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Autore: Pandora86    05/05/2013    8 recensioni
Hanamichi e Kaede partono per i fatidici campionati nazionali sicuri dell'amore che provano l'uno verso l'altro. Ma che prove dovrà affrontare la loro neonata storia con l'avvento di nuovi scontri sportivi?
Continuazione de "Il tuo vero volto".
Genere: Introspettivo, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco a voi l’ultimo capitolo della storia.
Grazie a tutti quelli che hanno seguito la mia fic.
Ci vediamo a fine capitolo per le note!
Per adesso, buona lettura!
 

Capitolo 11. Epilogo
 

Rukawa entrò, aprendo piano la porta.

Aveva percorso la distanza che lo separava da Hanamichi facendo il corridoio di corsa.

E ora, finalmente, era dal suo do’hao.

Sakuragi era sveglio e aveva accolto il suo ingresso con un bellissimo sorriso.

Seguì i movimenti di Rukawa che andò a sedersi sul letto, di fianco a lui.

Rukawa non trovava le parole.

Aveva atteso tanto che quegli occhi si aprissero, e ora non sapeva cosa dire.

Del resto, non era mai stato bravo a esprimersi.

Preferiva guardarlo in silenzio, certo che Hanamichi gli avrebbe letto dentro.

Erano tante le cose da dire eppure, in quel momento, si stava bene così.

Era stato facile stargli accanto mentre dormiva.

Ma ora, c’era il presente da affrontare e Rukawa non sapeva da dove cominciare.

La partita, l’infortunio, i campionati nazionali…

Sicuramente Mito aveva aggiornato Hanamichi su quello che gli era successo e Rukawa, a quel
punto, non sapeva veramente cosa dire.

L’ultimo ricordo che Hanamichi aveva di lui era quello riguardante a quando Rukawa lo incitava a tornare in campo.

Di quando anteponeva la partita alla sua salute.

Si sentiva colpevole come non mai in quel momento.

Perché era Hanamichi a dover rinunciare ai campionati nazionali.

Era sempre Hanamichi a dover affrontare una lunga riabilitazione, probabilmente anche abbastanza dolorosa.

Lui, invece, in tutto questo, che ruolo aveva?

Non lo sapeva!

Non sapeva quale sarebbe stata la reazione di Hanamichi riguardo loro due.

Sapeva solo che voleva stargli accanto.

Sperava solo che Hanamichi gli permettesse, di sua spontanea volontà, di rimanergli accanto.

Rukawa era conscio del fatto che avrebbe, in parte, temuto il risveglio di Hanamichi.

Però, non era nella sua indole tirarsi indietro, di qualunque cosa si trattasse.

Motivo per cui rimase in silenzio, aspettando che fosse l’altro a parlare.

Che lo insultasse, che lo prendesse a testate (Rukawa era sicuro che la forza per quello l’avrebbe
trovata se necessario!), insomma, che dicesse qualcosa, qualunque cosa.

Rukawa si aspettava di tutto da quello sguardo.

Uno sguardo che, seppur ancora intontito, ora gli appariva perfettamente lucido.

Sakuragi però non parlava, osservandolo in silenzio.

Eppure, il sorriso che gli aveva fatto quando era entrato gli era sembrato sereno, per cui prese coraggio e decise di stringergli la mano con la propria.

Sakuragi non si tirò indietro a quel contatto ma anzi, il suo volto, s’illuminò ancora di più.

Rukawa lo sapeva bene che, in quel momento, Sakuragi gli stava leggendo dentro e, infatti, non sbagliava.

Hanamichi aveva preferito osservare il numero undici per qualche istante, senza rovinare tutto con le parole.

Aveva preferito osservare i lineamenti perfetti dell’altro, gioendo del fatto che fosse ancora lì; che non si fosse dimenticato di lui.

Sembrò capire le difficoltà di Rukawa, oramai aveva imparato a conoscerlo, seppur di poco.

Sapeva che il numero undici si sentiva in colpa.

Come tutta la squadra, del resto.

Quando i suoi compagni erano passati a trovarlo, benché cercassero di parlare del più e del meno, lui si era accorto che erano dispiaciuti e anche un po’ mortificati del fatto che non si fossero accorti subito del suo infortunio.

Ayako e il capitano, in particolare.

Ma Hanamichi non attribuiva loro nessuna colpa. Era stato lui a voler tornare in campo nonostante il dolore non accennasse a diminuire.

L’aveva fatto per tutti loro, ma soprattutto per lui, Kaede Rukawa, e anche per se stesso.

Per realizzare, per la prima volta, qualcosa di buono nella sua vita.

