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Autore: Fanelia    09/05/2013    2 recensioni
Questa storia parte dalla fine del manga/anime che dir si voglia e sviluppa una what if, anche su alcune informazioni lette in rete sul Final Story. E' una what if in cui uno dei protagonisti soffre di amnesia a causa di un incidente e solo grazie al ritorno nella sua vita del suo grande amore, ricomincerà a riappropriarsi di frammenti del proprio passato.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo I

Pensieri e parole
 
- colonna sonora You don't know dei Westlife

25 Aprile 1920

“Sull’ennesimo treno e il mio pensiero corre a te.
Guardo il paesaggio scorrere veloce,
macchie di verde indistinte che mi ricordano i tuoi occhi.
Tutto mi ricorda te
In qualsiasi luogo vada,
in chiunque incontri,
cerco qualcosa di te …”


“Sembri in trance a volte, te lo hai mai detto nessuno?” la voce di Karen, una collega, lo distrasse da ciò che stava scrivendo.
“Karen quanto volte dovrò dirti che non amo essere disturbato?”
“Sei sempre il solito asociale!”
“Motivo per cui prenoto una cabina privata quando andiamo tournèe!”
“Vorrà dire che ti lascerò alla tua solitudine!” disse Karen andandosene e sbattendo la porta alle proprie spalle.

Da quando Terence aveva rinunciato a Candy, poco più di cinque anni prima, in favore di Susanna, Karen aveva notato un brusco cambiamento nel comportamento dell’ “amico” e collega.
Non che fosse mai stato un tipo particolarmente amichevole e socievole, ma dalla sera della prima di Romeo e Giulietta, l’umore dell’attore era andato decisamente peggiorando,in una spirale ascendente di disperazione e tristezza.
Lei, a parte Robert, era l’unica con cui a volte, pur se non di frequente, Terence si concedesse due chiacchiere.

Il treno lo stava portando a Chicago, era da tempo che non vi tornava.
Non era più stato nella città dove, con ogni probabilità, lei risiedeva.
Dalle ultime e sporadiche lettere che aveva scambiato con Albert, gli era parso di intuire che Candice si dividesse fra Chicago e La Porte.
La Porte, la collina di Pony, ricordava ancora il cadere incessante della neve e il vento che sferzava il suo viso.
Rise, un a risata amara, la neve, la mente con i suoi strani e sadici giochi lo aveva riportato a quella maledetta sera a New York, sapeva che la sua vita sarebbe cambiata, era cosciente che sarebbe sprofondato presto in un baratro senza fine.

Quando si guardava allo specchio provava solo pena per sé stesso, aveva un lavoro che molti gli invidiavano, tante belle donne che avrebbero fatto di tutto per lui, soldi,fama, eppure lui odiava quella vita.
Il destino gli aveva concesso di assaporare la felicità per un periodo talmente breve, che il ricordo della stessa si era affievolito giorno dopo giorno, fino quasi a svanire. Lo stesso destino gli aveva strappato il cuore e se ne era cibato avidamente.

Pensò poi alla giovane donna rimasta invalida per amor suo, e si sentì colpevole.
Lui aveva due grosse colpe, la prima, quella che gli pesava di più sul cuore, nei confronti del suo grande amore, la seconda nei confronti della donna che gli aveva fatto scudo col proprio corpo salvandogli la vita, Susanna: non era riuscito ad amare quest’ultima e così facendo non solo non l’aveva resa felice, ma non era nemmeno riuscito a  mantenere la promessa che Candice gli aveva strappato.

Annoiato da sé stesso, depose il suo prezioso quaderno e la penna nella valigia, la chiuse accuratamente e cercò compagnia nella cabina di Robert.

Robert non solo era un maestro per Terence, ma un prezioso amico.

Passando per il corridoio sentì il vociare di alcuni bambini e si rattristò, pensò ai figli che non avrebbe mai avuto, con Candice perché non sarebbe mai stata sua, con Susanna perché, quando ancora in vita, si era sempre rifiutato di fare l’amore con lei.
Durante quegli anni di convivenza forzata, diverse volte le aveva dovuto ricordare la natura del loro rapporto, e ciò era stato motivo di frequenti litigi.

