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Autore: atassa    13/05/2013    1 recensioni
Siamo nel futuro. Cento anni avanti. La nostra società è stata sostituita dalla società delle città che si basa su dieci regole che non possono essere trasgredite. Chi le trasgredisce finisce su un'isola misteriosa con lo scopo di diventare un cittadino migliore, ma nessuno fa mai ritorno. Azzurra non ha mai trasgredito nessuna regola fino a quando dovrà scegliere tra l'amore e il suo futuro nella società. Indovinate cosa sceglierà?
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DUE. Le ore che precedettero la ricreazione furono tormentate, pareva che con qualsiasi ragazzo parlassi ci stessi provando e le ragazze dietro di me ridevano. Inviai un messaggio ad Alessio: -Dimmi che non ci credi almeno tu, sono disperata, ma sembro tanto una così facile?- Inviato il messaggio attesi una risposta guardando il cellulare in attesa che arrivasse. Due minuti passarono e non mi aveva ancora risposto, ma aveva visualizzato la chat. Ero sconfortata, il mondo mi stava cadendo a dosso. Andai in cortile nel posto dove io e Laura eravamo solite incontrarci, almeno con lei dovevo chiarire. Lei non c’era. Decisi di aspettarla seduta lì, con la speranza che sarebbe venuta. Mi sedetti e cominciai a giocare con il cellulare per ammazzare il tempo. “Posso parlarti?”. Mi chiese una voce maschile. Per un instante credetti fosse Alessio, ma la sua voce la conoscevo ed era più roca. Mi voltai verso Daniele. “Non hai una ragazza gelosa tu? Perché io cel'ho”. Lui rise. “Alessio non mi sembra un tipo geloso”. Lo guardai negli occhi. Erano di un celeste da mozzare il fiato, dello stesso colore dell’acqua della piscina con qualche screziatura grigia, davvero belli. “Lo conosci?”. Lui annuì. “Frequentiamo almeno metà delle ore insieme”. Quindi anche lui aveva come media di frequentazione il terzo grado. “Che ruolo ti hanno assegnato?”. Chiesi senza rifletterci, era una domanda troppo personale, solitamente i ruoli non venivano divulgati prima di averne la conferma. “E’ complicato”. “Ho tempo”. “Tu mi racconterai perché non ti promuovono in terzo grado in piscina?”. “Forse perché la mia passione non è il nuoto”. Lui mi continuò a guardare fisso, come se non gli avessi dato ancora una risposta. “E’ personale”. Dissi allora io, esasperata. “Anche il mio impiego è personale”. Disse lui cercando di imitare il mio tono di voce, mio malgrado risi. “Fra qualche giorno non lo sarà più”. “Non è detto”. Sapeva come stuzzicare la mia curiosità. Sospirai. “Devo andare in classe, sta per suonare la campanella”. “Sei libera oggi così ne parliamo meglio e senza nessuno che ci osserva?”. Stranamente la cosa mi allettò, ma io dovevo vedermi con il mio ragazzo. “No, non sono libera”. Mi sentii in colpa, mi sentii in dovere di dargli una spiegazione. “Mi devo vedere con Alessio”. Presi la mia borsa e me ne andai in classe a fare letteratura inglese. L’ora la condividevo con Laura ma lei mi aveva già sostituita come compagna di banco con Silvia. L’unico posto libero era al primo banco dove mancava una ragazza a cui avevo dato il soprannome di Testa Blu, per come si era tinta i capelli. La sua compagna di banco pareva malinconica. “Ciao”. La salutai. “Ciao”. Ricambiò il saluto lei. Sospirai. Mi pareva si chiamasse Francesca. “ Cos'ha Giulia?”. Ovvero Testa Blu. Una lacrima le rovinò il mascara. Mi accorsi che a stento tratteneva le lacrime e le cinsi le spalle con un braccio. “Tutto ok?”. Lei fece di no con la testa. “Non puoi capire tu!”. Pronunciò quelle parole con disprezzo e fui tentata di sciogliere l’abbraccio ma mi ero rotta che tutti mi allontanavano. “Perché secondo te io non posso capire? Ti sembro una sciocca?”