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Autore: Big Foot    11/05/2013    2 recensioni
Alberto è un ragazzo giovane, una matricola all'università; è autoironico da sempre e adora prendersi in giro, ma nonostante questo è felice della sua vita, regolare e per niente avventurosa, monotona nelle sue abitudini, ma proprio per questo priva di fastidiose sorprese inaspettate. Questa è la storia di come la sua vita (o la mia vita, sta a voi sceglierlo) cambi di colpo e di come, inaspettatamente e suo malgrado, si riempia di avventure.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-3-

Avevo riconosciuto la persona al citofono senza che mi dicesse il suo nome e, visto in che modo è riuscito a parlarmi, devo darvi qualche informazione, così, per non farvi spaventare tra qualche riga.
Lui si chiama Marco ed è una matricola proprio come me; è uno sbruffone (in senso buono se così si può dire) e si sente molto sicuro di se, nello sport, nel rapportarsi con gli altri e, ovviamente, con le ragazze: ha le sue tecniche infallibili, così dice, per portarsele a letto e non perderebbe mai l'occasione di poterci onorare con una di queste perle di saggezza; da bravo ingegnere informatico sta anche lavorando a un programma chiamato "The List" su cui vuole inserire tutti i nomi e le caratteristiche di tutte le ragazze con cui ci ha provato con tanto di voto; vuole farla diventare anche un applicazione per il suo cellulare, rigorosamente Android.
L'aspetto fisico lo aiuta, essendo lui poco più alto di me, ma decisamente più atletico, con la carnagione scura e capelli neri tenuti sempre corti. Gli occhi lasciano un po' perplessi all'inizio: l'occhio sinistro è castano scuro, mentre l'altro è azzurro ghiaccio; la prima volta che me ne accorsi non riuscivo a smetterli di fissarli, ma dopo qualche tempo ci feci l'abitudine, come tutti.
Come avrete notato dal nostro dialogo di prima un'altra sua caratteristica è il saper ruttare a comando anche per minuti interi, dicendo intere frasi e terminando con un commento soddisfatto come "Questa, amico mio, è poesia."
Ma torniamo a noi, io sapevo già che quando avrei aperto la porta Marco sarebbe stato vestito impeccabilmente come sempre, senza un capello fuori posto, e la cosa sarebbe risaltata ancora di più visto il mio stato in quel preciso momento: boxer, ciabatte e la solita scultura d'arte moderna sulla testa, e infatti quando aprii la porta vidi che era vestito proprio come mi ero aspettato, con un pizzico di trascuratezza dato dalle Converse che aveva ai piedi a cui è decisamente affezionato; non appena entrò mi abbracciò un attimo e poi mi disse "Ho saputo che quella tipa ti ha mollato. E ti ha anche fatto diventare un cervo, la stronza."
Io lo guardai con gli occhi spalancati e risposi di sì, che era vero, ma lui come l'aveva saputo? "Il mondo è piccolo e poi a Medicina c'è mia cugina, ti ricordi?" Ci pensai un attimo e poi mi ricordai: Andrea è la cugina torinese di Marco che, guarda caso, era diventata amica di Roberta.
Chiusi gli occhi, mi sedetti sul divano e chiesi a Marco di raccontarmi ciò che sapeva; lui ruttò un "Comandi!" con tanto di saluto militare e iniziò a raccontare: da qualche mese Roberta provava per me solo amicizia senza però riuscire a dirmelo; in questo stato confusionale si era gettata tra le braccia (o per meglio dire tra le gambe) di un figlio di papà che era nel suo corso, finendo poi per innamorarsi di lui. E fu così che, da timido cerbiatto qual'ero, divenni un possente cervo con un paio di palchi altrettanto imponenti. Dopo che ebbe terminato gli chiesi "Marco, ma com'è possibile? Stavamo insieme da due anni, le ho dato tutto me stesso e lei cosa fa? Mi tradisce con uno solo perché ha il portafogli più grande del mio?". Lui mi diede una pacca sulla spalla e replicò "Vedi Alby, certe ragazze dopo tanto tempo si annoiano e hanno bisogno di nuovi stimoli, nuove esperienze.. Con questo non voglio dire che lei non abbia sbagliato, è stata proprio una stronza, ma tu ora non pensarci. Devi uscire, divertirti e sopratutto pensare a..?" "A scopare," risposi io sorridendo, " lo so." Sorrise anche lui e poi iniziò ad intonare una delle sue solite "poesie", facendomi cascare dal divano per le risate. "Dai, ora devo andare che ho lezione, magari avessi anche io il venerdì libero!".
Lo accompagnai alla porta e ci salutammo; mentre la chiudevo pensai che in fondo avesse ragione: dovevo distrarmi e cercare di non pensarci più. Animato da questo proposito mi feci una doccia, mi vestii e andai a farmi un giro per il centro. Mentre mi allontanavo da Mirafiori sul mio fidato tram, Torino iniziava a farsi sempre meno fumosa (se escludiamo tutti i fumatori che girano per strada) e meno caotica, più ordinata; arrivai alla mia fermata, la stazione di Porta Nuova, perennemente in restauro, e scesi allontanandomi dalla folla, desideroso di compiere a piedi l'ultimo tratto.
Passai dentro un piccolo parco e vidi un ragazzo e una ragazza che scrivevano le loro iniziali, sopra le loro orme, lui è più alto e per questo la abbraccia da dietro toccandole la testa con il mento; li invidiai, invidiai la loro felicità, ma poi mi feci forza dicendomi che anche io, un giorno, sarei stato felice come loro, forse anche di più. Passai sotto ai portici con la neve che turbinava per le strade, incurante delle macchine che ricopriva; entrai in una libreria antiquaria e mi misi a osservare i volumi senza acquistare niente, ma mi piacque stare lì, al caldo e circondato da quell'odore di antico, ma non vecchio.
