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Autore: Ivola    28/04/2013    19 recensioni
Le storie di Panem sono varie e numerose. Avete mai sentito parlare dei promessi del Distretto 6, quei due ragazzi che avrebbero fatto di tutto pur di ammazzarsi a vicenda e non sposarsi? Loro sono solo una sfocatura, come tanti altri.
Klaus e London. London e Klaus.
Un altro matrimonio combinato, le persone sbagliate, un cuore solitario, e tutto ciò che (non) può essere definito amore.

▪ VI: « Che cosa mi stai facendo? » ansimò la ragazza, tentando di aggrapparsi alle sue spalle. Era decisamente una domanda stupida, visto che era piuttosto evidente cosa il ragazzo stesse facendo. [...]
Klaus non si degnò neanche di rispondere, ben concentrato a muoversi sul suo corpo con gli occhi distanti e le labbra socchiuse. Non aveva né la voglia né la forza di ribattere, per cui la zittì con un bacio rabbioso. « Taci » le sussurrò, corrugando la fronte e mantenendo le labbra a pochi centimetri dalle sue nel caso London avesse deciso di parlare ancora.

▪ XIII: « Perché lo state- no, perché lo stai facendo? »
L’altro lo guardò bene negli occhi, con un’espressione che Klaus non seppe decifrare.
[...]
« Mert szeretlek » rispose Ben semplicemente.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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Note: Il primo capitolo. Il battesimo della storia, quasi più del prologo. Insomma, ecco qua il principio di tutto.
Sono abbastanza emozionata, comprendetemi ùwù
Non pensiate che io in genere aggiorni così velocemente, ma per ora ho pronti altri cinque capitoli, quindi sarò abbastanza costante (forse). Che dire, se non che spero che immergervi in questa storia vi piacerà almeno quanto a me piace scriverla?
Dedico il capitolo a Marty, perché lei c'è sempre e perché sopporta tutti i miei insensati fangirleggiamenti. Klaus, Ben e Londie vi augurano b
uona lettura ♥

Il titolo del capitolo viene da “Uno” dei Muse (che è anche il sottofondo della prima parte del capitolo).
La seconda parte del capitolo è nata ascoltando "Sober", sempre dei Muse, che è anche la traccia successiva a Uno nell'album.

Si ringrazia tantissimo Mito per il banner!

















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Blur
∞ 
(Tied to a Railroad)




 
 
001. First Chapter – You're still nothing to me.

 

Neanche il vino sembrava riuscire ad addolcire quell’amarezza che gli attraversava il corpo come una lama incandescente.
Era una sera buia e ventosa di novembre; tuttavia in quell’accogliente locale rivestito di parquet l’atmosfera era tranquilla e calda, intima, se non fosse che a una sola spanna da lui una ragazza gli stava, probabilmente, inviando minacce di morte con il pensiero.
London era seduta accanto a Klaus e le loro spalle si sfioravano appena. Non si erano neanche guardati in faccia durante quella formale cena che si stava svolgendo in onore del fidanzamento ufficiale. Il giorno successivo i gemelli Bridge avrebbero compiuto diciott’anni e allora i due promessi si sarebbero potuti unire in matrimonio immediatamente dopo gli annuali Hunger Games, a giugno.
C’era da festeggiare, ma quell’incontro tra le due famiglie assomigliava più ad un funerale che a una celebrazione vera e propria.
Shyvonne ed Erzsébet conversavano cautamente, sedute accanto ai propri mariti che si guardavano in cagnesco. Presto il loro accordo si sarebbe stipulato e tutto si sarebbe concluso con una stretta di mano, un anello al dito e un erede.
Klaus, soffocato dalla sua elegante giacca su misura proveniente dal Distretto Otto, aveva toccato poco cibo e bevuto diversi bicchieri di vino pregiato, tentando invano di calmare la tensione. Lo stava facendo solo per sua madre, che quella stessa mattina l’aveva supplicato piangendo. 
« Soltanto questa sera, per favore » gli aveva detto.
Se non avesse provato un’irragionevole compassione per lei, probabilmente in quel momento non sarebbe stato lì, costretto a restare in silenzio e a parlare solo quando gli veniva richiesto. Forse sarebbe stato meglio mandare tutti al diavolo e non presentarsi, ma purtroppo ormai c’era dentro fino al collo.
Teneva gli occhi fissi sul piatto di porcellana appena servitogli con un dessert complicato, pieno di decorazioni floreali di glassa. Aveva la fronte corrugata e lo sguardo vacuo, ma probabilmente non se n’era neanche reso conto, troppo preso a pensare in che modo sfuggire a quella noia. Si allentò la cravatta, che quasi lo stava strozzando. Quel piccolo gesto richiamò l’attenzione di London, la quale, data l’assenza del fratello, se ne stava ugualmente in silenzio.
Con un furbo sorrisetto e
 con l’ausilio di quei maledettissimi tacchi a spillo la ragazza pestò un piede di Klaus, che represse a stento una colorita imprecazione. Si voltò di poco a guardarla, frustrato. Avrebbe tanto voluto cancellarle quell'espressione divertita dal volto, ma, per una volta, si disse di lasciar perdere.
Altri dieci minuti, pensò. Solo altri dieci fottutissimi minuti.
Un uomo intanto, probabilmente il proprietario del locale che era rimasto aperto fino a tardi solo per quell’evento, entrò nella sala con una chitarra acustica – un vero gioiello per tempi come quelli – e, sedutosi su uno sgabello, intonò una vecchia canzone del Distretto.
Klaus vide London inarcare le sopracciglia.

