Anonymous
Il lato positivo
Il giorno dopo l’incursione nel club
di giornalismo, Aomine e Kise
dovettero sorbirsi una ramanzina da parte di Akashi. Dopotutto si erano
assentati ad una partita amichevole senza avvisare nessuno: una simile
negligenza non poteva restare impunita.
Per fortuna, Momoi aveva
preso le loro difese, raccontando al capitano dove si erano diretti i due
giocatori il giorno prima.
“Per questa volta chiuderò un occhio, considerata la
delicatezza della situazione in cui vi trovate.” Kise
e Aomine si scambiarono un’occhiata interrogativa:
anche Akashi aveva letto il giornale? “Certe cose non mi interessano” aveva
aggiunto questi con una certa enfasi difensiva, come se avesse letto nel
pensiero dei due.
“Non abbiamo insinuato niente di strano!” si
affrettò a rispondere Kise, quasi timoroso che Akashi
possedesse davvero dei poteri telepatici.
“Le ragazze della mia classe non hanno parlato
d’altro da ieri. Mi sono state persino rivolte delle domande alquanto…
indiscrete.”
“E tu cosa hai risposto?” domandò Aomine. Non aveva nulla da nascondere, ma l’idea che Akashi
fosse stato interrogato lo faceva sentire colpevole di un reato non commesso.
“Ho solo detto la verità.” Entrambi i ragazzi
tirarono un sospiro di sollievo. “Che siete liberi di frequentare chi volete.”
Il sollievo si trasformò in costernazione. Dichiarare una cosa così carica di
sottintesi davanti ad un gruppo di adolescenti femmine in piena tempesta
ormonale era peggio che mostrare loro delle foto compromettenti.
Tutto sommato, esclusa qualche
occhiata curiosa e insistente da parte delle più intrepide yaoiste,
non ci furono avvenimenti insoliti o disturbanti nei quattro giorni seguenti. Lentamente
tutta quella storia iniziò a scivolare via dalla mente di Aomine:
un brutto ricordo da rilegare nell’angolo più remoto della propria mente.
Magari l’autore che aveva dato il via a quella pazzia aveva già perso
l’ispirazione e non sapeva più che pesci pigliare.
Con la cartella in spalla e l’aria annoiata, Aomine era quasi giunto a scuola, quando vide Kise appoggiato al muro a una decina di metri dal cancello.
“Buongiorno, Aominecchi!”
“’Giorno.”
Il modello aveva un sorriso troppo smagliante per i
suoi gusti. L’istinto bussò alla porta del cervello per metterlo in guardia.
“Come stai? Tutto bene? Ho saputo che sta girando il virus dell’influenza in
questi giorni. Non è che per caso sei stato contagiato? Sai, in certi casi è
meglio starsene a casa non solo per la propria salute, ma anche per preservare
quella degli altri.”
“No, sto benissimo.” Aomine
tentò di aggirarlo, ma l’altro lo marcava ben stretto e non sembrava
intenzionato a lasciarlo passare. “Che stai facendo?”
“Ehm… be’… ah, è una bella giornata! È davvero uno
spreco doverla passare chiusi dentro quattro mura: che ne dici se mariniamo la
scuola e…”
La proposta era così assurda da risultare palesemente
falsa. Kise non era poi un granché come attore: se la
sua carriera si fosse basata su quello di certo non avrebbe avuto tanto
successo!
“Taglia corto: che succede?”
“Be’…” Kise tentennò,
incerto se rivelare la verità all’amico o meno, ma ormai la sua tattica era
fallita e l’altro non ci avrebbe messo molto a scoprire tutto. Tirò fuori dalla
cartella una copia del giornale scolastico.
Gli occhi di Aomine si
dilatarono per lo shock. “Non dirmi che…”
“Sì.”
“È proprio…”
“Sì.”
Afferrato con una zampata il giornale, Aomine si ritrovò davanti la propria fotografia in bianco e
nero. Appariva minaccioso e incredulo al contempo. A caratteri cubitali, il
titolo recitava ‘AOMINE DAIKI, L’ASSO DELLA SQUADRA DI BASKET, IRROMPE NEL CLUB
DI GIORNALISMO.’ “Quel maledetto fotografo l’ha fatto davvero!”