Uscii nuovamente al freddo, ma stavolta misi le cuffie e premetti play: Ghost 'N' Stuff iniziò a darmi la carica mentre attraversavo Piazza Castello, apparentemente senza meta e forse lo ero davvero, ma in fondo a chi importava? Sorrisi quando riuscii a prendere un singolo fiocco di neve con la mano, quando feci il photobomber a una famiglia tedesca che si stava facendo una foto davanti a Palazzo Madama, sorrisi persino quando scivolai su un mucchio di neve come una pattinatrice ubriaca. Prima che me ne rendessi conto si fece buio e arrivò una mia amica: la fame; così entrai al McDonald's e ordinai uno dei miei soliti menù enormi, pensando che forse in quei panini c'era l'ultimo cassiere che era stato licenziato.
Dopo aver preso tutto mi avvicinai a uno dei banconi e mi sedetti vicino alla presa, lontano da un gruppo di ragazzi seduti a un tavolo; iniziai a mangiare (o forse è meglio dire divorare) il primo panino quando entrò un ragazzo straniero, forse brasiliano dall'accento,  con un trolley al seguito. Era decisamente un bel ragazzo, vestito molto bene, con i bicipiti che scalpitavano inquieti sotto le maniche della camicia color pesca e i capelli neri nascosti da una coppola; mentre aspettava la sua ordinazione gli squillò un telefono in tasca, rispose e lo sentii dire che è appena arrivato a Torino e poi alcune frasi su un posto letto a Caselle, cosa che mi fece pensare che fosse uno studente universitario anche lui.
Mi concentrai sul mio secondo panino e dopo qualche minuto sentii una voce con un accento particolare, la sua voce, che mi chiede se può sedersi al mio posto per usare la presa; io gli risposi con un "Sì certo, figurati" e mi spostai sullo sgabello accanto; "Sei stato gentile, grazie davvero." mi disse, io gli risposi che non doveva preoccuparsi, in fondo io la presa non la stavo usando.

A un certo punto gli chiesi cosa studiasse e lui dopo una risatina mi rispose "No, no, io non studio. Faccio un lavoro che mi porta a girare per tutta Italia e a volte anche in Svizzera o in Francia e quello con cui parlavo era un mio cliente."
"Capisco," replicai sorseggiando la mia Coca-Cola "ma di dove sei?" Mi disse che era brasiliano e che era arrivato lì in Italia da qualche anno, poi mi guardò e mi chiese se io studiassi e io gli dissi di sì, "Studio Ingegneria Meccanica qui al Politecnico."
"Fai bene!" Replicò, "Io mi sono sempre pentito di non aver studiato. Studiare è importante. Tu però hai qualcosa che non va, vero?" Sorrisi, un sorriso mesto e dolce come l'aceto, "E' così evidente?" "No, ma io sono abituato a vedere queste cose." Finii la Coca e risposi "La mia ragazza mi ha mollato, dopo due anni che stavamo insieme. Mi sento distrutto, anche se sto cercando in tutti i modi di non pensarci."
"Fai bene," risponde lui mentre controlla il cellulare,"anzi benissimo! Forse è per queste cose che mi piacciono gli uomini e poi i miei clienti queste cose non le fanno mai." Lo guardai un attimo e poi chiesi, già sapendo quale sarebbe stata la risposta, "Ma che lavoro fai tu?" Lui mi guardò negli occhi e disse "Andiamo, hai capito che lavoro è il mio. Ogni tanto, quando mi capita l'occasione di parlarne con uno sconosciuto, faccio questo discorso. Mi fa sentire meglio parlarne con qualcuno che non conosco. Non che io mi possa lamentare, è un lavoro pagato molto bene ed è anche divertente se capisci cosa intendo."
Eccome se intendevo cosa volesse dire. Insomma, stavo parlando con un escort brasiliano di lusso. "Tu non sei torinese, vero? Di dove sei?" gli risposi che ero siciliano e lui disse "I siciliani sono davvero molto bravi, ma un po' tirchi, mentre i migliori sono i sardi, non sai che scopate ho fatto lì." E io non avevo intenzione di sapere i dettagli, quindi me ne uscii con un goffo "Direi che hai trovato un ottimo lavoro." Lui staccò il caricabatterie dalla presa e disse "Lo so, lo so. Io vado, il mio cliente mi sta passando a prendere, è stato un piacere parlare con una persona gentile come te. E non pensarci a quella ragazza, con quel sorriso ne troverai altre cento. Buona fortuna con lo studio!" e se ne andò, mentre lo salutavo con la mano farfugliandogli un ciao. Buttai il mio vassoio e uscii anche io, avviandomi verso la stazione; vidi una Ferrari bianca che si allontanava dal fastfood e pensai che con la crisi che c'era un lavoro come quello l'avrebbero voluto tutti e che quelli a cui non andava tanto bene si sarebbero di sicuro adattati.
Camminai cullato dalla musica che una violinista suonava in Piazza San Carlo, rapito dallo spettacolo insolito, per me, della neve che cadeva e ricopriva ogni cosa. Ero sul tram quando mi accorsi che quel ragazzo mi aveva detto che sono carino. Era gay, è vero, ma cazzo mi aveva fatto un complimento. Quello sì che mi fece sorridere.