E, anche se si era fatto male, sapeva di esserci riuscito.

Perché avevano vinto. Solo questo contava.

Yohei, quella mattina, era stato il primo volto che aveva visto quando aveva aperto gli occhi.

Gli aveva spiegato cosa fosse successo in realtà alla colonna vertebrale.

Gli aveva spiegato che il tornare in campo e giocare sul dolore avevano peggiorato la situazione.

Gli aveva però assicurato che le sue gambe non correvano rischi e Hanamichi si era tranquillizzato.

Ricordava esattamente i momenti che aveva vissuto prima che il dolore diventasse lancinante.

Aveva fatto un ultimo sforzo per chinarsi e fare la fotografia con la squadra.

Non sapeva chi gli avesse dato la forza per fare un simile gesto.

Sapeva solamente che voleva fare quella foto.

Voleva un ricordo, insieme a tutta la squadra, di quella che si era rivelata una partita memorabile.

Un ricordo di un momento unico, che non si sarebbe ripetuto mai più; non con quei componenti, perlomeno.

Poi, era rientrato negli spogliatoi.

O meglio, ci aveva provato.

Perché il dolore era aumentato, sempre più, e lui, a metà strada, non aveva sentito più le gambe.

E poi, il resto era andato come era andato.

Ricordava quei momenti.

Il volto di Rukawa che lo fissava immobile, spaesato.

Le braccia di Yohei che lo stringevano e la sua voce che urlava l’intervento di un medico.

Poi, si era fatto tutto buio.

Yohei gli aveva detto che aveva dormito molto sotto l’effetto dei farmaci e lui, di quel sonno, ricordava poco o niente.

Sapeva di aver sognato la partita.

Come ricordava anche di una mano che lo aveva accompagnato e lui, anche se ancora intontito, ora sapeva perfettamente a chi apparteneva quella mano che non lo aveva lasciato solo neanche un istante.

Poteva appartenere solo a lui: Kaede Rukawa.

Quando la squadra era venuta, lui aveva notato subito la non presenza di Rukawa.

Da un lato, la cosa non gli dispiaceva.

Non voleva, infatti, farsi vedere in quello stato.

Non voleva apparire debole né patetico.

Lui voleva che Rukawa lo ricordasse come un campione. Voleva che pensasse a lui associandolo ai rimbalzi o alle schiacciate che aveva effettuato e, perché no, ricordandolo nella loro ultima azione, quella che aveva generato il cinque che si erano scambiati davanti a tutta la squadra.

Poi però, una volta che la squadra era andata via, aveva cominciato a sperare nel suo arrivo.

Sapeva che Rukawa non era venuto per non metterlo in difficoltà.

Aveva quindi atteso che la porta dell’infermeria improvvisata della pensione si aprisse nuovamente per vedere il suo volto fare capolino nella stanza.

E, finalmente, Rukawa era arrivato.

Lui non aveva potuto fare a meno di sorridere; non era riuscito a trattenersi né avrebbe voluto farlo.

Anche se ci fosse stata tutta la squadra presente, lui sapeva che non si sarebbe trattenuto.

Non poteva fare più a meno di Rukawa e, allo stesso modo, anche Rukawa non poteva più fare a meno di lui.

Guardò la mano che il numero undici stringeva e sentì di amarlo un po’ in più.

Gli appariva chiaro come il sole che Rukawa si sentiva in colpa, ma lui non voleva vedergli quell’espressione in viso.

Perché non era colpa sua, non lo era mai stata.

Non voleva rinunciare a lui né alla sua futura carriera.

Era giovane e aveva ancora la forza per lottare.

Anzi, ne aveva di più rispetto al passato perché sapeva che Rukawa non lo avrebbe lasciato solo.

Era questa la certezza che leggeva nel viso dell’altro che, nel frattempo, continuava a fissarlo in silenzio.

Fu per questo che decise di parlare.

“Abbiamo vinto, kitsune!” esclamò con un sorriso, andando a incrociare le dita con quelle di Rukawa.

A quella frase, a quel nomignolo tanto familiare, il volto di Rukawa si distese.

Gli sembrò, per un attimo, di tornare a respirare, quasi come se avesse atteso le parole dell’altro trattenendo il respiro.

“Si! Grazie a te!” esclamò Rukawa sicuro.

A lui dovevano la vittoria ed era giusto ammetterlo.

Così come in passato non aveva mai mancato di fargli notare quanto fosse un principiante o poco esperto ora, con la stessa oggettività, non aveva problemi ad ammettere che era stato grazie a lui che avevano vinto.

Hanamichi aveva finalmente ottenuto quello che voleva; era diventato un campione.