. Mi trattenni dall'urlare. “E’ stata portata via, sull'isola”. Ah. “Che ha fatto?”. Le chiesi in un sussurro. Lei mi squadrò, cercando di valutare se fossi affidabile, ci conoscevamo dall'asilo, doveva fidarsi. “Ha sputato in faccia ad un’agente di secondo grado”. Ah regola numero quattro. “Perché?”. Chiedevo troppo, Francesca si alzò e uscì di corsa dalla stanza. Mi arrivò un messaggio, sperai fosse di Alessio, ma niente andava come doveva oggi anche se forse attendevo un messaggio anche da lei. –Mi dispiace per stamattina, non volevo- Mi girai verso Laura che mi guardava timida. Le risposi al messaggio. –Perché non mi hai mai detto che ti piaceva?- La risposta arrivò in meno di un secondo. –Come avrei potuto dirtelo? State così bene insieme- Sorrisi. –Perché oggi non sei venuta al nostro posto?-. Il professore entrò in classe, Laura mi inviò un ultimo messaggio. –Sono andata da Jessica a smentire le voci-. Sorrisi. Finita la lezione io e Laura ci abbracciammo sotto lo sguardo schifato di Silvia che Laura congedò all'istante con un: “E’ la mia migliore amica cosa credevi?”. Poi mi raccontò di come Jessica stava flirtando con Alessio ma che lui non le stava appresso, che però non aveva avuto il tempo di parlare con lui perché se ne era andato prima che potesse dirgli qualsiasi cosa. “Vuoi che ti accompagno io a casa?”. Mi chiese. Io scossi la testa. “No, aspetto Alessio”. “Potrebbe non volerti parlare”. “Alessio non mi sembra un tipo geloso”. Ripetei le parole di Daniele. Laura annuì. Qualcuno dietro di me mi strinse a sé, ero pronta ad urlare ma vidi Laura che sorrideva. Mi girai e lo baciai. Rimanemmo così per qualche minuto e Laura se ne andò salutandoci timidamente. “Perché non hai risposto al mio messaggio?”. Gli chiesi. Lui mi allontanò da se, quel poco che bastava per guardarmi in faccia. “Ero occupato e poi mi fido di te”. Io annuii. “Ci vediamo oggi pomeriggio?”. Gli chiesi. “Si, ma non posso assicurarti niente, sai mi possono chiamare da un momento o l’altro”. Annuii. “Porto un film?”. Chiese lui. “Si ma non quelli sulla società delle città per oggi mi ha rotto”. Lui mi mise una mano sulla bocca, per non farmi continuare, il mi scostai irritata. “Che c’è?”. “Se ti sentono parlare così…”. Pareva impaurito, si guardava intorno per vedere se qualcuno ci avesse sentito. Impaurito? Lui? “Perché fai così?”. Chiesi io. “Non voglio che ti succeda niente”. Disse e mi baciò. Mi accompagnò a casa e mi lasciò con un bacio da mozzare il fiato. Mangiai il pranzo che mi aveva consigliato lo stato e mi misi a studiare in attesa che portasse il film e passare quindi con lui un altro pomeriggio. Doveva arrivare alle quattro, ma erano già le cinque e non era ancora arrivato, dovevano averlo chiamato per gli esami. Io non avevo più niente da fare, andai sul cellulare e un nome tra i contatti della scuola attirò la mia attenzione: Daniele. Gli inviai un messaggio. –Sono libera per parlare, tu?- Non feci in tempo a posare il cellulare che subito mi arrivò il messaggio di risposta. –Facciamo da te fra dieci minuti? Conosco l’indirizzo-. Annuii silenziosamente e gli scrissi la risposta positiva e dopo andai in bagno, mi guardai allo specchio, parevo troppo pallida, mi passai un filo di trucco sugli occhi e attesi il suo arrivo, arrivò puntuale. Gli andai ad aprire. “Ehi ciao”. Dissi io. Lui mi sorrise ed entrò in casa. Si guardò in torno, come per valutarla. “Hai una bellissima casa”. Disse. Io annuii. “Ok, grazie, ma ora passiamo ai fatti. Cosa c’è di complicato nel tuo impiego?”. Lui rise. “Non ti hanno insegnato le cortesie per gli ospiti i tuoi genitori?”. Diventai rossa di imbarazzo. “Ok, vuoi un tè o un caffè?”