Fanfic su attori > Robert Pattinson
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Autore: Ely82    08/05/2013    1 recensioni
Elisa è una ragazza normale, con una vita normale che si trova catapultata all'improvviso in una realtà del tutto inaspettata. Incontra il suo "amore virtuale" Robert Pattinson e quello che accade va oltre ogni sua più rosea aspettativa.
"Guardavo il ragazzo e il tipo grosso che era tra di noi. No, non poteva essere… però quel cappello… quelle iniziali LB… "
"Era davvero perfetto, bello più di quanto avessi mai immaginato. Non potevo vedere i suoi splendidi occhi, ma vedevo le sue labbra scolpite, il suo naso dritto la sua mascella quadrata, le sue mani tamburellare nervose sul tavolo."
Un viaggio immaginario che permette di sapere cosa potrebbe accadere (o meglio, cosa vorremmo accadesse) se dovessimo incontrare il nostro amato Rob.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco il secondo capitolo del mio racconto. L'incontro con Rob avrà un seguito?
A volte le cose succedono davvero..... Sognate con me...






Il sole stava già tramontando sopra Roma, quando uscii dalla vasca, dopo un lunghissimo bagno rilassante. Erano passate le sette e non ingerivo cibo nel mio organismo da quasi dodici ore. Sembravo uno zombie, mentre girovagavo nell’appartamento senza metà. Pensavo solo a Lui.
Dopo il nostro incontro al bar, chiamai Luca per raccontargli quello che mi era capitato. In principio non mi credette, anzi si mise a ridere e a prendermi in giro, poi, vista la mia insistenza e sentendo ancora che avevo l’adrenalina a mille, capì che non stavo scherzando.
«Parkinson ti ha invitato al bar?», continuava a ripetermi al telefono, sconcertato.
Luca non lo aveva mai potuto sopportare, ma nonostante questo fu felice per me visto che sapeva quanto ci tenessi ad incontrarlo almeno una volta nella vita.
Gli raccontai in pochi minuti praticamente ogni istante del nostro incontro presa da un’eccitazione ed una felicità inaudita: beh, quasi tutto.
Tralasciai di dirgli che Robert aveva il mio numero, perché avevo paura che si arrabbiasse, anche se non ce n’era motivo. Non volevo nasconderglielo, solo non mi andava di dirglielo per telefono. Quando sarebbe tornato gli avrei detto anche quel particolare: non riuscivo a tenergli nascoste le cose, era più forte di me.
Ancora con l’accappatoio mi distesi sul divano davanti alla Tv, con una vaschetta di gelato e un cucchiaio. Cercai di resistere alla tentazione di accendere il pc, ma lo sforzo durò poco. Collegai il computer al televisore e feci partire Water for Elephants in lingua originale.
Non seguivo il film, guardavo solo lui e fermavo l’immagine sui suoi incantevoli primi piani. Era stato a un metro da me! Gli avevo stretto la mano! Avevo visto la sua bocca muoversi in quel modo sensuale che mi faceva impazzire, le sue mani sui capelli… uno shock troppo grande per poterlo metabolizzare in poche ore. Mi mancavano i suoi occhi, l’unica cosa che non fossi riuscita a scorgere dietro a quei dannati occhiali. Avrei potuto finalmente svelare il mistero sul loro colore ed invece non avevo nemmeno avuto il coraggio di chiedergli di farmeli vedere!
Coccolata dai dolci ricordi del suo viso e della sua risata mi addormentai stremata sul divano con la sua voce in sottofondo.
 
Mi svegliai di colpo, spaventata dal suono stridulo del mio cellulare che avevo lasciato sul divano vicino ai miei piedi. Mi allungai a prenderlo senza nemmeno aprire gli occhi e risposi distendendomi di nuovo.
«Pronto?», risposi scocciata e insonnolita.
«Hallo?»
«Pronto?», ripetei.
«Ciao sono Robert», disse una voce maschile in inglese.
«Sì, e io sono Kristen! Amo’ va a quel paese!», risposi in italiano un tantino seccata.
«Scusa non ho capito?», insisteva lui, in inglese, dall’altro capo del telefono.
«E dai, falla finita! Mi ero appena addormentata, ti chiamo tra un po’. Ciao mio amato “Robert”!», gli dissi scherzando, prima di riagganciare.
Quanto si divertiva a fare lo scemo!
Posai il telefono sul tavolino davanti a me e riprovai ad addormentarmi. Pochi secondi dopo il cellulare vibrò di nuovo e un breve suono mi avvertì dell’arrivo di un messaggio.
Sbuffai e, terribilmente scocciata, afferrai nuovamente il telefono per leggere quel messaggio: tanto ormai il progetto di farsi un pisolino era saltato.
“Non ho capito una parola di quello che hai detto, forse non mi hai riconosciuto. Volevo solo ringraziarti per stamattina, sei stata molto carina con me. Domani mattina ho qualche ora libera, se ti fai trovare davanti al nostro bar alle dieci andiamo a fare un giro. Ciao Rob.”