« Per questi due promettenti giovani! » disse, pizzicando dolcemente le corde dello strumento in una soave melodia dai profumi orientali.
Il volto di Shyvonne Wreisht s’illuminò. 
« Ballate per noi » fece la donna, entusiasta. « Coraggio. »
Klaus e London si scoccarono una truce occhiata.
Non esiste nemmeno.

« Mamma, non so ballare » disse il primo, scuotendo la testa.
« Provaci » ribatté Frantz con un sospiro spossato, dando voce ai pensieri della moglie. « Avanti, non è poi così difficile. Basta muovere i piedi a tempo. »
London si alzò in piedi prima che l’altro potesse dire qualcosa che avrebbe definitivamente rovinato quella serata. « Dai, non fare il rammollito e invitami » gli disse in tono provocatorio.
Klaus, esasperato dalla situazione, si alzò e le prese una mano. 
« Con il vostro permesso, mia adorata » biascicò con pari provocazione.
La sala non era molto ampia, ma c’era abbastanza spazio per mettere in atto quella piccola recita. Dopotutto, London sapeva stare al gioco.
Il ragazzo un po’ meno, ma non sembrava importare a nessuno.
Entrambi, con passi sospettosi, raggiunsero il centro di quella pista improvvisata e, prima di cominciare a ballare, si osservarono di sottecchi. Klaus la attirò velocemente a sé, stringendole la mano destra in una morsa ferrea e avvicinando i loro visi più del previsto. 
« Andiamo, fammi vedere come si fa » le intimò sottovoce, dando per scontato che lei non fosse poi così capace come voleva far credere.
London, per tutta risposta, gli strattonò il braccio, posando la mano libera sull’altra spalla. 
« Volentieri » ribatté, « mio odiato»
Appellativi così erano all’ordine del giorno tra i due, quindi Klaus non si scandalizzò più di tanto e, facendo un primo passo, replicò con un ghigno: « Non prenderci troppo la mano, però, Londie. »
« Forse rimarrai colpito » disse invece la ragazza, spostandosi in contemporanea con Klaus verso sinistra, a ritmo di quella musica accattivante.
« This means nothing to me, ‘cause you are nothing to me » cantò flebilmente l’uomo con la chitarra, magari pensando a un amore che gli era sfuggito dalle mani come polvere. Le parole, comunque, stridevano tanto con quella sorta di idillio che volevano creare le famiglie tra i due; anzi, istigavano ad accrescere quel sentimento di collera che provavano l’uno nei confronti dell’altra.
« And this means nothing to me that you blew this away. »
Klaus fece una smorfia infastidita, notando che non riusciva a stare a tempo e che London invece lo stava accompagnando piuttosto bene, muovendo le gambe abilmente e sensualmente, come se stesse cercando di provocarlo. Forse era proprio merito suo se non era ancora capitolato sul pavimento.
Stringendo sempre saldamente la mano della ragazza e tenendo l’altra sulla sua schiena, fece aderire i loro petti, così che non si capisse chi stesse realmente guidando la danza. Un così ravvicinato contatto lo irritava fin troppo, ma in quella spiacevole situazione era necessario. Dopotutto non poteva permetterle il lusso di una vittoria, neanche in uno stupido ballo come quello. Doveva incolpare soltanto il suo orgoglio se si lasciava trasportare tanto.