Lesse l’articolo a stralci, mentre si incamminava a
piccoli passi nel cortile della scuola. “… entrato
nel club con aria… bla bla bla… Aomine Daiki ha chiesto disperato di sapere… ehi,
disperato?... scoprire l’autore… bla
bla bla… in compagnia del noto
fotomodello Kise Ryota…
bla bla bla…” D’un tratto, Aomine si impietrì. Le
mani strinsero spasmodiche la carta e iniziarono persino a tremare per la
rabbia. “I due giocatori sembrano
mostrare una certa complicità. Sguardi, sorrisi, battute ironiche: tutto del
loro atteggiamento urla qualcosa di più di una semplice amicizia.” Seguirono
parecchi secondi di silenzio.
“Aominecchi? Per favore,
calmati, il gossip giornalistico è così che funziona. Spesso vengono pompate di
proposito certe notizie per accattivarsi il pubblico. Lo sanno tutti che quello
che dicono i giornali è vero solo per il 20%.”
“Io. Lo. Ammazzo. Quel. Marmocchio!”
“C’è un’altra cosa che dovresti sapere” aggiunse Kise. Voltò la pagina e mostrò ad Aomine
l’ultima cosa che questi avrebbe voluto vedere. “È stato pubblicato anche il
secondo capitolo.”
Aomine
cercò di dare fondo a tutte le sue conoscenze lessicali per articolare una
frase di senso compiuto che esprimesse frustrazione, rabbia e incredulità assieme,
ma la sua ricerca mentale fu interrotta dai bisbigli, non tanto discreti, di
alcune ragazze poco distanti.
‘Che carini che sono!’; ‘Quanto è dolce Kise-kun: lo ha aspettato fuori dalla scuola per entrare
insieme!’; ‘Secondo me la storia sul giornale racconta proprio di loro.’; e
così via…
Aomine
si girò verso Kise, lo fissò come se l’artefice di
tutto fosse lui (e, ripensando a quanto si erano detti qualche giorno prima,
pareva proprio di sì) e per poco non lo polverizzò con lo sguardo. “Finché
questa merdosa situazione non sarà risolta, TU stammi il più lontano possibile:
non mi parlare, non mi guardare e non mi pensare neanche!”
Kise
gli rispose con una calma disarmante. “Comportarsi così sarebbe come ammettere
che tutto quello che gli altri dicono è vero. Inoltre, temo che sarà
impossibile: ti ricordo che giochiamo nella stessa squadra.”
Liquidato Kise,
prima del suono della campanella, Aomine andò alla
ricerca di Momoi, ma ebbe scarsa fortuna. “Ma dov’è
finita? Proprio quando ho più bisogno di lei” disse tra sé, camminando
sovrappensiero. Non appena svoltò l’angolo, urtò una ragazza del secondo anno
che avanzava nella direzione opposta. Istintivamente le afferrò un braccio per
evitarle una brutta caduta.
“Scusami, colpa mia” le disse.
“Certo che è colpa tua, mi sei praticamente venuto…”
La risposta non si prospettava delle più gentili, ma la studentessa si ammutolì
non appena sollevò lo sguardo sul volto di Aomine.
Avvampò in meno di un secondo. “Oh, Aomine-kun!” Il
tono di voce si addolcì fino a sembrare il cinguettio di un passerotto. “Ti sei
preoccupato per me. Come sei gentile!”
Dire che Aomine fu
disorientato da quel repentino cambiamento era solo un eufemismo. “Ehm… sì…
be’, lieto che non ti sei fatta niente. Ora vado in classe.” Lo aveva chiamato Aomine-kun come se fossero amici, ma lui era abbastanza
certo di non aver mai rivolto la parola a quella ragazza prima di quel momento.
In verità, non sapeva neanche il suo nome.
Relegò quell’episodio in un cantone della propria
mente come un qualsiasi altro evento quotidiano.
Durante la giornata, altri avvenimenti piuttosto
simili si susseguirono. Compagne di classe che si dimostravano disponibili a
fargli copiare i compiti, ragazze che gli lanciavano sguardi di fuoco neanche
fosse un bignè al cioccolato.
Più che mai sentì il bisogno di parlare con Sastuki: chi più di un’altra ragazza poteva spiegargli cosa
diamine stava succedendo?
Non fosse stato per Kuroko,
non avrebbe mai scoperto che l’amica si trovava nella biblioteca della scuola.