Mi mancò il fiato. Andai indietro per vedere il mittente, ma appariva la scritta “nessun numero”. Andai a ricercare la telefonata di poco prima e neanche lì il numero era visibile. Iniziai ad ansimare e tremare come una foglia…
«Oh mio Dio! Oh mio Dio!», iniziai a gridare scattando in piedi.
Gli avevo riattaccato! No! Rob mi aveva chiamato e io l’avevo preso in giro! Gli avevo detto perfino “e io sono Kristen”! Che avrà pensato di me? Beh, che ero una cretina, in fondo era la verità.
La cosa peggiore era che non potevo richiamarlo o rispondergli.
«Richiama, ti prego!», iniziai a urlare al cellulare.
Solo dopo diversi minuti riuscii a calmarmi e a sedermi di nuovo sul divano. Il film ancora non era finito e vederlo lì, sullo schermo, mentre ballava con Marlena mi fece mettere a piangere.
Che avrei dovuto fare? Era stato serio sul messaggio? Davvero voleva rivedermi? “No, Ely, questo non sta succedendo a te, non è reale”, continuavo a ripetermi nella testa.
Afferrai d’impeto il telefono presa da un bisogno irrefrenabile di parlare con Paola. Lei mi avrebbe capito, con lei sarei potuta essere me stessa, avrei potuto dare sfogo al turbinio di emozioni che sentivo dentro. Ma mi avrebbe creduta? E se mi avesse creduto, che sarebbe successo?
Posai il telefono, rinunciando all’idea di metterla al corrente dell’accaduto. Avevo paura che se le avessi detto che Rob era a Roma, che domani lo avrei forse rivisto, lei sarebbe piombata da me nel giro di un secondo e che lo avrebbe detto anche alle altre. No, non volevo. Non ero disposta a dividerlo con nessuna. Sapevo di essere un’egoista, ma non volevo rinunciare ad avere un’ora del suo tempo tutta per me. E se si fosse arrabbiato? Non volevo deluderlo, ero felice che si fidasse di me. No, decisi, non lo avrei detto a nessuno fino alla sua partenza.
 
L’indomani mattina, mi svegliai presto. A dir la verità ero riuscita a dormire ben poco data l’agitazione per la giornata che mi attendeva. Avevo riletto quel messaggio decine di volte, per convincermi che fosse autentico. Faticavo ancora a credere che sarebbe davvero passato a prendermi in quel bar, ma che altro avrei potuto fare se non andare all’appuntamento?
Impiegai quasi un’ora solo per decidere cosa indossare. Non volevo sembrare un pacchetto regalo, tutta fiocchi e merletti, ma non volevo nemmeno sembrargli un maschiaccio. Non avevo molte cose con me, perciò dovetti accontentarmi di quello che avevo a disposizione. Alla fine del defilé davanti allo specchio, optai per un jeans stretto alla caviglia e una camicetta avorio che lasciai slacciata per avere una scollatura più sensuale.
Prima di uscire di casa, presi la macchina fotografica e me la misi in borsa: se ci fosse stata l’occasione di fargli una foto,  l’avrei colta al volo.
Arrivai al Bar con qualche minuto di anticipo. La giornata era stupenda e la temperatura più piacevole del giorno prima. Mi appoggiai al muro in trepida attesa.
Nella mia testa sentivo due vocine contrastanti. Una diceva “povera illusa, non arriverà mai!” e l’altra “che gli dico quando lo vedo?”. Ero nervosa, agitata e sentivo il cuore pulsarmi in gola. Mi guardavo intorno come un’ossessa, sobbalzando ad ogni auto nera che i miei occhi avvistavano.
Dovevo calmarmi o, anche se fosse arrivato, non sarei sopravvissuta alla sua vista.
D’un tratto, alla mia destra, spuntò un auto scura che procedeva a passo d’uomo. Il mio cuore si fermò nello stesso istante in cui l’auto mise la freccia accostandosi al marciapiede.
Il finestrino posteriore si abbassò di qualche centimetro e lo vidi. Dean scese dall’auto e mi aprì lo sportello per farmi salire: ero impietrita.
«Ciao!», esclamò dall’interno della macchina. «Sali a bordo bellezza!»
Rischiai un infarto di fronte a quel sorriso e a quella battuta. Era bellissimo, in modo imbarazzante, aggiungerei.
«Signorina, non possiamo stare qui. Sale o no?», mi chiese Dean non troppo cordialmente.
Mi feci forza e, cercando di incamerare più ossigeno possibile, entrai nell’auto sedendomi proprio a fianco a Lui.
«Ciao», riuscii finalmente a mormorare.
«Che c’è?», mi chiese divertito, mentre l’auto cominciava a muoversi. «Senza cappello non mi riconoscevi?»
«Scusami, è solo che… non sono sicura di essere ancora sveglia!», gli risposi rossa di vergogna.
«Se è per questo nemmeno io! Sono andato a dormire alle quattro del mattino!»
«Sei uscito a fare baldoria?», gli chiesi guardandolo di sfuggita.