« Bravo, vedo che stai al gioco, Klaus » gli disse London ad un orecchio, immediatamente dopo aver compiuto una leggiadra giravolta.
Klaus non si lasciò intimidire. 
« ‘Cause you could’ve been number one… » disse fievolmente, riprendendo le parole della canzone. « If you only found the time. »
« And you could’ve rule the whole world, if you had the chance » continuò London in un sussurro, alzando un ginocchio accanto al fianco di Klaus. La gamba seminuda – appena coperta da un abito nero e svolazzante  di lei sfregò contro la sua anca e il ragazzo si impose di ignorare il contatto tra i loro bacini. Piuttosto, spostò la mano nella piega del suo ginocchio, sfiorandole la coscia per un istante, e la fece voltare di scatto, sorprendendola. L'occhiata irritata che gli rivolse lo soddisfece appieno.
La musica si fece più veloce e più intensa, pregna di una tensione tanto forte da essere tangibile, da suscitare una sovrannaturale elettricità intorno a loro.
I due ragazzi, ancora uniti da quel ballo fuori dal mondo, continuarono a muoversi con passi decisi, fissandosi reciprocamente con sguardi carichi d’astio, mentre le loro famiglie li osservavano a metà tra il compiaciuto e l’interdetto. Klaus e London sembravano volersi uccidere a vicenda qualsiasi cosa facessero.
Un volteggio, un passo indietro, un altro volteggio, più veloce del precedente. Era diventata una gara: a chi si sarebbe stancato per primo.

« And we could’ve have so much fun, but you blew it away... »
La soave melodia andò scemando, finché non si spense del tutto. London e Klaus, cercando di apparire il meno affannati possibile per non darla vinta all’altro, si separarono di botto, come se fossero stati a contatto con l’acido. E poi tornarono a sedersi, ignorandosi come stavano facendo fino a qualche minuto prima.
« Non è andata male, visto? » fece Shyvonne, poggiando una mano sulla spalla del figlio, che se la scrollò di dosso senza tante cerimonie.
Klaus finì l’ultimo sorso di vino, dopodiché scattò in piedi con una certa impazienza. 
« E’ stato un piacere » disse, lasciando tutti di sasso come al solito.
« Dove vai? » domandò Frantz, aggrottando le sopracciglia. « Non abbiamo ancora finito, dobbiamo discutere della- »
« Sì, certo » ribatté il ragazzo velocemente, appuntandosi il giubbotto. « Buon divertimento. »
Klaus uscì dal locale seguito da qualche blanda protesta dei suoi genitori. Aveva sopportato fin troppo quella sera, era giunto il momento di svagarsi un po’, di eliminare o per lo meno offuscare London dalla sua testa.
Il vento freddo dell’autunno inoltrato gli pizzicò il viso e per un momento Klaus rabbrividì, poi senza pensarci ulteriormente si inoltrò tra le buie viuzze sconnesse che portavano alla zona ovest, quella che tutti credevano abbandonata o ritenevano poco raccomandabile da visitare. Lui ovviamente non si faceva certi problemi, anzi, quella piccola porzione del noiosissimo Distretto Sei era il suo luogo preferito in assoluto. Poteva fumare, ubriacarsi, coinvolgersi in qualche rissa casuale e pace.
Gli stava bene così. Tutto era meglio che stare in compagnia dei Bridge.
Quella sera non c’erano stelle e la luna si era ritirata dietro fumose nuvole scure. Klaus mise piede nella zona ovest che era già passata la mezzanotte. Un orario perfetto, secondo i suoi canoni.