-4-

Passò qualche giorno, la routine quotidiana mi risucchio nel suo caos di orari, di lezioni e di studio e pian piano iniziai a pensare sempre meno a Roberta. Non mi ero dimenticato di lei, ma semplicemente la accantonai, chiusa in un angolino remoto della mia mente, e ci riuscivo quasi sempre, davvero. Eccetto la mattina, quando la forza dell'abitudine mi faceva cercare la nostra foto, e la sera mentre cercavo di dormire, che è il momento in cui analizzo la giornata appena trascorsa e organizzo la successiva; è una mia abitudine, cerco di evitare problemi inaspettati, ma ora vi chiedo: dopo che avete conosciuto Marco secondo voi potevo farcela? No, ovviamente.
Una sera, era passata una settimana dal mio incontro insolito al McDonald's, ero sdraiato sul letto a fissare il soffitto e, mi duole ammetterlo, pensavo di chiedere a Roberta di tornare insieme; la mia mente contorta pensava che, se eravamo stati insieme due anni senza nessun problema, potevamo tornare insieme. Difficoltà? Le avremmo superate. Il problema dell'attizzo? Le avrei fatto tornare in mente perché prima lo provava nei miei confronti. Le mie corna? Ci avrei messo una pietra sopra. Ad essere sincero non era per niente un bel momento. Mentre pensavo al discorso da farle mi arrivò un messaggio di Marco con scritto "Hey Alby, domattina facciamo un giro con alcuni miei colleghi e Andrea, non accetto un no come risposta. Tieniti pronto perché alle otto e mezza ti passo a prendere! P.S. Portati un cambio di vestiti. " Feci un sospiro a metà tra il seccato e il divertito e gli risposi che sarei andato con loro. Ovviamente iniziai a pensare all'organizzazione della giornata: i vestiti puliti c'erano, la barba era accettabile e per i capelli usai la Tecnica n°4 Per Avere i Capelli In Ordine (T.P.A.C.I.O. n°4) che consiste nell'andare a letto con i capelli in un completo disordine, facendo così si ha il 30% di probabilità di svegliarsi con i capelli in ordine. Dopo aver ricreato di proposito il caos sulla mia testa mi lanciai nel letto e mi addormentai subito.
Il mattino dopo mi ricordai di aver compiuto un gravissimo errore: non avevo impostato la sveglia. Corsi a rispondere al citofono, il dannatissimo citofono, e risposi urlando "Sono svegliooooo!!" Ci fu un po' di silenzio e poi una voce mi disse, con una calma glaciale "Io invece sono il postino e una volta avevo dei timpani." Mi scusai, pensando che non c'era modo migliore di iniziare la giornata se non con una figura di merda. Subito dopo arrivò Marco che mi disse di sbrigarmi e io, saltellando con una gamba dentro i pantaloni e l'altra fuori, gli risposi di andare al diavolo; seguì un discorso decisamente filosofico sulle professioni e le compagnie delle rispettive sorelle, finché non riuscii a vestirmi (senza pettinarmi, perché la Tecnica aveva funzionato) e a volare di sotto, dove mi aspettava una Fiat 127 color senape riconvertita a metano, una macchina così piccola che il bagagliaio era occupato interamente dalla bombola. Chiamata, e anche molto seriamente, il Bolide, quella era la macchina di Marco che, come le sue Converse, stonava un po' col suo lato elegante, ma faceva parte di lui; saltai nel comodo divanetto posteriore e salutai Andrea che era seduta davanti.
Andrea è una ragazza più alta della norma, con i capelli ramati tagliati sempre molto corti, un bel sorriso e uno sguardo ipnotico: se suo cugino ha gli occhi di due colori diversi i suoi sono caratterizzati dal mosaicismo cromatico, ovvero metà iride del suo occhio sinistro è castana, mentre sia l'altra metà che l'altro occhio sono di color verde smeraldo. Nonostante sia una ragazza gentile scherza proprio come Marco e fin troppo spesso li ho sentiti lanciarsi in una gara di "poesie" dopo aver bevuto litri di bevande gassate; diciamo che è una ragazza particolare, forse un po' un maschiaccio nel modo di vestire (con una passione per le magliette larghe), ma decisamente carina.
"Ciao Andy!" le feci con un sorrisetto , sapendo che le avrebbe fatto girare le scatole, "Non provare a chiamarmi ancora così, brutto.." Ma prima che potesse continuare venne censurata da un rutto di suo cugino che ci fece ridere tutti; "So già che mi farai qualche domanda al riguardo, quindi ti rispondo prima" continuò lei, "con Roberta non ci parlo da quando mi ha detto quello che ti ha fatto, come ha detto il mio cuginetto è stata proprio una merda. Davvero, non te lo meritavi.. E sapessi con chi l'ha fatto! E' un coglione totale." "Non ci pensare," mi fece Marco, "e anche tu, cuginetta, dovresti evitare di tirare fuori questi argomenti. Piuttosto Alby, prova a indovinare dove andiamo oggi!"
"Mmm.. Andiamo all'Otto Gallery?" 
"Acquaaa!" Mi risposero in coro. "E poi a cosa cazzo ti servirebbe il cambio di vestiti se andassimo in un centro commerciale?"
"Giusto, giusto. Mi portate di nuovo al Museo dell'Automobile?"
"Amico, credo che otto volte possano bastare, per adesso. E mi sembra che tu non abbia capito la storia del cambio."
"Sai che mi piace. Per il cambio lo sai che sono un deficiente. Un pranzo in collina?"
"Se prima era oceano ora stai risalendo il fiume," fece Marco "Almeno hai indovinato che stiamo uscendo da Torino."                                                                                           
"Non dirmi che stiamo davvero andando a fare quel viaggio negli States in macchina."      