“Avanti!” la voce di Robert proveniente dall’interno della cabina riportò Terence alla realtà.
“Avevo bisogno di un po’ di compagnia.” ammise Terence entrando, senza doversi vergognare di essere sincero, si fidava del suo caro amico Robert, era una delle pochissime persone con cui non temeva di mettersi a nudo.
“Mi fa piacere che tu abbia pensato a me, ho creduto che non ti avrei rivisto prima di Chicago quando ti ho visto chiuderti in cabina stamane”
“Avevo bisogno di scrivere.”
“Lo avevo immaginato. Pensi che mi farai mai leggere alcune delle tue creazioni?”
“C’è un sola persona che potrebbe leggerle e probabilmente non lo farà mai.” l’allusione di Terence a Candy era evidente.
“Ah stai forse dicendo che le tue parole rimarranno ad ingiallire insieme alle pagine del tuo quaderno?” lo stuzzicò Robert che sapeva fin dove poteva spingersi.
“Probabilmente sì, mi spiace deluderti” rispose Terence ermetico.
A chi non lo conoscesse bene sarebbe potuto sembrare scorbutico ed antipatico, ma non era certo il caso di Robert che aveva visto con i propri occhi la sofferenza che attanagliava l’animo del suo pupillo.

“E’ la prima volta che veniamo a Chicago e non mi chiedi di farti sostituire.” disse Hathaway in un tentativo di spronare Terence a parlare e spiegargli le sue motivazioni, anche se aveva sempre sospettato che dietro il rifiuto di Terence di recarsi in quella città ci fosse quella ragazza dai riccioli biondi e gli occhi color smeraldo.

“Ho dei demoni da esorcizzare” rispose Terence vago.
“Amico mio pensi di essere pronto?”
“Probabilmente non lo sarò mai” rispose lui sincero.
Si era sempre rifiutato di recarsi a Chicago in tutti quegli anni,fino a quella volta.
Susanna era morta da circa 8 mesi e non aveva ancora avuto il coraggio di contattare la sua Tutte Lentiggini. Avrebbe voluto spedirle un invito per lo spettacolo ma aveva rinunciato, non sapeva molto di lei, Albert evitava di parlargliene nelle sue lettere, e lui, dal canto suo, evitava di chiedere per paura di ricevere notizie che gli avrebbero tolto anche quella flebile fiammella di speranza che ancora bruciava nel suo cuore.
Aveva paura di scoprire che lei si fosse rifatta una vita, che fosse andata avanti e che il suo cuore battesse per qualcun altro.
Si era rimproverato e maledetto molte volte per non essersi comportato diversamente tanti anni addietro, e adesso non si stava certo comportando più coraggiosamente.
“Non le hai riservato un posto?” osò la voce di Robert.
“Non ho avuto il coraggio di inviarle il biglietto, nonostante ci sia sempre un posto riservato per lei”
“Terence avere paura è umano, avere il timore di soffrire è comprensibile e naturale, ma lei potrebbe averti aspettato, non pensi che varrebbe la pena rischiare?” cercò di esortarlo Robert.
“Hai perfettamente ragione, so che nemmeno in questa occasione mi sto comportando da uomo.”
“Oh Terence ma non è certo una questione di essere uomini o meno e tu lo sai!” gli rispose l’amico gentilmente.

Robert aveva decisamente ragione e lui lo sapeva. Diverse volte aveva provato a scriverle una lettera che potesse accompagnare il biglietto, poi non sapendo cosa scrivere, aveva pensato di spedirle il solo biglietto, ma non era riuscito a fare nemmeno quello.

Rimase per qualche ora in sua compagnia, chiacchierarono del più e del meno evitando accuratamente di addentrarsi nuovamente in quell’argomento a Terence così caro ma così intimamente privato e doloroso, poi l’attore decise che era arrivata l’ora di tornare in cabina e provare a riposare, il viaggio sarebbe stato lungo e noioso ma doveva cercare di ricaricare le energie per lo spettacolo che si sarebbe tenuto la sera successiva.
Si addormentò perso fra i suoi pensieri e un incubo lo colse nel sonno.
Era in teatro, stava recitando il suo pezzo quando fra la folla aveva scorto un viso famigliare … bionda, riccioli ribelli, lentiggini, occhi verdi … poi una volta messo a fuoco si era reso conto che si trattava proprio di Candy, era proprio lei che rideva e scherzava con un giovane aitante e si comportava con lui come se fosse stato qualcosa di più di un semplice amico.
Poi la voce di Candy aveva preso il sopravvento interrompendo lo spettacolo e gli aveva rivolto parole che lo avevano ferito nel profondo “Sei uno stolto se hai creduto che potessi aspettarti per tutti questi anni, tu che mi hai lasciata andare senza nemmeno lottare per me, tu che hai accettato passivamente la mia decisione, come pensi che nel mio cuore ci possa essere ancora spazio per te?”  queste parole gli rimbombavano nelle orecchie seguite da una perfida risata.
“Terence sei proprio uno sciocco! Che razza di sogni fai?” si disse ad alta voce cercando di calmare quell’orribile sensazione che lo aveva assalito, quando si era svegliato di soprassalto.
 Si recò alla toilet per rinfrescarsi, poi tornò alla propria cabina e provò a ripassare mentalmente la sua parte.
In quel periodo andava in scena “Sogno di una notte di mezza estate” e lui interpretava il ruolo di Lisandro mentre a Karen era stata affidata la parte di Ermia. La recitazione era l’unica cosa che riusciva a calmarlo e fargli riprendere il controllo di sé stesso.

