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Autore: MarcoReader    01/05/2013    1 recensioni
Andrew, ragazzo di città , ha con se i suoi dubbi , le sue più grandi paure, ma il suo essere così chiuso in se stesso , non gli permette di superarle . Si renderà conto che dietro un muro , si può trovare il paradiso.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cambiamento che proviamo a fare ogni giorno ha delle conseguenze, ma, solo su quella parte di noi che limita il nostro carattere.


- Papà, mamma vuole che andiamo a dormire...

Mio figlio entrò nel mio piccolo studio tenendo tra le mani il suo pupazzo. Lo guardai mentre si affacciava alla porta; era cresciuto in fretta. Il tempo passa troppo in fretta.
Mi stavo crogiolando nei miei ricordi da ragazzo, stavo ripensando ai miei amici e in particolare a lui, Andrew.
Come ho potuto essere stato così stupido? Perchè ho lasciato che ci perdessimo di vista?

- Un attimo solo, andate a letto...sarò da voi tra qualche minuto.
- Ci leggerai una storia?
- Certamente.

Sorrisi al bambino mentre con fare soddisfatto chiudeva la porta della stanza.
Tornai presto nei miei ricordi e andai a sbirciare ancora una volta in quel cassetto. Il cassetto che conteneva una lettera che non ho mai inviato; il suo mancato invio, probabilmente, sancì la perdita del mio amico Andrew.

"Io, caro Andrew, ti vedo. 
Andrew, sei un ragazzo così chiuso e te ne stai in un palazzo grandissimo.
L’unica cosa che ti senti in vena di fare è quella di affacciarti dal tuo balcone. E cosa fai ancora di più? Nulla!  
Resti lì, immobile a fissare le auto e le persone che passeggiano. Mi sono sempre chiesto se, dall’alto, riesci a capire meglio come funziona il mondo o se sei semplicemente triste perchè non riesci a comunicare con esso.

Esci di casa solo per andare a scuola, ti vedo sempre salutare la padrona della panetteria. Credo che tu sia affezionato a quella famiglia poiché so che ne fa parte un tuo caro amico. Lo hai conosciuto a catechismo. Ti osservo anche quando prendi l’autobus: sei cosi preso dai pensieri, forse, non hai poi cosi voglia di continuare a vivere perché ti senti come se tutto sia sbagliato. Io Io so che tu non sei cambiato ora e che stai ancora cercando  di chiudere questo vuoto. Spero che leggerai questa lettera… sai bene che non ti devi offendere. Sei pur sempre il mio migliore amico.
Tuo, Luca."

Avevo scritto questa lettera per Andrew, volevo aiutarlo a superare quella sensazione di oppressione che pareva circondarlo. Tuttavia ero titubante e col passare del tempo non la spedii mai. 
Il motivo? Andrew era riuscito a colmare il suo vuoto, ce l'aveva fatta da solo. Avrei voluto condividere con lui questa esperienza ma non rimasi nient'altro che un semplice spettatore.
Continuavo ad osservarlo, lui non se ne accorgeva, lo guardavo e sorridevo. Aveva trovato la felicità.

Ripiegai la lettera e la inserii nel cassetto. Sospirai e uscii dal mio studio; ora dovevo fare il padre.
Le luci soffuse provenienti dalla camera dei bambini mi illuminavano il corridoio buio e, seguendo quelle, arrivai davanti alla loro stanza; esitai ad aprire la porta: avevo il volto visibilmente dispiaciuto. Finsi un sorriso e mi decisi ad entrare.
I bambini smisero di saltare sul letto, i loro giochi si interruppero e le voci iniziarono un coretto.
"Papà, ci racconti una favola?"
Spostai la sedia davanti alla loro scrivania e sedendomi affianco al letto del mio primogenito iniziai a raccontare.


 

"Era una dolce notte, le nuvole iniziavano a riempire il cielo, quasi nere come se presto o tardi dovesse arrivare un temporale.
 Andrew, era pronto per andare a letto e ormai erano le dieci e mezza.
Così andò in bagno a prepararsi per una bella coricata mentre il vento fuori dalla finestra iniziava a farsi sentire.
 
Andrew non era spaventato dal vento o dal temporale, in verità lui amava che ce ne fosse uno in arrivo perché solo il rumore forte provocato da un temporale  poteva farlo sentire meglio.
Continuava a sciacquarsi i denti e a guardarsi allo specchio; occhi neri e cupi, capelli un po’ disordinati, poco curati perché lui aveva poca autostima.
Se provava a cambiare un piccolo particolare non era in grado di sentirsi  a suo agio, anzi, provava vergogna perché quando un giovane tentava il cambiamento, si presupponeva sempre di non poter tornare più indietro.
 Il cambiamento avrebbe potuto fargli perdere alcune delle cose più belle che lui aveva.
 
Questa per Andrew era la parte più difficile.
Lui che di dubbi ne aveva tanti non riusciva nemmeno a finire una cosa o ad avere successo con una ragazza.
Tutto poteva  avere, tranne che la felicità di essere come lui sperava: un ragazzo gentile, premuroso, voglioso di inventare qualsiasi cosa, aiutare chiunque avesse avuto necessità di una mano, essere pieno d’idee ed essere invulnerabile a qualsiasi difetto.
Credeva che la perfezione non potesse avere un'esistenza radicata, ma costantemente si contraddiceva perché  apprezzava il fatto di poter desiderare il meglio.