"Ho detto che stiamo uscendo da Torino, non dall'Italia. Cos'hai in testa, le ragnatele?"
"Certo che no, la spolvero ogni tanto. Datemi almeno un indizio, dai!"
"Vediamo.." disse Andrea girandosi verso di me, "Dove stiamo andando c'è un bel porto e fanno della focaccia davvero buona."                                       
"Andiamo a Genova?" Chiesi con gli occhi grandi quanto due palline da tennis.
"Ebbene sì! Abbiamo pensato che ti potesse fare bene. E dormiamo anche là! Ah, per il costume non preoccuparti, te ne presto uno io."
"Ma siamo a Gennaio!! Ci sono cinque centimetri di neve!" Dissi  indicando il paesaggio fuori dal finestrino.
"Smettila di fare lo scemo e dimmi chi preferiresti ascoltare: gli U2 o i Green Day?" Mi chiese Andrea con il telefono in mano. Rifeci lo stesso sorrisetto di prima e risposi "I Daft Punk non vanno bene?" Domanda alla quale seguì un brutto gesto e Holiday.
Tra una risata e l'altra arrivammo a Genova che era, proprio come Torino, ricoperta di un candido manto di neve; parcheggiammo la 127 (che in questo senso era decisamente pratica) vicino l'acquario e poi ci incamminammo verso l'entrata. "Insomma," dissi io a un certo punto, "è proprio una giornata perfetta per un bel bagno." Marco mi diede uno spintone affettuoso e mi disse "Ma ringrazia che ti abbiamo portato qui invece che lamentarti del meteo." A questo punto fu lui a beccarsi uno spintone, ma da sua cugina; "Veramente l'idea dell'acquario l'ho avuta io," fece lei, "non prenderti il merito." Lui alzò gli occhi al cielo, "Sì, ma ti sarebbe venuta in mente se io non ti avessi detto che da piccolo voleva fare il biologo marino?"
"Forse no," replicò Andrea mentre mi si aggrappava al braccio, "ma oggi me lo spupazzo io. Tu corri a provarci con quella tua collega con una quarta di seno, riesco a vedere fin da qua che ti aspetta all'ingresso." Marco rise, mentre io mi chiedevo, rosso come un peperone e con un sorrisetto da ebete,  perché diavolo Andrea si fosse aggrappata al mio braccio come un pappagallo si aggrappa al suo trespolo; "Ti sbagli, cara. Con le donne bisogna far finta di essere indifferenti e dovresti saperlo." 
All'ingresso trovammo, oltre alla ragazza di cui parlavamo prima, altri due colleghi di Marco che non avevo mai visto prima; dopo aver fatto i biglietti ed evitato una foto con Splaffy, la mascotte dell'acquario, iniziammo il nostro tour. Quello di Genova è un bellissimo acquario, c'è di tutto: meduse, squali, pesci palla, persino i coccodrilli! Vi risparmierò le battute che ci siamo scambiati con Marco non appena abbiamo visto quant'era grande una tartaruga marina ("Tua sorella è ancora più grassa!") e neanche la soddisfazione che ho provato nel vedere l'orrore dipinto sulla sua faccia quando, con l'inganno, gli ho fatto vedere il millepiedi gigante; il resto della visita l'ho passato a chiacchierare con Andrea, a scherzare e, ogni tanto, io le spiegavo che pesce era quello o come faceva il polipo a cambiare colore; "Sei bravo a spiegare le cose, sai?" Sorrisi, "No, sono solo un po' fissato con gli animali. E poi mi piace aiutare gli altri. Mi fa stare meglio." Lei si mise en garde e mi puntò addosso una spada immaginaria, "Non sarai mica un novello Zorro?" Io usai la mappa dell'acquario come scudo facendola ridere e risposi "No, preferisco chiamarlo il complesso del supereroe." Riprendemmo a camminare per non perdere gli altri e continuai "Quando vedo qualcuno in difficoltà cerco sempre di dare una mano per tirarlo fuori da quella situazione e se non ci riesco sto male. Ma male sul serio, cioè mi viene il mal di pancia. E visto che mi succede con tutti ho deciso di chiamarlo complesso del supereroe. In altre parole, Andy, il tuo amico è un disagiato mentale."
Lei rise di nuovo (ho già detto che ha una bella risata?) e mi arruffò i capelli, "Non credo che tu stia così male, vorresti solo essere superman!"
"Non ti ho detto tutto! Ho anche paura delle vespe e delle api." dissi io, passando davanti a un terrario pieno di rane pomodoro.
"Non ci vedo niente di male."
"Ma ho così paura che, quando entra una mosca in casa, se mi passa vicino la testa mi nascondo sotto il tavolo o corro via dalla stanza pensando sia una vespa, nonostante io sappia benissimo che è una mosca!"
"Ok, questo è già più preoccupante. Facciamo una prova."
"Cosa intendi con..?" Ma prima che io potessi finire lei iniziò a girarmi attorno ronzando e io, cercando di non ridere, iniziai a correre agitando le braccia sotto gli occhi di tutti mentre Marco faceva finta di non conoscerci.
