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Autore: Evilcassy    13/05/2013    7 recensioni
[Così a volte, ma solo a volte, il corvo riportava indietro l'anima perché rimettesse le cose a posto.]
E se avessi agito diversamente? Sarebbe cambiato qualcosa?
Sono arrivata alla conclusione che non sarebbe cambiato niente. Quell’uomo – Loki – sarebbe comunque scomparso nel nulla: non era come il tizio nella stanza a fianco, privato dei suoi poteri, sprofondato sino alle ginocchia nel fango e e nell'umiliazione della sua impotenza.
Forse non saremmo morti, non saremmo stati sepolti nella stessa tomba e non ci saremmo svegliati fianco a fianco.
Ma sono certa che ci saremmo ritrovati un giorno o l'altro, in una dimensione o nell'altra, a scambiarci un ultimo bacio.

GreyRaven e Loki, richiamati dalle rispettive nature, decidono di lasciare gli Inferi e di riprendere i rispettivi cammini.
Ma incappare l'uno nelle trame dell'altro è questione di poco, anzi, pochissimo.
[Sequel di THE SEVENTH]
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Thor, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A Seven Heroes Army [The Seventh Saga]'
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The Seventh:Winter

 

·       PART 5: Keepin

 

·       Chapt 13: Born from Silence.

 

I know how to search your mind and find your secrets.

 

Natasha cerca di muoversi ma ha braccia e gambe immobilizzate. Apre gli occhi per ritrovarseli feriti da un'intensa luce bianca.

"Non ti agitare." le suggerisce bruscamente in russo una voce profonda e Natasha ruota gli occhi per evitare il fascio diretto che proviene dalla grossa lampada sopra al tavolo a cui è immobilizzata. Ci sono delle figure, attorno a lei, le vede sfocate ma indovina camici bianchi e mascherine.

Una di loro si avvicina al suo braccio con qualcosa in mano che Natasha non riesce a mettere bene a fuoco. Quel qualcosa punge la pelle ed irrora liquido caldo nelle sue vene.

Brucia, Natasha trattiene un gemito. "Non ti agitare." ripete di nuovo la voce di prima con un tono più duro.

Sente un rumore ronzante e continuo dietro la sua testa, ed una ciocca di capelli rossi che le passa davanti al viso le suggerisce che la stanno rasando a zero.

Improvvisamente la luce non le da più fastidio, come se una patina appena più scura le fosse calata sugli occhi. Una delle figure si china su di lei e allarga le palpebre con le dita affermando che il riflesso pupillare si è bloccato:"Ottimo." A parlare è la stessa voce di prima. Il rumore ronzante cessa, qualcuno si alza dietro di lei, ed intuisce che sia il possessore della voce profonda. "La numero 64 ci riserva sempre piacevoli sorprese."

"Il suo cristallino ora è modificato: la sua velocità e capacità di adattamento alla luce è aumentata del 175%." Spiega la figura che le ha analizzato l'occhio. Segue un breve applauso dei presenti: "Se anche l'impianto craniale andrà a buon fine, direi che potremmo addirittura darle un nome."

Ci sono mormorii di approvazione; qualcuno nota che non è mai accaduto prima. L'uomo dalla voce profonda ritorna a sedersi dietro alla sua testa e da ordini all'anestesista e al chirurgo di procedere."Evitiamo di cantar vittoria troppo presto."

Il buio è soffocante.

 

I polmoni reclamano ossigeno disperatamente quando si alza a sedere si scatto, uscendo dall'acqua. L'aria gelida le entra dolorosamente nella bocca spalancata e graffiandole la trachea con minuscoli aghi.

Natasha si stringe nella sua canotta bagnata, piccoli cristalli ghiacciati scivolano lungo le spalle a solcarle le braccia nude e livide, i capelli corti ispidi e pungono la nuca.

Trema visibilmente sotto un cielo di stelle gelide e lontane, immersa nella tinozza di metallo al centro un cortile innevato, screziato da segni di pneumatici pesanti e macchie di morchia.