«Veramente no! Sono venuti un paio di amici e siamo stati nella mia suite per tutto il tempo! Mi sono divertito come un pazzo!», esclamò soddisfatto, accendendosi una sigaretta.
“Perfetto ci mancava solo che iniziasse a fumare”,pensai tra me. Vedere quella sigaretta passare dalle sue dita alla sua bocca era un’esperienza traumatica per la mia psiche. Rimasi imbambolata a fissare le sue labbra premere su quella sigaretta: era come se la stesse baciando.
«Ti da fastidio?», mi chiese accorgendosi della mia espressione.
«No, no», risposi veloce, scuotendo ripetutamente la testa.
«Oggi sei strana», mi disse infine, sorridendo sotto i baffi, «ma sempre adorabile.»
Non potevo farcela. Mi mancava l’aria lì dentro.
«Posso aprire il finestrino?»
«Certo», mi chiese confuso. «Ti senti male? E’ per colpa del fumo?»
«No, è… per colpa tua», ammisi imbarazzata, mettendo il naso fuori dal finestrino. «Oggi sta venendo fuori il peggio di me, mi dispiace»
«Se questo è il peggio…», disse con tono tenero.
Mi voltai e ci guardammo per un momento che sembrò infinito, prima di scoppiare a ridere contemporaneamente.
«Dove stiamo andando?», gli chiesi, un po’ più rilassata.
«Non ne ho idea», mi rispose divertito. «Dove stiamo andando, Dean?»
«All’Eur, mi pare si chiami così. Dovrebbe esserci un parco o qualcosa di simile», gli rispose senza voltarsi.
«C’è anche un laghetto», aggiunsi, «è un posto carino per fare una passeggiata.»
«Perfetto, era proprio quello che volevo: stare un po’ all’aria aperta!», disse Rob rilassandosi sullo schienale.
Non potei fare a meno di fissarlo ancora una volta. Se ne stata seduto con le mani dietro la testa, come per stiracchiarsi e le gambe leggermente divaricate. Notai i muscoli in tensione delle braccia e il ventre piatto e asciutto, fino a scendere pericolosamente al di sotto del punto vita. A quel punto si voltò ed io d’istinto mi girai dall’altra parte verso il finestrino. Stavo facendo una figura pietosa.
«Posso chiederti una cosa?», gli chiesi poi per smorzare la tensione.
«Sarebbe ora!», mi rispose ridendo.
«Perché sei qui a Roma?»
«Vorrei dirtelo…ma poi dovrei ucciderti», mi disse serio prima di scoppiare a ridere nel suo modo contagioso. «Sono qui per il festival del cinema.»
«Ma nessuno sa niente della tua partecipazione!», gli dissi allibita, «com’è possibile? C’è gente che sa tutto di te e questo particolare gli è sfuggito?»
«E’ stata una cosa decisa all’ultimo momento. Sono solo presente in qualità di ospite, non presento alcun film. Ieri avevo un’intervista con i giornalisti: a quest’ora tutte le mie fans sapranno dove sono», disse con calma apparente.
«E la cosa non ti preoccupa?», gli chiesi allarmata.
«Che dovrei fare? Passare i prossimi due giorni chiuso in albergo? Non ci penso nemmeno! Il mio Dean è pagato per questo, giusto?», disse ridendo dandogli una pacca sulle spalle. «Lo hai già detto alle tue amiche?»
«Veramente, no.»
«Davvero?», esclamò sorpreso, «perché?»
«Vuoi la verità o un po’ di falso buonismo?», gli chiesi imbarazzata.
«Diciamo che se sarai onesta con me… a fine giornata io lo sarò con te…», mi disse malizioso.
Non capii cosa intendesse dire, ma quel modo che aveva di parlare e scherzare era adorabile.
«I motivi sono due. Il primo è che avevo paura di farti arrabbiare, il secondo è… che volevo averti tutto per me!», ammisi resistendo alla tentazione di distogliere lo sguardo da lui.
«Ammiro il primo e apprezzo il secondo», mi rispose, passandosi la mano tra i capelli, visibilmente imbarazzato. «E al tuo ragazzo? Che gli hai detto?»
«Più o meno tutto di ieri… ma di oggi non sa ancora niente. Non ho idea di come reagirà quando glielo dirò!», risposi pensierosa.
«Perciò vuoi dirglielo?», mi domandò stupito.
«Non dovrei?»
«Non lo so, dipende…», mormorò alzando le spalle.
«Da cosa?»
«Da come andrà la mattinata, credo», mi disse voltandosi verso di me.
Rimasi a guardarlo un tantino spaesata dai suoi discorsi contorti e quegli occhiali da sole non mi permettevano di leggere il messaggio nei suoi occhi.
«Siamo arrivati. Possiamo scendere qui, l’autista parcheggerà poco più avanti», ci interruppe Dean, aprendo la portiera.
Prima di scendere, Rob si infilò il cappuccio della felpa e mi sorrise teneramente.
Stranamente, per essere sabato, non c’era molta gente. Meglio così, pensai, staremo tutti più tranquilli.
Quando fummo vicino al laghetto Rob si fermò e si voltò indietro verso Dean.
