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Autore: ArizonaRobbins    30/04/2013    9 recensioni
ATTENZIONE SPOILER NONA STAGIONE
Tutto sembrava andare per il meglio per Callie Torres: i problemi con l'ospedale si erano sistemati ed anche con Arizona tutto procedeva perfettamente...ma i problemi arrivano proprio quando meno te l'aspetti, e sotto forme che nemmeno sospettavi.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres, Erica Hahn
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nona stagione
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Non aveva chiuso occhio per tutta la notte. A causa dei miei pazienti, avrebbe risposto a chi gliel’avesse chiesto, ma non sarebbe stata la completa verità. Certo, un paio di volte era andata a controllare i loro valori, ma sostanzialmente per distrarsi da altri pensieri, visto che sarebbero bastati gli specializzandi per monitorare la situazione. La verità era che Callie Torres aveva passato la notte in tutta una serie di conversazioni immaginarie tra lei ed Erica Hahn. Aveva ipotizzato dialoghi, situazioni, gesti, e addirittura le relative conseguenze di quei dialoghi, di quelle situazioni e di quei gesti. Aveva anche immaginato che Jackson si sarebbe rotto un paio di ossa, o con un po’ di fortuna, tutte le ossa, e che lei avrebbe dovuto sistemargliele. Senza anestesia. Si, perché in fondo era tutta colpa sua se aveva perso la tranquillità e il sonno. Sua e di sua madre. Maledetti Avery!                           
Aveva vissuto beata fino alla mattina precedente, raccogliendo finalmente i frutti di un raccolto troppo spesso distrutto da ex-mariti morti, sparatorie, borse di studio Carter Madison, incidenti d’auto e disastri aerei; finalmente si stava godendo un po’ la vita e la sua famiglia, ma Jackson Avery e la sua genitrice avevano deciso di distruggere il suo bellissimo castello e darle un pugno in pieno stomaco. Brava Torres, brava!Ti sei rilassata?E adesso la paghi! Così li aveva immaginati: brutti, deformi, a ridere maleficamente della sua ingenuità nel credere di poter avere una vita normale, una volta tanto. Assumere Erica aveva avuto la stessa valenza del prenderla di peso e gettarla in un’arena, senza armatura né gladio, pronta per essere sbranata dai leoni; anche se in realtà il leone era uno solo e probabilmente, più che sbranarla, l’avrebbe ignorata. 
Ottimo, no? Si chiese guardandosi allo specchio nella toilette dell’ospedale, mentre cercava di darsi una sistemata. 
Se ti ignora, è perfetto. No?  No, forse no.
 L’aveva già fatto, Erica.  Dopo essere stata lasciata fuori dall’ospedale aveva provato a chiamarla una, due, dieci volte, senza alcun risultato; anche nei giorni seguenti, quando tutti si chiedevano che fine avesse fatto il cardiochirurgo, aveva cercato di contattarla, chiamandola e lasciandole messaggi in segreteria, ma mai una volta Erica Hahn s’era presa il disturbo di risponderle finchè, un giorno, il suo numero di cellulare era risultato “inesistente”. Probabilmente l’aveva disattivato. Tutto, pur di non parlare con lei.
Arizona non era stata di certo da meno. Quando l’aveva lasciata per andarsene in Malawi s’era tenuta in stretto contatto con Teddy Altman, talvolta persino con Karev, ma mai aveva chiesto di lei a chicchessia, né s’era mai presa la briga di rispondere ai messaggi che nei primi giorni le aveva mandato. 
No, essere ignorati non è una bella cosa. Pensò mentre si rinfrescava il viso. L’indifferenza ti lascia in un costante stato di attesa, sempre in bilico tra la speranza che da un momento all’altro la tua persona si farà sentire, e la consapevolezza che non lo farà mai più. L’indifferenza ti incatena, impedendoti di andare avanti, ti inchioda in un limbo senza fine; ti lascia in sospeso, come un’opera interrotta al primo atto o una sinfonia incompiuta. 
Così s’era sentita per tanto tempo. Incompiuta. E adesso quell’orribile sensazione stava prepotentemente tornando alla ribalta: credeva di essere andata oltre, di essere riuscita a finire la partitura che  Erica aveva voluto abbandonare, e invece, a quanto pareva, non era così. C’era ancora un filo che le legava, sottilissimo, quasi invisibile, ma c’era, anche se non riusciva a capire di cosa fosse fatto. Uno squillo la tirò fuori dai suoi pensieri, riportandola alla realtà: era un messaggio di Arizona che le dava il buongiorno e l’avvertiva che sarebbe arrivata in ospedale a breve, insieme alla piccola Sofia; questo la fece sorridere immediatamente. Non vedeva la sua bambina da 24 ore ormai, e sarebbe rimasta a lavoro ancora per un bel pezzo, quindi l’idea di passare un po’ di tempo con lei la mise subito di buon’umore. Sofia era il suo piccolo miracolo, la grande gioia della sua vita e questo niente l’avrebbe mai potuto cambiare. Si guardò un ultima volta allo specchio per poi lasciare la toilette e dal momento che prima di fare qualsiasi cosa aveva bisogno di una massiccia dose di caffeina, si diresse verso la caffetteria.