Tutto attorno, il cemento armato ed anonimo di costruzioni basse e regolari. Natasha fa per alzarsi ed uscire dalla tinozza ma una delle finestre si illumina ed una voce pesante le intima di non muoversi:"Sono le ore 03 e 57, Elemento 64, il test finisce alle ore 5:00. Ritorna nella tua posizione" potrebbe essere morta per quell'ora, ma per lei l'obbedienza cieca è l'unica strada percorribile, così si piega sulle ginocchia e torna a sedersi.

Segue con lo sguardo la ronda del soldato sul tetto e pregusta il momento in cui avrà il permesso di correre e riscaldarsi.

Il buio punge.

 

L'Uomo dalla Voce Profonda è in piedi contro la finestra e le rivolge le spalle. Ha corti capelli talmente biondi da sembrare bianchi e lei sa, anche se continua a darle la schiena, che ha una stempiatura fortemente marcata e le sopracciglia talmente rade che rendono il suo sguardo algido quasi folle.

L'ha chiamata con il nome che le è stato concesso e questo per lei è fonte di soddisfazione: nessuna prima di lei era arrivata ad essere qualcosa di diverso da un numero, e dubita che qualcuna dopo di lei possa superare le stesse prove che le sono state imposte.

Per lo meno, non alla sua età. A proposito, qual è? Dieci, undici anni?

L'uomo si complimenta brevemente per la missione appena svolta e le domanda che effetto le abbia fatto uccidere.

"Nessuno." Risponde, sorprendendosi di quanto la sua voce possa suonare ovvia e dura allo stesso momento. "Erano miei obbiettivi, andavano eliminati." L'uomo si volta e lo sguardo la studia da capo a piedi. "Nella prossima missione non sparerai da lontano. Probabilmente dovrai uccidere con le tue stesse mani, ma questo dipende da te." Annuisce, la testa vaglia velocemente tutte le tecniche che ha imparato, abbinandole alle eventualità di applicazione. Ad un cenno dell'uomo prende il dossier appoggiato all'angolo della scrivania che li separa e lo apre a studiare le note del suo prossimo obbiettivo.

"Ogni mese quest'uomo si ritira per tre giorni nella sua tenuta sulle rive del lago Shartash, presso Ekaterinburg, con la sua scorta armata di quindici uomini. Al suo arrivo, una persona fidata gli fa trovare una ragazzina - ogni volta una diversa - con cui lui passa il suo ritiro. Ma non è per i suoi gusti e le sue abitudini per cui abbiamo necessità di eliminarlo. Abbiamo convinto il suo fornitore a non essere più così fidato."

"Sarò io ad incontrarlo?"

"Affermativo. Con la difesa posta alla tenuta, cercare di entrare dall'esterno impiegherebbe troppe risorse. Una volta all'interno, però, potrai agire indisturbata: Fai in modo che sembri un incidente e non lasciare che nessuno ne esca vivo. Una volta terminato il tuo compito appicca fuoco alla casa ed allontanati nella foresta; Provvederemo a nascondere un GPS nelle vicinanze con cui localizzarti per il recupero."

Si è avvicinato senza quasi che lei se ne sia accorta e quando sente la mano che passa tra i boccoli appena ricresciuti la trova viscida e priva di calore. "L'ufficio del personale ti istruirà su come prepararti. Dovrai tingerti i capelli, a lui piacciono bionde."

"Sì, signore."

La mano scivola dalla nuca lungo la spina dorsale: "Mi accollerò l'onere di una parte ancora mancante nel tuo addestramento."

Il buio viene dall'interno e inghiotte tutto troppo tardi.

 

La firma di Alexei Shostakov è chiara e nitida, precisamente inserita nella linea dritta dell'atto di matrimonio. E' indice di indiscutibile ordine mentale, nessun dubbio o indecisione, ligio al dovere e preposto ad obbedire agli ordini.

Non che questo gli sia particolarmente ingrato.

Lei ha diciassette anni ed il bisogno di una copertura per la sua nuova missione. Lui trentasei con una promettente carriera militare e una promozione già in tasca, e nessun problema a fornirgliela.