«Possiamo anche andare da soli, che dici?»
«Ma che dice? Scherza? Ha visto quanta gente c’è?», gli rispose serio.
Rob mi guardò come per scusarsi, credo, poi aggiunse:
«Non succederà niente. Di lei mi fido. Hai visto ieri in quel bar? Sarà lo stesso anche qui», insistette.
Oddio, era così dolce in quel momento! Si fidava di me, così aveva detto. Ero io a non fidarmi di me stessa, quello era il problema.
«Mr. Pattinson…», iniziò a ribattere Dean.
«Ancora con questo Mr Pattinson! Dai, basta, per favore! Robert è un nome tanto orrendo?», disse spazientito. «Se ci sono problemi ti chiamo e arriverai in un istante. Non ci allontaneremo troppo, vero Elisa?», aggiunse pronunciando il mio nome in un modo tutto suo.
«No, certo», balbettai, mezza stordita.
«Tra dieci minuti la chiamo così mi dice se va tutto bene», disse Dean, arrendendosi.
«Facciamo venti», puntualizzò Robert, iniziando a incamminarsi.
Ci lasciammo Dean alle spalle e cominciammo a passeggiare intorno al laghetto.
«Se ti capita qualcosa…», iniziai a dire agitata.
«Mi proteggi tu?», disse prendendomi in giro.
«Anche se non sembra, potrei diventare pericolosa se qualcuna prova ad avvicinarsi a te!»
Iniziavo finalmente a sentirmi più a mio agio con lui, per quanto possibile ovviamente. Lui era davvero alto rispetto a me e camminava con lunghe falcate, tanto che stargli dietro mi costava un certo sforzo.
«E’ una meraviglia qui», disse guardandosi intorno, «beh, certo non è Hide Park!»
«Hide Park è bellissimo», concordai.
«Ci sei stata?», mi chiese con sorpresa, interrompendo la passeggiata.
«Sì, una volta, qualche anno fa, nel mese di luglio.»
«Dovresti tornarci in primavera, allora sì che rimarrai a bocca aperta!», esclamò entusiasta.
«Ti manca Londra?», gli chiesi, ricominciando a camminare.
«Parecchio…», ammise, con tristezza, «ma è il prezzo da pagare per il successo, no?»
Non seppi che rispondere a quella domanda. A volte mi faceva così pena! Ok, aveva una barca di soldi, e allora? A venticinque anni un ragazzo ha bisogno di tante altre cose che a lui sembravano mancare.
«E’ assurdo non credi?», prosegui a parlare, immerso nei suoi pensieri. «Posso avere qualsiasi cosa voglia. Ho gente intorno a me che esaudisce ogni mio desiderio, perfino il capriccio più assurdo, ma non ho il potere di decidere quando andare a trovare mia madre e mio padre! E’ assurdo!», ripeté furioso.
«Hai ragione…», mormorai, incapace di aggiungere altro.
«Questa è un’altra di quelle cose che non sopporto. Mi danno tutti ragione! O io sono onnisciente o sono circondato da persone senza palle!», esclamò con rabbia.
«Mi dispiace…», balbettai.
«Non ti scusare», disse brusco.
Rimasi di sasso di fronte alla potenza delle sue parole e al suono aspro della sua voce. Si era arrabbiato, fantastico! Che avevo detto di tanto grave? Credevo davvero che avesse ragione!
All’improvviso si fermò e si voltò verso di me, con aria seria. Tolse una mano dalla tasca e prese la mia, provocandomi un terremoto interno.
«Scusa, sono stato un cafone. Tu non c’entri niente. E’ solo che vorrei che la gente mi dicesse in faccia quello che pensa invece di coccolarmi e viziarmi per poi calunniarmi alle spalle! Chiedo molto?», mi disse con estrema amarezza nella voce.
«No», balbettai, riuscendo a pensare solo alla sua mano che stingeva la mia. «Ti prometto che finché starò con te ti dirò sempre ciò che penso.»
«Credi di poterci riuscire?», mi chiese abbozzando un sorriso.
«Se prometti di non scappare via…»
«Promesso!», disse di getto, lasciandomi la mano. «Allora, iniziamo: che pensi in realtà di me? Tutta la verità!», aggiunse divertito.
«Non chiedermi questo ti prego!», esclamai strabuzzando gli occhi.
Cercando di trattenere una risata abbassò la testa e quando la rialzò era di nuovo serio e pronto all’ascolto.
«E’ una domanda troppo generica, parlerei per un’ora!»
«Allora sediamoci, così staremo più comodi!», esclamò in modo beffardo indicando una panchina tra gli alberi.
Ci sedemmo e lui rimase in silenzio a fissarmi. Faceva sul serio!
«Ok, hai vinto!», esclami alla fine arrendendomi alla sua volontà. «Ma ricorda che hai promesso di non arrabbiarti!»
«E’ tanto brutto?»
Non capivo se era serio o se mi prendeva in giro! Maledetti occhiali!
