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Autore: Ginger01    15/05/2013    2 recensioni
~ Nature
Dal prologo
Madre Natura aveva deciso, sarebbero stati creature nettamente superiori alle fate. I quattro bambini sarebbero stati la reincarnazione dei Quattro Elementi.
E quando scoccò la mezzanotte, quattro urli di neonati si sparsero dalle rispettive quattro città delle fate.
E quattro fasci di luce piombarono in quattro punti diversi della cittadina Californiana di Rose.
[Ispirata alla FanFiction di BiancaneveFG "Il Sesto Elemento - L'Oceano]
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi qua, con un altro capitolo per voi <3
Allora, l'inizio può essere un pò...Noioso? Ma vi assicuro che andando avanti si infittisce di misteri e...bè, è piuttosto importante perché appare per la prima volta un personaggio moooolto importante.
Per cui spero andiate avanti con la lettura :3
Un bacione;
Gryfferine
P.S: Si, ho cambiato nome :')

 




~Capitolo 9~
Creideas
 

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.

 

I giorni, per un normale adolescente, trascorrono noiosi e ordinari

I giorni, per un Elemento, trascorrono più o meno similmente. L'unica differenza è che il primo passa i pomeriggi a studiare o a navigare in rete, il secondo a maneggiare le armi.
Belle stava giusto provando qualche affondo nel giardino di casa sua, dove il suo amico, Freddie, le aveva fatto crescere dei manichini d'erba che, magicamente, si riformavano ogni volta che venivano distrutti. La pietra azzurrina in cima all'elsa della spada riluceva ormai da quando aveva trovato la spada, la sua Armaich.
Cuan, la Spada del Mare. Aveva un legame con quell'arma, e non l'avrebbe mai immaginato.
Molte cose le erano successe quell'anno che non avrebbe mai immaginato.
Cuan pulsò nella sua mano, come se volesse essere usata al più presto. La ragazza sorrise, stringendo l'elsa “Si,si, ho capito. Ora ci alleniamo.” pensò, sicura che l'Armaich l'avrebbe ascoltata. E infatti il metallo della spada si riscaldò. Belle osservò ancora una volta la lama dai riflessi bluastri, lama composta da un materiale incredibile: roccia del pianeta Nettuno.
Neanche due mesi prima era una semplice adolescente con alcuni problemi familiari, ma pur sempre una normale adolescente. E ora si ritrovava ad avere dei poteri. Alzò il dito, come per dimostrare ciò che aveva appena pensato, e l'acqua del piccolo laghetto su cui galleggiava la barchetta che aveva costruito con suo padre si mosse, facendo muovere l'imbarcazione.
Sorrise, prima che Cuan pulsasse di nuovo. “Ok, ok...” sbuffò, concentrandosi. Chiuse gli occhi, e la spada venne circondata da una luce azzurrina. Un filo d'acqua, come un piccolo fiume, circondò la lama. E quando Belle aprì gli occhi, illuminati di una luce azzurra, e menò un fendente, insieme alla testa del manichino cadde anche una cascata d'acqua che inzuppò dalla testa ai piedi la ragazza.
Osservò la sua canottiera a righe colorate grondante d'acqua, i suoi pantaloncini bianchi inzuppati e le converse rosse che probabilmente sarebbero diventate rosa dopo quella pioggia.
Cominciò a ridere, cominciando a girare su se stessa, spargendo gocce d'acqua dai capelli bagnati.
– Ehi, ehi! Vacci piano o ti sostituiremo come idrante! – la voce di Laura la costrinse a fermarsi, la testa che le girava e il sorriso stampato in faccia – Laurie! Incredibile! Non sai che ho fatto! –
Laura sorrise, alzando un sopracciglio – Posso immaginare... – disse, guardandola dalla testa ai piedi.
– Dai, ci penso io... – sussurrò, passando una mano davanti al corpo dell'amica che si asciugò in un baleno. – Grazie, ma stavo bene anche cosi! – commentò Belle, continuando a sorridere.
Poi notò l'arco in mano dell'amica – Ti stavi allenando anche tu, eh? – le domandò, indicando l'arma. Laura l'alzò per osservarla meglio – Si, infatti. Riesco a scoccare frecce di fuoco davvero incredibili. E, se voglio, alcune le posso persino far esplodere. E' davvero divertente, anche se ho ucciso malamente un bel po' dei manichini di Freddie...Anzi, ero venuta qua per chiederti di spegnere un...ehm...piccolo incendio... – sussurrò, abbassando lo sguardo.
Isabelle la scrutò, scoppiando a ridere – Ok, fammi vedere, incendiaria! –
Tutto sarebbe stato perfetto. Ne era sicura. Si sentiva quasi sicura da quando aveva trovato Cuan.
Seguì l'amica sul retro della casa, dove si trovava un altro giardinetto. Qui, resti carbonizzati di quelli che dovevano essere arbusti giacevano a terra. Uno solo continuava a bruciare, lanciando scintille e consumando lentamente il manichino. Belle mosse lievemente la mano, creando attorno al suo braccio una scia d'acqua. Bloccò la mano di colpo, in direzione del piccolo incendio e subito la scia d'acqua si riversò sull'arbusto, spegnendolo di colpo.
– Grazie! – rispose imbarazzata Laura, posando a terra l'arco accanto alla faretra.
L'amica sorrise – Di niente! –

