire: “Lo sai, vero, che Gavroche è convinto che gli faccia da babysitter solo per riuscire a venire a
letto con te?”

“Sì, lo so. Quindi faremo bene a svegliarci prima che si svegli lui. Ah e, Courf… non farti venire strane idee. Sfiorami con un dito e te lo mangio.”

Courf sogghignò, pensando a Cosette, e a quanto Monsieur-pesce-lesso-Pontmercy fosse un cretino: “Farò del mio meglio, ma ti avverto: mi muovo nel sonno…”   
 

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Il capitolo finisce volutamente in sospeso. Nella mia testa i due polli si addormentano ai due capi opposti del letto, la mattina dopo Gavroche li trova abbracciati e se ne torna a dormire sogghignate, approfittando del fatto che nessuno lo ha svegliato in tempo per saltare un giorno di scuola.

Le dinamiche Courf/Gavroche, Javert/Gavroche e Courf/Javert sono decisamente movieverse, Courf/Eponine viene di conseguenza, e l’idea che Javert si adotti Ponine e Roche è un mio personalissimo headcanon.
 

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