. Lui annuì. Potevamo bere solo 250 millilitri di caffè al giorno, 300 di tè. “Cappuccino”. Gli andai a preparare il caffè, io avevo già bevuto i miei millilitri di caffè quotidiani, tornai in salone con una tazza fumante di caffè in mano, lui mi fissò leggermente confuso. “Non ti piace il caffè?”. Scossi la testa. “Ho bevuto già la mia dose quotidiana”. “Segui proprio ogni singola regola eh!”. Lo guardai male. “Tu no invece a quanto so”. Lui annuì. “No, infatti io la mia dose l’ho già superata”. Bevve un sorso di caffè e mi porse il resto. “Bevila tu l’altra metà, tieni”. E me lo porse. Io guardai la tazza indecisa. Non era poi una vera e propria trasgressione alle regole, ma mi sentivo in colpa solo al pensiero e se mi avrebbe uccisa? A lui non aveva ancora fatto questo effetto, ma magari stava male o aveva problemi alimentari, effettivamente aveva un fisico troppo… asciutto. “A cosa pensi?”. Mi chiese. “Se hai problemi alimentari”. Lui rise. “No, la società ci controlla ma non lo vuole dare a vedere, bere una quantità limitata di caffè è solo una parte”. “Lo fa per il nostro bene”. “Magari all'inizio, gran parte delle cose che fa sono per il nostro bene, ma non tutti vogliono avere dei limiti, tu non senti mai di voler fare di più? Tipo marinare la scuola un giorno ed andare non so, al lago al nuotare?”. “Trasgredirei la regola numero sei”. “Ma ti piacerebbe?”. Io annuii. “Il tuo rendimento non diminuirebbe per un giorno di assenza e tu potresti rilassarti al sole”. Io annuii nuovamente pensando al piacere del sole sulla mia pelle. “Sarebbe bello”. “Ma la società non lo permette, verresti riclassificato”. No, infatti. Scossi la testa presa totalmente dalle sue parole. “Non permette nemmeno un’assenza se non per problemi di salute, che ormai con la scienza moderna sono quasi inesistenti”. “Ma senza la società vivremmo peggio”. “Lo credi davvero? Quindi ti piace essere un automa figlio della società?”. “Io non sono un figlio della società”. “E allora perché non trasgredisci nemmeno una minima regola?”. “Perché non ne vedo la necessità”. Lui annuì. “Quando la vedi chiamami”. Si alzò. Io mi alzai dopo di lui. “Te ne vai?”. Gli chiesi allarmata. “Non vuoi?”. Scossi la testa. Rimanemmo così per qualche minuto, a fissarci. Poi presa dell’imbarazzo gli proposi di ascoltare la musica e passammo la giornata così, insieme, a parlare del più e del meno e ad ascoltare musica, questo fino all'ora di cena quando se ne andò salutandomi con un bacio sulla guancia. I miei genitori tornarono stanchi dal lavoro e mangiammo insieme la cena consigliata dalla società. "Com'è andata oggi al lavoro?”. Chiesi io ancora intontita dal ricordo di Daniele. I miei genitori mi rivolsero uno sguardo di ghiaccio. Mi ero dimenticata che non potevano parlarmi del loro lavoro. “Tu a scuola invece?”. Mi chiese mia madre per alleggerire la tensione. “Una nostra compagna è stata spedita nell'isola”. Dissi e guardai prima mamma e poi papà in attesa di una risposta. “Sappiamo la storia”. Disse mio padre. Naturalmente la sanno, pensai io. Mia madre mi rivolse uno sguardo che mi supplicava di cambiare discorso. “Oggi Enrico il nostro vicino di casa non è venuto a scuola, dopo cena gli vado a portare i compiti… Dite che è contagioso?”. I miei genitori rimasero in un silenzio inquietante. “Ha trasgredito la quarta regola, è nell'isola ora”. Disse mio padre e mia madre annuì. Ah. “Per quanto ci resterà?”. Scossero la testa. “Non lo sappiamo, noi non ci occupiamo di questo è l’agente di primo grado che lo fa”. E loro erano di secondo grado. Cercai di cambiare nuovamente argomento. “Sapete come sono andati oggi gli esami di Alessio?”. Loro scossero la testa. “Non li aveva oggi”. Dissero.
  
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