Josh entrò in casa, sbattendo per caso la porta. Alzo le spalle, infastidito dal rumore.
– Sono a casa! – gridò subito dopo, rivolto a chiunque fosse stato nell'abitazione.
Nessuno rispose. Alzò un sopracciglio, quindi buttò il mazzo di chiavi nel posa cenere vicino alla porta d'ingresso, dove tutti posavano chiavi, carte, gomme... Notò che un altro mazzo era stato messo lì, un mazzo con una grande J rossa. Sua madre era a casa.
– Mamma? – chiamò, girando per la casa. Andò in cucina, aprì il frigo e ne tirò fuori una lattina di Diet Coca. Magari si era scordata le chiavi quella mattina. Fece per andarsene quando trovò sul piano cottura delle cartelle bianche, cartelle che presentavano in blu, il nome di una famosa clinica della città.
– Mamma? – chiamò ancora, preoccupato, vedendo il nome “Jennifer Nuage” scritto in basso a destra.
Aprì la cartella, solo per trovarla vuota. Il cuore cominciò a battergli a mille.
Salì le scale di corsa, continuando a chiamare la madre a gran voce. Spalancò la porta della camera matrimoniale e finalmente la trovò: seduta sul letto, lo sguardo assente, teneva in braccio i piccoli Jona e Molly, i gemelli di appena dieci mesi. Li cullava lentamente, fissando la parete scura, le finestre chiuse, le persiane sbarrate. Josh andò ad aprire le imposte, facendo entrare la luce e aria fresca, ma questo non scompose la madre.
Buttati sul letto stavano numerosi fogli compilati minuziosamente sui quali il ragazzo notò di nuovo il nome della clinica.
– Mamma! – gridò, avvicinandosi. La donna sembrò ridestarsi – Josh? Sei a casa! Non urlare che svegli i gemelli... – sussurrò. Si alzò, sistemando i figli nei lettini addossati alla parete della camera. La loro cameretta era ancora da sistemare, quindi fino ad allora loro avrebbero dormito con i genitori.
Posti i bambini, Jennifer Nuage lasciò la stanza, sorridendo stanca al figlio maggiore.
Quest ultimo afferrò i fogli e, senza leggerli per la troppa paura, seguì la madre.
– Che è successo? Cosa dicono? – la donna era scesa in cucina dove si stava preparando una tisana.
– Nulla di cui tu debba preoccuparti. – rispose distratta la donna.
– Mamma...Per favore. Voglio sapere. Che ti hanno detto? E'... – non finì la frase, non poteva.
Lei non gli rispose, intenta a cercare l'infuso per la sua tisana.
Dopo almeno dieci minuti di silenzio, si fermò. – Sai leggere, no? Fallo. Leggi quelle cartelle cliniche e potrai risponderti da solo. – disse, la voce ridotta ad un sussurro.
Tornò al suo lavoro, ignorando il figlio che, con mani tremanti, girò piano i fogli per poter cominciare a leggerli.
Le analisi della madre erano state riportate minuziosamente, come soleva fare. Non riusciva a comprendere molte cose, un po' per l'agitazione, un po' perché non era mai stato bravo in scienze e quindi non l'aveva mai studiata davvero.
E poi, il verdetto. Dopo poche righe, Josh lasciò cadere i fogli che, con un lieve tonfo, toccarono il pavimento. La madre chiuse gli occhi respirando a fondo.
Piccoli singhiozzi si levarono da dietro di lei, dal luogo in cui Josh si era seduto.
– Pa...Papà lo sa? – domandò, la voce rotta. Lei si girò lentamente, sfoderando un sorriso fuori luogo – No, non ancora. Volevo parlarne stasera...Ho ritirato le analisi subito dopo l'ufficio e... – non finì la frase, perché si avvicinò al figlio che, chinata la testa, piangeva in silenzio.
– Josh...Non c'è bisogno di piangere...Insomma...C'è ancora speranza. – sorrise debolmente, cercando di sollevare almeno un po' l'animo del figlio.
Non ci riuscì.
Josh alzò lo sguardo, quasi arrabbiato con lei – Come fai? – le domandò, a denti stretti. – Come fai ad essere cosi tranquilla? Non c'è ancora speranza ,mamma. Smettila di fare la bambina e di credere in tutto. Smettila. Sei adulta. Guarda le cose come stanno, guarda le cose razionalmente. –
Lei sembrò quasi ferita dalle parole del figlio, ma sorrise lo stesso – Tesoro, io invece ti dico di guardare le cose dal lato positivo, ottimisticamente. Se non lo farai, finirai per deprimerti e perderti le bellezze della vita. – tossì fragorosamente e Josh chiuse gli occhi, facendo scorrere le lacrime.
Un pianto di bambino spezzò l'aria tesa. Jennifer lanciò un ultimo sguardo dolce al figlio prima di salire le scale.
Il ragazzo rimase a lungo cosi, con gli occhi chiusi. Poi li riaprì di scatto, si asciugò le lacrime con un gesto nervoso della mano, gettò i fogli sul piano della cucina e si diresse verso l'ingresso, dove prese al volo lo zaino che aveva posato poco prima. Sbatté la porta, e i fogli volarono via per la corrente d'aria provocata, rivelando una frase che avrebbe segnato a vita la signora Nuage: “Tumore al polmone.”