«Ma davvero non ti rendi conto dell’effetto che hai su… su di me, per esempio? Come faccio a pensare cose brutte, me lo spieghi? Non solo sei l’essere umano più bello e sexy che io abbia mai visto, ora scopro anche che sei un ragazzo gentile, tenero, simpatico… mi dispiace proprio non ce la faccio a trovarti un difetto!», gli dissi di getto, ignorando il rossore che sentivo aumentare sul mio viso.
Lui mi fissava e rideva. Si leccava le labbra e si toccata i capelli ed era ignaro di quello che quei gesti provocavano in me.
«A che pensi ora?», mi sussurrò, accorgendosi forse del mio sguardo languido.
«Che sei un pericolo pubblico per il genere femminile!», esclamai.
«Addirittura? Forse è il genere femminile che è un pericolo per me!», disse ridendo di gusto.
«Anche!»
Era così semplice in certi momenti scherzare con lui, come se fosse davvero un ragazzo qualsiasi e non l’oggetto del desiderio di milioni di donne in tutto il mondo.
«E ora a che pensi?», mi chiese ancora.
«Che sono dannatamente fortunata…», ammisi, orami senza più timore di sembrare una bambina.
«E molto carina…», aggiunse lui con voce profonda.
Stavo prendendo fuoco, ne ero sicura!
«Sto aspettando il difetto!», disse, poi, cambiando discorso.
«Non lo so…Oh sì, eccone uno: a volte non si sa come ti vesti!»
«Che razza di difetto è?», disse divertito.
«E’ l’unico che mi viene in mente per ora, perciò accontentati!», esclamai. «No, anzi eccone un altro: devi far conoscere di più la tua musica….e devi ridere di più… e…»
«Caspita! Lo vedi che alla fine qualcosa lo abbiamo trovato!»
Scoppiammo a ridere come due scemi e la sensazione fu fantastica. In quell’istante squillò il suo telefono.
«Tutto bene, Dean. Sono seduto a chiacchierare con lei. Non mi ha né rapito, né assalito, né violentato… non mi sembra tanto pericolosa!»
Che avevo fatto per meritarmi tutto questo? Che dovevo fare per ripagare Dio di questo dono immenso?
«Ci sentiamo tra altri venti minuti, ciao!»
«Lo stai facendo morire di crepacuore!», esclamai, riferendomi a Dean.
«E’ grande e grosso… sopravviverà!», disse rimettendo il telefono in tasca. «A che punto eravamo?»
In quel momento una ragazzina passò avanti a noi con la madre e ci fissò. Avrà avuto otto anni, possibile che lo avesse riconosciuto, perfino conciato in quel modo?
«Mamma, sono fidanzati?», chiese poi la bambina indicandoci con il dito. «Glielo posso chiedere?»
«Andiamo, non essere maleducata!», disse la madre, trascinandola via.
Io e Rob rimanemmo immobili a fissarle e poi ci voltammo uno verso l’altro. Non sapevo che dire, che fare…. anzi avrei saputo fin troppo bene che fare con lui su quella panchina! Per fortuna che leggeva nel pensiero solo nei film!
«Ora a che pensi?», chiese per l’ennesima volta.
«Ma la smetti!», gli risposi con falsa rabbia.
«Sono curioso», mi disse con la voce di un cucciolo bastonato.
«Non credo che ogni mio pensiero ti sia gradito.»
«Stupiscimi!»
Se gli avessi detto veramente quello che il mio cervellino stava pensando in quel momento mi avrebbe fatta rinchiudere per violenza sessuale “virtuale”!
«Diciamo che i miei pensieri viaggiano tutti in un’unica direzione con te vicino», ammisi. «Ti devo chiedere un favore, posso?»
«Dimmi…»
«Ti prego, togliti gli occhiali, anche solo per un secondo. Non posso trascorrere tutto questo tempo con te senza poter vedere almeno una volta i tuoi occhi!», trovai finalmente il coraggio di dirgli.
Scoppio a ridere come al solito, poi, senza dire niente, dopo aver dato uno sguardo in giro di sfilò quei maledetti occhiali da sole e mi guardò dritto negli occhi.
In quel momento tutto intorno a me sembrò svanire. Dio, quanto era bello! I suoi occhi erano azzurri, proprio come avevo sempre sostenuto, ma di un azzurro chiaro, quasi color ghiaccio, ma caldi come il sole. Iniziai a sorridere e ad andare in iperventilazione. Anche lui mi sorrise, forse compiaciuto e divertito dalla mia espressione.
«Niente controfigura, visto?»
«Ora, certo, non ho più dubbi al riguardo. Hai degli occhi inconfondibili», sospirai languidamente.
«Me lo diceva sempre anche mia madre… ma non con questo tono!», mi rispose in modo scherzoso. «C’è qualcos’altro che posso fare per lei, madame?»
«Una cosa veramente ci sarebbe…», gli dissi, ricordandomi all’improvviso di tirare fuori dalla borsa la macchina digitale. «Pensi si possa fare?»
«Penso che te la sei meritata alla grande.»