Il treno fermò nella stazione di Chicago.
Era fine aprile, il tempo mite,il sole splendeva alto nel cielo.
Terence sentì un groppo in gola quando mise piede sul marciapiedi.
Era la prima volta dopo almeno sei anni che tornava in quella città.
Con ogni probabilità stava toccando lo stesso suolo sul quale camminava lei, respirando la sua stessa aria. Inspirò a pieni polmoni come se quella condivisione di aria potesse fargliela sentire più vicina.
Quando tutti i suoi colleghi scesero dal treno si recarono all’esterno dove delle auto prenotate da Robert li attendevano per il trasferimento presso il Palmer House Hotel dove avrebbero soggiornato.
Terence si sentiva così strano, non sapeva se essere felice o meno.
Era irrequieto, cercava fra la folla sperando di vederla ma quando scovava una chioma bionda lo assaliva l’ansia di vederla con qualcun altro, l’ansia di vedere che nei suoi occhi non c’era più quell’amore che lei aveva nutrito per lui anni addietro, quello stesso amore per il quale lui sperava e sognava ancora.
Quando arrivarono in hotel fu sollevato di potersi recare nella propria stanza e chiudere il mondo al di fuori. I suoi colleghi, Karen in particolar modo, sembravano stranamente eccitati per quella rappresentazione. Avevano tutto il pomeriggio per poter fare conoscenza con il teatro e provare, l’indomani ci sarebbe stata la prova generale e poi la sera la messa in scena.
Terence disfò il proprio bagaglio, si recò in bagno e aprì l’acqua calda, lasciò che la vasca si riempisse, vi fece cadere delle gocce di bagnoschiuma, si liberò dei propri vestiti e vi entrò.
Si sedette e lasciò che l’acqua calda avvolgesse il suo corpo aiutandolo a rilassarsi.
Si sentiva stanco e provato, forse non era stata un’idea grandiosa quella di recarsi a Chicago, nonostante fosse in quella città da poco più di un’ora si sentiva prosciugato delle proprie energie fisiche e mentali,lo sforzo che stava facendo per mantenere il controllo e rimanere tranquillo stava cominciando a farsi sentire.
Decise di uscire dalla vasca e provare a dormire un po’, in altre occasioni probabilmente si sarebbe concesso una passeggiata ma il suo cuore gli diceva che era meglio evitare. Certo, Chicago era una grande città, molto probabilmente anche se fosse andato in giro non l’avrebbe incontrata, ma non voleva correre il rischio.
A fatica riuscì a dormicchiare un paio d’ore e quando bussarono alla porta della sua camera era ormai ora di recarsi in teatro per un sopralluogo e una breve prova.
“Chi è?” la voce di Terence assonnata.
“Terence manchi solo tu! Datti una mossa!” la voce impaziente di Karen proveniente dall’altro lato della porta.
“Arrivo fra un minuto vi raggiungo nella hall!”
“Va bene ti aspettiamo sbrigati!” disse Karen andandosene.
Terence si guardò allo specchio, nonostante avesse dormito si sentiva stanco, aveva delle leggere occhiaie che gli circondavano gli occhi, i capelli disordinati. Diede una breve spazzolata alla lunga chioma scura, si cambiò il maglione, rimise le scarpe e si affrettò lungo le scale.
“Finalmente! La prima donna si fa attendere oggi!” lo punzecchiò Karen notevolmente infastidita.
“Scusami Robert, stranamente mi sono addormentato!” disse lui sinceramente.
“Non ti preoccupare qualche minuto di ritardo sulla tabella di marcia non fa differenza, preferisco avere un attore riposato!” disse Robert cercando di non fare pesare a Terence il suo ritardo.
Terence non rispose ma lo guardò con gratitudine.
 Arrivati al Riviera Theatre ciascuno ebbe tempo per una prova sommaria della propria parte. Terence si sarebbe fermato come suo solito oltre l’orario per provare da solo.
Aveva bisogno di sentire il teatro suo, e solo potendovi stare da solo e potendo passeggiare indisturbato fra i corridoi avrebbe respirato la vera essenza di quel luogo.
Quando si liberò dei suoi compagni, ancora in costume di scena, salì sul palco, scrutò la platea, tante piccole sedie vuote che domani sarebbero state occupate da molte persone ma non lei, il solito posto che lui le riservava da cinque anni a questa parte sarebbe rimasto nuovamente vuoto. Guardò quel posto sulla propria balconata privata e si sentì stringere il cuore. Avrebbe voluto avere la sua musa a sostenerlo, a dirgli che tutto sarebbe andato per il verso giusto, a placare quell’irrequietezza che si era impadronita di lui.
Recitò alcune battute per poter regolare l’intensità della propria voce, doveva capire con quale forza proferirle in modo tale che anche coloro seduti nei posti più distanti dal palco potessero sentire le sue parole e potessero darvi il giusto peso.
Una volta terminata quell’operazione coprì il palco a grandi passi: sapeva essere maniacale quando si trattava del proprio lavoro, e inoltre non conosceva questa teatro e questo palco e sentiva di dover instaurare un certo feeling con quelle quattro mura.
A tarda notte si sentì abbastanza soddisfatto del lavoro svolto e tornò in hotel.
Si fece chiamare un taxi e poco dopo poté rinchiudersi nella sua stanza. Durante il tragitto si era fermato per comprare qualcosa da mangiare, non che avesse fame, ma il suo corpo cominciava a reclamare nuove energie. L’unico errore che commise fu quello di credere che fosse di calorie che il suo corpo necessitasse, mentre in realtà chiedeva alla sua mente di smettere di torturarlo concedendogli il meritato riposo.
 Quella notte cercò di riposare e non riuscendovi si alzò e rilesse alcuni dei versi che aveva scritto per la sua amata, chissà se un giorno li avrebbe letti. Aveva cominciato a scriverli ai tempi della St. Paul School, ormai non si trattava più di qualche paginetta scarabocchiata qua e là, avrebbe potuto mettere insieme un vero e proprio libro se avesse voluto, probabilmente non avrebbe nemmeno faticato a farselo pubblicare, ma quel libro, quei versi, quelle parole, non erano destinate ad un ampio pubblico ma ad un solo ed unico cuore.