Shostakov le porge la penna stilografica e lei appone la propria firma sotto alla sua.

L'impiegato borbotta qualcosa di simile ad un complimento ed il modo in cui l'Uomo dalla Voce Profonda piega la copia del documento e la infila nella valigetta assume i contorni di una benedizione. "Domattina dovrai presentarti al Comando, ti verranno impartite le istruzioni sulla tua copertura." dice solamente.

"Sì Signore."

 

Alexei la lascia indifferente; a lui, invece, piace anche troppo. A letto è ingordo ed egoista come tutti gli uomini, e come a tutti gli uomini non aveva regalato altro che illusioni di brividi e gemiti simulati. Ma almeno aveva il buonsenso di non lamentarsi del senso di dovere della moglie verso la RedRoom e dell'utilizzo strumentale che faceva del suo corpo.

Pensava che li avrebbero fatti divorziare dopo l'esito della missione, ed invece il comando ha intenzione di mantenere quel matrimonio di comodo per future eventualità.

C'è una missione nata male e finita peggio, con Natasha finita in mani nemiche che non le risparmiano nulla pur di strapparle informazioni segrete. Ma l'Elemento 64 è forgiata nel gelo e nel dolore, spezzarla è impossibile. Una volta liberatasi, però, il Comando la richiama alla base della Red Room, dove tutto era iniziato anni prima, e lei si ritrova sul tavolo della sala operatoria con il ronzio del tosatore nelle orecchie.

Al suo risveglio Alexei le spiega che il grosso taglio che ha nella nuca pelata è stato causato dall'operazione urgente a cui è stata sottoposta per elimanere l'ematoma del trauma cranico. Alla sua domanda su come sia successo, lui risponde sicuro che era caduta dal palco durante le prove di Giselle e ha sbattuto violentemente la testa. "Hai rischiato davvero grosso, tesoro" aggiunge fingendo spudoratamente preoccupazione e rammarico, prima di lasciarla sola in quella stanza d'ospedale piena di mazzi di fiori indirizzati a 'Natalia Romanova, étoile del Bolshoi' e ricordi di passi sulle punte e volteggi aggraziati, appalusi del pubblico e rose sul legno del palcoscenico, a domandarsi perché il suo corpo sia cosparso di lividi e ustioni e la mano destra fratturata in più punti.

La rendono nuovamente operativa in una notte di Novembre, quando le ossa si sono rinsaldate e lei scalpita per tornare a ricoprire il suo ruolo di ballerina.

Forse hanno pasticciato un po' troppo con il suo impianto craniale, perché ai ricordi del Bolshoi si accavallano quelli dell'addestramento e delle missioni e quando lei ci pensa non riesce mai a scindere le due versioni.

 

Alza un piede appoggiandolo al piolo più alto della spalliera della palestra e piega il busto sino a farlo aderire alla gamba. Addison, diciannove anni e soli tredici mesi d'addestramento in attivo, si lascia sfuggire un 'Wow' ammirato. "Hai studiato danza?"

Natasha risponde affermativamente: "Sono stata prima ballerina al Bolshoi."

"Davvero? E sei riuscita a studiare danza e a diventare un agente del tuo livello contemporaneamente? Accidenti, come hai fatto?" Addison è genuinamente curiosa e pone un quesito lecito che Natasha non sa realmente spiegare "Impegno." risponde solamente, dissimulando l'imbarazzo dell'incertezza.

 

Si accorgere di essere incinta una mattina di Gennaio. Che fosse di Alexei non c'erano dubbi, quale sarebbe stato il suo destino invece un'incognita che suo marito non azzarda: Si limita a stringersi le spalle e ad accompagnarla al comando: "Pensavo fossi sterile" è il suo solo commento: "Anche io" asserisce lei.

Gli scienziati della base hanno decretato che il suo è un interessante fenomeno: i trattamenti migliorativi a cui era stata sottoposta avrebbero dovuto renderla sterile, o quantomeno impedire il proseguire di una gravidanza. Dopo un'accesa discussione a cui non aveva partecipato, le comunicano la decisione di lasciare che la natura faccia il suo corso: dato che quello è il primo caso conosciuto, studiarne gli effetti è considerato utile.