Il ragazzo camminava svelto, cercando di smorzare le lacrime. Non aveva molti posti dove andare non voleva stare da solo. Ma sapeva che nessuno l'avrebbe mai capito quanto quella persona.
Nessuno l'avrebbe mai capito quanto lei.
Ormai conosceva la strada a memoria, ormai aveva percorso quei passi numerosissime volte.
Raggiunse il cancelletto blu che il sole stava ormai tramontando e, la prima cosa che notò, fu che il profumo salmastro che caratterizzava la casa della famiglia Eau era stato sostituito da un odore di bruciato.
L'odore era cosi acuto che il naso cominciò a pizzicargli e nuove lacrime cominciarono a scorrere dagli occhi “Almeno ho una scusa per aver pianto...” disse, avvicinandosi verso la porta.
Fece per bussare, quando sentì un urlo provenire da dietro la casa. Un urlo che riconobbe subito.
Quell' urlo apparteneva a Isabelle. Corse oltre il muretto, incurante di ciò che avrebbe potuto vedere.
Ma, quando finalmente raggiunse il retro della casa, non c'erano male intenzionati o mostri, o cattivi, ma solo due ragazze che lui conosceva bene.
– Scusa!! – gridò quella dai capelli neri e lisci che stringeva tra le mani un arco argentato con due rubini che fermavano la corda e uno incastonato al centro del fusto che per un attimo lo accecò, rivolgendosi all'altra ragazza che si stringeva la mano che ora risplendeva di una luce azzurrina.
– Tutto apposto tranquilla. – disse, quando l'arciera la raggiunse.
– E allora perché hai urlato? – le chiese finalmente Josh, con il fiatone.
Belle si girò, sorpresa, e con un grosso sorriso stampato in faccia, gli occhi blu che le luccicavano.
Il suo sorriso riuscì a riscaldare il cuore del ragazzo, scosso da tante emozioni.
– Ciao! – lo salutò, arrossendo. Laura sorrise furbetta – Vado a prendere un bicchiere di tè freddo...Tutto quest'allenamento mi ha messo sete... – disse, entrando in casa dalla porta sul retro.
Josh si avvicinò a Belle che ancora teneva la mano stretta nell'altra e notò che portava alla cintura una lunga spada argentata con un'acqua marina sull'elsa. Sfiorò per un attimo la spallina dello zaino, poi tornò a concentrarsi sulla ragazza che aveva abbassato lo sguardo.
– Che ti sei fatta? – le domandò, prendendo delicatamente la mano.
La ragazza aveva creato un sottile strato di ghiaccio sul palmo – Mi sono scottata, ma sto benissimo. Non toccare troppo il ghiaccio che poi si scioglie ed è una seccatura. – Josh sorrise debolmente, sfiorando con la punta dei polpastrelli la mano della ragazzo.
– Come hai fatto? – domandò, non sicuro di volerlo sapere.
– Stavo aiutando Laura con l'allenamento – cominciò – aveva appena fatto centro con una freccia di fuoco, la stavo per prendere per potergliela riportare, solo che ha lanciato qualche scintilla e io mi sono scottata. – spiegò, un po' imbarazzata.
– Ah, capisco. – rispose lui distratto.
Lei alzò lo sguardo, fissandolo scrutatrice, mettendolo in soggezione – E' successo qualcosa, Josh? – chiuse la sua mano in quella del ragazzo che gliela strinse dolcemente.
– Effettivamente si. Tu...Tu sei l'unica che può davvero capirmi. – gli sussurrò.
Belle lo condusse al piccolo divanetto di paglia che tenevano in giardino. Da piccola, lei e la sorella, avevano incastrato nella parte inferiore ,tra i piccoli nodi ,delle conchiglie rendendo il divanetto perfetto per la loro casa. Josh sorrise vedendole, quindi si sedette accanto alla ragazza.