“Abbiamo una biblioteca?” aveva domandato Aomine e da ciò Kuroko capì che avrebbe
fatto prima a scortarlo piuttosto che spiegargli il percorso.
Momoi
si trovava in fondo alla sala. Aomine le si avvicinò
e si sorprese del fatto che l’amica non si fosse accorta della sua presenza
neanche quando si trovò praticamente a mezzo metro da lei. Doveva essere
immersa in una lettura molto interessante per isolarla così dal mondo esterno,
e il ragazzo non aveva un passo propriamente leggiadro. Si sporse quel tanto
che bastava sopra la spalla di Momoi per curiosare.
“Sastuki, anche tu!”
esclamò a voce troppo alta.
La ragazza saltò dalla sedia come se avesse preso
una forte scossa elettrica e si affrettò a coprire con il busto il giornale
aperto davanti a lei. “Dai-chan, vuoi farmi morire
per caso?” Anche lei non riuscì a modulare il volume della propria voce. Come risultato,
tutti gli astanti li rimproverarono per la mancanza di educazione.
“È inutile che lo nascondi” bisbigliò Aomine, sedendosi accanto a lei.
“Non è come credi, lo stavo leggendo solo per
curiosità.” Il rossore di Momoi rivelava ad Aomine ben altro. Era la prima volta che la vedeva così
imbarazzata per qualcosa.
“Raccontalo ad un altro. Comunque, adesso sono
sicuro che tu hai la risposta che voglio.”
“Di che parli?”
“Si tratta delle ragazze. Si comportano in modo
strano da quando per la scuola gira quella roba lì” disse, indicando il
giornaletto scolastico. “Si può sapere perché vi piacciono tanto queste storie yaoi?”
“Oh, come mai conosci quella parola?”
“È una lunga storia. Rispondimi, piuttosto.”
La ragazza si guardò attorno per assicurarsi che
nessuno li sentisse. Per fortuna non c’erano molte persone. “Ti rendi conto che
l’argomento è un po’ delicato?”
“Lo dici a me che ci sono dentro fino al collo?”
Aomine
non aveva tutti i torti. Aveva tutto il diritto di sapere cosa scatenava quei
tifoni di estrogeni attorno a lui. “Vediamo, come posso spiegartelo nel modo
più chiaro possibile? Ecco, a te piacciono molto le… sì, insomma… quelle, no?”
“Le tette?” chiese conferma lui, nel tono più
naturale del mondo.
Momoi
già si stava pentendo di aver scelto quel tipo di approccio. “Parla piano. Sì,
quelle. Se tu dovessi scegliere di leggere tra una storia in cui una ragazza
formosa ha una relazione con un bel tipo e una storia in cui due ragazze
formose si fidanzano, quale preferiresti?”
“Cosa vuoi che me ne importi del bel tipo? A me
interessano le tette grosse!” rispose Aomine, fin
troppo entusiasta per i gusti di Momoi. Un ragazzo a
due tavoli di distanza li lanciò un’occhiata di rimprovero.
“Parla piano, insomma. Ecco, per noi ragazze è lo
stesso principio… all’incirca.”
“Mh…” Aomine
stentava a capire del tutto il ragionamento, ma se lo diceva Momoi allora non poteva fare altro che fidarsi. “C’è anche
un’altra cosa che non capisco. Se tutte pensano che io sia gay, allora perché
sono così gentili e disponibili con me?”
“Questo è più complicato, ma in linea di massima è
perché adesso sei diventato molto più interessante ai loro occhi. Ti
identificano con uno dei due protagonisti della storia, in un certo senso sei
entrato a far parte delle loro fantasie romantiche. E poi non c’è nulla di
ufficiale tra te e Ki-chan: questo ti rende un
ragazzo ancora più intrigante.”
Aomine
ponderò con cura le parole di Momoi.
Non
lo avrebbe mai creduto, ma sembrava proprio che in quella storia ci fosse un
lato positivo da non sottovalutare.
Note dell’autrice
Ed ecco che Aomine
sta iniziando ad esplorare un po’ la psiche delle yaoiste!
Non ho molto da aggiungere solo che spero che la storia continui a piacervi e
che le recensioni sono sempre fonte di gioia da parte mia! Ringrazio tutti
coloro che stanno aggiungendo la storia alle preferite, seguite e ricordate *w*