Come ogni missione, Natasha accetta con un cenno del capo.

 

"Il programma di assicurazione sanitaria S.H.I.E.L.D. comprende anche la contraccezione. Se lei lo desidera, posso impiantare il chip sottocutaneo a rilascio graduale. Ha una durata di tre anni, è molto affidabile." La dottoressa compila le ultime formalità circa la sua salute fisica inserendo i dati sul sistema interno dell'Organizzazione. Lei è ancora piuttosto sorpresa da tutto questo interesse che lo S.H.I.E.L.D. sembra mostrare verso la salute dei propri agenti - è abituata ad essere responsabile del proprio corpo, finché non ci sono evidenti ferite profonde da richiedere l'intervento di un medico - "Ovviamente questo è facoltativo" aggiunge la dottoressa. "Ma è prassi che io informi tutti gli agenti delle possibilità sanitarie che l'organizzazione offre." Natasha apre la bocca per riferire che non ne ha bisogno. Tuttavia, avverte una sensazione scomoda dentro di sé che la convince ad accettare.

 

Un feto di venti settimane è così piccolo che può essere contenuto nella scatola di latta dei biscotti di cui Alexei ne è ghiotto. In una mattina di primavera è svegliata tra atroci dolori e si è trascinata in bagno. Ha partorito da sola ed è rimasta sul pavimento insanguinato per ore: non sa bene cosa stia provando: è un misto di rabbia e paura, gli occhi le pungono e lei non sa bene perché.

E' una bambina ed è leggera come un foglio di carta appallottolato. Ha la pelle rossa e fragile ed i capillari esposti, una leggera peluria e mani e piedi che sembrano miniature.

Ha gli occhi chiusi - sarebbero stati azzurri? - e le sue labbra: Natasha neppure si accorge che ne sta seguendo il contorno con la punta del mignolo. Avrebbe almeno voluto sentirne il vagito, percepirne la vita prima che questa le scivolasse via di dosso.

Invece erano giorni che non la sentiva muoversi ed aveva evitato di avvisare il comando che ormai la natura chimica del suo fisico aveva posto fine al problema. Per una volta, aveva sentito il bisogno che il suo corpo servisse solo sé stesso: il perché di questa decisione non sapeva spiegarselo.

Quando l'emorragia si arresta e recupera le forze ripulisce tutto, si riveste e avvolge il corpicino in un foulard bianco. Poi vuota la scatola di biscotti dal suo contenuto e vi adagia delicatamente quel fagottino fragile, chiudendo delicatamente il tappo ermetico.

Infine, guardando la bara improvvisata di sua figlia, decide che deve almeno regalarle un nome, visto che non era stata neppure in grado di poterle offrire un alito di vita. Si mette a cercarlo tra brandelli di ricordi e le poche riviste che ha in casa, senza risultato, così accende una vecchia radio transistor Vilnis, uno dei suoi pochi contatti con il mondo esterno: le stazioni russe non forniscono nessun suggerimento e solo dopo che aggancia un'emittente di Mosca che passa anche musica straniera trova il nome giusto per la sua bambina.

 

Sussulta impercettibilmente nel sedile del passeggero, ma che non passa inosservato a Coulson, alla guida, che le rivolge un breve sguardo: "Tutto bene, Romanoff?"

 "Sì, sì, certo. E' solo che ho già sentito questa canzone, ma non ricordo dove. Che cos'è?"

"E' Bette Midler!" Risponde lui con voce ovvia. "Questa è The Rose, è tratta da un film ispirato alla vita di Janis Joplin. La conosci, vero?"

Ha un significato, ma Natasha non riesce ad afferrarlo. Così scuote la testa ed alza le spalle, dedicandosi al NotePad che contiene tutte le informazioni sulla nuova missione.

