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Autore: RomanticaLuna    11/05/2013    1 recensioni
Il Distretto 2 è sempre stato splendido, allegro, pieno di bimbi spensierati che correvano per le viuzze, le voci dei vecchi che ricordavano i vecchi tempi e raccontavano antiche leggende ai giovani. Lo scalpiccio dei lavoratori, alle miniere, i giochi, i divertimenti, le risate. Tutto è svanito, oggi. La guerra ha portato via ogni cosa che amavo.
La storia di una ragazzina che, attraverso i suoi grandi occhi azzurri, vede delle persone che ama morire a causa di Capitol City.
Genere: Azione, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Stiamo cenando. Devo ringraziare Jane per questo. Uccelli ben cotti e rane fritte sono sui fornelli, Alexandra mi da una mano, Margaret prepara la tavola mentre Rose gioca con i più piccoli. La TV si accende da sola.
“La rivolta è finita, i Distretti sono usciti perdenti. Uno di loro è stato completamente distrutto. Cosa succederà ora? Passiamo direttamente la parola al neo eletto presidente: il signor Primus Snow” annuncia il presentatore. È molto diverso da noi. Tutti gli abitanti della capitale sono diversi da noi. Il loro look eccentrico, le mentalità chiuse ed il sorriso sempre presente sulle labbra colorate. Provocano un odio profondo tra i più poveri di noi, che devono lottare anche solo per terminare la giornata.
Il presidente è un uomo di mezz’età, i capelli azzurri e neri, gli occhi grigi.
“La ringrazio, mio caro Ombrus. Voglio parlare direttamente agli abitanti dei Distretti. La guerra è stata persa e voi vorrete recuperare e piangere i vostri morti. D’altronde, sono umano pure io e credo sia giusto che i caduti abbiano un riconoscimento. Ora, come tutti sappiamo in quanto studiato a scuola, un’azione comporta una controazione, un effetto. Un Distretto è stato distrutto, non lo volevamo noi, l’avete voluto voi. L’immagine del distretto 13 passa in sovraimpressione, le macerie sono ancora in fumo. Alexandra si allontana da me velocemente e porta fuori i più piccoli. È alta in me la speranza che da ora in poi i Distretti collaboreranno con Capitol City, ma i miei soci non hanno questa sicurezza. Per questo motivo, in seduta comune e con un quadro dei morti e dei danni di questi giorni, abbiamo preso due grandi decisioni. Primo: invieremo dei nostri soldati in ogni Distretto, per sicurezza e controllo, con il compito di aiutare i cittadini nella loro relazione con la capitale; secondo: ogni anno, per rimpiangere l’enorme tasso di morti, verranno organizzati degli Hunger Games. Ogni distretto verrà rappresentato da due ragazzi, un maschio ed una femmina, che diventerà la star di un reality show. Il vincitore riceverà in dono una vita agiata e ricchezza per il proprio Distretto. Con ciò e con il più grande augurio a tutti di poter rinvenire e capire lo sbaglio fatto, termino il mio discorso. Ci sentiremo ancora presto, un saluto a tutta la comunità dal vostro presidente”
“Che figata!” dice Jane alzandosi.
“Cosa sarebbe la figata?” chiedo. La  cena è pronta e Jacob viene ad aiutarmi per servire le pietanze.
“Questa storia degli Hunger Games! Il vincitore sarà riconosciuto da tutti e avrà ricchezze per tutto il Distretto!” esclama come se fosse la cosa più ovvia.
“E per gli altri c’è la morte!” dico convinta. Jacob lascia cadere il piatto che si scheggia. Lo prendo e lo appoggio sul tavolo.
“Sono pronta, potrei vincere. Abbiamo bisogno di riscattarci un po’ di fronte agli occhi di Capitol City” pensa a voce alta. Jane. Sangue e combattimenti sono le sue uniche passioni. Forse è per questo che papà le ha dato come pietra preziosa il rubino. Rosso, il colore del sangue, il colore dell’odio e del dolore, il colore del fuoco che brucia ed uccide. Ma papà diceva che era anche il colore dell’affetto, dell’amore, perché era convinto che in fondo Jane provasse dei sentimenti ed era più che certo che se ci fossimo trovati nei guai lei ci avrebbe protetti.
“E’ pronto. Vai a chiamare Alex!” le ordina Jacob. Di lui ha un po’ di timore, forse perché è il maschio primogenito, è più muscoloso e potrebbe batterla in un combattimento corpo a corpo. Obbedisce e tutta la ciurma torna nel rifugio e si mette a tavola, affamata. Prego come sempre, ringraziando per il cibo, Jane alza gli occhi al cielo, ma non ci faccio caso. Mangiamo prima che si raffreddi o, per meglio dire, divoriamo il tutto a causa della fame. I gemellini piangono nella culla, hanno ovviamente fame anche loro e come sempre toccherà a me servire i loro bisogni. Con sorpresa vedo Margaret e Rose alzarsi: loro non fanno mai niente in casa!