– Di che si tratta? – domandò Belle, sorridendogli dolcemente e abbracciandosi le ginocchia.
– Tu...Tua madre com'è morta? – domandò con un fil di voce il ragazzo.
Isabelle si irrigidì, poi fissò delle peonie rosa pallido che crescevano lì vicino – Tumore al pancreas. Incurabile. – rispose, secca, fissando i petali del fiore.
Josh la fissò a lungo e notò che gli occhi della ragazza si erano velati. Belle scosse la testa, sorridendo – Perché? –
Lui abbassò la testa – Si...Si tratta di mia madre. – rispose, portandosi le mani alla nuca.
Lei gli sfiorò la mano – Anche lei... –
– Ai polmoni. – finì il ragazzo.
Una folata di vento scompigliò i capelli dei due, facendo rabbrividire Belle. Josh non sembrava sentire freddo.
Il ragazzo continuava ad osservare il praticello verde sotto i suoi piedi, ignaro degli sforzi che faceva Belle.
“Cosa potrei dirgli? Cosa volevo che mi dicessero quando mia madre se ne andò? Volevo solo stare da sola. Nessuna delle loro parole poteva riportarmela indietro. Era inutile ricevere le loro condoglianze, nessuno mi avrebbe ridato la mia mamma. Volevo stare da sola.”
– Vuoi...Vuoi stare da solo? – gli domandò, stringendogli la mano per fargli sentire che per entrambe le risposte, lei gli sarebbe stato accanto comunque.
– No, anzi. Voglio sapere come hai fatto tu a superarla. –
– Josh, tua madre non è morta. – gli disse pronta lei.
Josh alzò gli occhi al cielo – Ma tra poco lo sarà. –
– Ci sono speranze, insomma, magari è ad uno stadio tale da poterlo fermare! – commentò la ragazza.
– No, ormai è tardi. Ho paura a sapere quanto le rimarrà. – rispose freddo lui.
Belle lasciò la sua mano, impuntandosi – Josh, stai tranquillo, riusciranno a guarirla...Spesso ci riescono. –
– Si certo! E tua madre? Tua madre l'hanno guarita? – rispose lui con una nota di sarcasmo.
Lei si fece tutt'un tratto seria e fredda – Il tumore di mia madre era uno dei più rari e difficili da curare. Non è la stessa cosa. –
Josh si morse un labbro: aveva esagerato. Abbassò la testa, pentendosi delle sue parole. Ma perché continuavano a dirgli che c'era la possibilità che lei si salvasse?
– Perché ti ostini a dire che non ci sono possibilità? – domandò la ragazza, accucciandosi meglio sul divanetto.
Non rispose.
– Quando mia madre si ammalò, speravo che qualcuno mi dicesse che ci sarebbero state possibilità di salvarla. Ma quando lo chiedevo a mio padre o a mia sorella, loro chiudevano gli occhi, spesso piangevano o si giravano dall'altra parte. Ora che per tua madre c'è la reale possibilità di salvezza, perché devi essere cosi pessimista? La farai stare peggio, ora ha bisogno solo di speranza. E tu stai peggiorando la situazione, fattelo dire. – si alzò, diretta verso la porta di casa. Ma prima di andarsene si girò verso il ragazzo e gli diede un lieve bacio sui capelli, accarezzandogli il dorso di una mano.
Quindi si voltò e corse in casa, la spada argentata che ballava appesa alla cintura.

Le finestre erano spalancate, lasciando entrare l'aria gelida invernale. A Gorm, l'inverno occupava tutto l'anno. Ma non era l'inverno dolce, bianco e pieno di speranza che spesso scendeva sulla terra.
A Gorm, l'inverno era pregno di oscurità. Ed era per questo che
lei amava tanto quella città.
Si affacciò alla finestra, scrutando i tetti neri e lucidi della città. Sorrise, compiaciuta di ciò che vedeva. Silenzio. Non c'erano rumori per strada, nessun uccello nel cielo grigio.
Qualcuno bussò alla porta, ed ella alzò gli occhi al cielo.
– Avanti! – gridò, con voce annoiata.
Una giovane donna dall'aria impaurita si fece avanti – La...La Domina vi richiede, signora. –
La signora si girò, sorridendo maligna – Va bene, Phoe, vai ora. Lasciami sola. – la serva si inchinò, obbedendo alla padrona. Chiuse la finestra e si rimirò nel riflesso del vetro: capelli neri come la pece, viso bianco su cui spiccavano due labbra rosse, in tinta con gli occhi allungati, di un rosso cremisi. Sorrise, rivelando una fila di denti perlacei. Si aggiustò l'abito scuro, sistemando le maniche di pizzo e afferrò una limetta dalla toletta, limandosi le lunghe unghie rosse.
Buttò la lima sul letto – amava mettere in disordine, solo per osservare la disperazione delle domestiche – e si diresse verso la porta d'ebano, aprendola. Con passo leggero, camminò lungo il corridoio, illuminato debolmente da quelli che sembravano Fuochi Fatui.
Arrivò ad una scala a chioccola, nascosta alla vista. Si guardò attorno circospetta, quindi scese i gradini fino ad arrivare a quelle che sembravano le cantine di un antico castello. L'odore del vino invecchiato aleggiava per i corridoi che sembravano non finire mai, come in un labirinto.
Ma lei sapeva bene dove andare.
Girò innumerevoli volte, fino a raggiungere quella che sembrava un'enorme otre di ceramica nera.
Si guardò attorno, certa che nessuno l'avesse vista; quindi tastò la parete umida, trovò una piccola incisione, una runa, la premette e la grande otre si spostò attaccata ancora all'intera parete che si mosse, rivelando un passaggio. Non appena posò un piede sul primo scalino di pietra di quel passaggio, la parete si richiuse, lasciandola al buio. Alzò un dito sul quale soffiò delicatamente, e una piccola fiammella azzurrina si creò, staccandosi dalla punta del suo indice e precedendola lungo il percorso, facendole luce. Il rumore dei suoi passi risuonava all'interno di quel luogo che sembrava isolato, unico odore la muffa che cresceva sulle pareti. Infine, si ritrovò in un immensa sala, occupata da quello che sembrava un grande lago nero. Dall'altra parte della superficie scura, un trono di diamante nero, sul quale stava una figura incappucciata. La donna toccò la superficie dell'acqua con la punta di un piede e, non appena le increspature create raggiunsero il trono, la figura alzò il volto, rivelando un viso di porcellana, bianco, come se fosse morto. Aprì gli occhi, una semplice palla bianca senza pupilla. Le labbra erano cucite, eppure parlò: una voce cupa, formata da altre cento si propagò per il luogo.
Finalmente. – pronunciò la Domina Mors.
La donna deglutì, inchinandosi – Mia signora. Mi avete chiamato? –
Infatti. Sono delusa da te. Perché non hai ancora agito? – domandò l'essere.
– Sto progettando un buon piano, mia signora. Dobbiamo prendere le giuste precauzioni, non conosciamo l'immenso potere degli Elementi. –
Una risata tagliente si propagò per la stanza, e la creatura increspò appena le labbra, tirando i fili scuri che le cucivano –
Gli Elementi sono dei semplici ragazzini, bambini quasi. Feaw mi ha sorpreso, non la credevo tanto stupida da nominare Elementi quei quattro. Non voglio discussioni. Devi agire. –
– Ma la fata... –
Quella sciocca fata degli alberi! Ti spaventa cosi tanto? Eppure tu sai che i tuoi poteri sono nettamente superiori ai suoi, l'hai sempre saputo, anche prima di diventare cosi, anche prima di passare dalla mia parte, dalla parte dei vincenti. Mi deludi.
– Mia signora, la prego di darmi la possibilità di ricredersi. Io...Sono certa di non fallire. Colpirò oggi stesso, non la deluderò più. –
Mi fido di te, Carnill.