L’indomani mattina la sveglia suonò presto e Terence ne approfittò per concedersi un bagno e poi fare colazione con calma, probabilmente i suoi colleghi dormivano ancora.
Fu sorpreso di notare Karen nella sala adibita alle colazioni, non era solita svegliarsi presto la mattina e preferiva riposare per avere un viso più disteso, almeno così era solita giustificarsi.
“Buongiorno Terence, dormito bene?”
“Buongiorno a te Karen. Immagino che tu abbia dormito bene visto che sei così mattiniera?”
“Ti dirò la verità non so come mai ma sono emozionata. Non è la prima volta che veniamo a Chicago, non è la prima volta che calco questo palco ma … so che mi prenderai per sciocca …” ci pensò un po’ prima di raccontargli cosa le era successo qualche giorno prima.
Lui la guardò perplesso, certo il suo rapporto con Karen era meno superficiale che con gli altri, ma non erano soliti intrattenere chiacchiere su argomenti personali, nonostante l’attrice fosse l’unica a sapere di Candy.
“Per fartela breve una cartomante mi ha detto che in questi giorni avrei incontrato una persona che mi avrebbe cambiato la vita.”
“Oddio Karen non pensavo che una donna pragmatica come te credesse a certe cose.”
“Terence mi hai fatto pentire di avertelo detto, sapevo di dover tenere la mia boccaccia chiusa.” si rimproverò la ragazza.
 Terminarono la colazione in silenzio. Karen non aveva voglia di sentirsi ribadire quanto fosse sciocco il motivo della sua eccitazione.
“Ora capisco come mai Karen si comporta in questa maniera così bizzarra.” aveva pensato Terence quando lei gli aveva condiviso con lui l’episodio della cartomante. Il ragazzo si era trattenuto dal ridere della collega, sapeva quanto potesse essere permalosa e non voleva certo scatenare la sua ira funesta.
 Terminata la colazione si accomiatò e tornò nella propria stanza. Fortuna volle che fosse dotata di un grammofono, così  poté ascoltare della buona musica che l’avrebbe sicuramente aiutato a rilassarsi.
 La mattinata ed il pomeriggio volarono, e con essi anche la prova generale prima dello spettacolo.
Fu presto sera: gli attori indossarono i costumi di scena e una volta truccati furono pronti per inscenare lo spettacolo.
   
 
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