Fu un giorno di primavera, a dare l'effettivo inizio al racconto.
Il piccolo parco che si trovava sotto casa di Andrew aveva un aspetto a dir poco malinconico, una sola altalena, alberi poco coloriti, percorsi tutti infangati e qualsiasi indecenza.
C’era poco da dire perché era stato il temporale a dargli questo brutto aspetto ma per lui questo poteva essere solo il paradiso.  
 
Lui che non amava molto stare al di fuori della sua casa, poteva sentirsi contento ad aver trovato un posto cosi pacifico. Importava poco se era sporco o se aveva uno sgradevole aspetto.
Il parco era molto frequentato, ma non quel giorno.
  Si sapeva che la gente che girava attorno al parco non era sempre affidabile, ma lui in quel momento non ne era interessato. Nessuna preoccupazione poteva infastidirlo perchè era come se avesse avuto tutti gli angeli custodi ammassati alle sue spalle.  
 
Una semplice passeggiata al parco non avrebbe del tutto rovinato la sua tipica giornata.
Si trovava al cancello d’entrata, era lì, fermo ad osservare le sbarre di color nero. 
Lo vedeva spesso ogni santo giorno ma non aveva mai  fatto caso  al piccolo cartello che si trovava accanto, riportava una scritta : “La vecchia stella”,
così, infatti, veniva chiamato il parco anche se il nome vero era del tutto illeggibile.
 
Andrew era dentro il parco. Osservando attorno a sè vide una panchina e andò diritto verso di essa.
Non sapeva che quel posto, sarebbe stato d’ora in poi, il suo paradiso dei desideri.
 
Si sedette su quella panchina e si guardò attorno come se fosse pronto a ogni cosa e ad un certo punto il suo sguardo era rivolto verso l’altalena di colore azzurro che si trovava di fronte a lui, sembrava un po’ insolito il fatto che fosse stata colorata di azzurro, ma aveva anche una particolarità: una stella disegnata sul palo destro.
 
Poteva essere stata anche una bravata di qualcuno, o poteva essere stato un semplice simbolo significativo per qualcuno ma Andrew non era di certo interessato alla storia di quel simbolo. Si sedette e si rilassò con lo sguardo verso il cielo e continuò a guardarlo per un paio di minuti, coinvolto dalle nuvole in alto che si spostavano a causa del vento, mentre lui le guardava, tutto quello che lo circondava al momento era scomparso in un attimo.
 
Improvvisamente entrò un’altra persona all’interno del parco. Una sagoma si avvicinava lentamente verso di lui.
il giovane riprese contatto con la realtà e abbassò lo sguardo.
 
 Era una bambina con la sua bicicletta rosa e pedalava verso l’altalena.
Andrew iniziò a pensare di andarsene perchè era imbarazzato da quella presenza, voleva andarsene via, ma cambiò idea subito perché tanto la bambina era venuta lì solo per dondolarsi sull'altalena.
 
 La bambina iniziò a giocare tranquillamente mentre Andrew era ancora lì seduto ad osservare il cielo, non poteva negare l'ammirazione nei confronti della bambina perchè lei stava vivendo un momento di felicità in un posto cosi brutto.
 
La bambina gli fece una proposta: << Ehi, ti va una sfida a chi sale più in alto? >>.
Lui era abituato a rispondere sempre con un tono un po’ prevenuto << No, non mi va>>  ed effettivamente non voleva proprio perché non era a suo agio. Che figura ci avrebbe fatto a giocare con una bambina?
La bambina si disinteressò di lui ma, ad un certo punto, si accorse che Andrew aveva un viso triste e lo sguardo perso nel vuoto.
Presa dalla curiosità glielo chiese: << Perché sei triste?>> .
Lui non voleva né parlare né fissarla negli occhi per rispondere alle sue domande e cosi la ignorò.
La bambina, in quel momento, smise di giocare e andò diretta verso il ragazzo perché i bambini tendono sempre a ripetere le domande e dunque con voce alta disse:
<< perché SEI TRISTE?>>.
Andrew, pur di levarsela di torno, le disse: << Io non sono triste, è la mia anima ad esserlo >>.
 
La bambina non poteva capire, con lo sguardo intontito ritornò indietro rapidamente.
 
Andrew, ora era  in crisi, non sapeva se avesse fatto bene a dire questo alla bambina, sicuramente ci voleva qualcosa di carino o di rassicurante, perciò si alzò dalla panchina e:
<< Accetto la tua sfida! >>.
 
Convinto dalla sua coscienza, corse subito sull’altalena e iniziò a spingersi verso l’alto e disse con gioia:
<< Una volta si va in alto, e una volta si va in basso >>
Era divertito perché lo faceva con semplicità mentre la bambina era lì che lo guardava sempre più perplessa.
Pareva, infatti, che stesse scoppiando a ridere per quanto Andrew fosse stato buffo in quel momento.
 
Si era fatto tardi e i due dovettero salutarsi e ritornare nelle rispettive case.
Andrew aveva il sorriso stampato, perché si era divertito, ma passarono pochi minuti e fu tutto come prima.
 
Prima di andare i due si presentarono scambiandosi i nomi; Andrew aggiunse alla lista dei suoi nuovi amici il nome Carla.
Prima che Andrew potesse rivedere Carla passò una settimana e tanto altro stava per accadere."

Interruppi l'atmosfera e il racconto.
I bambini mi guardarono perplessi e desiderosi di sapere il continuo, ma così decisi: la storia di Andrew l'avrei raccontata serata per serata e questa fu la prima parte.


 


 

   
 
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