Sakuragi sorrise a quelle parole.

Mai si sarebbe aspettato un complimento del genere da parte di Rukawa.

Eppure, era avvenuto.

Era stata la voce decisa di Kaede Rukawa, la super matricola, l’asso dello Shohoku, a pronunciare quelle parole.

E, anche per questo, anche per sentire ancora quella voce che gli faceva i complimenti, Sakuragi promise a se stesso che non avrebbe mai mollato.

Fu per questo che domandò quello che, da quando era venuto a conoscenza delle sue condizioni, lo turbava di più.

“Mi aspetterai?” chiese con voce incerta.

A quella domanda, la stretta della mano di Rukawa divenne quasi spasmodica.

“Sempre!” pronunciò con tono solenne.

Mai l’avrebbe abbandonato, ora che finalmente l’aveva avuto.

Hanamichi era suo e di nessun altro.

Si avvicinò sfiorandogli le labbra.

Fu un bacio dolce e lento quello che ne seguì.

Un bacio che sigillò la promessa sempre presente nei loro cuori.

La promessa di aspettarsi per sempre.

“Ora devo andare!” disse Rukawa staccandosi, a malincuore, dall’altro.
Sakuragi annuì sorridendo.

“Aspettami anche tu e, nel frattempo, non mollare!” disse con un sussurro, rivolto al numero dieci mentre con una mano andava ad accarezzargli i capelli.

Posò la foto della squadra sul comodino di fianco.

“Questa viene da Ayako!” ci tenne a fargli sapere.

“Mi farà compagnia!” rispose Sakuragi.

“Lo so!” affermò Rukawa prima di andarsene definitivamente.

Un ultimo sguardo, un’ultima promessa silenziosa prima di quel periodo forzato di separazione.

I campionati nazionali erano ancora in corso e Hanamichi sarebbe stato via molto a causa della riabilitazione ma, in quel momento, non aveva importanza.

Perché entrambi si salutarono con il cuore gonfio di speranza per il futuro.

Un futuro che non li avrebbe visti separati. Mai più.

Fuori dalla porta, Rukawa trovò Mito ad attenderlo.

Si fermò un istante guardando il ragazzo negli occhi.

Doveva dirgli un’ultima cosa, la più importante.

Doveva affidargli Hanamichi fino a quando lui non fosse tornato.

Non che Yohei non fosse in grado di badare al suo migliore amico solo che, ci teneva a rimarcare che ora, quel ruolo, spettava a lui.

“Lo affido a te, ma solo per poco. Sappi che verrò a riprendermelo quanto prima!” esclamò nel suo solito tono deciso, guardandolo fisso negli occhi.

Mito, a quelle parole, gli sorrise di rimando alzando il pollice in segno di assenso.

“Guarda che ci conto!” rispose ironico. “Altrimenti, in caso contrario, sarà divertente prenderti a calci per tutta Kanawaga!” concluse con l’aria scanzonata che sempre lo aveva contraddistinto.

Rukawa annuì prima di voltarsi definitivamente e Mito lo seguì con lo sguardo fino a che non lo vide scomparire mentre svoltava per il corridoio.

Per Hanamichi si prospettava un periodo difficile eppure non era preoccupato.

Perché la sua famiglia era finalmente al completo.
 

Un mese dopo
 

Sakuragi ascoltava il rumore delle onde e leggeva una lettera di Haruko.

Aveva ricominciato la riabilitazione da qualche giorno.

I medici avevano voluto aspettare che la sua schiena si stabilizzasse, e ora si trovava in quella clinica che affacciava sul mare, con in mano una lettera da parte della nuova manager dello Shohoku.

Alla fine, la sua squadra non era riuscita a superare il terzo turno ai campionati nazionali.

Tuttavia, erano tutti tornati a Kanagawa pieni di forza per l’anno a venire.

Haruko aveva promesso di scrivergli una lettera al giorno per tenerlo aggiornato sulla squadra.

Su richiesta di Ayako, anche lei era entrata in squadra come manager.

Miyagi era diventato il nuovo capitano, e le nuove matricole sembravano promettere bene.

Inoltre, Rukawa era stato convocato dalla nazionale juniores.

Ma questo, lui lo sapeva già.

Alzò gli occhi dalla lettera con un sorriso che pian piano si allargava sul volto.

Ecco la figura in lontananza che si avvicinava correndo.

Eccolo, Kaede Rukawa.

Erano vicini, a quanto pareva.

Il ritiro della nazionale si svolgeva nella pensione vicino la clinica, dove si stava curando.