Quando il giro dell'acquario finì ci dirigemmo verso un ristorante dove, ovviamente, ordinammo tutti pasta al pesto. All'improvviso, mentre io stavo finendo la mia seconda fetta di torta, Marco mi chiese di uscire un attimo; io bofonchiai con la bocca piena e andai con lui, una volta fuori mi chiese se mi stavo divertendo e io risposi "Sì, certo. Ho come l'impressione che non mi divertissi così da tanto tempo. Tu invece? Come va con la bionda?" Lui sbuffò "Lei? E' un nove pieno, ma è fin troppo appiccicosa per i miei gusti. Ciò non toglie che qualcosa riuscirò a concluderla," e mi fece l'occhiolino, "quindi ti dovrai tenere mia cugina per un po' stasera, mentre io me la faccio in ogni posizione fisicamente possibile nella nostra stanza." "Resta anche lei?" chiesi, "Mi aspettavo che in albergo saremmo rimasti solo noi, i tre moschettieri." mi guardò con l'aria di chi la sa lunga e disse "Se con le donne sai come comportarti puoi convincerle a fare qualunque cosa, regola n°5." Sbuffai, "E sia, porterò tua cugina a fare un giro, ma mi devi un favore, compare." Lui  mi mise un braccio attorno alle spalle e disse "Te lo restituisco, tranquillo. Ora vai a finire la torta che è meglio. Ancora non riesco a credere che hai avuto la faccia tosta di chiederne un'altra dopo aver fatto il bis di praticamente ogni cosa." Alzai le spalle, "Che vuoi che ti dica? Quando ho fame ho fame."

-5-

Quando il pranzo finì (dopo la mia terza fetta di torta e il caffè) salutammo i due colleghi di Marco che tornarono a Torino, mentre il resto della comitiva, inclusa Ingrid, la tettona scandinava, si dirigeva verso la pensione che ci avrebbe ospitati per la notte. Pagammo le stanze (due doppie che solo in teoria furono divise in maschile e femminile) e portammo su i nostri miseri bagagli; sul pianerottolo, mentre io cercavo di aprire la porta, Marco propose di fare un giro la sera tutti e quattro "per divertirci tutti insieme." Le ragazze accettarono mentre io mi immaginavo già come sarebbe finita, ovvero con la padrona della pensione che si lamentava per i rumori molesti in tarda notte. Quando chiusi la porta chiesi a Marco se sarebbe andata così e lui, ghignando, mi rispose "Amico, cercherò di non farla urlare troppo." "Pfff," sbuffai, "non riusciresti a far urlare una donna neanche con un coltello in mano e la faccia da maniaco omicida." Lui raccolse la sfida, ed iniziammo:
"Tu ce l'hai così piccolo che quando devi pisciare devi usare le pinzette per prenderlo."
"Il tuo è così piccolo che stanotte userai soltanto una narice di Ingrid, altro che patata." Colpito e affondato.
"Tua sorella è così grassa che quando morirà dovranno seppellirla in una Multipla senza sedili."
"No, eh. La Multipla no." E mi ritrassi da lui, schifato. "Sai benissimo cosa ne penso."
"E invece andrà proprio così." Rispose lui soddisfatto.
"Ah sì? Beh, tua sorella l'ha preso così tante volte nel culo che ormai non si accorge più di dover cagare."
"La tua l'ha data via così tante volte che ormai è in saldo."
Gli risposi tirandogli una scarpa, che venne schivata abilmente, a cui lui rispose svuotandomi addosso mezza bomboletta di deodorante. Dopo aver fatto una ventina di minuti di sano wrestling sul pavimento ci lanciammo sul divano, sfiniti; "Vai a farti la doccia, che stasera si tromba!" Mi alzai ridendo e precisai "Casomai 'Vai a farti la doccia, che stasera trombo!' " Lui agitò la mano, "Non c'è bisogno di essere così pignoli su queste sottigliezze."
Dopo esserci lavati, vestiti e profumati (senza wrestling stavolta) bussammo alla camera delle ragazze e sentimmo la solita battuta del solito copione: "Cinque minuti!" Sospirammo avviliti, "Non cambieranno mai, vero?" feci io, "No, non accadrà," mi rispose Marco, "se esistono infiniti universi sono sicuro di una cosa: in tutti questi universi le donne chiedono altri cinque minuti per sistemarsi usandone in realtà almeno quindici." Mi sedetti sul pavimento, "Una costante multiversale quindi?" Lui seguì il mio esempio e disse "Sì certo, un po' come.."
"Gli autobus in sciopero quando devi prendere l'aereo?"
"Ovvio. Come anche la regola dell'ombrello: se ce l'hai non piove, se non ce l'hai arriva una tempesta monsonica ovunque tu sia."
"Allora anche la regola dei cassetti: quello che cerchi è sempre nell'ultimo che controlli."
"O quel piccolo buco nero in ogni lavatrice che fa sparire i calzini, sennò come te li spieghi quelli spaiati?"
"Ho come l'impressione che la vostra teoria faccia acqua da tutte le parti." Replicò una voce dall'alto.
Ci alzammo di scatto e ci trovammo davanti Andrea, o meglio, quella che sembrava essere Andrea: aveva degli stivaletti da neve in camoscio beige  ai piedi, seguiti da degli attillatissimi pantaloni in pelle neri, un top grigio, che mostrava come la natura fosse stata decisamente generosa con lei, e una giacca militare verde oliva; "Allora, come sto?" ci chiese la ragazza che si rivelò essere proprio Andrea, "Beh, stai davvero molto bene!" Risposi io non appena recuperai l'uso della parola, Marco le pizzicò una guancia e disse "Sei uno schianto, cuginetta." Lei sorrise, radiosa, "Grazie ragazzi, ho voluto provare qualcosa di diverso stasera. Alberto, ma stai bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma." Scossi forte la testa, "Tranquilla sto bene, un piccolo calo di pressione." Certo, la pressione. Dopo un pochino uscì anche la bionda, infilata a forza in un vestitino rosa confetto, e andammo allo stesso ristorante del pranzo.