 

Aveva scavato la tomba di Rose vicino ad un ruscello, tra le radici di un abete dalla resina profumata. Aveva camminato per quasi un'ora con la scatola di latta tra le mani e la melodia in testa, prima di arrivare al bosco fuori dal sobborgo ucraino in cui è alloggiata e trovare un luogo che adatto a custodire quel segreto. E' tutto ciò che può darle.

Al ritorno a casa, aveva infine chiamato il comando e aveva mentito dicendo che il feto era uscito completamente smembrato e lei se ne era disfatta. L'Uomo dalla Voce Profonda la preleva poche ore dopo per condurla alla più vicina pista di decollo e riportarla nella base della Red Room. Si stende sul tavolo operatorio e la macchinetta torna a ronzare dietro la sua testa.

Nel buio, questa  volta, trova quasi un senso di sollievo.

 

L'Uomo dalla Voce Profonda ha un nome che finalmente le è nemico, ora che la Red Room si è sciolta ed è stata smantellata. Alexei è rimasto fedele al suo comandante e lei si è presa la briga di vincere l'indifferenza nei suoi confronti e fargli saltare la testa con un paio di proiettili. Ma l'Uomo dalla Voce Profonda si è nascosto bene, mandando al macello i suoi sottoposti. Natasha neppure sa perché lo odia così tanto da volerlo distruggere né da dove sia nato quel sentimento che sente suo in ogni fibra.

Ora lavora per chi offre la cifra più alta e non copre più le spalle di chi cerca di indottrinarle qualche ideale. Con la morte di Alexei ha cessato di essere l'Agente Shostakova o l'Elemento 64, ora è la Vedova Nera e questo soprannome che si è guadagnata le piace molto. Spezza colli per soldi e caccia Dreykov, l'Uomo dalla Voce Profonda, per diletto, godendo nel saperlo fremente di paura per l'avvicinarsi della sua vendetta.

 

Ha fiutato la pista sino a trovare qualcosa di interessante. Per uccidere un albero occorre staccargli le radici, ma per avvizzirlo ed annientarlo con sofferenza è meglio tagliargli i rami verdi, quelli rigogliosi e giovani su cui fa affidamento per trarre nutrimento e crescere.

La pozza di sangue sotto la bambina si allarga sul marmo del pavimento bianco: Il proiettile le ha perforato la schiena e le ha spaccato il cuore, probabilmente non si neppure resa conto di essere stata colpita.

Natasha abbassa la pistola con il silenziatore e si avvicina di qualche passo. Quanti anni deve aver avuto? Dieci, undici?

Natasha si piega su di lei, bocconi con il viso semicoperto dai lisci capelli scuri e gli occhi azzurrissimi spalancati. Ne scosta una ciocca, l'attaccatura più chiara rivela una tinta.

La bambina era bionda, come suo padre.

Non le dispiace averla uccisa così come non se ne compiace. Non prova nulla, neppure un briciolo di euforia o di soddisfazione.

Un rivolo di sangue segue il bordo del gradino sino all'orlo del ballatoio ed inizia a gocciolare dalla tromba delle scale.

Meglio. Che Dreykov entri subito nell'incubo appena varcata la porta di casa.

Quando si rialza e volta le spalle per andarsene, però, sente gli occhi della bambina fissi su di lei.

L'incubo è il suo, e non potrà mai uscirne.

Il buio è soffocante.

"Natasha, tutto ok?"

"Sì. Avevo voglia di sgranchirmi le gambe."

"Sventrando un sacco da boxe alle tre del mattino?"

"Ti ho svegliata?"

"Vedi tu, pensavo di avere Rocky Balboa come vicino di casa..."

"Domando scusa. Non sono abituata ad avere coinquiline."

"Sei sicura di star bene? Hai una faccia..."

Ferma il sacco che dondola appeso al gancio sul soffitto e si terge il sudore dalla fronte con il dorso della mano. "Sì, tutto ok. Solo non riuscivo a dormire."

Incubi di urla e sangue. E una scatola di latta chiusa che non sapeva cosa contenesse.

 

L'odore di carne bruciata le è rimasto appiccicato alle fibre della tuta. Natasha se la sfila e la getta a terra, poi la cosparge di benzina e ci da fuoco.