Ed eccolo che, come il giorno precedente, si fermava mostrandogli la maglia della nazionale e
Sakuragi, dopo gli insulti classici, si fermava a guardarlo ammirato.

Eccolo lì, a mantenere la sua promessa.

Eccolo lì, a fargli forza per non permettergli di mollare mai.

Eccolo lì che ora si volgeva a guardare il mare davanti a loro insieme con lui.

Eccolo lì… vicino a lui… per sempre!

Non parlava e anche Sakuragi, dopo qualche battuta non profferiva più parola.

Perché loro, oramai, non ne avevano più bisogno.

Ci sarebbe stato un tempo per le chiacchiere, ma non era quello il momento.

Ora, avevano bisogno solo di quello: guardare il mare ed esserci l’uno per l’altro, anche solo con la presenza.

Solo di questo avevano bisogno e di null’altro.

“Saguragi-kun!”.

Ecco la voce dell’infermiera a spezzare l’incanto.

“È ora! Oggi la terapia sarà dura!”.

“Eh, eh, ma davvero?” fu la pronta risposta di Sakuragi che si alzò per avviarsi verso la clinica.

“Guarda che non sto scherzando! Pensi di farcela?”

“Che domanda idiota!”.

Certo che ce l’avrebbe fatta.

Un ultimo sguardo verso la figura che si era voltata verso di lui.

Haruko, nella lettera, scriveva che l’avrebbe aspettato per lo sport che amava tanto.

Beh, faceva bene, perché lui sarebbe tornato.

Quella figura in riva a mare continuava a guardarlo.

Anche Rukawa aveva sentito le parole dell’infermiera e sembrava volergli infondere coraggio con lo sguardo.

Una leggera brezza si era alzata.

Sakuragi chiuse gli occhi, assaporando il vento sulla faccia. Un’ultima occhiata alla lettera che aveva in mano.

Un ultimo sguardo alla figura in riva a mare.

Quella lettera gli aveva fatto piacere ma sapeva, ora, di dover fare una scelta.

Ricordava ancora il bacio con cui si erano salutati lui e Rukawa un mese prima.

Ricordava ancora che aveva promesso al numero undici che, dopo i campionati nazionali, avrebbe deciso di loro due.

Non il fatto che stessero insieme, quanto il suo voler definitivamente rinunciare alle maschere che lo avevano contraddistinto per tutti quei mesi.

Adesso, Hanamichi non aveva più dubbi su cosa fare.

Guardò ancora la lettera, sentendo il vento accarezzargli il volto.

Un sorriso luminoso rivolto alla figura in riva al mare ed ecco che, ora, la lettera si alzava nel cielo, seguendo il vento.

Haruko lo aspettava e Sakuragi, osservando la lettera svolazzare in aria, sperò che, nel futuro, il suo rapporto con lei potesse salvarsi.

Le voleva un mondo di bene ma, dopo tutto quello che aveva passato, era giunto il momento di prendere atto delle sue priorità.

Haruko lo aspettava.

Ma anche Kaede Rukawa.

Haruko era una sua cara amica.

Kaede Rukawa, invece, rappresentava la sua metà.

E Sakuragi, con quella certezza nel cuore, si volse definitivamente verso la clinica.

Il futuro, anche se pieno di ostacoli, non gli era mai parso più roseo.

Un futuro che avrebbe affrontato senza più maschere né vergogna.

Un futuro che avrebbe affrontato a testa alta, con indosso un’unica maschera: quella del suo vero volto.

 
***
 

Rukawa guardò la figura di Sakuragi allontanarsi, fino a diventare piccola, per poi scomparire definitivamente.

Non appena era stato convocato in nazionale, subito aveva notato quanto fosse vicino a Hanamichi.

Mito gli aveva, infatti, fatto sapere subito l’indirizzo della clinica in cui risiedeva e lui aveva pensato, leggendo la sua convocazione, a un segno del destino.

Non aveva perso tempo e subito aveva cercato di vederlo.

Era stato fortunato.

Il giorno prima, correndo sulla spiaggia, aveva notato la sua figura seduta sulla sabbia.

Gli aveva mostrato la maglia della nazionale e Sakuragi aveva capito che lui continuava ad aspettarlo, mantenendo fede alla sua promessa.

Sapeva che la situazione era complicata, Mito lo teneva aggiornato, e Rukawa, con quel gesto, aveva voluto dirgli di non arrendersi, perché quella maglia, presto o tardi, sarebbe toccata anche a lui.

Quella maglia, che per il momento era solo lui a indossare, rappresentava il loro futuro e la loro carriera sportiva.

Lui c’era e ci sarebbe stato sempre e, finalmente, anche Sakuragi lo sapeva.