Mi alzai eccitata dalla panchina e mi misi davanti a lui per fargli la foto: dovevo approfittare del fatto che in quel momento non stesse passando nessuno.
«Che fai?», mi chiese coprendosi il viso con la mano.
«Credevo di aver capito che…», balbettai imbarazzata.
«Avanti vieni a sederti qui», mi disse sorridente.
Risedetti vicino a lui, con il cuore in gola. Mi prese dalle mani la macchinetta fotografica, si avvicinò a me e mi mise un braccio intorno alle spalle, piegando il viso verso il mio.
«Sorridi!», mi disse prima di scattare un paio di foto.
Si voltò soddisfatto, sciogliendomi dal suo abbraccio e ridandomi la macchinetta. Io era ancora sotto shock per poter anche solo respirare.
«Che c’è?», mi disse con aria innocente.
«Avvertimi prima, la prossima volta, se non vuoi farmi prendere un infarto!»
Si mise a ridere, indossando gli occhiali, compiaciuto dell’effetto che aveva su di me. A volte faceva delle cose senza pensare ai risvolti che potevano avere sulle persone, ma altre, ne ero sicura, era pienamente consapevole di quello che provocava in chi, come me, lo adorava.
«Adesso posso chiederti un cosa io?»
«Certo», risposi curiosa.
«Che ne pensi di me? Questa volta come attore, intendo dire», mi chiese tornando serio.
Era ovvio che mi chiedesse una cosa simile. Non avevo fatto altro che parlare della sua bellezza per tutto il tempo: chissà quanta gente gli aveva già detto le solite frasi scontate. Il problema di quella domanda era riuscire a dargli una risposta oggettiva.
«Mi piaci molto», dissi seria a mia volta. «Credo che tu sia molto espressivo. Riesci davvero a trasmettere molto a chi ti guarda.»
«Lo pensi sul serio? In quale ruolo mi hai preferito?», mi chiese curioso.
«Non vorrei essere scontata, ma credo sinceramente che tu abbia dato tutto te stesso nella Saga. Ho letto i libri, tante volte, e tu sei sempre stato perfetto. Ogni stato d’animo di Edward traspariva dai tuoi occhi in un modo quasi naturale. Ci hai fatto rivivere esattamente le stesse sensazioni che proviamo leggendo i romanzi, e non è una cosa facile», gli spiegai quasi ammaliata. «Sei entrato talmente tanto nel personaggio che è diventato difficile scindere te da lui: lo interpreti con una naturalezza che fa impressione!»
«Wow!», esclamò colpito. «E degli altri film? Che ne pensi?»
«Credo che Remember me sia stato cucito su misura per te. Tu hai dato un’ulteriore prova di maturità, ma secondo me, sei stato anche un po’ facilitato dal tipo di personaggio», ebbi il coraggio di dirgli. «Poi c’è stato Water for Elephants…»
«Dal modo in cui lo dici, non si direbbe che ti sia piaciuto», affermò, concentrato sulla mia analisi.
«E’ strano. Il film aveva tutti i presupposti per essere coinvolgente e commovente e tu eri meraviglioso, come non mai, eppure è mancato qualcosa.»
«Spiegati», mi disse con aria interessata più che arrabbiata.
«Niente da dire sulla tua recitazione, anzi, credo che tu sia migliorato ancora. Sei piaciuto perfino al mio ragazzo!», esclamai.
«Più o meno un miracolo, suppongo!»
«Già!», gli confermai. «Non sono in grado di dirti cosa non abbia funzionato…però mi ha lasciato con un senso di vuoto quando sono uscita dal cinema.»
«Fai uno sforzo, sono curioso», insistette.
«Beh… soprattutto non ho visto alchimia tra te e lei.»
«Si notava eh?», chiese con ironia. «Non si è vista, perché non c’era!»
«A me lei non è piaciuta un granché, se devo essere onesta.»
«Lei è un’ottima attrice, il problema era che lei non pensava la stessa cosa di me», sospirò contrariato. «Non gli andavo proprio a genio!»
«Beh, è una…pazza! Lasciamelo dire!», gli dissi con tono acido.
«Non posso piacere a tutti…»
«E che significa? Le sue antipatie personali doveva metterle da parte e pensare alla buona riuscita del film, altrimenti dov’è la “grande attrice”?!»
«Non so che dirti», disse sconfortato. «In ogni scena trovava qualcosa che non andava in me. Ma le hai sentite le cose che ha detto durante la promozione del film? Ci sono rimasto come un cretino!»
«La  cretina è lei! Non capisco che le sia saltato in testa! Anzi, sai cosa penso? Che era talmente divorata dall’invidia che l’unico modo che aveva per portare l’attenzione su di lei fosse denigrati», gli dissi facendomi prendere dalla rabbia. «Peccato solo che così facendo l’unica ad averci rimesso sia stata lei e, purtroppo, il film.»
«Cavolo, proprio non la sopporti!?», disse divertito.
«Ma dai! Come si fa a sopportarla! Vogliamo parlare del suo atteggiamento agli MTV Movie Award di quest’anno? Meglio che lasciamo perdere o rischio di esplodere veramente!», esclamai.
