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Autore: clif    12/05/2013    2 recensioni
è un parallelo con la storia "Leon" scritta dall'autore Leonhard. in questa fanfiction assisteremo agli eventi accaduti nella storia precedentemente menzionata, ma dal punto di vista del coprotagonista maschile (Leon).è una storia estratta dal film di Silent hill e ambientata 30 anni prima dei suoi macabri eventi: assisterete alla vita, quasi, normale di un bambino appena trasferitosi nella macabra città.
ne approfitto per salutare tutti e per ringraziare Leonhard che mi ha dato il permesso di scriverla
buona lettura...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alessa Gillespie, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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2.
La macchina sfrecciava sulle strade della cupa cittadina, mentre Leon guardava fuori dal finestrino; a detta sua stavano andando troppo veloci, in fondo lo avevano informato che si doveva presentare un’ora dopo l’orario di lezione, cioè alle nove.

Avrebbe ricominciato tutto d’accapo

Ne aveva già parlato con il padre il quale credeva di averlo convinto che quella era la cosa più giusta da fare: da un po’ di tempo il padre era stato trasferito dalla clinica di Brahams alla clinica Alchemilla, aveva tentato di non influenzare la vita del figlio, ma la fatica del viaggio era diventata insostenibile, così a malincuore aveva deciso di trasferirsi insieme a Leon direttamente a Silent Hill.

Anche in quel momento il padre era al lavoro, stava guidando il suo assistente: Stanley Coleman

Per Leon non era facile avere un padre così assente, ma capiva che aveva delle responsabilità molto serie, perciò non glie ne aveva mai fatto menzione: per non farlo sentire in colpa.
Come pensava, arrivarono con un anticipo di mezz’ora

Il padre diceva sempre: meglio aspettare che far aspettare. Coleman e Leon andarono nell’ufficio della preside: era una donna strana, con folti capelli castani, dei profondi occhi azzurri e un sorriso glaciale; sembrava quasi emanare un energia  mistica. “Tu sei il figlio del dottore, il nuovo arrivato…” Fu colto impreparato, era stato tanto ipnotizzato da quella donna che non aveva sentito neanche una parola di ciò che aveva detto.

“Si! Esattamente… siamo qui per ritirare i moduli” Fortunatamente Coleman aveva risposto al posto suo. La donna non fece una piega, prese un foglio e una penna dal cassetto e li consegno all’uomo mentre a Leon rivolse un sorriso calcolato “Vai pure: seconda stanza a sinistra del primo piano”. Leon salutò Coleman e la donna e si diresse verso la sua nuova classe

Non era mai successo che una persona gli mettesse tanta soggezione: senza contare che quello era il primo abitante della città che aveva incontrato. Senza rendersene conto aveva raggiunto l’aula; senza indugio bussò alla porta, a rispondere fu la voce calma della donna, ma a differenza di quella della preside questa fu… come dire? calda
Appena entrato in aula si ritrovò gli occhi di una ventina di bambini puntati addosso

“Bambini, questo è Leon” lo presentò la professoressa. “Si è trasferito qui da Brahams l'altroieri. Mi raccomando, cercate di andare d'accordo. (oh Cielo! Sicuramente stanno notando che sono strano, devo riderci sopra). A quel punto rivolse un sorriso alla classe.
 
“Sono solo albino” disse. “Non preoccupatevi, non mi tingo i capelli”. Un coro di risate aleggiò per l’aula, Leon tirò un sospiro di sollievo
 
“Bene, Leon” disse la maestra. “Cercati pure un posto”. Il bambino fece vagare lo sguardo per l'aula, finché non vide un posto vuoto accanto ad una bambina minuta.
 
“Mi siedo là” disse, indicandola. La classe diversamente da prima, piombò in un rigido silenzio. Lui non ci fece caso e si sedette accanto alla bambina

Leon si volse verso di lei, la guardò per qualche secondo, poi le sorrise; la bambina in risposta al suo saluto agitò la mano e tornò a rivolgere l'attenzione alla professoressa. Leon rimase a guardarla ancora per qualche secondo: gli ricordava per qualche strano motivo sua madre, non era l’aspetto ma qualcos’altro… Notò che la sua nuova compagna sembrava a disagio così si girò davanti e iniziò a seguire la lezione.

Fu molto difficile per lui capire la spiegazione della professoressa; era troppo incuriosito da quella piccola bambina. Si accorse che voleva prendere qualcosa nel sotto banco, alzò così le braccia per permetterle di farlo; quando lo richiuse notò che aveva preso un astuccio tutto strappato e una penna: una delle poche rimaste integre da quello che aveva potuto notare.

La guardò un attimo in faccia e vide che aveva lo sguardo spento, quasi si dovesse mettere a piangere; pensò che fosse per via dell’astuccio (forse ci teneva molto), alzò anche lui il sotto banco per poter prendere qualche pezzo di carta e le scrisse un messaggio
-Non sei molto socievole o sbaglio?-
Cercando di non farsi vedere da nessuno, ripiegò il foglio e lo lanciò nella direzione della bambina. Dapprima sembrò non capire ma quando lo aprì fece una faccia stranissima, prese la penna e si mise a scrivere la risposta

-Sono solo un po’ timida. Scusami- Conosceva fin troppo bene quella sensazione, forse fu per quello che la prese subito in simpatia, in effetti pensò che non sapeva ancora il suo nome
-Tranquilla: non è un male essere timidi. Allora, come ti chiami?-

Guardò nuovamente in direzione della professoressa, per controllare che fosse distratta e passò il biglietto alla sua timida compagna; lei si mise a guardare un attimo il biglietto: a Leon sembrò titubante ma poi scrisse la risposta

-Alessa Gillespie- gli sembrò un nome un po’ buffo, ma non sarebbe stato educato farlo notare, pensò quindi di rispondere soltanto con le presentazioni -Piacere di conoscerti, Alessa Gillespie. Leon Kauffman-.

La bambina ricominciò a scrivere sul foglietto ma si interruppe e lo andò a buttare: Immediatamente, fu bombardata da cartacce, penne e gomme finché non si sedette nuovamente al suo posto. Si chinò nuovamente sul quaderno e, fingendo di non sentire i rumorosi sussurri di scherno dei suoi compagni, si mise a disegnare. Leon non riuscì a capire il comportamento dei suoi compagni
(perché lo avevano fatto?)

Era rimasto un po’ irritato dal comportamento dei compagni ma era rimasto anche incuriosito da quello che Alessa aveva scritto sul foglio; chiese il permesso di andare in bagno e mentre passava accanto al secchio, senza farsi notare, raccolse il biglietto e si diresse nel corridoio. Raggiunse il bagno per poterlo leggere in pace ma vi trovò un uomo dallo sguardo truce: doveva essere il bidello. Lo guardò per una frazione di secondo con due occhi di ghiaccio poi uscì (certo che sono strani qui), prese il biglietto dalla tasca e lo aprì

-Senti, posso chiederti di diventare mio amico?-

Appena letto sul volto del bambino comparve un piccolo sorriso: neanche lui sapeva precisamente perché, ma sapeva per certo quale era la sua risposta. Dopo essere ritornato in classe tornò al suo posto e fissò un attimo la sua compagna; non aprirono bocca fino alla campanella.

Quando l’intervallo finì, Alessa fece per alzarsi. Il bambino, tuttavia, fu più veloce: si mise davanti a lei, impedendole di muoversi. Le sorrise.
 
“Volentieri” disse. Lei lo guardò con un espressione smarrita ma poi annuì
“Amici” disse. “Grazie”: la prima cosa buona della giornata (pensò)
 
  
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