 

*

 

I Wreisht e i Bridge, una volta uscito Klaus, stavano discutendo del suo comportamento animatamente, visto che Alfons, il padre di London, sembrava alquanto contrariato.
La ragazza invece, completamente estranea a quei discorsi, stava battendo ritmicamente un piede sul pavimento, cercando invano di far passare il tempo. 
« Scusate » disse dopo una buona mezz'ora, provando a richiamare l’attenzione dei quattro, inutilmente. « Scusate » ripeté, così da ottenere l’effetto desiderato. « Io avrei un appuntamento. E’ stata una cena magnifica... » spiegò velocemente, indossando il suo cappotto nero, « ma continuate pure senza di me. Arrivederci. »
Detto questo, si alzò anche lei e abbandonò il locale prima che qualcun altro potesse disapprovare. Pensò che i Wreisht non avrebbero potuto gradire la parola ‘appuntamento’, considerando che di certo non ne aveva programmato uno con il loro beneamato figliolo.
Avvoltasi la sciarpa intorno al volto, iniziò a camminare a passo svelto.
Chi se ne frega, pensò, cercando di non badare al freddo pungente. Finalmente torno da Ben.
Era in suo programma rientrare a casa – dopotutto il pensiero di suo fratello da solo la inteneriva e la preoccupava al contempo – ma un movimento poco più avanti la distrasse dal suo intento. Si trovava vicina alla zona ovest, da dove si udivano schiamazzi e urla colorite. Non era decisamente un posto adatto ad una ragazza del suo rango, ma vi si addentrò comunque, incuriosita da quella confusione.
Un modesto edificio in muratura grigia era probabilmente il centro del caos e London, senza pensarci due volte, aprì la porta scricchiolante, per ritrovarsi di fronte uno spettacolo deplorevole.
C’erano uomini d’ogni genere, intenti o a prendersi a parole, o a menarsi, o a giocare a strip poker con donne di dubbia provenienza o a ubriacarsi allegramente. Disordine totale, accozzarsi di boccali traboccanti di birra e un odore acre regnavano sovrani su quella scena.
Ma, a pochi metri di distanza da lei, notò qualcosa – qualcuno – di fin troppo familiare. Klaus era lì, attorniato da un gruppo di ragazzi suoi coetanei.
London sbuffò, decisa a tornare indietro. Si diede della stupida per aver seguito l’istinto ed essersi buttata a capofitto in quel covo di maiali. Prima che potesse realmente fare marcia indietro, però, sentì la voce del ragazzo chiamarla a gran voce. 
« Londie, qual buon vento? »
Probabilmente era già brillo o ubriaco, tanto che reggeva a stento l’ennesimo bicchiere di liquore che gli avevano portato.
Da quanto si è allontanato... un'ora?, si chiese. Che razza di deficiente.
London sapeva che il suo odiato promesso fosse un cultore dell’alcool, ma non aveva mai dato peso alla cosa. Dopotutto erano problemi suoi se si fosse ammalato o se fosse morto. Anzi, sarebbe stato anche meglio così.