 

 

Erica Hahn non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Perché è il mio primo giorno di lavoro al Grey Sloan Memorial Hospital, avrebbe risposto a chi le avesse chiesto il motivo di quelle occhiaie piuttosto pronunciate, ma non sarebbe stata esattamente la verità. Era uno strutturato da diversi anni ormai, cardiochirurgo di fama internazionale e candidata all’Harper Avery, non era certo il tipo di persona che si faceva intimorire da un nuovo posto di lavoro, soprattutto considerando che quello non era un posto del tutto nuovo per lei. La verità era che aveva passato la notte a pensare a Callie. No, in realtà anche questa non era esattamente la verità, perché lei non aveva mai spesso di pensare a Callie. Nemmeno per un giorno, nemmeno per un istante, neanche nel più breve attimo della sua vita, aveva smesso di pensare a lei. E si che ci aveva provato a dimenticarla; eccome se ci aveva provato! 
Dopo quella maledetta sera in cui aveva fatto la stupidaggine più grande della sua vita, passò mesi a stordirsi il più possibile: lavorava per giornate intere alla Cleveland Clinic, dove era stata subito assunta, e se solo aveva pochi attimi liberi si dedicava alla poco nobile arte del sesso promiscuo. Probabilmente, no sicuramente, aveva fatto più sesso in quel periodo che in tutta la sua vita fino a quel momento. Callie le aveva aperto un mondo, le aveva permesso di vedere finalmente le foglie e dopo aver dato un calcio all’incredibile fortuna che era stata conoscerla, si era messa di impegno per conoscere più foglie possibili; ma in ognuna di loro, era lei che cercava. Fosse anche solo il colore dei capelli, o degli occhi, o un gesto particolare che gliela ricordasse, in ogni donna cercava e le sembrava di vedere qualcosa di lei.                 
Col tempo mi passerà, si diceva. Ma l’unica cosa ad essere passata erano stati gli anni. Mentre guidava verso l’ospedale ripensò a tutte le volte che era stata sul punto di chiamarla fermandosi puntualmente, talvolta quando le mancava un solo numero da comporre per far partire la chiamata. Cosa mai avrebbe potuto dirle? Callie scusami, sono un’idiota? Probabilmente neanche l’avrebbe ascoltata, forse non si ricordava nemmeno di lei, o forse era tornata a frequentare gli uomini e aveva seppellito nella memoria la loro relazione catalogandola come una parentesi gay molto post adolescenziale. Erica Hahn, il famoso cardiochirurgo che salvava centinaia di vite, la donna che poteva stringere il cuore in una mano, che ne sentiva i battiti sotto le dita, che lo curava, riparava, la donna del cuore, aveva spento il suo. Ne ignorava i battiti, i sospiri, aveva lasciato che avvizzisse senza far nulla per evitarlo.
La donna del cuore stava lentamente lasciando morire il suo.
Stava sprecando la sua vita nella speranza che accadesse qualcosa, una specie di miracolo che in qualche modo rimettesse Callie sulla sua strada, e questo miracolo si era palesato sotto le sembianze della premiata ditta Catherine Avery e figlio. Mentre parcheggiava l’auto ripensò alle loro telefonate, a come le fosse salito il cuore in gola sentendoli parlare del nuovo Seattle Grace, del consiglio di amministrazione formato da medici e della dottoressa Torres che faceva parte di quei medici. Disse subito di si, senza pensarci due volte; era stata sciocca, pavida, senza un briciolo di determinazione in quegli anni, ma non era ancora una completa idiota: non avrebbe mai e poi mai perso anche quell’occasione di riavvicinarsi a Callie. 
Scese dall’auto visibilmente emozionata, ma cercò di darsi un contegno, anche perché scorse d’avanti all’ingresso una sua vecchia conoscenza che l’attendeva. Aumentò un po’ il passo e in men che non si dica le si parò d’avanti.  