“Oggi loro sono nostri” mi dice Rose “Voi trovate altri lavori” esclama Margaret.
“Lavori in miniera domani?” chiede Jane a Jacob, che annuisce “Posso venire con te?”
“NO” risponde lui
“Perché?”
“Sei troppo piccola”
“Ho solo un anno in meno di te!” urla inviperita.
“Portala con te! C’è bisogno di tutto l’aiuto possibile sia alle miniere che in città e lei causerebbe solo danni insieme a noi” bisbiglio a mio fratello. Ci pensa un attimo, so che sta pensando agli aspetti negativi per lui e per noi di avere in giro Jane.
“Ok” dice alla fine “ma fai quello che ti dico io!”
“Ovvio!” ride felice è entusiasta di se stessa.

La mattina porta consiglio, la mattina ha l’oro in bocca, la mattina è la madre dei mestieri…questi sono alcuni dei detti che sentivo dire dai vecchi per strada, quando volevano che i ragazzini andassero a scuola.
Ma questa mattina vediamo realmente i disastri causati dalla Rivolta.
Tutta la famiglia esce in strada, tutti devono aiutare. Jacob e Jane ci salutano mentre  si dirigono alle miniere, io, Alexandra, Rose e Margaret andiamo in paese per ripulire le strade dalle macerie ed aiutare chi ha più bisogno. I più piccoli vanno al prato enorme dove un gruppo di giovani donne si sono offerte di farli giocare. Vedo, però, che ci stanno seguendo anche Mirko ed Elinor, così li aspettiamo.
“Io vado all’ospedale, vedo se è stato portato là qualcuno dei feriti” dice Alex, lasciandoci al bivio tra due viuzze.
“Io vado alla scuola” esclama Rose “E io in centro. Tu puoi iniziare con il vecchio negozio di nonna!” dichiara invece Margaret. Annuisco e, dopo un saluto veloce, ognuna prende la sua strada. I piccoli vengono con me, almeno conoscono la vecchia baracca di fiori e non rischieremo di incontrare cadaveri  sulla strada.
Il negozio di nonna è vicino al cimitero, in periferia, una zona poco colpita. È una piccola bottega decorata allegramente e la cui attività principale è quella di vendere fiori. Quando nonna era viva quella stanzetta era molto frequentata e guadagnava molto, ma dopo la sua morte ed il passaggio nelle mani di mamma perse molta della sua fama. Mamma non ci guardava molto, non aveva tempo e io l’aiutavo più che riuscivo, ma c’erano sempre troppe cose da fare. Ora passava a noi figli. I terremoti non l’hanno disfatta, qualche vetro scoppiato è sparso per terra, i vasi di fiori sono tutti rovesciati, ma nulla di più. La struttura vecchia e marcia della baracca ha retto.
“Eli vai dentro a controllare i danni. Io pulisco qui fuori. Mirko, vai a dare una mano alla signora Smith, dall’altra parte della strada. È vecchia e non riesce a fare molto nelle sue condizioni” dico ai miei fratellini. Ubbidiscono entrambi. Io prendo una pala e tolgo le tegole cadute dai tetti, facendone mucchietti in parte all’entrata. Elinor mette in ordine i fiori, li bagna e li accudisce come faceva la nonna, toglie le foglie più vecchie e decrepite così che le nuove possano formarsi. È molto brava, sembra nata per essere fiorista. Passo in rassegna tutta la via, eliminando ogni traccia delle macerie e poi butto tutto in un grosso bidone e torno al negozio. Sembra tutto come prima della Rivolta che ha occupato l’intera settimana. Mi siedo sotto la finestra senza vetri e guardo mia sorella finire di pulire e rendere nuovamente presentabile quella misera stanza ricca di colori  e profumi. I capelli castani sono legati in una coda alta e stretta, il corpo magro contenuto in una vecchia maglia di papà trovata in soffitta, che le arriva fino a metà gamba. L’ametista viola che ha appesa al collo con una corda sottile si muove regolarmente, avanti e indietro. Quella pietruzza che lei stessa aveva trovato all’età di un anno, quando aveva seguito in miniera papà. Il viola è considerato il colore del mistero e, effettivamente, nessuno capisce mai cosa Elinor pensa, ma è anche il colore dell’intelligenza, della nobiltà e, secondo alcuni, della tristezza. Come per tutti noi, la sua pietra la rappresenta. Come con tutti noi, mamma e papà le hanno dato un gioiello che racchiude una particolarità e che è associato ad un colore che ritrae il suo carattere. È come se, ancora prima di conoscerci veramente, i nostri genitori sapessero già come saremmo diventati. O, forse, sono le pietre stesse che ci hanno scelti e hanno formato i nostri caratteri. Continuo a guardare la piccola Elinor, così composta e pensierosa e mi accorgo che sta piangendo mentre guarda due rose bianche. I suoi bellissimi occhi azzurri, ora sono rossi come il sangue versato in questi giorni.

  
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