« Sei venuta per scoparti qualcuno di questi gentiluomini? » chiese Klaus retoricamente, ridendo con i suoi scapestrati e degni compari. « O per riportarmi indietro? »
London scosse la testa, esasperata. Ormai non dava neanche più peso ai suoi insulti. « Per tua informazione, Wreisht, sono capitata qui per caso. »
« Oh, capisco » replicò l’altro, annuendo. « Allora perché non ti bevi un sorso con noi? » Allargò le braccia per indicare i suoi compagni e le porse il bicchiere che non aveva ancora vuotato.
London fece finta di prenderlo, ma quando le loro mani si sfiorarono appena, mollò la presa e lo fece cadere a terra in frantumi. 
« Ops » disse, fintamente dispiaciuta. Continuò a fissare Klaus con sguardo di sfida.
L’altro, contro ogni aspettativa, sorrise e chiamò un ragazzo che serviva nel locale con uno schiocco delle dita. 
« Un doppio rum! »
Lei con uno sbuffo fece per voltare i tacchi, ma Klaus la trattenne per un braccio. « Già vai via? Ti ho appena offerto da bene e così mi ripaghi? »
« Levami quelle luride mani di dosso » sibilò in risposta.
« Scusami » disse il ragazzo, ma senza ritirare la mano dal suo polso o tanto meno allentare la presa. « Non volevo macchiare la tua pelle immacolata. »
London, senza indugio, lo schiaffeggiò con la mano libera e si liberò della sua stretta. « Stronzo » aggiunse, mentre il ragazzo si tastava la guancia colpita. « Non hai niente di meglio da fare che perdere tempo a cercare di rovinarmi la vita? »
« In realtà no » ridacchiò il ragazzo. « Volevo solo essere gentile, my lady»
L’altra alzò gli occhi al cielo. « Io me ne vado. Buona serata, ok? »
« Che fai ora, te ne torni dall’Orologio? »
La ragazza si bloccò all’istante. Non lo sopportava quando chiamava suo fratello in quel modo*« Non sono cazzi tuoi, Wreisht – giusto per usare il tuo linguaggio. »
« Chiedo perdono, ma sfortunatamente lo sono » fece invece Klaus, retorico.
« Oh, non per mio volere di sicuro. » Era in quei momenti che London avrebbe desiderato essere la promessa di chiunque, meno che la sua.
« Parlami un po’ di lui... è bravo a letto o è un incapace come tutti dicono? » chiese il ragazzo, fintamente interessato.
A London iniziarono a prudere le mani. Klaus non  poteva permettersi di toccare certi tasti. 
« Klaus, faresti meglio a tacere. » Assottigliò gli occhi sino a farli diventare due lame minacciose.
« Ma come? Vuoi nasconderci dettagli così… piccanti»
Fu con quel commento che Klaus si ritrovò colpito da un secondo schiaffo. « Credevo che il primo ti sarebbe bastato » ringhiò la giovane.
L'altro si alzò dallo sgabello su cui era seduto. « Beh, probabilmente ti sbagliavi. » 
London si aspettava che reagisse in qualche modo e si preparò a un possibile contrattacco, ma quello che Klaus fece la lasciò senza parole e senza forza di pensare. Prima che potesse sottrarsi, prima che potesse fare qualsiasi cosa, le prese il viso con le mani e la baciò.
No!, protestò lei nella sua testa, totalmente scioccata, con gli occhi spalancati.
Klaus non poteva farle quello. Per un attimo rimase immobile, concentrandosi sul modo in cui l’avrebbe potuto respingere in modo violento. Sembrava che gli schiaffi fossero troppo blandi… magari una ginocchiata… un calcio…
Le sue labbra sapevano di alcool. Erano morbide, umide e indugiavano sulle proprie con una certa insistenza. E’ solo ubriaco, si disse, ma una vocina nella sua mente le ordinò di rispondere.
Incapace di opporre resistenza, rispose al bacio.
Forse per vedere cosa si provava. O forse perché dopotutto non era poi una sensazione così spiacevole.
Un secondo più tardi, tuttavia, entrambi si staccarono di scatto. Klaus aveva un’espressione brilla ma soddisfatta. 
« Sei così sobria » le disse.
« Mi fai così schifo… » ribatté lei, cercando di autocontrollarsi per non ucciderlo sul posto. Che diamine è successo?
« Non mi sembrava, fino a qualche istante fa » fece lui, arricciando le labbra.
La ragazza tentennò un secondo, del tutto disorientata. « Impressione. »
« Naturalmente. »
London si spazientì. « Stammi bene, Klaus. » Uscì dal locale, in fretta, con un sentore di rum sulla bocca e la rabbia a fior di pelle.
Si sfiorò le labbra con le dita, domandandosi come avesse anche solo potuto essere trascinata in una situazione del genere. Per tutto il tragitto che la condusse a casa, London pensò di aver commesso un passo falso, quella sera.


 

*

 

L’atrio del vecchio maniero era vuoto e buio. I suoi non erano ancora tornati.
London posò il suo cappotto nero su un appendiabiti e salì le scale con passo svelto, in cerca del fratello. Aveva bisogno di lui, in quel momento.

« Ben, sono tornata! » Non le rispose nessuno, così andò a controllare direttamente nella sua camera, al primo piano.
Le pareti di quella stanza erano di un gradevole azzurro chiaro, dipinte da Benjamin stesso quand’era ancora un ragazzino. Ben amava dipingere e possedeva anche un certo talento naturale. Talento che invece lei non aveva mai avuto. Non si premurò di bussare alla porta, con lui era abituata a condividere ogni cosa, del resto.