Il ragazzo spalancò gli occhi verdi, sudato. Si mise seduto sul letto, portandosi una mano alla fronte, respirando a fondo.
“Un sogno, solo un sogno...” pensò, cercando di rassicurarsi. Respirò profondamente un altro paio di volte, finché il battito non si fu regolato. Girò lo sguardo, osservando la lancia posata alla parete: Duille, la lancia della vita, la sua Armaich. La osservò per un buono quarto d'ora, affascinato dai riflessi che lo smeraldo incastonato appena sotto la lama lanciava sulle pareti. Quella che sembrava una lunga radice correva lungo tutta l'asta, attorcigliandosi in tutti i modi, creando magnifici disegni. Quella radice l'aveva creata lui, in qualche modo, non appena era entrato in contatto con l'arma. Osservò la parete, oltre la quale la sorella dormiva profondamente. O almeno pensava.
Ormai aveva riconsiderato la sua cara e dolce sorellina, e quasi ne aveva paura. Conosceva le fate, o comunque le creature magiche visto che quella nella sfera verde certo non era umana.
Gli nascondeva qualcosa, ma non aveva ancora trovato il coraggio di domandarle cosa.
Cosa poteva, d'altronde, una semplice quindicenne umana, nascondere al fratellone, un Elemento scelto da Madre Natura in persona?
Madre Natura. Un'altra incognita nella sua vita. Sapeva della sua esistenza, sapeva che era stata lei a decidere l'incarnazione degli Elementi in lui e nei suoi compagni. Sapeva dell'esistenza di un'entità malvagia, la Domina Mors, che voleva, per qualche motivo, distruggere l'umanità, la Natura.
Rabbrividì, pensando al suo sogno: sua sorella, serva della Domina Mors, che uccideva crudelmente Fanie. Fanie. La fata che gli aveva rubato il cuore. Ecco, Fanie era un altro mistero: non poteva essersene innamorato, insomma, era una fata. Non potevano. Lui era il suo sovrano, gliel'aveva detto esplicitamente. La Terra, governa su tutte le creature legati in qualche modo ad essa. E Fanie era una Fata dei Boschi, strettamente legata al suo elemento. Quindi no, non poteva nascere nulla tra di loro. Doveva mettersi l'anima in pace. Ma Alice...Gli avrebbe parlato la mattina. Guardò l'orologio: le sei del mattino.
“Ok, non appena esce dalla stanza glielo chiedo.” si decise, buttando via le coperte e alzandosi.
Filò in bagno dove si fece una lenta doccia, crogiolandosi sotto l'acqua calda. Si vestì tranquillamente, fece colazione, lavò persino i piatti, quindi si preparò davanti alla camera della sorella. Intanto era passata un'ora, erano le sette, e la sveglia di Alice suonò la canzoncina del Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie.
– E' Tardi è Tardi! Oh com'è tardi! – si sentì un botto e Freddie sorrise. Probabilmente la sorella aveva buttato la sveglia a terra, sapeva quanto lei amasse dormire.
Sentì dei piccoli rumori, segno che si stava alzando, quindi la porta si aprì, rivelando una ragazza dai capelli rossi legati in una treccia spettinata, pantaloni a scacchi verdi e una canottiera bianca.
Scalza, sbadigliò e si diresse in bagno, farfugliando qualcosa.
– Ali! Ehi, dovrei parlati! – la seguì Freddie, che per poco non si beccò la porta dritta sul naso.
– Yawn, aspetta fratellone... – rispose Alice da dentro. Dopo molto tempo, la sorellina uscì, pettinata, fresca e truccata. Tornò in camera dove svuotò l'armadio, in cerca di qualcosa.
– Ali, volevo chiederti delle cose riguardo alla...sfera verde. – la sorella sembrò non averlo sentito, oppure fece finta di non averlo fatto. Tornò in bagno, e, quando uscì, tornò di corsa in camera, a preparare la borsa con i libri.
– La sfera verde? – domandò infine, notando che il fratello non se ne andava.
– Si, quel tuo orecchino che è diventato una grande sfera luminosa dentro la quale c'era una persona. – le ricordò.
Lei lo guardo interrogativa – Sei sicuro di stare bene? Un orecchino diventato una sfera luminosa? – Lui indicò la piccola perlina smeraldo che portava all'orecchio – Quello. Avanti, prendilo, e vedrai cosa diventerà. – Alice si portò una mano all'orecchio, pronta a toglierlo, ma poi sembrò ripensarci – Sono in ritardo e non ho tempo per dar retta alle tue pazzie. Ci vediamo a pranzo, ok? Buona giornata. – lo liquidò, dirigendosi a grandi passi verso la cucina, dalla quale si sentiva un buon odorino di frittelle.
Freddie la seguì, e la osservò mangiare, finché non ripose i piatti nel lavandino e uscì di casa.
Il fratello non la lasciò sola un minuto – Avanti, parliamone! Perché conosci...la magia? –
Alice si fermò in mezzo alla strada – La magia? –
Lui la fissò, determinato a farlo parlare – Ali, voglio sapere cos'è quella sfera. –
La sorella si morse un labbro, poi alzò gli occhi al cielo – E' una sfera comunicante. Contento? –
– Ok, questo l'avevo quasi capito da solo. Ma chi è la tipo all'interno? –
– Ti ho detto che non ho tempo. – concluse lei, accelerando il passo. Nel mentre, una ragazza passò con una vespa celestina.
– Ehi, Ali! Vuoi un passaggio? – domandò la ragazza, porgendole un casco rosa.
– Giusto in tempo. Grazie Tiffany! Ci vediamo, Freds. E basta con le domande. – disse la sorella, raggiungendo l'amica e saltando in sella dietro di lei.
Il motorino partì a tutto gas, lasciando Freddie da solo sul marciapiede, con mille domande e dubbi in testa.