Quando entrammo dentro il cuoco scoppiò a piangere dopo avermi riconosciuto e, dopo avergli promesso che quella volta mi sarei limitato, ci sedemmo al tavolo. "Allora cosa prendete?" chiese il cameriere, "Alberto," mi disse Marco, "tu ricordati della promessa che hai fatto al cuoco." Alzai gli occhi al cielo, "Sì, sì, me lo ricordo. Vorrà dire che prenderò la grande grigliata mista." Sentii dei singhiozzi provenire dalla cucina e sospirai tra le risate degli altri, "Va bene, prenderò dei cannelloni alla ligure allora." Poi dissi sottovoce al cameriere "Passi più tardi che ordino il dolce." Andrea, seduta accanto a me, sorrise e scosse la testa, borbottando "Sei incorreggibile.."
Dopo una cena modesta, e dopo aver promesso al cuoco che prima di tornare in quel ristorante lo avrei avvisato due settimane prima, salutammo e uscimmo fuori. "Ragazzi," ci disse Marco, "io accompagno Ingrid alla pensione che non si sente bene. Voi fatevi un giro," e qui mi fece l'occhiolino, "ci vediamo dopo!" Lo salutammo e dissi sottovoce ad Andrea "Lo sai cosa stanno andando a fare, vero?" Lei sorrise e disse "Sì, infatti non capisco perché mio cugino continui a inventarsi cazzate. Allora, dove andiamo?" "Direi proprio di andare verso quella parte" replicai io, indicando a destra. Lei alzò un sopracciglio, "Perché di là? Non vorrai andare in quel parco?" Sbuffai, "Non sono un malato come tuo cugino, ho proposto di andare da quella parte perché c'è un irish pub e, visto che il clima non è proprio estivo, è meglio stare al caldo, no?" "Gne gne," fece lei sorridendo, "sei davvero insopportabile." Risi anche io, "Mai quanto lei, milady. Se ora vogliamo avviarci.." "Ecco, visto cosa intendevo? Sei odioso." "Minchia, sta parlando!" E continuammo a punzecchiarci così fino al pub. Dopo essere entrati al caldo (ancora quella strana sensazione) ci sedemmo a un tavolo e chiamammo un cameriere; "Cosa vi servo, ragazzi?" "Vediamo," dissi, " io prendo una scura artigianale da mezzo litro." Lui lo appuntò e poi fu il turno di Andrea.
 "Io invece prendo una Coro.." ma si bloccò vedendomi scuotere lievemente la testa.
 "Cioè, intendevo una Moret.." scossi nuovamente la testa.
"Ok, prenderò una Nast.." scossi la testa con più foga delle altre volte.
"Volevo dire una bion.."  la bloccai per l'ennesima volta.
"Ok," sospirò lei, "Prenderò la stessa che ha preso lui." E io, finalmente, annuii.
Dopo che il cameriere, visibilmente scocciato, se ne andò lei mi tirò un calcio sotto al tavolo e mi disse "Ecco cosa intendevo quando prima dicevo che sei insopportabile!" Risi,"Volevo solo consigliarti." Lei alzò le braccia, incredula e divertita allo stesso tempo, "E non potevi dirmelo a voce?" "Nossignora," feci io appoggiandomi allo schienale della sedia, "perché facendo così hai imparato una delle più grandi lezioni che la vita possa mai insegnarti." Lei scoppiò a ridere e poi disse "E quale sarebbe, sentiamo." Assunsi una posa da macho, "Semplicissimo: quando vai in un irish pub con me prendi sempre quello che prendo io." "E' arrivato," replicò lei, "l'esperto di birra." "Quanto scommettiamo che ho ragione io?" Lei mi guardò con aria di sfida, "Scommetto un secondo giro offerto da chi perde." "Così ti voglio!" ruggii, "Qua la mano!" E siglammo il patto.
Al terzo giro Andrea si accorse che la regola riguardante me e la birra funzionava e ammise che aveva torto. "Cavolo se ci sai fare." "Non sono fissato solo con gli animali" replicai divertito io, "Iniziamo ad avviarci verso la pensione?" "Sì, credo sia un'ottima idea" rispose lei, alzandosi. Io rimasi un momento fermo a notare quanto la natura fosse stata generosa con lei anche dietro e poi mi alzai di scatto, pagai io, nonostante le sue proteste, e uscimmo fuori. "La prossima volta pago io però" mi disse lei, agitandomi minacciosamente un dito davanti la faccia; "Va bene," dissi io sorridendo, "la prossima volta è tutta tua." In quel momento iniziò a nevicare e, come io e Marco avevamo previsto, nessuno dei due aveva un ombrello;  dopo che glielo feci notare scoppiammo entrambi a ridere e, dopo un po' di tempo, lei si strinse a me. "Scusami, ma fa freddo.." La presi a braccetto e dissi "Non preoccuparti tu, non c'è niente di male." "Ma tu sei stato appena lasciato, Alby, e non mi va che pensi che sto cercando di saltarti addosso, ecco.." Le diedi un buffetto sul naso, "Smettila, scema. Fa freddo, è normale. E poi non devo pensare a lei, ricordi?" "Sì, sì, però.." e iniziò a tossire. Io mi fermai e le chiesi "Tutto ok?" "Sì," rispose, "solo un po' di tosse." "Mmm.." feci io, "Hai la gola un po' scoperta.. Tieni metti questa" e le porsi la mia sciarpa.
"Ma.. No, non posso."
"Perché?"
"Ma perché è la tua e se la dai a me ti verrà il mal di gola!"