Rob si mise a ridere vedendo il mio cambio d’umore repentino.
«Ti posso assumere come avvocato? Magari un giorno mi potresti far comodo!»
«Sono a tua completa disposizione!»
Passammo il resto del tempo a chiacchierare del più e del meno, come due amici. Era sempre strano averlo vicino ma iniziavo ad abituarmi alla sua presenza: una cosa che mi avrebbe fatto star male quando se ne sarebbe andato.
Volle sapere perché ero a Roma, cosa facessi nella vita: praticamente fece parlare sempre me. Era quasi un’ora che passeggiavamo. Dean aveva già chiamato altre due volte e insisteva affinché tornassimo all’auto. Rob riuscì a dissuaderlo la prima volta, ma alla seconda telefonata si arrese.
Mentre percorrevamo il sentiero che ci avrebbe riportato al punto di partenza sentii il bisogno di chiedergli una cosa.
«Perché hai fatto tutto questo? Voglio dire: non credo che sia tua abitudine invitare le fans al bar e a fare un giro con te!»
«Ti dispiace che l’abbia fatto?», mi disse alzando il sopracciglio.
«Dai, non scherzare! E’ proprio perché mi sembra incredibile, che non riesco a capire cosa abbia fatto per meritarmi questo trattamento!», gli risposi seria e incuriosita.
«Beh, credo sia stato per un insieme di fattori. Ho gradito il modo in cui ti sei trattenuta quando mi hai riconosciuto, sei molto carina e mi hai beccato in un momento in cui avevo una gran sete», disse di getto, abbassando appena gli occhiali per guardarmi. «Può andare bene come spiegazione?»
«Benissimo», balbettai, distogliendo lo sguardo.
«E’ piacevole stare con te. Ti comporti come se fossi un ragazzo qualsiasi…un ragazzo qualsiasi da cui sei attratta, ma va bene così, la cosa mi piace!», disse, accompagnando le parole con una sonora risata.
Lo fissai rossa di vergogna, poi, d’un tratto sentii il mondo cadere a pezzi.
«Oh mio Dio! Non ci credo! Sei… sei… Robert Pattinson!», esclamò una ragazza passandoci davanti mentre faceva jogging.
Rob si irrigidì di colpo al mio fianco e io feci la stessa cosa. Lui non disse niente, limitandosi ad abbassarsi il cappuccio sul viso e a guardarmi con la coda dell’occhio.
“Merda!”,pensai, “Che diavolo faccio ora?”
«Non è possibile! Oh mio Dio!», continuava a ripetere a voce decisamente troppo alta.
«Ti prego abbassa la voce o qui succede un casino!», la implorai mettendomi tra lei e Rob. «Non lo mettere in difficoltà per favore.»
«No, certo», balbettò, abbassando il tono della voce. «Sapevo che fosse a Roma, ma… incontrarlo qui è…»
«Assurdo, lo so», finii di dire. Conoscevo bene quella sensazione.
«Io sono Anna!», si presentò sporgendosi oltre la mia spalla. «Sono completamente pazza di te! Ti amo alla follia!»
Rob abbozzò un sorriso imbarazzato e alzò la mano in cenno di saluto. Era terrorizzato, si percepiva benissimo.
«Ti chiedo solo una foto, poi ti lascio in pace, promesso!», continuò a dire eccitatissima, tirando fuori il cellulare.
Mi voltai verso di lui per capire cosa intendesse fare e lui guardò me, ancora immobile e silenzioso.
«Ok», mormorò.
La ragazza mi getto praticamente il telefono in mano e si lanciò verso Rob. Lo guardava ammaliata e sconcertata, mentre lui si guardava nervosamente intorno, spaventato dall’idea che qualcun altro potesse riconoscerlo. Lei le mise una mano sulla spalla e avvicinò il viso a quello di lui, con un sorriso a trentadue denti. Lui era fermo e agitato, ma nonostante questo, si sforzò di fare un sorriso all’obiettivo.
«Grazie mille!», gli disse afferrandogli la mano. «Ti adoro! Quando lo sapranno le mie amiche…!!!»
Lui le sorrise ancora, probabilmente non capendo una parola di quello che diceva, visto che continuava a parlargli in italiano, e subito dopo si allontanò da lei, liberandosi dalla sua presa.
«Lo so che sei felicissima e che hai il cuore a mille, ma ti prego non andare a dire in giro che lo hai visto da queste parti. Almeno dagli il tempo di allontanarsi», mi raccomandai nuovamente.
«Certo, certo», continuava a ripetere fissando Rob. «E’ stato davvero bellissimo incontrarti! Sei meraviglioso!»
Rob mi guardò di nuovo e capii che voleva andarsene da lì. Salutammo la ragazza ancora su di giri e ci dirigemmo velocemente verso l’auto.
«Mi dispiace tanto», sussurrai mortificata.
«Va tutto bene, non è colpa tua. Ho solo bisogno di andarmene più velocemente possibile da questo posto», mi rispose angosciato.
«Dean mi ucciderà!», continuai a dire.