– E se n'è andata? Cosi? Senza dire nulla? Freddie, sei inutile. – Laura alzò gli occhi al cielo, commentando il racconto dell'amico.
Freddie trattenne a stento una risatina: il comportamento di Laurie lo metteva sempre di buon umore, amava la sua ironia.
– Già, lo so. Ma oggi appena la rivedo la tampinerò. – aggiunse lui, riponendo i libri nell'armadietto. Laura sospirò, stringendosi il libro di Algebra al petto.
– Che hai, Laurie? – gli domandò lui.
Lei fece una smorfia – Mi preoccupano Belle e Josh: stanno insieme da neanche due settimane, e hanno già avuto una piccola discussione, l'altro giorno, riguardo la madre di Josh. –
Freddie si morse un labbro: sapeva della signora Nuage.
– Lascia tempo a Josh di metabolizzare la notizia. E' dura. – gli rispose lui, chiudendo l'armadietto.
Laura annuì – Si, lo capisco, ma...Non lo so. Dovrebbe lasciare che Belle gli stesse vicino, invece mi sembra che la stia allontanando. –
Freddie storse la bocca, pensieroso. Alzò le spalle – Magari vuole solo un po' di spazio. Davvero, lasciagli tempo, io lo conosco. Quando si sentirà pronto parlerà di nuovo a Isabelle. Ha...Solo bisogno di stare da solo. –
L'amica sorrise – Si, forse hai ragione. Dopo tutto io lo conosco da meno tempo. –

– Hai tempo? – Belle fu sorpresa alle spalle da una voce cristallina, maschile, che ben conosceva.
– Josh! – si girò di scatto, sorpresa dal fatto che il ragazzo le parlasse – Non mi hai più cercata in questi giorni... – sussurrò, abbassando lo sguardo. Lui le prese il mento tra le mani, sorridendole – Scusami, piccola, volevo stare un po' da solo.. –
Belle rabbrividì: non l'aveva mai chiamata piccola. La cosa la mise un po' sulla guardia. Poi fissò gli occhi grigi del ragazzo, e lo riconobbe – Ok, va bene. – lui le accarezzò una guancia con l'indice – Ti va se oggi pomeriggio ci vediamo? Vorrei distrarmi un po'. –
– Certamente! – rispose subito lei, arrossendo. Josh sorrise, un sorriso che per un attimo inquietò la ragazza. Non lo aveva mai visto sul volto del suo ragazzo.
– Ok, allora ci vediamo al parco,dopo la scuola, dietro il ciliegio dove...Mi sono dichiarato. –
Lei alzò un sopracciglio, poi sorrise dolcemente – Perfetto. – scoccò un lieve bacio a fior di labbra al ragazzo. Se ne andò sorridendo, camminando all'indietro e osservando il suo ragazzo sorriderle di rimando. Belle sentì di nuovo quel brivido lungo la spina dorsale, e non le piacque affatto, come non le piaceva quel sorriso sul volto di Josh.