« Ben? »
Il ragazzo dai capelli bianchi dormiva supino sul letto, con un libro aperto appoggiato sulla pancia e degli occhiali da lettura scivolatigli sulla punta del naso. London sorrise a quella scena, addolcita, e per un istante dimenticò tutto quello che aveva passato in quella serata infernale. Si sedette accanto a lui, attenta a non farlo svegliare.
Prima gli tolse gli occhiali, che appoggiò sul comodino di mogano accanto al letto, poi prese ad accarezzargli dolcemente il profilo, i capelli e il collo.
Ben si destò, ma senza sussultare. 
« Ehi » disse con la voce un po’ impastata dal sonno. « Che ore sono? »
« L’una e mezza o le due, probabilmente » rispose la ragazza, continuando a far scorrere le dita sul viso del fratello. Era perfetto.
« Com’è andata? » chiese lui debolmente, prevedendo già una risposta.
« Secondo te? »
Ben non replicò, rilassato dal tocco della sorella.
« Al solito » disse London e al gemello bastarono quelle parole per intendere ogni cosa. Erano fatti così loro due, si capivano al volo, soprattutto quando si trattava del nervosismo della gemella nei confronti del suo promesso sposo.
« Avete deciso una data? »
« Non lo so... io e Klaus ce ne siamo andati prima del previsto. »
« Mamma e papà si sono arrabbiati? » domandò Ben.
« Forse » rispose lei. « Non lo so. »
Il ragazzo osservò l’amata sorella negli occhi. Vedeva bene che c’era qualcosa che l’aveva turbata. Aspettò che fosse lei a parlare per prima, ma, visto che non aggiunse niente, le chiese: « E poi, cos’è successo? »
London rispose sputando le parole come se non stesse aspettando altro. « Klaus mi ha baciata. »
Ben sussultò quasi in modo impercepibile. « ... come? »
« Era ubriaco, non lo so cosa gli passasse per la testa » fece a mo’ di spiegazione, tentando di giustificarsi. Vide che il gemello aveva leggermente increspato la fronte. Era un accenno di... panico?
« ... quel... quel ragazzo è imprevedibile » mormorò.
« No, quel ragazzo è uno stronzo » biascicò London, ricordando bene come l’aveva provocata prima di prenderle il viso e baciarla. Avrebbe voluto continuare a raccontargli com'erano andati i fatti, ma non riusciva a trovare le parole adatte. Come poteva spiegargli che per lei Klaus non era altro che un odioso fardello da portare sulla schiena, che non l'avrebbe mai amato né semplicemente sopportato?
« E tu... tu cos’hai fatto? »
La ragazza esitò per un istante. Non sapeva se dirgli la verità o meno, anche se voleva farlo con tutto il cuore. Decise che avrebbe capito, d'altronde non sarebbe riuscita a mentirgli in nessun caso. « Ho… risposto » disse flebilmente, quasi scioccata dalla sua stessa affermazione, e ritirò le mani candide dal viso del fratello, sentendosi in colpa.
Ben tacque, pur essendo ancora pallido, e poi si mise seduto accanto a lei. 
« Perché? » Non era una domanda accusatoria, stava solo cercando di comprendere meglio i sentimenti della sorella.
« Oh, non chiedermelo. Era ubriaco, te l’ho detto, e io... »
Il ragazzo non aggiunse altro, lasciandole un leggero bacio sulla spalla.
« Lo sai che ti amo, Ben. »
« Lo so. »
« Scusa. »
London posò le labbra su quelle del gemello, poi si stese sul letto sopra di lui, ma con delicatezza. Piccoli baci e tenerezza gratuita per compensare un senso di colpa immenso e indefinibile. Continuò ad accarezzarlo, anche mentre si aiutavano a vicenda a spogliarsi, come se volesse farsi perdonare per un grave crimine commesso, come se volesse fargli dimenticare il pensiero di Klaus che la baciava usando quelle carezze, quelle mani morbide e affusolate degne di un angelo. Mani che erano un'arma e uno scudo contemporaneamente.
Quella notte fecero l’amore, come molte altre notti, a dispetto di tutti quelli che li consideravano soltanto i nobili gemelli incestuosi del distretto. London e Ben erano molto di più: una sola persona, una sola identità.
E si amavano, sì. Nessuno sarebbe mai stato in grado di comprenderlo, interpretarlo o accettarlo. Eppure nessuno avrebbe potuto cambiare i loro sentimenti, nemmeno un qualche Wreisht di passaggio.



 
















*London e Benjamin hanno nomi che ricordano la capitale inglese. I genitori glieli hanno messi di proposito, visto che sono originari della Gran Bretagna (affondata, secondo la fantasia mia e di Marty, dopo un'altra o addirittura altre due guerre mondiali) - con, a loro volta, origini polacche e ungheresi; mentre i Wreisht sono originari della Germania. Insomma, non vi stupite: non credo che a Panem abitino solo ed esclusivamente americani.
Il sunto di tutto ciò, comunque, è che Klaus chiama Ben "Orologio" per via  del Big Ben. 






 

   
 
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