"E a te verrà una broncopolmonite se non la indossi. Mettiti 'sta cosa senza fare storie."
"Ma.."
"Niente ma. Ti sto forse offrendo una scelta?"
"No, però.."
"Niente però. Anzi, ti offro una scelta: o la sciarpa o la giacca."
"Dammi quella cazzo di sciarpa, ho bell'e capito di aver perso."
"Brava. Su, avvicinati a me."
Arrivammo alla pensione e, quando bussai alla porta della mia camera, uscì fuori Marco in mutande; "Ehilà," fece, "com'è andata?" "Bene, bene." rispondemmo in coro. Dopo un momento di imbarazzo chiesi "Allora, con le stanze come ci organizziamo?" "Ehm," esitò Marco, "Ingrid si è addormentata di qua, quindi se non è un problema per voi dormire insieme.." Stavo per rispondere che magari non era il caso, ma Andrea mi anticipò dicendo "Tranquillo, va benissimo. Buonanotte allora." "Buonanotte!" rispose lui e corse dentro. "Sicura che vada bene?" Le chiesi, "Non ho neanche il pigiama." Lei agitò la mano mentre apriva la porta, "Tranquillo anche tu, e poi noi siamo amici, no? Gli amici le fanno queste cose." "Beh sì, solo che mi toccherà dormire in mutande.." Sorrise, posando le chiavi sul comò, "Non sbircio, promesso."
"Sì, ma.."
"Niente ma."
"Però.."
"Niente però. Ti sto forse offrendo una scelta?" Disse lei, con quella gioia selvaggia che provi quando puoi usare con qualcuno la stessa frase che ti ha detto poco prima.
"Va bene," mi arresi, "allora vado prima io in bagno."
Dopo essere uscito dal bagno (ci misi un po' di tempo a causa della birra) la trovai ad aspettarmi con addosso solo una maglietta enorme che le arrivava a metà coscia; "Tranquillo, non ho solo questa" mi disse lei, come se mi leggesse nel pensiero, prima di chiudersi nel bagno. Io mi svestii e mi infilai sotto le coperte, aspettandola e sperando che il mio missile intercontinentale non decidesse di alzarsi in volo di botto solo perché stavo per dormire con una ragazza accanto.
Lei uscì, si mise sotto le coperte e spense la luce. "Beh, buonanotte allora" mi disse poi; "Buonanotte, Andrea" replicai. "Ti dispiace se, sempre per il discorso del freddo.." Sorrisi, "Cosa?" "Mettiti a pancia in su." "Ok, fatto" le risposi; lei poggiò la testa sul mio petto, fece passare il mio braccio attorno alle sue spalle e si avvinghiò a me. "Spero che per te vada bene.." mi chiese, titubante. "Shhh.." le risposi io.
E dormimmo così, abbracciati. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

-6-

Il mattino dopo fu uno dei risvegli più belli che potessi mai sognare, se eliminiamo un piccolo particolare. Procediamo con calma.
Aprii gli occhi e mi resi conto che non era camera mia; stavo per mettermi a sedere di scatto, quando mi ricordai cos'era successo il giorno, e sopratutto la notte, prima. Lei era ancora lì, con la testa sul mio petto, che dormiva con un sorrisetto in faccia; sorrisi a mia volta e fu in questo momento che mi accorsi del problema. Il missile alla fine si era alzato in volo e si vedeva nonostante le coperte.
Immaginatevi lo scenario peggiore che possiate immaginare.
Fatto?
Vediamo se avete vinto.
Proprio mentre mi accorgevo di tutto questo, sgomento e impotente, Andrea si svegliò. Mi sorrise e mi disse con un sussurro "Buongiorno." Sorrisi anche io, imbarazzato, e risposi "Buongiorno, hai dormito bene?" Nel frattempo supplicavo la dea Sfiga di chiudere un occhio per stavolta e di evitarmi questa figura di merda; "Beh sì, abbastanza bene. Tu inv... Alberto?"  Grazie mille, dea della Sfiga.
"Sì Andrea?"
"Perché il tuo piccione ha preso il volo?" Chiese lei allontanandosi un pochino da me.
Sospirai, "A volte capita che di prima mattina decida di fare due passi, ecco."
"Quindi non c'entro io, vero? Insomma, per il discorso di ieri.."
"Quello con cui mi hai detto che non volevi farmi pensare di volermi saltare addosso, sì me lo ricordo."
"..Ecco sì, proprio quello. Quindi non.."
La bloccai, cercando di salvarmi in calcio d'angolo. "Dammi un secondo."
Corsi in bagno e mi chiusi dentro, maledicendo la Sfiga, i suoi parenti e i suoi amici, e nel frattempo richiusi il piccione dentro la gabbia con un po' d'acqua gelida. Tornai a letto e dissi "Andrea non voglio che pensi che sia colpa tua, è una cosa che capita. E' normale. Volevo ringraziarti per avermi fatto passare questo weekend, per avermi fatto stare bene. E' sopratutto merito tuo visto quello che ha fatto tuo cugino tutta la serata di ieri," e qua lei sorrise, "quindi.. Beh, grazie." "Non c'è bisogno che mi ringrazi," mi rispose," però devi farmi un favore." Risposi che l'avrei fatto e lei mi disse di sdraiarmi, senza mettermi sotto le coperte, e di chiudere gli occhi; io, con una parte del cervello che lavorava senza sosta per far risvegliare il piccione contro la mia volontà, ubbidii.
Fruscii.
Altri fruscii e un cigolio, sento un pochino di freddo.
"Andrea, ma che..?" "Shhh."
Altro cigolio.
"Ok, ora puoi aprire gli occhi."