L'ultima campanella suonò, svegliando Isabelle dal dormiveglia della lezione di Storia.
– Dovresti smetterla si addormentarti sempre! – la rimproverò Laura, accanto a lei.
– Scusa, ma le lezioni del Bennett non le sopporto.... –
– Si, e poi prendi sempre A... – sbuffò Laura, facendole l'occhiolino.
Belle alzò le spalle, prendendo la borsa e seguendo l'amica fuori dall'edificio.
Laura cominciò ad incamminarsi verso casa, ma l'amica la fermò – Senti, io mi vedo al parco segreto con Josh... – disse, abbassando lo sguardo. Laura sorrise beffarda – Uhuh, capisco...Ah bè, allora mi sbrigo a tornare a casa, cosi puoi raggiungerlo! – Belle le diede un pugnetto sul braccio ridacchiando – Faresti bene ad andartene, si! – esclamò, facendo ridere anche l'amica che, salutandola con la mano, cominciò ad andare verso casa.
Isabelle sorrise, fissandola camminare e tirare fuori l'Ipod dalla cover rossa. Incredibile quanto l'amica amasse il rosso. Più di quanto lei amasse il blu. Alzò le spalle e cominciò a dirigersi verso il Parco Segreto, quel parco annesso al liceo, sul retro, pieno di ciliegi ora in fiore.
Sorrise, pensando a quando lì Josh le si era dichiarato. Ancora non era certa di ciò che provava per lui, inoltre quello era davvero un brutto periodo per lei: il ritorno di suo padre, l'aborto naturale della sorella...Avrebbe voluto dimenticare. Ma, ovviamente, non poteva.
Oltrepassò il cancello arrugginito, entrando nel parco. Notò con stupore che non c'era nessuno “Strano” pensò “Eppure è una bella giornata.”
Si addentrò più a fondo, fino a raggiungere il ciliegio sotto il quale Josh le aveva detto di amarla. Era piuttosto isolato, e il suo preferito. Ad attenderla il ragazzo, in piedi, le braccia incrociate, il sorrisetto beffardo che le aveva fatto venire i brividi che ora le ripercorrevano la schiena. Scosse la testa: perché quella sensazione? Era Josh, il suo Josh.
– Ciao. – la salutò lui, prendendole la mano delicatamente. Un senso di tepore la pervase, sopprimendo i brividi.
– Ciao. – lo salutò di rimando, sedendosi accanto a lui sotto l'albero in fiore.
– Allora, come va? – gli domandò, fissandolo a lungo. Il vento gli scompigliava i capelli biondi, rendendoli più sbarazzini di quanto non lo fossero già. Lui alzò le spalle – Bé, insomma. E' una situazione un po' difficile. – Belle gli prese la mano – Ti capisco. E se vuoi stare da solo...Capisco anche questo...insomma, quando mia madre si ammalò...Volevo solo stare da sola. – disse, alzando le spalle.
Josh le sorrise – Si, esatto. –
Rimasero per un po' cosi, a fissarsi negli occhi, a tenersi per mano.
Poi il ragazzo sembrò ricordarsi di qualcosa – Ehi, non ti ho salutata come si deve! – esclamò, avvicinandosi a lei.
Belle rise mentre il suo viso si faceva sempre più vicino a quello del ragazzo finchè lui non le sfiorò le labbra con un bacio che ebbe il piacere di approfondire.
Eppure...Eppure qualcosa non andava. Non stava provando le stesse sensazioni che provava di solito, ma attribuì la causa al bruciore accanto all'ombelico, che la distraeva non poco.
“Belle!” la voce di Cuan la distrasse ancora di più. Perché la stava chiamando in quel momento? Sentì una cosa fredda che le pungeva la schiena, come una puntura fastidiosa.
Un altro brivido le percorse quindi la spina dorsale e la pancia le bruciò talmente tanto che dovette staccarsi. E quando lo fece, si accorse che i suoi dubbi erano fondati: si alzò di scatto, portandosi una mano alla bocca, perché gli occhi grigi del suo ragazzo erano diventati rossi cremisi. Il sorrisetto beffardo stampato ancora in faccia.
– Chi...Chi sei? – domandò con voce fiele. Josh – o almeno chi ne aveva preso l'aspetto – si alzò, sogghignando. D'un tratto un'ombra nera coprì il sole, come un'eclissi. Gli alberi appassirono, i petali rosa dei ciliegi caddero morti, scuri, sulla terra diventata secca e spaccata. I tronchi erano grigi, i rami piegati, stanchi. Sembrava che la primavera fosse stata sostituita da un autunno, o meglio da un
inverno malvagio.
Belle strinse i pugni – Tu non sei Josh. Chi sei? – sputò la ragazza, recuperando il coraggio e fissandolo in cagnesco. Gli occhi si illuminarono di una luce rossa che per un attimo accecò la ragazza – Perspicace. – sibilò una voce, e subito Josh venne inglobato da una nube nera.