Doveva uccidere tre obbiettivi che erano sfuggiti miracolosamente ad un precedente attentato del suo committente. Il caso ha voluto fossero ricoverati nell'ospedale in cui lavoravano tre neurochirurghi con nomi famigliari che associava al ronzio di una macchinetta tosatrice.

Ha manomesso l'impianto di ossigeno del comparto operatorio e scatenato l'esplosione.

Doveva uccidere tre persone per compenso e tre per suo desiderio: alla fine ne ha spedite all'altro mondo trentasei in un colpo solo, senza distinzione di sesso o età.

 

Sono torce umane quelle che la inseguono. La circondano e la bloccano tra le fiamme, la spingono a terra e la soffocano con l'odore acre e il fumo. La pelle di Natasha si scioglie come cera e ricopre la scatola di latta su cui cade.

Il buio brucia.

 

San Paolo è stata una trappola da cui la Vedova Nera è sfuggita per un soffio. Riesce a confondersi tra la folla che assiste alla partita della nazionale brasiliana da un maxischermo in Praça de Luz. La mitragliatrice nemica la reputa troppo importante per lasciarsela scappare e falcia una fila di spettatori pur di colpirla: è il caos.

Natasha individua i suoi inseguitori e preme il grilletto. Uno di loro cade a terra, l'altro spara ma la schiva, colpendo però un uomo che aveva la sventura di esserle passato vicino in un tentativo di fuga.

E' braccata e fuggire sembra ormai impossibile. Decide che aumentare il caos e il panico tra la folla per confondere meglio gli inseguitori.

Sfila due granate dalla cintura, ne toglie la sicura con i denti e le lancia alle spalle.

 

Aveva sentito menzionare il sole del Brasile, ma lei aveva vissuto San Paolo solo di notte, ed ora il cielo è coperto da una cortina grigia che proviene dal fumo che esce dalle vetrine sventrate.

Rivoli di sangue screziano la piazza. Tra resti umani e corpi senza vita, Natasha trova una scatola di latta.

 

Il buio è lacerante.

 

"Conosci questo posto?" Le ha domandato Clint vedendola guardarsi attorno con aria pensierosa. Sono nella periferia di Charkiv, ad ispezionare sotto copertura l'interporto degli armamenti di cui la città è la prima produttrice dell'Est Europeo. Natasha fissa la strada, dritta tra le recenti costruzioni di cemento armato, scuotendo piano la testa: "Questa zona è stata costruita solo quattro anni fa, è impossibile che l'abbia visitata prima." "Ha ragione" gli fa eco il collaborazionista ucraino che ha fornito la copertura. "E prima c'era un bosco, nulla di interessante. Fino all'anno scorso era rimasto aperto il ruscello là a destra, ma poi l'hanno incanalato in una copertura di cemento. E' un'ottima via di fuga se..." Il collaborazionista seguita a parlare, e Natasha si libera dalla sensazione di angosciante familiarità che le suggerisce quel posto per concentrarsi sulla missione.

 

È nell'appartamento ucraino, spoglio da qualsiasi mobilio, con i vetri delle finestre talmente sporchi da far penetrare solo una tenue luce grigia che disegna ombre sui muri macchiati e incrostati di sudiciume.

Non c'è nessuna traccia del passaggio di qualcuno nella polvere che ricopre uniformemente il pavimento, ma piccole gocce di sangue fresco attraversano in linea retta il corridoio sino alla stanza dalla parte opposta.

Il bagno.

Natasha percorre il corridoio lentamente, il legno che scricchiola sotto i passi incerti.

Si ferma sulla soglia della stanza: a pochi passi, appoggiata sul pavimento, c'è la vecchia Vilnis nera e argento. Quando Natasha la riconosce questa cade all'indietro sul dorso e si accende nel basso ronzio della ricerca di segnale.

Natasha alza lo sguardo e il cuore le manca di un battito, mentre la radio trova un'emittente su cui sintonizzarsi e la musica riempie la stanza attraverso il segnale disturbato.