Finalmente, Hanamichi sapeva quello che provava per lui e aveva deciso di fidarsi.

Aveva atteso a lungo questo momento, il momento in cui Hanamichi si sarebbe completamente fidato di lui e, dopo tutti quei mesi, era alla fine giunto.

Osservò la lettera, che Hanamichi leggeva pochi minuti fino a pochi istanti prima del suo arrivo, volteggiare per aria fino a fermarsi ai suoi piedi.

La raccolse, vedendo chi era il mittente.
 

Sakuragi-kun, io ti aspetto!
 

Così scriveva la Akagi.

Ma non era l’unica ad aspettarlo e questo era un concetto su cui Rukawa avrebbe rimarcato, senza sforzo, all’infinito.

Sakuragi finalmente sapeva che ora c’era anche lui ad aspettarlo.

Come aveva saputo anche che, alla fine dei campionati nazionali, avrebbe dovuto dargli una risposta definitiva su loro due. Era questo il termine che Rukawa, tempo prima, aveva dato all’altro.

Le cose poi si erano complicate ma, a quanto pareva, Sakuragi non aveva dimenticato né accantonato la faccenda.

Rukawa sorrise al mare e alle onde che si infrangevano sulla battigia.

Con quel gesto, il numero dieci, era stato fin troppo chiaro.

Hanamichi aveva fatto la sua scelta.

Alzò la mano con cui aveva raccolto la lettera, decidendo di lasciare il foglio di carta nuovamente alla mercé del vento.

Era giusto così.

Perché Rukawa ora aveva solo bisogno di richiamare alla mente il sorriso che Hanamichi gli aveva fatto prima di rientrare in clinica.

Presto, la convocazione sarebbe finita e lui sarebbe tornato a casa con il cuore in subbuglio per tutti i preparativi che aveva in mente per se stesso e per il suo do’hao.

Perché non lo avrebbe più lasciato solo.

Era una cosa alla quale pensava da un po’.

Hanamichi, dopo la riabilitazione, non sarebbe potuto rimanere da solo né lavorare come faceva un tempo.

Ci avrebbe pensato lui e sapeva che Mito non avrebbe obiettato.

Con questa consapevolezza, ritornò a correre riprendendo il suo allenamento, mentre un sorriso gli illuminava il volto.

Il suo animo era sereno come non lo era da tempo.

Il futuro si presentava difficile ma, per Rukawa, quelle difficoltà non erano niente se paragonate a quello che aveva passato, soprattutto per avvicinarsi a Sakuragi.

Perché, finalmente, il do’hao aveva guardato avanti.

Finalmente, aveva voltato pagina sul suo passato.

Finalmente, lo aveva accettato ma soprattutto, aveva accettato se stesso.

Per Rukawa ora esisteva solo il futuro.

Un futuro da percorrere insieme alla persona che amava, un futuro fatto di loro due.

Perché Hanamichi aveva scelto.

Aveva scelto Lui.
 


The end
 


Note:
 

Anche questa storia è finita.

Doverosi sono i ringraziamenti a tutti i lettori che mi hanno sostenuto con le loro recensioni, a chi ha inserito la storia tra le seguite, le preferite e le ricordate.

Ovviamente, grazie anche a chi ha semplicemente letto.

Per me la storia finisce qui, sulla famosa spiaggia raffigurata nelle ultime pagine del manga.

Tuttavia potrebbe anche esserci una terza parte, per cui, faccio la domanda a voi lettori; preferite che la storia finisca qui, con il finale classico del manga o che vada avanti con un seguito totalmente inventato da me?

Inoltre, per un’ipotetica terza stagione, vorrei anche approfondire la figura di Mito affiancandogli una figura maschile (in realtà mi piacerebbe scrivere di lui e Sendoh, dato che Mito mi piace molto come personaggio e quindi vorrei affiancarlo a quello che, per me, dopo Rukawa è il massimo del massimo! Quindi, fatemi sapere cosa ne pensate di questa ipotetica coppia).

Tra l’altro, approfondendo la figura di Mito, non vorrei uscire fuori dalla linea conduttrice della mia storia che si basa su Hanamichi e sui suoi problemi.

Per cui, potrebbe anche esserci una nuova storia con un nuovo titolo, slegata da questa che prende in considerazione solo Mito (anche se potrebbero esserci riferimenti al “Tuo vero volto” oppure potrebbe essere una storia parallela a questa fic).

Quindi, dato che sono molto indecisa, chiedo consiglio a voi!

Nel frattempo, spero che il capitolo finale vi sia piaciuto!

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!

Grazie a chi è arrivato fino qui.

Pandora86
  
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