Lo feci e me la ritrovai accanto con in mano un'enorme palla di neve.
"No. No. Enne o." E invece lei colpì, con estrema precisione aggiungo, prima la faccia e poi il piccione che nel frattempo cercava di scappare. Sputacchiai, ansimante, mentre diventavo un ghiacciolo e mentre lei si rotolava sul letto dalle risate. "L'hai voluto tu!" E prima che potesse accorgersene le lanciai la coperta addosso chiudendola come se fosse un sacco; a quel punto iniziai a farle il solletico finché lei non urlò pietà e mi implorò di farla uscire. Aprii il "sacco" da cui spuntò la faccia rossa e ansimante di lei.
"Sei proprio odioso, sai?" Disse mentre si liberava dal resto della coperta.
"Hai iniziato tu, o sbaglio?"
"Futili dettagli. Ora fila a svegliare mio cugino e quell'altra così possiamo vestirci."
Mi alzai, "Va bene, comandante."
"Alby," sentii, "aspetta."
"Dimmi, Andrea."
E mi diede un abbraccio, che ricambiai.
"Ora fila davvero però," mi disse staccandosi, "non vorrai tornare a casa in mutande, vero?"
"Gne gne." E uscii dalla camera.
Bussai una volta, senza ottenere risposta. Bussai due volte e questa volta sentii un rumore molto simile a quello che fanno gli autobus mentre accelerano seguito da un "Che schifo!" La porta si aprì e Ingrid corse fuori, con una faccia decisamente sconvolta; io entrai e vidi Marco che mi sorrideva steso nel letto, con le mani incrociate dietro la testa, e gli dissi "Ma cosa gli farai mai tu alle donne?" Lui rise, "Il fascino di una dichiarazione d'amore eterno fatta ruttando non ha eguali, amico mio, non ha eguali!" Gli tirai le sue mutande in faccia e gli dissi che andavo a farmi una doccia. Quando uscii lo trovai già pronto e quando gli chiesi come avesse fatto mi rispose che aveva fatto la doccia con Ingrid nel bagno delle ragazze. "Come hai fatto a convincerla?" Ci pensò un attimo e poi mi disse "Beh, era solo un ruttino, niente di che. Ne abbiamo fatta di ginnastica ieri." Scossi la testa mentre saltellavo per mettermi i pantaloni, "No, non quello. L'altro problema." Mi guardò, dubbioso, "Quale problema?" Riuscii a infilarmi i pantaloni, "Andiamo, so che ti chiamano Tempesta." Lui sorrise soddisfatto, "Perché le lascio tutte sottosopra?" "No, perché vieni in un lampo." Feci appena in tempo ad abbassarmi per schivare il deodorante, ridendo.
Quando fummo tutti pronti (e quando io e Marco finimmo di tirarci addosso le cose) andammo a fare colazione nel bar accanto alla pensione dove presi un solo cornetto tra lo stupore del resto della combriccola. "Mi rifarò a pranzo," dissi, "vedrete." E infatti, dopo aver girato un altro po' per Genova e dopo aver visto il porto, tornammo allo stesso ristorante. E subito il cuoco iniziò a strepitare, agitando un cucchiaio di legno sporco di sugo, dicendo che dovevo avvisarlo, che oggi aveva la giornata piena e che non poteva farsi venire un altro esaurimento nervoso.
"Senta," dissi io con calma, "non potremmo trovare un accordo? Potrebbe farmi un menù a sua scelta così non le rubo troppo tempo."
Seguirono urli e insulti in genovese, poi una crisi isterica, ma alla fine si arrese.
Mi sedetti al tavolo e comunicai agli altri la mia vittoria, "Finalmente si mangia," dissi, "ho una fame che non ci vedo."
"Per chi è il menù bimbi?"
Rimasi in silenzio, mentre il cuoco mi guardava con malvagità da dietro il vetro delle porte della cucina; alla fine, tra le risate degli altri, dissi "E' mio" con la voce più funerea possibile. "Maledetto cuoco," fu il mio giudizio dopo aver spazzolato tutto, "non posso neanche lamentarmi." "Perché?" Mi chiese Marco,"Di solito questa è la tua merenda." Sospirai, "Lo so, però era buono." "Ben ti sta," mi disse Andrea, "così impari a limitarti." Presi le mie posate e dissi "Marco, c'è qualche problema se mangio tua cugina?" Con nonchalance lui rispose "Assolutamente no, fai pure." Questo fece ridere un po' tutti e mi accorsi che quando Andrea rideva io stavo meglio e forse se ne accorse anche lei, forse per quello si tenne stretta a me quando camminavamo verso la macchina. E forse sempre per questo motivo si mise nel sedile posteriore insieme a me, facendomi ascoltare alcune canzoni dal suo telefono per poi finire con la testa sulla mia spalla. Quando arrivammo a casa mia era buio, salutai Marco e lo ringraziai della sorpresa che mi aveva fatto, "Non c'è problema Alby, sei mio amico e mi sembra il minimo dopo quello che ti è successo." Insieme a me scese anche Andrea che, con la scusa di accompagnarmi al portone, mi seguì; "Tu ce l'hai il mio numero?" mi chiese, "No, veramente no" risposi. "Tieni" e mi diede un foglietto.
"Ora però devo andare, Alby."
"Lo so, lo so. Ancora grazie per il weekend."
"Figurati. Ciao, scemo." Mi diede un bacio sulla guancia e andò verso la macchina.
Io balbettai un ciao e poi rimasi sorridente come un ebete finché non mi misi a dormire, per la seconda volta da quando mi scoprii cornuto, felice. 
  
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