“Cuan!” chiamò Belle nella mente. Subito una colonna d'acqua si materializzò tra le mani della ragazza, lasciando piano piano posto alla sua fedele spada. Belle si mise in posizione da combattimento, quando la nube nera che aveva circondato il finto Josh scomparve, rivelando una splendida donna dai capelli corvini, a caschetto, occhi rosso cremisi e un lungo abito nero con le maniche di pizzo e la gonna che sembrava finire in una nuvola oscura.
– Chi sei? – domandò nuovamente Belle, stringendo l'elsa della spada.
– Il mio nome è Carnill, Uisge. E dovresti portarmi più rispetto, sai? – sibilò la donna, assumendo tuttavia un'espressione docile.
– Carnill? Ma.. –
– Si, quella stupida Sophie ha scritto una storia su di me e bla bla... – disse, annoiata, alzando gli occhi al cielo.
– Vuoi dire che tu eri una fata? – domandò stupefatta la ragazza.
Carnill sbatté le ciglia scure – Sono una fata, sciocchina. Ma una fata delle tenebre. – la donna cominciò a camminare in cerchio e, quando si trovò di spalle ad Isabelle, la ragazza notò due grandi cicatrici nere aperte sulle scapole, ben visibili dalla scollatura vertiginosa sulla schiena dell'abito.
Isabelle rimase sconcertata – Ma come faceva Sophie a... – la fata non la fece finire perché gridò, irritata – Basta con le domande! Sono qui per eliminarti, sciocca! – alzò le mani e una coltre di gas nero circondò Belle. La ragazza fu pronta e, prima che la nube la avvolgesse, alzò la spada, creandosi una bolla protettiva.
– Notevole, ragazzina. – ghignò Carnill, nell'oscurità. – Ma io ho più esperienza di te! –
– Ci credo, sei più vecchia! – rispose Belle, colpendola nell'orgoglio. Aveva capito che Carnill doveva essere una di quelle persone che tengono alla propria bellezza più della propria vita.
Infatti si levò un urlo dalla nuvola nera, seguito da una serie di palle nere di gas. Belle strinse l'elsa di Cuan, la cui pietra si illuminò, e cominciò a tagliare le nuvole nere che si dissolsero.
“Però ha ragione” pensò la ragazza, mente tagliava l'ennesima nube “Dopotutto è la mia prima battaglia.”
Carnill era più che furiosa – Sei peggio di quell'altra, Juliet! Oh Mors, che nervoso! – gridò, ricomparendo dalla nube, torcendosi le mani.
Belle sorrise – Buon sangue non mente! – le rispose, buttandosi verso di lei e menando un fendente.
Carnill rimase sbigottita e si fissò la pancia, dove una ferita si era aperta sull'abito di nube – E chissà che non seguirai le sue orme... – disse, prima di dissolversi con un sorrisetto malvagio stampato in faccia.
I resti della nube si dissolsero, e piano piano gli alberi ricominciarono a riprendere vigore, cosi come il sole che era tornato a splendere nel cielo sereno.
Isabelle respirò a fondo, regolando il battito con il cinguettio degli uccelli. Si passò una mano sulla fronte che trovò sudata: la sua prima battaglia. Vinta.
“Brava, Usige.” si complimentò Cuan “Grazie a te, Cuan. Senza di te non ce l'avrei mai fatta.” rispose Belle, sorridendo. – Ce l'ho fatta. – sussurrò, prima di crollare sulle ginocchia.
– Belle! Belle! – era la voce di Laura? L'aveva trovata? Come? Non aveva più forze. La paura, l'adrenalina, la battaglia, tutto, l'aveva prosciugata. Ora voleva solo dormire. Addormentarsi, risvegliarsi nel suo lettino, con la mamma accanto che le accarezzava i capelli cantandole la sua ninna nanna, la ninna nanna del mare.

Ma lo sai che in mezzo al mare
c’è una barchetta che non vuole più veleggiare?
Vuole andare in porto a riposare
vuole chiudere gli occhietti e sognare i folletti.
Ma lo sai che in mezzo al mare
c’è una barchetta che non vuole più veleggiare?
Vuole andare a riposare
e sentire la sua mamma cantare
E allora chiudi gli occhi,
Come la barchetta in mezzo al mare.
– Belle! –

 


~Angolo Autrice
Ecco qua! Che ne dite? Anche Josh ha il suo dramma familiare, ma la malattia della madre avrà un ruolo importante poi nel corso della storia...
Personalmente mi piace un sacco la descrizione della Domina Mors, è la prima volta che appare, per questo è importante questo capitolo. Penso che abbiate capito cosa siano le cicatrici sulla schiena di Carnill...Che ne pensate di lei? Mi sono ispirata ad un personaggio di Beautiful Creatures: La sedicesima luna, un film che adoro *--* Anche lei sarà un pò da...considerare. 
Mi piace molto anche questa parte finale, con la ninna nanna...
Che ne pensate?
Lasciatemi una recensioncina! <3
Un bacione;
Gryfferine









 

  
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