“Yang…Ti sei addirittura presa il disturbo di venire ad accogliermi?” chiese sarcastica. 
“Mi sembrava il minimo dottoressa Hahn, è stata una delle mie migliori insegnanti.” Le rispose Cristina con un sorrisetto beffardo; non si poteva certo dire che la Hahn fosse stato un buon mentore per lei, anzi, probabilmente se fosse dipeso dalla bionda dottoressa avrebbe dovuto cambiare specializzazione. 
“E adesso sono il nuovo Capo di Cardiochirugia..!” le sorrise altrettanto beffardamente Erica. “Bè, io sono il Capo di tutto. Le hanno detto che sono uno dei membri del consiglio, vero?” In quel momento Cristina Yang gongolava come forse mai prima, sembrava quasi brillare, tanta era la soddisfazione, ma la Hahn incassò il colpo . “Non vedevi l’ora di dirmelo, vero Yang?” Intanto fece alcuni passi, entrando finalmente nell’ospedale e lanciando un paio di occhiate in giro  “Bè, ad ogni modo, prima di fare qualsiasi cosa ho bisogno di un caffè…La caffetteria è sempre allo stesso posto?” chiese a Cristina che la seguiva. “Si certo, ma io ho un paziente da visitare, quindi dovrà arrangiarsi da sola… - le rispose senza troppi complimenti – L’aspetto tra quindici minuti nel dipartimento di cardiochirurgia, così l’aggiornerò sulla situazione, dottoressa Hahn.” Mise una particolare enfasi nel concludere la frase, era un modo sottile per chiarire sin da subito le cose. Non era più una specializzanda che doveva sempre e comunque fare quello che le veniva chiesto, adesso era uno strutturato, una sua pari, anzi, anche qualcosa in più. Ed Erica capì l’antifona. “Molto bene, dottoressa Yang.”  Le rispose guardandola dritto negli occhi, riconoscendola come sua pari. O quasi. 
Restò ferma per alcuni secondi, guardando Cristina andare via, poi prese un respiro profondo e si diresse verso la caffetteria. Continuava a guardarsi intorno, notando molte facce nuove ma anche tante vecchie conoscenze, vide alcuni dei cambiamenti realizzati nell’ospedale, ma non scorse da nessuna parte la persona che più le premeva vedere, finchè non arrivò a destinazione. 
La notò subito, appoggiata al bancone della caffetteria: con una mano teneva l’onnipresente cellulare, concentrata a digitare centinaia di caratteri in pochi secondi, e con l’altra teneva il caffè –lungo, senza zucchero con panna, così lo prende sempre ma vista l’ora avrà optato per un cappuccino – si disse mentre la guardava e si scioglieva lentamente. Rimase imbambolata al centro della caffetteria per un bel pezzo, finchè decise di farsi coraggio e passo dopo passo, le si avvicinò. La Torres non sembrava essersi accorta della sua presenza, così, per attirare la sua attenzione, il cardiochirurgo simulò un leggero colpo di tosse, la bruna alzò lo sguardo e in quel momento, Erica capì di essere veramente perduta. Gli occhi scuri, profondi e sbigottiti di Callie si puntarono dritto nel ghiaccio dei suoi e le sembrò, come mai era successo prima, che il cuore le fosse scoppiato via dal petto. 
“Erica…sei…sei…qui…”  Era un’affermazione la sua, più che una domanda. Aveva pensato e ripensato al momento dell’incontro per le passate ventiquattr’ore, ma non credeva sarebbe giunto così presto.
Non era ancora pronta per quello.
Non era pronta.
Ancora. 
“Sono qui Callie…” le rispose Erica, sorridendole.  
“Adesso…sono qui.”

 

 

 

 

 


Ecco il nuovo capitolo, col fatidico incontro, anche se per ora c’è stato solo un breve assaggio…spero vi piaccia. Ancora mille grazie a chi recensisce, legge in silenzio e segue la mia storia. Alla prossima! ;)                                                                                          

  
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