«Dean non lo saprà!», esclamò di colpo inchiodandosi davanti a me. «Devi promettermi che non glielo dirai!»
«Ma…»
«Lo hai visto anche tu quanto stavo bene con te oggi… vuoi che non mi permetta più di vivere altri momenti così? Non mi lascerebbe più solo nemmeno un attimo, per tutta la mia permanenza qui», mi disse affranto.
«Farò ciò che vuoi.»
«Grazie. Sapevo di averci visto giusto su di te», mi sussurrò, accarezzandomi il braccio.
Riprese a camminare più in fretta di prima ed io, ancora invasa dai brividi per il contatto di poco prima, lo seguii fino al luogo in cui Dean ci stava aspettando.
Appena ci vide, tirò un sospiro di sollievo e si rilassò.
«Tutto bene?», chiese a Robert.
«Alla grande», gli rispose, entrando in auto.
Dean mi guardò, come per avere da me una conferma. Riuscii a sorridergli appena e subito dopo guardai altrove, in direzione di Robert.
Non ero pronta a quell’addio. Credevo che avrei avuto più tempo per salutarlo, invece le cose erano precipitate così velocemente che ora lui non desiderava altro che fuggire via e ritornare nel suo mondo blindato.
«Che fai lì?», mi chiese dall’interno della macchina. «Sali, devo andarmene.»
«Non c’è bisogno che mi riaccompagni, prenderò la metro», gli risposi, felice del suo invito.
«Non essere sciocca, non ti lascio qui. Avanti sali!», mi ordinò bruscamente.
Non provai nemmeno a ribattere, in fondo ero troppo contenta di avere ancora qualche minuto con lui, ma il tono della sua voce mi faceva rabbrividire.
Mi sedetti in silenzio vicino a lui e l’auto partì.
Che razza di vita era costretto a fare, per spaventarsi in quel modo davanti ad una singola ragazza che lo aveva riconosciuto? Capivo perché la mia reazione del giorno prima lo avesse colpito. Era abituato a scene di pianto e di isterismo, ad essere pedinato e tartassato dai paparazzi. Non potevo capirlo fino in fondo, ma il suo sguardo perso nel vuoto era eloquente.
«La lasciamo al bar, signorina?», mi chiese l’autista.
«No, riaccompagnala a casa», gli rispose Robert, anticipandomi.
«Scherzi? Non ce n’è bisogno!», gli dissi sorpresa.
«Mi pare il minimo», disse serio, senza guardarmi.
Rimasi a fissarlo senza avere il coraggio di contraddirlo: vedevo che aveva i nervi a fior di pelle. Possibile che Dean non se ne accorgesse? Diedi le indicazioni all’autista e tornai a rilassarmi a fianco di Rob.
«Mi dispiace doverti salutare in questo modo…», gli sussurrai piano.
«Anche a me», rispose a voce bassa.
Ormai parlava a monosillabi e riuscire ad avere una conversazione con lui era praticamente impossibile. Avrei parlato io per entrambi.
«Voglio solo dirti che non dimenticherò mai tutto questo. Sono state le due giornate più incredibili della mia vita», gli dissi con enfasi, poi, addolcendo il tono della voce aggiunsi: «Sei una persona speciale Robert, e non parlo dell’attore famoso. Ti auguro il meglio, per ogni aspetto della tua vita.»
A quel punto si voltò e si tolse gli occhiali, facendomi quasi tremare.
«Grazie, sei speciale anche tu, credimi. Ne ho conosciute di persone in questi anni, ma nessuna come te», disse con voce intensa.
Per un momento mi sembrò di avere di fronte Edward invece che Robert e la cosa mi fece venire i brividi. Quando arrivammo davanti al mio palazzo iniziai a sentire una sorta di crampi allo stomaco e un forte bruciore agli occhi. Non volevo scendere da quell’auto, non volevo staccarmi da lui.
«Un ultima cosa», gli dissi con le lacrime agli occhi. «Cerca di non cambiare mai. Rimani il ragazzo semplice e simpatico che ho avuto la fortuna di conoscere, ti prego!»
«Ci proverò, promesso», mi disse teneramente avvicinandosi al mio viso. «Grazie Elisa, di tutto», aggiunse sfiorandomi la guancia con le labbra.
Era come se il volto mi stesse andando a fuoco dall’interno. Ero paralizzata. Ero sconvolta. Ero invasa dal suo profumo. Ero ammaliata e innamorata di lui.
Non dissi una parola. Aprii la portiera e, non senza fatica, riuscii a coordinare i muscoli del mio corpo convincendoli a farmi scendere da lì. Se fossi rimasta anche solo un minuto in più su quell’auto tutto il mio autocontrollo sarebbe andato in fumo.
Avrei voluto abbracciarlo, toccarlo, baciarlo costringendo Dean a staccarmi da lui con la forza.
Lo guardai sorridendogli per un’ultima volta, prima di richiudere la portiera e di vederlo scomparire dietro ai vetri scuri.
L’auto schizzò via lasciando il vuoto dietro di sé e dentro di me.
   
 
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