It's the one who won't be taken
Who cannot seem to give
And the soul afraid of dyin'
That never learns to live

Nell'angolo più lontano, rannicchiata tra le piastrelle annerite dall'incuria, c'è una bambina nuda. La pelle bianca è sporca di sangue rappreso, nerofumo e sudiciume, mentre la testa, china tra le ginocchia che si stringe al petto, mostra solo una rossa peluria di rasatura e la cucitura gonfia di un taglio sulla nuca.

Quando sente Natasha entrare alza gli occhi gelidi cerchiati da occhiaie nere e dopo un lungo sguardo assente si alza in piedi. C'è del sangue che scivola tra le gambe livide, ed è quello che macchia il pavimento di piccole gocce scarlatte e fa stringere lo stomaco di Natasha in una morsa atroce.

Tra le mani sudice di terra tiene la scatola di latta. E' arrugginita e ammaccata, i caratteri in cirillico della marca quasi cancellati.

When the night has been too lonely
And the road has been too long
And you think that love is only
For the lucky and the strong

 

Era tutto, ed era nascosto dentro di lei. Anni di manipolazioni cerebrali avevano confuso ricordi veri ed imposti. Avevano creato un mostro e l'avevano addestrato a mordere e sbranare a comando; lei lo aveva liberato e quando aveva esaurito la sete di sangue ne aveva addomesticato la ferocia per servire uno scopo dettato dalla sua volontà.

Eppure tutto quello che aveva vissuto era rimasto occultato nella sua mente. Ora che la porta era stata spalancata si trovava davanti ad un bivio: lasciarsi distruggere dalla consapevolezza di ciò che le era stato tolto e le era stato fatto, o accettare tutto il fardello e perseverare nell'intento di costruirsi una vita secondo le proprie regole.

 

Dopo un istante di esitazione, con gli occhi che pizzicano e le gambe che tremano, Natasha avanza verso la bambina che la guarda con occhi meno gelidi e più limpidi.

C'è un barlume di speranza sul suo volto sporco, quando Natasha tende le mani verso di lei: "Accetto. Tutto."

Just remember, in the winter
Far beneath the bitter snows
Lies the seed, that with the sun's love
In the spring, becomes the Rose

Le labbra secche e spaccate della bambina si stendono in un debole sorriso. Porge la scatola di latta e l'appoggia sui suoi palmi apparentemente puliti.

Natasha guarda la bambina un'ultima volta e le sorride. Poi apre il coperchio della scatola e tutto viene avvolto da una luce bianca.

 

 

 

 

Ed eccoci arrivati al ‘Capitolo che non C’entra una Mazza’ con la storyline. Perché l’ho scritto? Perché era da un po’ che avevo in mente un breve scorcio sulla vita di Natasha. Non dev’essere stata piacevole e non dev’essere stata rose e fiori, anzi.

Per scrivere questo capitolo ho studiato anche la miniserie fumetto Vedova Nera. Consiglio, assolutamente. Rose viene da lì, anche se ho adattato la storia secondo le mie condizioni.

Shostakov è, secondo il canon dei fumetti, il suo primo marito (Ovvero il Guardiano Rosso), mentre le altre tre vicende (figlia di Dreykov, Incendio all’Ospedale e San Paolo) sono quelle che Loki le ricorda simpaticamente durante la sua prigionia nell’Helicarrier.

Insomma, so che questo capitolo è una piaga, ma a Nat lo dovevo (Scusa, Nat) e ci tenevo tanto a scriverlo, per quanto difficile sia stato farlo.

Come sempre, vi invito a farmi sapere i vostri pareri, i vostri commenti o le vostre critiche. Per eventuali domande: http://ask.fm/EvilCassyBuenacidos e vi lascio anche il mio tumblr: (http://evilcassy.tumblr.com/)

Grazie, Grazie, come sempre per esservi fermate un attimo a leggere anche questo capitolo!

Alla prossima, vostra

EC

PS: citazione iniziale da Inception e titolo tratto da ‘Death Boy Poem’ dei Nightwish  

 

   
 
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